arrampicata come arte marziale?

Area di discussione a carattere generale sull'arrampicata.

Messaggioda yinyang » ven gen 07, 2005 17:05 pm

vorrei aggiungere un elemento: nelle arti marziali mi sembra che abbia molta importanza oltre all'efficacia, il modo con cui vengono portate le tecniche: precisione ed eleganza, soprattutto in alcune arti marziali, vengono forse prima dell'efficacia

ecco volevo dire che a volte oltre al fatto di volere tutto e subito, non si curano questi due aspetti "marziali", per cui si vedono chiudere vie di una certa difficoltà in modo sgraziato

ora è chiaro che non c'è nulla di male, ma io personalmente anche quando chiudo una via se non ho arrampicato "bane" non mi sento soddisfatto; io penso che il mio modo di concepire l'arrampicata sia "marziale" in questo senso, che non solo mi sforzo (poi magari non lo ottengo :roll: ) di fare una via ma di farla anche in modo preciso ed elegante ed è li che mi sento di dover rifondare la mia arrampicata...

penso perciò che l'umiltà sia anche tornare sui propri passi e magari ricominciare dai fondamentali
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Messaggioda marinoroma » ven gen 07, 2005 17:28 pm

Maurizio ha scritto:Ciao, vorrei dire una cosa sull'umiltà.

Che oggi ci sia un atteggiamento poco umile (rispetto a 10/20 anni fa) è fuor di dubbio. Poca umiltà nei confronti di quello che si fa, cioè siamo abituati (sempre rispetto ad una volta) a pretendere ed ottenere tutto e subito. Ma questo un po' in tutte le cose. Così chi inizia pretende subito di fare il 6a, e la domenica dopo vuole fare il 6a+ e così via. Se uno va in palestra e si allena, pretende di migliorare, e se non migliora nel numero, cioè in maniera quantitativa e oggettiva, non è contento e rischia di perdere la motivazione. Questo intendo io per mancanza di umiltà.

In alpinismo le cose sono diverse. Da sempre il gioco è stato quello di trovare il sottile equilibrio tra osare e rinunciare, e credo che sia ancora così oggi. Il vecchio luogo comune che vuole l'alpinismo come scuola di vita, penso si riferisca proprio a questo concetto, che è poi quello che permette di portare la pelle a casa :? :D

ciao

Maurizio


Ciao vorrei ribattere una cosa sull'umiltà :wink:

Non penso che la mancanza di umiltà che descrivi sia presente solo nell'arrampicata sportiva in quanto tale e ne che sia un fenomeno legato esclusivamente alla mentalità "vincente" che permea un po' tutta la nostra vita. Non dico neanche che ne sia completamente estraneo, bada bene.
Ad esempio tempo fà morirono assiderati 2 inglesi che avevano bivaccato in cima alle Droites dopo aver fatto la N in circa 3 gg. E' venuto fuori in seguito che erano per cosi' dire "principianti" ed era comunque la prima volta che venivano nelle alpi. Non é mancanza di umiltà ?
Non é un esempio casuale, conosco degli inglesi che arrampicano e ho l'impressione che per loro esista solo Chamonix e solo determinate cime. Caratterialmente ti direi che attaccarsi alla Walker senza fare delle vie intorno a mo' di pellegrinaggio, con lo sguardo riverente alle Jorasses, la considero una forma di arroganza. Cassin mi direbbe che sono un fregnone....
Giusto per riallacciarmi all'epoca. Sto leggendo il libro di Harrer sulla N dell'Eiger. Narra dei tentativi precedenti al suo in maniera quasi patetica, arrembaggi senza la minima cognizione di causa. Non erano forse molto poco umili anche loro ?

Quello che trovo é che il grande numero di praticanti dell'arrampicata, la riduzione di rischi oggettivi e la presenza comunque di una scala che volenti o nolenti ci offre degli obbiettivi molto semplici da focalizzare (oggi 6a a febbraio 6b, per pasqua 6c etc etc) accentui il fenomeno molto "umano" del voler eccellere a scapito del voler vivere delle esperienze.
Insomma il "voglio tutto e subito" non é una prerogativa degli ultimi 20 anni e dei soli praticanti della falesia, ma piuttosto un lato oscuro dell'uomo pronto a esplodere quando ci sono le condizioni al contorno giuste....

buon w-e a tutti e scusate la pappardella
stacco a ligna
....no, non ora, non qui, questa pingue immane frana....
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Messaggioda checco 1987 » ven gen 07, 2005 18:44 pm

marinoroma ha scritto:
Maurizio ha scritto:Ciao, vorrei dire una cosa sull'umiltà.

Che oggi ci sia un atteggiamento poco umile (rispetto a 10/20 anni fa) è fuor di dubbio. Poca umiltà nei confronti di quello che si fa, cioè siamo abituati (sempre rispetto ad una volta) a pretendere ed ottenere tutto e subito. Ma questo un po' in tutte le cose. Così chi inizia pretende subito di fare il 6a, e la domenica dopo vuole fare il 6a+ e così via. Se uno va in palestra e si allena, pretende di migliorare, e se non migliora nel numero, cioè in maniera quantitativa e oggettiva, non è contento e rischia di perdere la motivazione. Questo intendo io per mancanza di umiltà.

