Politica,Europa,etc:ciò che sarebbe i fatti nostri

Spazio per messaggi e discussioni a tema libero.

Messaggioda coniglio » mer mag 28, 2014 17:44 pm

Immagine

peggio de renzi.
propaganda abbestia.
almeno è gnocca.
La libertà è tutto ciò che dobbiamo a noi stessi
Avatar utente
coniglio
 
Messaggi: 7645
Iscritto il: lun nov 22, 2010 21:52 pm

Messaggioda PIEDENERO » gio mag 29, 2014 8:31 am

Europee, vincono indagati e condannati
In 21 totalizzano 1,2 milioni di preferenze


Da Fitto a Soru, da Scopelliti a Mastella, fino all'arrestato Paolo Romano. L'elenco è trasversale e ha ottenuto più voti della lista Tsipras. Alcuni sono stati trombati, altri sono eletti a Bruxelles


non serve commentare.
questo è un paese che deve fottersi da solo. non merita altro.

elenco trasversale? un c.azzo!!!! dei 5s non c'è nessuno
Avatar utente
PIEDENERO
 
Messaggi: 7963
Images: 4
Iscritto il: gio set 22, 2011 18:26 pm
Località: Sodor

Messaggioda coniglio » gio mag 29, 2014 8:33 am

PIEDENERO ha scritto:
Europee, vincono indagati e condannati
In 21 totalizzano 1,2 milioni di preferenze


Da Fitto a Soru, da Scopelliti a Mastella, fino all'arrestato Paolo Romano. L'elenco è trasversale e ha ottenuto più voti della lista Tsipras. Alcuni sono stati trombati, altri sono eletti a Bruxelles


non serve commentare.
questo è un paese che deve fottersi da solo. non merita altro.

elenco trasversale? un c.azzo!!!! dei 5s non c'è nessuno



Piedone mio, lascia perdere...
ormai è il non-sense.
La libertà è tutto ciò che dobbiamo a noi stessi
Avatar utente
coniglio
 
Messaggi: 7645
Iscritto il: lun nov 22, 2010 21:52 pm

Messaggioda El Rojo » gio mag 29, 2014 10:32 am

Scorrendo i risultati elettorali delle europee viene da ripensare al significato di Hype, che sta tra promozione, montatura, lancio, esagerazione, risonanza comunicativa, iperbole. Tutto un terreno di comunicazione dove i significati che si creano sono tenuti da un vero, unico campo di forza: quello della sproporzione tra l?evento creato dal marketing, che esplode nelle persone, e la portata dell?evento reale prodotto. Qualche riprova? I famosi 80 euro, rivelatisi alla fine vero napalm comunicativo in grado di disboscare intere foreste della critica, sono destinati ad essere ingoiati da una tassazione più alta. Oppure ad essere una partita di giro, con lo stato, per cui se vengono resi 80 euro, alla fine, in servizi tagliati si finisce per perderne molti di più. Ma dal punto di vista comunicativo, gli ottanta euro, comunicati con vero senso feticistico della cifra, hanno rappresentato l?evento di un governo che redistribuisce risorse. Ovviamente the Hype, come se fosse una produzione di Carpenter quando si dà all?orrore, riproduce l?evento in modo ossessivo solo grazie ad una coralità mediale. C?è un livello di disoccupazione giovanile il più alto dal ?77? The Hype produce il jobs act, del quale la risonanza comunicativa è così assordante che ci si dimentica persino che una misura legislativa di questo tipo non è mai passata, né dal parlamento né per decreto, e che non va confusa con il decreto lavoro. E cosa dire dell?economia, che rischia il terzo anno consecutivo di recessione? The Hype non fa che portarti su un altro piano, emette le parole di Renzi sulla speranza, la mano sul cuore mentre recita la parola tricolore (accaduto a Reggio Emilia), gesti che fanno connessione collettiva, per adesso, più di quanto la recessione faccia disconnessione. E quando the Hype si prende cura del voto femminile, del proprio elettorato sui temi che a cuore (la scuola ad esempio), sembra persino avere un?anima. Nonostante che le politiche economiche qui renziane abbiano fallito ovunque se applicate, nonostante si intraveda la prossima ondata di privatizzazioni, di tagli al bilancio pubblico, dismissioni, the Hype ti avvolge di speranza. Ti fa vedere un continente pronto a scattare verso la crescita anche se, come sappiamo, Matteo Renzi nel continente reale è considerato poco più di una comparsa. E anche se la deflazione è uno spettro reale, parole di Draghi ad urne chiuse.

