Matteo G. ha scritto:Cultura alpinistica sopraffina, oserei dire. Complimenti!
Grazie per i complimenti, ma guarda, a dirla tutta la cultura alpinistica te la regalarei tutta in cambio di 10 anni di meno, più tempo libero e un curriculum come dico io... citando la saggezza del buon Renzo (Luzi) "A parole non si scala niente"

Matteo G. ha scritto:Non ho mai avuto modo di vedere le foto di "Mountaineer"... Interessante notare, allora, che di tutto il materiale piantato in parete in quell'occasione non sia rimasta praticamente traccia. È anche vero che sono passati più di trent'anni e che la montagna pulisce, però su quella via non è che ci passa gente tutti i giorni...
Non c'era già più molto materiale in parete nel 1976, e paradossalmente (per via del succedersi nelle pur rare ripetizioni) negli anni successivi tutti i ripetitori menzionavano il fatto che le protezioni in loco era scarsissima.
Non ho certezze da questo punto di vista (mi baso sulle foto, non solo quelle del libro ma altre che ho trovato in giro), ma è probabile che la maggior parte dei chiodi piantati da Bonington e C. furono viti da ghiaccio non tubolari (il tipo che c'era allora, quello "a cavatappi") oppure chiodi da ghiaccio "a percussione" (che adesso non penso ricordi nessuno, ma erano lunghi e affusolati con il "corpo" irregolare per aumentare la tenuta nel ghiaccio). Di chiodi normali da roccia penso che non ne piantarono molti per via del ghiaccio nelle fessure (i chiodi in acciaio duro erano già disponibili, ma rari e all'epoca costosissimi).
E, per inciso, il tentativo di Bonington si fermò al nevaio superiore - per cui non toccarono la barriera prevalentemente rocciosa in alto. Quando MacIntyre e Colton ritornarono nel 1976, superarono il tratto finale con pochissimi chiodi.
Tutta la parete, couloir compreso, è soggetta a scariche e cicli di scioglimento dello strato superficiale di ghiaccio molto violenti (con escursioni termiche che su due o tre anni possono raggiungere i 50 gradi di differenza!), per cui è difficilissimo che un chiodo da ghiaccio riesca a rimanere "in situ" per più di un tot di tempo. E il problema non è solo della MacIntyre - i giapponesi che superarono la parete un mese dopo Bonington e C., lasciarono tonnellate di materiale fra chiodi e corde fisse (rimasero in parete due mesi!), ma quando Babanov passò la parte inferiore del couloir di destra per salire "Eldorado" nel 1999 (la via dei Giapponesi non è mai stata ripetute per intero) in pratica non era rimasto niente!
MacIntyre scrisse nel 1977 un bell' articolo sulla prima salita per la rivista inglese "Mountain". Se ti interessa lo recupero, lo scannerizzo e te lo spedisco.
Una nota a margine ma non marginale - non ho un dato definitivo, ma sono quasi sicuro che tu e Anna avete fatto la ripetizione più veloce da molti anni a questa parte, anche se forse solo per un'ora. Da quello che ho letto sul sito della Grivel voi due eravate alla terminale alle 4 del mattino e in cima alle 10 di sera. Due alpinisti (penso Baschi) hanno fatto un'altra ripetizione veloce il 15 gennaio con partenza dalla terminale alle 4 e arrivo in vetta quasi alle 11 di notte.
Come termine di paragone, la maggior parte delle salite alla Mac sono fatte in due giorni o tre giorni. MacIntyre e Colton furono in assoluto fra i più veloci, salendo la parete in 19 ore (attacco alle 10 di sera ed arrivo alle sei del pomeriggio del giorno dopo).
Ok, fine dell'angolo del montanaro pedante, potete anche svegliarvi!