In alpinismo le cose sono diverse. Da sempre il gioco è stato quello di trovare il sottile equilibrio tra osare e rinunciare, e credo che sia ancora così oggi. Il vecchio luogo comune che vuole l'alpinismo come scuola di vita, penso si riferisca proprio a questo concetto, che è poi quello che permette di portare la pelle a casa :? :D

ciao

Maurizio


Ciao vorrei ribattere una cosa sull'umiltà :wink:

Non penso che la mancanza di umiltà che descrivi sia presente solo nell'arrampicata sportiva in quanto tale e ne che sia un fenomeno legato esclusivamente alla mentalità "vincente" che permea un po' tutta la nostra vita. Non dico neanche che ne sia completamente estraneo, bada bene.
Ad esempio tempo fà morirono assiderati 2 inglesi che avevano bivaccato in cima alle Droites dopo aver fatto la N in circa 3 gg. E' venuto fuori in seguito che erano per cosi' dire "principianti" ed era comunque la prima volta che venivano nelle alpi. Non é mancanza di umiltà ?
Non é un esempio casuale, conosco degli inglesi che arrampicano e ho l'impressione che per loro esista solo Chamonix e solo determinate cime. Caratterialmente ti direi che attaccarsi alla Walker senza fare delle vie intorno a mo' di pellegrinaggio, con lo sguardo riverente alle Jorasses, la considero una forma di arroganza. Cassin mi direbbe che sono un fregnone....
Giusto per riallacciarmi all'epoca. Sto leggendo il libro di Harrer sulla N dell'Eiger. Narra dei tentativi precedenti al suo in maniera quasi patetica, arrembaggi senza la minima cognizione di causa. Non erano forse molto poco umili anche loro ?

Quello che trovo é che il grande numero di praticanti dell'arrampicata, la riduzione di rischi oggettivi e la presenza comunque di una scala che volenti o nolenti ci offre degli obbiettivi molto semplici da focalizzare (oggi 6a a febbraio 6b, per pasqua 6c etc etc) accentui il fenomeno molto "umano" del voler eccellere a scapito del voler vivere delle esperienze.
Insomma il "voglio tutto e subito" non é una prerogativa degli ultimi 20 anni e dei soli praticanti della falesia, ma piuttosto un lato oscuro dell'uomo pronto a esplodere quando ci sono le condizioni al contorno giuste....

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sono daccordo!, l'arrampicata, che comunque, è bene ricordarlo, dovrebbe essere al contempo uno sport e uno stile-scelta di vita (come direbbe W. Gullich..), presuppone che ognuno analizzi e sia ben coscente dei propri limiti, senza vergogna, e che con umiltà salga pian piano (...bè magari non troppo piano! :lol: ) "la scala dei gradi", anche se è brutto chiamarla così...
Perchè a mio parere arrivati in cima ad una parete non bisognerebbe pensare " 8) ah ah, Montagna, ti ho vinto", bensì "grazie delle emozioni che mi hai regalato...."

Bè, forse è una visione un po' ingenua..., ma io la vedo così
(certo, se riuscissi ad uscirmene dal 6b..... :twisted: !! :twisted: )
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Messaggioda Maurizio » ven gen 07, 2005 18:59 pm

:roll: :roll: ma Marinoroma, io dicevo esattamente la stessa cosa! Il fatto che questo atteggiamento del climber verso la roccia e dell'alpinista verso la montagna sia cambiato non è imputabile all'uomo, che ora è diverso, ma alla società che gli sta intorno. Guarda solo il diverso atteggiamento che oggi si ha verso la documentazione. Se 20 anni fa volevo andare a fare una via, non mi sognavo di chiedere info a nessuno, mi compravo tutti i libri a disposizione e cercavo di raccogliere più cose possibili in proposito. Sovente questa ricerca durava mesi, un po' come magari fa chi va in una zona himalayana sconosciuta. Invece ora chi vuole fare una via manda un messaggio su internet ed aspetta la risposta subito, e magari anche s'incazza se non trova niente! Il nostro atteggiamento è cambiato verso tutte le cose, e la nostra attività non fa eccezione.
Evidentemente oggi siamo portati ad essere più precipitosi, perchè le cose hanno una gestazione minore e sono in generale meno ponderate. I principianti sulla nord delle Droites: 20 anni fa io avevo esattamente la dimensione di cosa poteva essere la nord delle Droites, pur non essendoci mai stato. Quando ho fatto la nord delle Courtes non ho trovato nessuna sorpresa. Siamo sicuri che oggi chi si avvicina all'alpinismo sappia sempre a cosa va incontro? Discorso complesso, che coinvolge anche le scuole... :wink:

ciao

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Messaggioda flaviop » ven gen 07, 2005 19:14 pm