Ma cosa ha fatto vincere il Pd alle elezioni europee? Prima di tutto la capacità di saper cogliere, oltre le aspettative, le direttrici di comunicazione verso i settori chiave dell?elettorato nel momento in cui si reca a votare. Le elezioni non sono più un esercizio sociologico, o di lettura dei rapporti tra le classi sociali ( qui continuamente ibridate dal marketing ) ma la fotografia dell?elettorato colto nel momento in cui trasferisce quote di potere ai candidati. Stavolta la foto è stata scattata quando l?enorme mole di indecisi, trasversale a tutti i ceti, si è via via trasformata in decisione a favore di Renzi. Perché? In molti che si occupano di flussi elettorali spiegano che, principalmente, gli indecisi finiscono per scegliere il cambiamento. Rappresentato principalmente da Grillo nel 2013 ma da the Hype, risposta alla crisi di legittimazione del ceto politico della seconda repubblica, nel maggio del 2014. Ed è già successo quando Berlusconi tirava fuori qualche ?novità?, percepita come tale dall?elettorato durante una delle sue campagne (il milione di posti di lavoro, il contratto con gli italiani, l?abolizione dell?Imu etc.). Ogni novità, tanto più in una società a più forte componente demografica di anziani che 30 anni fa, deve essere accompagnata da una scelta di stabilità, una sorta di polizza assicurativa. Lo scorso anno questa era rappresentata dall?intransigenza, esercitata all?interno delle istituzioni, promossa da Grillo, quest?anno dalle riforme da Renzi. Berlusconi, finché ha potuto, ha garantito con la sua fama imprenditoriale.

Non siamo quindi, come abbiamo visto, di fronte a politiche di redistribuzione reale che generano effetti politici. Ma, piuttosto, di fronte al simbolico della redistribuzione, ampiamente riverberato sui media, che deve fare effetto sui comportamenti collettivi giusto il fine settimana del trasferimento del potere tramite elezioni. E nonostante gli interrogativi che devono farsi le agenzie di sondaggi dei media, magari guardando al fatto che le borse avevano sondaggi migliori (vedi performance Mibtel già dal venerdì), deve essere chiaro che capire le maggioranze silenziose non è facile per nessuno. Il soggetto privilegiato della foto ama nascondersi. Il voto renziano ripropone infatti dinamiche berlusconiane: quelle da maggioranza silenziosa che emerge ?dopo?, al momento del conteggio dei voti. Del resto era accaduto anche con Grillo. Tratto già emerso, a suo tempo, con la Dc degli anni ?70: una parte della società italiana, che sia ventre molle o si veda innovativa, ama essere interpretata in silenzio. Differenziandosi però dalla forte astensione con una scelta elettorale. Dal punto di vista dei sondaggi è, omissioni dolose a parte, accaduto così come per Real-Atletico: vista dal 75esimo, con una squadra in vantaggio, il sondaggio è come una finale che 8 volte su dieci premia chi sta vincendo in quel momento. Altre due volte accadono però altri fatti, e magari la partita finisce, da 0-1, 4-1 per il Real. Questi fatti rappresentano la capacità di far emergere il simbolico del cambiamento da parte di Renzi, simulacro del cambiamento ma ciò che conta è il risultato elettorale di un fine settimana, e anche l?abitudine di tanta società a scegliere last minute. Mentre stavolta, a differenza del passato, Grillo non rappresentava un?offerta last minute ma di investimento nel lungo periodo. E così ?si è provata? l?offerta Renzi.

The Hype si è preso poi una bella rivincita su una sconfitta storica dei media generalisti: il referendum sull?acqua del 2011 vinto dalla rete contro i media istituzionali che puntavano ad occultare l?evento. Stavolta è l?agenda dei media istituzionali che ha preso il sopravvento. Per due motivi: il primo è che in tre anni i social network si sono popolati, ancor di più che di allora, di figure meno alternative, più desiderose da fare da portatori d?acqua di significati elaborati altrove. Un vero e proprio fandom istituzionale. Il secondo che, esaurito l?effetto novità dei social network, che non solo hanno alimentato Grillo ma anche costruita una manifestazione da un milione di persone nel 2009, le strategie dal basso dovrebbero farsi più raffinate, capaci di darsi una strategia ma questo non avviene così facilmente. Inoltre, l?uso di twitter da parte di Renzi, che entra in qualche gergo generalista della cultura italiana, ibrida il mainstream con i social network in forme molto più flessibili rispetto a soli tre anni fa.

