ncianca ha scritto:La connessione tra impegno e risultati è una menzogna, Franz. Ti pare che quelli che si impegnano a fondo ottengono sempre i risultati sperati? Esiste il valore dell'impegno, quello sì, è una sfumatura sottile, ma importante.
Where there's a will, there's a way. Basta non vivere in un mondo di fantasia (e anche qui crescere al giusto ritmo aiuta) e non prefiggersi obiettivi improbabili.
Non so a quale fandonia nordeuropea tu faccia riferimento, io più a nord di Londra non ho mai vissuto e non mi pare che a Londra non si viva in funzione dei risultati. Una scuola senza valutazioni e giudizi faccio fatica a vederla anche io, ovvio. Chi ha auspicato una cosa così? Ti ho perso un pochino qui...
Svedesi, danesi, norvegesi. Da loro vige il concetto della
Legge di Jante, praticamente una tendenza sociale a non voler strafare o comunque a non differenziarsi in meglio. In Scandinavia c'è chi auspica una scuola praticamente senza voti o graduatorie alcune, in cui nessun bambino/a ha idea se è più o meno bravo dell'altro. Perché l'essere giudicati porta a gravi sconquassi mentali e blah blah blah...
Continui a parlare di "crescita", fai dei numeri, già si capisce qualcosa, "sicuramente non prima dei 14 anni, forse non prima dei 18", però sopra dicevi "scuola... 6 anni", si parlava di arrampicata, di un esempio di baby campione come Ashima, di una bambina per davvero, perdonami, ma se stiamo adesso parlando di altro mi sono perso un passaggio.
Parlavo della scuola (i.e. elementari, ovvero età di 5 o 6 anni) come il primo momento in cui si abbandona l'infanzia completa e, secondo me, si è davanti ad un minimo di responsabilità: studiare, per quanto poco, ma comunque studiare cose di cui magari non te ne frega quanto i Transformer o la bambina dai capelli rossi della classe affianco. Basta che un bambino ti chieda "ma perché devo andare a scuola?" e che tu gli risponda onestamente e track "il bambino deve fare il bambino" non è più vero al 100%. Quindi, se quel tipo di pensiero per forza di cose comincia ad essere presente a quell'età, non vedo perché nascondersi dietro ad un dito e fare finta che non si applichi ad altre cose. Vuoi l'arrampicata, vuoi un altro sport, vuoi il disegnare, vuoi Space Invaders, vuoi la settimana enigmistica o una scacchiera.
Piede scrive, cito: "Vivere in funzione dei risultati è un'idea che mi intristisce tantissimo. Lasciamo che il gioco sia il gioco. Se poi chi studia riesce a divertirsi meglio per lui ma io terrei le cose ben distinte" Mi pare che ci sia sostanzialmente la banale distinzione tra dovere e piacere, quello sì che va insegnato ai bimbi, anche di 2 anni. Io non l'ho inteso come una predica a vivere "privo di preoccupazioni, al non volersi preparare, migliorare, etc." Anche qui ti ho perso un po'.
Per me ci sono due cose. Il fatto che esista un "dovere" e un "piacere" ma anche il fatto che i risultati sono connessi all'impegno. Sia nel dovere che nel piacere (a meno che il piacere sia solo guardare la TV o cose simili totalmente passive e non interattive). Continuo a non capire questa paura dell'impegnarsi. Esiste il divertimento, ma esiste anche la soddisfazione e le due cose possono convivere.
I miei concetti sono basati su esperienza diretta mia (nel mio piccolo) e di persone che conosco. Non vedo nulla di male in una persona giovane che si impegna molto a fare le cose che gli piacciono. Ripeto, da quando mediocrità e banalità sono un buon esempio per chiunque, grandi o bambini che siano?