Le scuole e i media.
Ora certe cose "classiche" le fanno vedere facili, perche il difficile si è spostato molto avanti.
Uno guarda la tabella 6a =6+ all'ora vie sui vioni tanto è la media quelli "normali fanno il 7b" poi ci si lamenta che il traverso d'uscita di "Luna nascente" è sprotetto, si ma è 3° grado.
I media che ti fanno vedere il "trad" con i dadi messi dall'alto e non te lo specificano. Poi penso che Maurizio sia piu dentro a queste cose e magari puo spiegarmele meglio.
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Messaggioda Maurizio » ven gen 07, 2005 19:36 pm

flaviop ha scritto:Le scuole e i media.
Ora certe cose "classiche" le fanno vedere facili, perche il difficile si è spostato molto avanti.
Uno guarda la tabella 6a =6+ all'ora vie sui vioni tanto è la media quelli "normali fanno il 7b" poi ci si lamenta che il traverso d'uscita di "Luna nascente" è sprotetto, si ma è 3° grado.
I media che ti fanno vedere il "trad" con i dadi messi dall'alto e non te lo specificano. Poi penso che Maurizio sia piu dentro a queste cose e magari puo spiegarmele meglio.


Si, ma non credo sia solo una questione di limiti che si spostano sempre più avanti, è soprattutto una questione di atteggiamento verso di essi. Se prendi un cinquantenne (che ha iniziato a scalare negli anni 70/80), come ve ne sono molti, e lo porti in falesia avrà un atteggiamento timoroso verso il difficile che tende sempre a riaffiorare, anche quando si crede di averlo debellato. Infatti molti di quelli che hanno iniziato in quegli anni hanno, ad esempio, eccessivo timore ad affrontare il 6c, e questo è alla fine un freno al loro miglioramento. In più ci mettono molto a capacitarsi del fatto che oggi, a 50 anni, scalano su cose più dure che quando ne avevano 25. Non lo credono possibile, anche se logicamente sanno che i tempi sono cambiati. Un giovane falesista di oggi invece non ha nessun atteggiamento reverenziale verso il 6c, per lui è un numero intermedio e non un traguardo. Lui sa che i più bravi fanno il 9a, per cui misura col metro e considera il 6c un grado mediocre. Il cinquantenne invece la vede diversamente. Per lui tutto quello che sta oltre il grado che ha provato, magari facendo una fatica terribile, è uguale, e lo percepisce semplicemente con una parola: impossibile. Per lui, ovviamente.
Questa differenza di vedute, secondo me, non è solo dovuta allo spostarsi dei limiti, ma al fatto che è cambiato il modo di insegnare, le attrezzature e last but not least il contesto in cui noi svolgiamo la nostra attività che ci porta a percepire diversamente il "difficile".
Ora, volevo dire, se in arrampicata sportiva spesso questo atteggiamento "spavaldo" può risultare utile e costruttivo (fintanto, come dicevo, non porta ad una depressione motivazionale), in alpinismo non mi sembra che porti bene, come ha ben evidenziato il caso delle Droites...

spero di non essere staato troppo contorto

ciao

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Messaggioda flaviop » ven gen 07, 2005 19:58 pm

Non sei stato per niente contorto.
E da quasi 50enne capisco benissimo, ma capisco bene anche dove osare(falesia) e dove non si scherza ( montagna).
Stiamo andando OT, penso di aprire un nuovo argomento, prima mangio.


Ciao Flavio
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Messaggioda Fokozzone » lun gen 10, 2005 19:59 pm

Nelle arti marziali si distingue la pratica agonistica dalla pratica della "via", un percorso di perenne educazione. Questo però è caratterizzato dal fatto che non esiste una libera pratica dell' arte, ma esiste un insegnamento continuo sotto un maestro. Direi che in arrampicata un simile modus vivendi risulterebbe insopportabile.
L' umiltà è prima di tutto un riconoscimento della verità. Il vero problema degli atteggiamenti arroganti nei confronti di una disciplina (ho cominciato ieri e penso già al 9a) spesso deriva da una mancanza di consapevolezza, da una incapacità di inquadrare la propria realtà, perché anziché misurarsi con sè stessi, ci si misura con una cultura dell' immagine, spesso fasulla.
Sotto questo profilo l' ascolto dei più esperti può essere un aiuto prezioso per riuscire a leggere ciò che si sta facendo.
Intendendo il discorso in questi toni, mi sento abbastanza in sintonia con Maurizio.
Tuttavia il fatto che l' accesso a determinati risultati oggi sia più rapido di ieri, è un progresso della tecnica che bisogna accettare, merito anche dei buoni maestri, come ad es.....Maurizio stesso!
Un approccio super-sportivo all' arrampicata porta spesso a rinunciare alle emozioni e alla ricchezza interiore che provenivano dall' humus alpinistico? E' l' equivalente della pratica agonistica dell' arte marziale, un altro stile, che non è il mio, ma che non condanno e che regala adeguate soddisfazioni a chi lo pratica.