Dal punto di vista dell?antropologia mediale, la dimensione che riguarda gli archetipi del comportamento e del simbolico sociale diffusi medialmente, Renzi ha vinto perché ha attirato un nucleo di elettori decisivi nel momento giusto. E precisamente quelli che, dopo sei anni di crisi, si sono riconosciuti nell?idealtipo dell?ottimismo, espresso dalle facce pulite, dalla retorica della sfida sui mercati e da quella sempreverde del coraggio. La crisi, come sanno gli autori che scrivono sulle campagne elettorali americane, è una bestia strana. Nella quale, per il marketing politico, si possono incontrare i voti sia usando le retoriche idealtipiche dell?ottimismo e della nuova frontiera che quelle del pessimismo e della distruzione di un mondo. Ma, come dopo Tangentopoli venne Berlusconi, dopo il voto pessimista e catartico del 2013, una fascia, elettoralmente decisiva, di società, necessitava si di un voto catartico ma di tipo ottimista.

Renzi non ha quindi vinto perché ha affermato, come sostiene, le istituzioni contro il populismo. Ma perché ha fatto un appello al popolo, da populista liberista quale è (modelli Thatcher e Reagan piuttosto che Blair), con la mano sul cuore giurando sul tricolore, giocando le retoriche della speranza piuttosto che quelle da Savonarola. Gli è andata bene, molto probabilmente meglio di quanto credesse, anche perché the Hype era con lui. Anzi, era lui. Nemmeno il Berlusconi del ?94 ha avuto tanti media a favore, anzi la Rai, all?epoca, era terrorizzata dall?ipotesi di venir colonizzata dall?azienda concorrente. Oggi la sinergia Rai-Mediaset-Sky-Cairo, grande stampa su Renzi rappresenta la più grande, e pericolosa per la democrazia, alleanza attorno a un presidente del consiglio da quando esistono i media in Italia. E qui si torna alla questione più politica di tutte, che ormai si ripete, nella sua inevasa urgenza, dalla discesa in campo di Berlusconi. Non esiste politica efficace se questa non sa colpire the Hype nelle forme che, via via, questa assume. Che si tratti di Berlusconi ieri, di Renzi oggi e di chissà chi domani. Lì risiede il cuore digitale del potere e se non c?è capacità di colpire laggiù non c?è generosità politica che tenga, non ci sono nuovi o vecchi soggetti che possano farcela. Valeva nel 1994, varrà tanto più nel 2034. Sempre se, nel frattempo, non si è posto rimedio al problema.


http://www.senzasoste.it/nazionale/matt ... i-the-hype
Avatar utente
El Rojo
 
Messaggi: 829
Iscritto il: sab nov 12, 2011 0:28 am
Località: Yuma

Messaggioda El Rojo » ven mag 30, 2014 10:52 am

[youtube]http://www.youtube.com/v/C8BEIS7nRww[/youtube]
Avatar utente
El Rojo
 
Messaggi: 829
Iscritto il: sab nov 12, 2011 0:28 am
Località: Yuma

Messaggioda PIEDENERO » sab mag 31, 2014 11:00 am

Avatar utente
PIEDENERO
 
Messaggi: 7963
Images: 4
Iscritto il: gio set 22, 2011 18:26 pm
Località: Sodor

Messaggioda El Rojo » mer giu 04, 2014 10:10 am

Giovedì 5 giugno è una data che il mondo attende. La Banca Centrale Europea di Mario Draghi annuncerà quali misure prende per salvare l?Europa dalla sua più grave crisi nel dopoguerra.

Ecco le misure: nulla che a te persona, madre, pensionato, studente, operaio, impiegata, imprenditore, contadino, anziano, negoziante risolverà un accidenti. Ma invece decisioni che allo speculatore, finanza.

Perché? Perché Draghi, come tutti i tecnocrati criminali che ci governano da quando la UE ha abolito gli Stati, fa solo politica monetaria, e non politica economica.



Cioè: manovra soldi astratti, aspettative di mercato, giochi monetari che arricchiscono adepti, e non fa l?economia della casa, del pane, dei redditi, degli ospedali, dell?OCCUPAZIONE, delle aziende e delle cose che ci fanno vivere. Fine del discorso. Sti tecnocrati della cricca di Draghi ci fottono di nuovo, e sempre più a sangue, nel dolore sociale, e noi non sappiamo reagire. Fine dell?articolo.

(Ora per chi vuole continuare, un approfondimento)

Le mosse di Draghi potranno essere le seguenti:

A) Taglio dei tassi d?interessi (refi-rate) o addirittura imporre un tasso negativo sui depositi di denaro alla BCE (nel secondo caso chiunque abbia denaro depositato alla BCE non solo non prenderà interessi, ma li pagherà lui alla BCE). Il razionale (in apparenza) di queste azioni sarebbe di costringere gli investitori/banche a levare il denaro dai depositi e a prestarlo, naturalmente a tassi bassissimi, così da favorire l?economia delle aziende. Draghi vuole anche, disperatamente (e in apparenza), far circolare più soldi per aumentare l?inflazione in UE, perché oggi è talmente bassa da divenire Deflazione. Deflazione = i prezzi crollano perché pochi comprano, quindi crollano i profitti di aziende, esse chiudono o licenziano, crolla l?occupazione, crollano i redditi, la gente compra sempre di meno, i prezzi crollano ancor di più, e tutto va in vacca in una spirale che si auto alimenta. Ma non solo: un?inflazione bassissima significa che il debito dello Stato non si erode in valore spontaneamente, come invece accadrebbe con inflazione più alta, quindi lo Stato si sobbarca spese da debito più alte, con tutti i danni che ne derivano (se si ha l?euro, perché con moneta sovrana i danni non ci sono).