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Messaggioda pf » mar gen 11, 2005 12:02 pm

Mia moglie raggiunse un livello molto alto in arte marziale, dove livello non voleva dire solo grado ma anche eleganza, predisposizione, etc. L'ha dovuta lasciare per periartrite alla spalla, e da allora scala, quando ha voglia, con me.
Contrariamente a quanto potessi immaginare, ciò che ha riportato dal kung fu non è il controllo mentale ( ha paura da prima e di volare, mentre le vedevo fare salti e forme con spade, coltelli, etc, da brivido) e neanche la capacità di memorizzare, concentrandosi quasi in un 'altra sfera, una serie di gesti ( eseguiva figure e forme complicatissime di decine e decine di movimenti, e le imparava in fretta e perfettamente: ora non si ricorda una sequenza che è una!!): piuttosto, l'eleganza ( ma penso sia femminile ) e un approccio assolutamente slegato dalla competizione, anche con se stessa. E' contentissima se le viene qualcosa, serena se non le viene. Non ha un decimo della mia passione, ma le piace, quindi penso che questo approccio le derivi proprio dalle arti marziali, dove, in mezzo ad una marea di invasati, c'era anche chi davvero seguiva un percorso molto introspettivo. C'era anche là chi puntava al quarto dan e chi lo raggiungeva "naturalmente", senza ossessioni. Io sono oggettivamente portato all'ossessione, inutile e stupido negarlo, per cui vedere il suo approccio mi fa bene, e penso che faccia bene all'arrampicata l'esistenza sia degli ossessionati sia dei Berhault, o dei Maurizio ( che mi ha spesso etichettato in maniera secondo me errata, ma che ha un approccio molto emozionale che mi piace e che fa bene ).
C'era una frase di Jolly Lamberti trascritta in un libro che sintetizza la diversità di approccio: Non arrampico per fare il 9a, ma farò il 9a, perché arrampico. Altrimenti va bene lo stesso, ma è lavoro.
Magari lo stesso Jolly non è sempre coerente con quanto ha scritto, non lo so e non mi importa. Ciò che conta è l'approccio: effettivamente i grandi maestri di arte marziale sono arrivati al 9a non perchè lo inseguissero, ma perchè erano talmente esploratori che ci arrivarono.
Infine, in arte marziale esiste la figura del Maestro, ed in arrampicata non c'è. Girai questa osservazione di Andrea di Bari a Berhault e Hirayama, scoprendo che Berhault aveva fondato una scuola in un paesino francese e che Hirayama ha una devozione reverenziale verso il suo maestro di Yoga, ritenendosi assolutamente non all'altezza di diventare una figura simile nella scalata.
Devo dire che fra i grandi fuoriclasse contemporanei non vedo possibili maestri, o per assoluta mancanza di capacità nell'esserlo o per intrinseca paura nel diventarlo. Che io sappia, solo Jhonny Dawes ha osato proporsi come tale, e per molti in UK lo è diventato.
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Messaggioda clod » mar gen 11, 2005 12:29 pm

Personalmente non vedo nessuna differenza tra arti marziali e arrampicata. O meglio non ne vedo tra queste e tutti gli altri sport che ho praticato. Ho fatto 5 anni di karate e l'approcio che ho avuto è stato lo stesso di tutti gli altri sport. Concentrazione a balla, aver voglia di farsi il culo fisicamente, avere sempre stampato nella mente che c'è sempre qualcuno più bravo di te da cui imparare e sapere che tante cose noiose ti possono portare in futuro a migliorare. Io questo stato mentale trascendentale l'ho raggiunto più facilmente facendo l'asino in mtb o facendo downhill coi roller: li si che devi diventare una cosa sola mente,corpo,attrezzo e ambiente circostante.

P.s.: i kata erano una vera balla ma servivano tanto :wink:
Ma ancora una volta, a dire la verità, se cercate un colpevole non c'è che da guardarsi allo specchio.



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Messaggioda Maurizio » mar gen 11, 2005 16:22 pm

yingyang ha scritto:vorrei aggiungere un elemento: nelle arti marziali mi sembra che abbia molta importanza oltre all'efficacia, il modo con cui vengono portate le tecniche: precisione ed eleganza, soprattutto in alcune arti marziali, vengono forse prima dell'efficacia

ecco volevo dire che a volte oltre al fatto di volere tutto e subito, non si curano questi due aspetti "marziali", per cui si vedono chiudere vie di una certa difficoltà in modo sgraziato

ora è chiaro che non c'è nulla di male, ma io personalmente anche quando chiudo una via se non ho arrampicato "bane" non mi sento soddisfatto; io penso che il mio modo di concepire l'arrampicata sia "marziale" in questo senso, che non solo mi sforzo (poi magari non lo ottengo :roll: ) di fare una via ma di farla anche in modo preciso ed elegante ed è li che mi sento di dover rifondare la mia arrampicata...

penso perciò che l'umiltà sia anche tornare sui propri passi e magari ricominciare dai fondamentali


ah, ah, ah :D :D :D tu che bazzichi il forum di Sardiniaclimb vieni a dire queste cose a me??? O è uno scherzo architettato dai miei conterranei...oppure dovresti sapere che io ho spesso preso una posizione forte su questi temi! Il risultato è che qui quando vado in falesia mi prendono tutti in giro con frasi sul tipo "adesso che l'ho finalmente fatta, mò la rifaccio per scalarla in eleganza!" ah, ah, risata generale di scherno. Quel che conta caro mio è il risultato. Resta il fatto che è una visione molto occidentale (che fa rima con parziale!), come scrivevo, ma in arrampicata outdoor, per quanto mi riguarda, non è la sola valida e possibile. Se in uno sport finalizzato alla competizione quel che conta è ovviamente il risultato, chi intende la scalata come un percorso di miglioramento e conoscenza (buuuuummmm :roll: :roll: :D ) di se stessi, non può fermarsi a questo. Da qui l'esigenza, per alcuni (ma non siamo poi così pochi come sembra) di uscire dal concetto "sportivo" per abbracciare un qualche cosa di più ampio e meno definibile, sicuramente vicino alle arti marziali.

Per rispondere a Fabio dirò che ci sono scalatori che sembrano dediti solo al risultato che invece intendono l'arrampicata in maniera molto più ascetica di altri, che magari si danno grandi arie di santoni. Dipende chiaramente dalle persone e dal loro carattere, che si riflette in quello che fanno come uno specchio. Dopo qualche anno ho imparato a non fidarmi delle apparenze ed attualmente ho rapporti di grande amicizia con persone che un tempo giudicavo superficialmente, magari solo per aver letto qualcosa su quello che facevano. Tutto questo giro di parole per dire che non importa se uno è dedito a concatenare i 9a e un altro ha il pallino delle traversate senza bussola, l'importante è guardare l'uomo dentro e cosa riesce ad esprimere con quello che fa...

ciao

Maurizio :wink:
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Messaggioda cuorpiccino » mar gen 11, 2005 17:16 pm

"Precisione ed eleganza", "arrampicare bene" 8O non sono cose facili da definire. L'arrampicata comunque si gioca, spesso non sempre, su carichi fisici vicini al massimale (molto vicini quando ci si avvicina al limite di caduta in strapiombo, la placca a volte è un po' un'altra storia). Alcune cose che sono state dette delle arti marziali, i kata (cose che ignoro completamente, ho letto qualcosa in rete) mi ricordano l'arrampicata lavorata, dove la fluidità del gesto può arrivare a livelli incredibili e far sembrare un arrampicatore un soggetto esente da forza di gravità.
Ma sull'arrampicata a vista la vera arte mentale, è non mollare mai. Non esiste ricetta per essere sicuri di non commettere errori, si può arrampicare bene, ma su una via complessa non commettere errori (rispetto al sistema a minor dispendio di energia) va un po' a culo. E quando le forze calano, gestire lo stillicidio delle energie rimaste, cercando di ottimizzarle, senza conoscere quello che ci aspetta, porta ad uno sforzo mentale che non si può raccontare se non lo si è provato. Allora, in barba allo stile, se riesco ad attaccarmi con il gomito o con il ginocchio (magari!) sono assai contento. O forse bisognerebbe (ri) definire il concetto di stile?
Il più grande alpinista è quello che si diverte di più
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Messaggioda Maurizio » mar gen 11, 2005 17:46 pm

Ciao cuorpiccino,

forse sarà capitato anche a te, che sei mio coetaneo, ricordare i tempi in cui si sperava di vedere qualche fuoriclasse arrampicare, semplicemente per la bellezza del gesto. A quei tempi, loro erano talmente sopra al nostro livello, che poco importava su quale grado scalassero e quale via stessero facendo. Ricordo di essere stato fortemente impressionato dallo stile di Bernardi. Marco arrampicava (arrampica?) con una lentezza estenuante. Ogni suo gesto era di una precisione assoluta e la cosa più sconvolgente, ricordo, era che ad un certo punto lo vedevi cadere e ti domandavi il perchè cadeva, se lo vedevi sempre tranquillissimo. Ricordo che per me quella era la dimostrazione di suprema eleganza nell'arrampicare. Aspettavo con ansia di vedere Edlinger, ma il giorno che lo incontrai ne rimasi deluso, mentre mi colpì molto Berhault...più tardi Gnerro, Giupponi e Legrand. Evidentemente il concetto di stile con gli anni è cambiato. Lo stile di Bernardi oggi verrebbe etichettato come poco efficace, fino a divenire dannoso alla performance stessa, senza contare poi che Marco arrampicava molto frontale e oggi le tecniche di strapiombo sono evidentmente cambiate.
Io ovviamente non ho la risposta da dare alla tua domanda. Non so per nulla cosa possa essere definito buono stile o cattivo stile. So solo che come per magia, ogni tanto si materializzano in qualche scalatore talentuoso tutte quelle qualità che fanno sì che riesca a gestire la difficoltà, anche durissima o resa tale da una on sight, con eleganza. Forse è quello il vero stile. Che questa gestione avvenga per spropositata forza (come sostengono alcuni), per doti divine, per talento o per esperienza...è aperto il dibattito...ognuno ha la sua idea.
Ma è un discorso complicato, noi qui siamo ancora all'abc, ovvero riconoscerne o meno la validità! :wink:

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Messaggioda yinyang » mar gen 11, 2005 18:45 pm

cuorpiccino ha scritto: i kata (cose che ignoro completamente, ho letto qualcosa in rete) mi ricordano l'arrampicata lavorata, dove la fluidità del gesto può arrivare a livelli incredibili e far sembrare un arrampicatore un soggetto esente da forza di gravità.


sono d'accordo

ci stavo pensando ieri, poco sopra parlavo dei boulder come kata, proprio per il fatto che generalmente si studiano in sezioni e poi si concatenano, dei super lavorati

cuorpiccino ha scritto:
Ma sull'arrampicata a vista la vera arte mentale, è non mollare mai. Non esiste ricetta per essere sicuri di non commettere errori, si può arrampicare bene, ma su una via complessa non commettere errori (rispetto al sistema a minor dispendio di energia) va un po' a culo. E quando le forze calano, gestire lo stillicidio delle energie rimaste, cercando di ottimizzarle, senza conoscere quello che ci aspetta, porta ad uno sforzo mentale che non si può raccontare se non lo si è provato. Allora, in barba allo stile, se riesco ad attaccarmi con il gomito o con il ginocchio (magari!) sono assai contento. O forse bisognerebbe (ri) definire il concetto di stile?


su questo ho qualche dubbio, mi viene in mente il concetto di "controllo", in particolare dell'aikido: il grande maestro è in grado di controllare gli avversari (anche più di uno) e di neutralizzarne gli attacchi in uno stato di semi incoscienza, con serenità e morbidezza

:arrow: non è detto che l'essere al limite implichi direttamente una perdità di precisione ed eleganza

per fare un esempio che mi sembra collegato: in aikido esiste un esercizio che si chiama "il braccio inflessibile" che fanno fare ai principianti per fargli notare quanto importante sia la consapevolezza del ki (spirito, energia) rispetto alla "forza bruta"

si estende un braccio e ci si concentra immaginando che un flusso di energia parta dal bacino (hara) per poi fluire all'interno del braccio e fuori dalle dita estendendosi all'infinito, mentre un compagno cerca di piegare il braccio

se fatto bene, nonostante il braccio non assuma la tipica rigidità con muscoli frementi per lo sforzo, il braccio diventa difficilmente piegabile (dico difficilmente perchè questo l'ho sperimentato e non è che diventa d'acciaio :D però è vero che diventa sorprendentemente inflessibile se ci si concentra parecchio)

forse perciò per l'arrampicata a vista non c'è bisogno di una forza sproporzionata, ma di un controllo molto forte e della riunificazione delle energie (psichiche e fisiche) che guarda caso sono pensate divise proprio dagli occidentali; per la cultura aikido esse sono un'unità e obiettivo proprio dell'aikidoka è di riunirle
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Messaggioda pietrodp » mar gen 11, 2005 20:23 pm

Maurizio ha scritto:....Non so per nulla cosa possa essere definito buono stile o cattivo stile. So solo che come per magia, ogni tanto si materializzano in qualche scalatore talentuoso tutte quelle qualità che fanno sì che riesca a gestire la difficoltà, anche durissima o resa tale da una on sight, con eleganza. Forse è quello il vero stile....


Che il talento, come in tutte le altre cose, esista anche in arrampicata e' palese oltre ogni ragionevole dubbio.
Cosa sia il talento e' pero' definibile solo con qualche difficolta': probabilmente e' un insieme di eleganza, fluidita' e di efficacia del gesto.
Maurizio sostiene che oggi l'ago delle bilancia si sia molto spostato verso l'efficacia, e che la concezione di "buono stile" sia un po' mutata negli ultimi anni: trovo che cio' sia innegabile, e non a caso al comparire delle prime gare a meta' degli anni '80 ci fu chi propose di fare le classifiche addirittura in base allo stile, mentre oggi cio' che conta e' quasi solo la catena, quindi l'efficacia.
Non mi sento di criticare i ne' i Ballakani che simpaticamente sbeffeggiano la vecchia triglia (si fa per dire, eh :wink: ) ne' Maurizio stesso, che giustamente dopo lustri sulle rocce si puo' permettere di rampicare per il gusto del bel gesto e per il panorama.
Penso che in arrampicata ci sia posto per tutti, no?!
(Senza contare che al 90% delle volte, il bel gesto e' anche efficace e viceversa, quindi il problema, per chi sa arrampicare, non si pone :roll: )
mandi
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Messaggioda Maurizio » mar gen 11, 2005 21:02 pm

Ciao Pietro,

ma vedi, qui il problema non è il fatto che ci sia posto o meno per tutti. per me questo non è mai stato in discussione. E' ovvio.
Il problema è un altro, meno superficiale, a mio avviso. E' una questione culturale, di vedute di una certa attività, in questo caso l'arrampicata in falesia. Pur rimanendo ovvio, lo ripeto, che ognuno fa ciò che vuole, è giusto denunciare (con i mezzi che ho a disposizione, peraltro non usando nessun finto nick, dunque assumendomi la responsabilità di ciò che dico) ciò che a me personalmente pare un passo indietro. Ma ciò che è per me insopportabile è il far a tutti costi passare la mia visione delle cose come reazionaria, e contrabbandare come "nuovo" ciò che nuovo non è. Basta uscire un po' dal provincialismo, e parlare con qualche scalatore europeo, per accorgersi che non è affatto così. Io non mi sono mai sottratto alle discussioni in materia, porto avanti le mie idee alla luce del sole, come ho sempre fatto, ed eventualmente sono anche disposto a rivederle, qualora ci siano motivazioni valide. Ma "ognuno faccia ciò che gli pare" non mi sembra una motivazione convincente, mi pare piuttosto sottrarsi al dialogo in partenza... :D

Maurizio
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Messaggioda cuorpiccino » mer gen 12, 2005 10:01 am

Petro, il bel gesto è anche efficace, ma l'efficacia, porta sempre al "bel gesto?" siamo sicuri che le due cose siano sinonimi!
Ultima modifica di cuorpiccino il mer gen 12, 2005 11:54 am, modificato 1 volta in totale.
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Messaggioda cuorpiccino » mer gen 12, 2005 10:03 am

Maurizio ha scritto:Ciao cuorpiccino,

forse sarà capitato anche a te, che sei mio coetaneo, ricordare i tempi in cui si sperava di vedere qualche fuoriclasse arrampicare, semplicemente per la bellezza del gesto. A quei tempi, loro erano talmente sopra al nostro livello, che poco importava su quale grado scalassero e quale via stessero facendo. Ricordo di essere stato fortemente impressionato dallo stile di Bernardi. Marco arrampicava (arrampica?) con una lentezza estenuante. Ogni suo gesto era di una precisione assoluta e la cosa più sconvolgente, ricordo, era che ad un certo punto lo vedevi cadere e ti domandavi il perchè cadeva, se lo vedevi sempre tranquillissimo. Ricordo che per me quella era la dimostrazione di suprema eleganza nell'arrampicare. Aspettavo con ansia di vedere Edlinger, ma il giorno che lo incontrai ne rimasi deluso, mentre mi colpì molto Berhault...più tardi Gnerro, Giupponi e Legrand. Evidentemente il concetto di stile con gli anni è cambiato. Lo stile di Bernardi oggi verrebbe etichettato come poco efficace, fino a divenire dannoso alla performance stessa, senza contare poi che Marco arrampicava molto frontale e oggi le tecniche di strapiombo sono evidentmente cambiate.
Io ovviamente non ho la risposta da dare alla tua domanda. Non so per nulla cosa possa essere definito buono stile o cattivo stile. So solo che come per magia, ogni tanto si materializzano in qualche scalatore talentuoso tutte quelle qualità che fanno sì che riesca a gestire la difficoltà, anche durissima o resa tale da una on sight, con eleganza. Forse è quello il vero stile. Che questa gestione avvenga per spropositata forza (come sostengono alcuni), per doti divine, per talento o per esperienza...è aperto il dibattito...ognuno ha la sua idea.
Ma è un discorso complicato, noi qui siamo ancora all'abc, ovvero riconoscerne o meno la validità! :wink:

Maurizio

Hai parlato di Marco Bernardi....e mi è venuto in mente Marco Mola e il racconto della sua performance slegato su strenuos a Foresto......brrrr

Penso che il problema più grande, per un arrampicatore, sia avere un buono stile nell'arrampicata "a vista" (a parte le possibili definizioni di buono stile, ravanare o brutallizzare inutilmente un passaggio fà perdere di efficacia, fà sprecare energie inutili, e vuol dire che ci si muove sotto il livello massimo possibile).
Su certi movimenti è anche possibile che ognuno abbia uno stile differente, dettato dalle proprie caratteristiche fisiche, ma alcuni sembrano avere una marcia in più, ad esempio la differenza tra "a vista" e "lavorato" è più sottile. Ma da dove scaturisce questa loro capacità? certo, alcuni sono più dotati, ma "dotati" in cosa? Coordinazione? Controllo mentale? E queste cose possono essere allenate, insegnate e imparate?
In proposito pensavo a quando, da piccoli, allenandoci per arrampicare in montagna, scalavamo slegati salendo da 1000 a 2000 metri al giorno. Alla fine certi movimenti diventano "istintivi" (semi-coscenti come diceva yingyang?). Oggi, ad esempio, l'arrampicata in velocità è stata quasi completamente abbandonata, specialmente sulle difficoltà alte. Chissà, forse potrebbe essere una via.
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Messaggioda bradipo » mer gen 12, 2005 11:37 am

cuorpiccino ha scritto:
Maurizio ha scritto:Ciao cuorpiccino,

forse sarà capitato anche a te, che sei mio coetaneo, ricordare i tempi in cui si sperava di vedere qualche fuoriclasse arrampicare, semplicemente per la bellezza del gesto. A quei tempi, loro erano talmente sopra al nostro livello, che poco importava su quale grado scalassero e quale via stessero facendo. Ricordo di essere stato fortemente impressionato dallo stile di Bernardi. Marco arrampicava (arrampica?) con una lentezza estenuante. Ogni suo gesto era di una precisione assoluta e la cosa più sconvolgente, ricordo, era che ad un certo punto lo vedevi cadere e ti domandavi il perchè cadeva, se lo vedevi sempre tranquillissimo. Ricordo che per me quella era la dimostrazione di suprema eleganza nell'arrampicare. Aspettavo con ansia di vedere Edlinger, ma il giorno che lo incontrai ne rimasi deluso, mentre mi colpì molto Berhault...più tardi Gnerro, Giupponi e Legrand. Evidentemente il concetto di stile con gli anni è cambiato. Lo stile di Bernardi oggi verrebbe etichettato come poco efficace, fino a divenire dannoso alla performance stessa, senza contare poi che Marco arrampicava molto frontale e oggi le tecniche di strapiombo sono evidentmente cambiate.
Io ovviamente non ho la risposta da dare alla tua domanda. Non so per nulla cosa possa essere definito buono stile o cattivo stile. So solo che come per magia, ogni tanto si materializzano in qualche scalatore talentuoso tutte quelle qualità che fanno sì che riesca a gestire la difficoltà, anche durissima o resa tale da una on sight, con eleganza. Forse è quello il vero stile. Che questa gestione avvenga per spropositata forza (come sostengono alcuni), per doti divine, per talento o per esperienza...è aperto il dibattito...ognuno ha la sua idea.
Ma è un discorso complicato, noi qui siamo ancora all'abc, ovvero riconoscerne o meno la validità! :wink:

Maurizio

Hai parlato di Marco Bernardi....e mi è venuto in mente Marco Mola e il racconto della sua performance slegato su strenuos a Foresto......brrrr

Penso che il problema più grande, per un arrampicatore, sia avere un buono stile nell'arrampicata "a vista" (a parte le possibili definizioni di buono stile, ravanare o brutallizzare inutilmente un passaggio fà perdere di efficacia, fà sprecare energie inutili, e vuol dire che ci si muove sotto il livello massimo possibile).
Su certi movimenti è anche possibile che ognuno abbia uno stile differente, dettato dalle proprie caratteristiche fisiche, ma alcuni sembrano avere una marcia in più, ad esempio la differenza tra "a vista" e "lavorato" è più sottile. Ma da dove scaturisce questa loro capacità? certo, alcuni sono più dotati, ma "dotati" in cosa? Coordinazione? Controllo mentale? E queste cose possono essere allenate, insegnate e imparate?
In proposito pensavo a quando, da piccoli, allenandoci per arrampicare in montagna, scalavamo slegati salendo da 1000 a 2000 metri al giorno. Alla fine certi movimenti diventano "istintivi" (semi-coscenti come diceva yingyang?). Oggi, ad esempio, l'arrampicata in velocità è stata quasi completamente abbandonata, specialmente sulle difficoltà alte. Chissà, forse potrebbe essere una via.


Infatti quello che mi domando è come mai la maggior parte di coloro che scalano lavorano le vie. E' verissimo che si impara anche così, ma si rischia molto di illudersi un po': il livello cresce ma poi a vista...si fa acqua o si scade molto! Forse è meglio pensare di più alla strategia di salita anzichè alla "prestazione". Ho sentito tante persone che dicono di non tenersi e invece il problema è proprio che si tengono troppo, più del necessario (compreso il sottoscritto!). La velocità aiuta, aiuta molto! Ti fa pensare poco (il giusto oserei dire) e non di più! Però pensate che fico se tutti i climber andassero solo a vista...al massimo due tentativi su una via e poi giù...si cambia perchè non si passa...ci si riproverà ma non subito!!! E' come ammetere i propri limiti (magari solo momentanei!).
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Messaggioda cuorpiccino » mer gen 12, 2005 11:51 am

Ma se vai solo a vista non assimili il gesto, non arrivi al controllo che poi ti serve per andare a vista, non assimili le sensazioni, gli equilibri, i lanci, i bilanciamenti con i piedi, e neanche riesci a capire a fondo e a dosare il consumo delle tue energie. Penso che lavorare le vie è essenziale per imparare, andare a vista è anche essenziale per migliorare sul lavorato. sono due cose complementari, se ne togli una cali anche sull'altra.
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