B) Un altro giro di prestiti alle banche europee a tassi di favore (il LTRO), come quello già fatto tre anni fa (1.000 miliardi prestati alle banche UE). Di nuovo credendo (in apparenza) che così le banche saranno incoraggiate a prestare a poco costo a cittadini e aziende e ci saranno soldi che circolano nell?economia.

C) Acquisto di beni finanziari per 300 miliardi fra (qui si va sul tecnico) Asset Backed Securities, obbligazioni del MES o EFSF, e asset privati vari. Sempre con l?intento (apparente) di dare liquidità al sistema.

D) Quantitative Easing (QE, ma quasi impossibile che lo facciano). Si tratta dell?acquisto da parte della BCE di enormi quantità di titoli di Stato dei Paesi UE. Questo fa due cose: abbassa i tassi d?interesse che gli Stati devono pagare sui loro titoli (più titoli si comprano più si abbassano i tassi); e immette enormi liquidità nel sistema, perché i detentori dei titoli ora si ritrovano in mano il capitale che avevano investito in essi. In teoria queste due cose servirebbero ad aiutare l?economia, per via del risparmio dello Stato sugli interessi e del fatto che la nuova liquidità dovrebbe circolare, essere investita e via dicendo.

Ora, nessuna di queste azioni avrà l?effetto sperato, anzi, ci faranno danni orrendi e sono una presa in giro per tutti noi persone comuni. Non avranno effetto per quattro semplici motivi, che chi conosce veramente l?economia monetaria capisce bene (e non solo noi della Mosler Economics MMT, ma anche alcuni grandi analisti finanziari ? leggete sotto).

A) I tassi d?interesse molto bassi (per non parlare di quelli negativi) ottengono il risultato opposto per alcune ragioni: sottraggono guadagni da interessi all?economia dei risparmiatori (parlo proprio dei piccoli-medi che sono decine di milioni), e quindi l?economia s?impoverisce. Poi succede una cosa paradossale: i mercati, quando ci sono tassi bassissimi, si attendono che poi da un momento all?altro la BCE li alzerà per prevenire inflazione, quindi con questo timore possono decidere di fuggire dall?euro, con conseguenze negative per la stabilità delle economie (questi sono gli investitori che puntano sul valore dei titoli che hanno in mano, che con un rialzo dei tassi perdono valore). Oppure i mercati si aspettano che i tassi collassino ancora di più, e di nuovo fuggono dall?euro e vanno a investire in asset rischiosi che gli danno interessi alti, e queste sono le pericolosissime bolle che poi esplodono rovinandoci tutti (qui parlo degli investitori che puntano sui rendimenti dei titoli che hanno in mano, che appunto calerebbero troppo).

B) Inondare le banche di liquidità con un altro LTRO non significa affatto che questa liquidità finisca poi in circolo fra cittadini e aziende. Lo si è già visto. Le banche che ricevono oceani di soldi dalla BCE a tassi bassissimi vanno poi quasi sempre a investirli in finanza speculativa, che distorce il mercato con gli effetti catastrofici che tutti oggi conosciamo. E questo significa che le aziende e i cittadini quei soldi non li vedranno affatto trasformati in prestiti, mutui e fidi. Di nuovo: di economia reale se ne crea quasi zero. Ma poi?

C) ? anche se le banche non facessero giochi sporchi, comunque non presterebbero i soldi che Draghi gli darà, per il semplice fatto che le banche prestano se vedono un?economia che tira, se vedono che cittadini e aziende hanno redditi/profitti tali da garantire il ripagamento dei prestiti bancari, e qui da noi quell?economia NON C?E?. Fra l?altro sappiamo che le banche UE sono oggi già stracolme di liquidità (anche se come capitalizzazione sono quasi tutte fallite), e non la prestano. Bloomberg ci dice che le banche UE stanno negando credito per il 24esimo mese consecutivo nell?Eurozona. Inutile dagli altri soldi, tanto non prestano a un?economia depressa!! e l?economia dell?euro è depressa a causa proprio delle politiche di Bruxelles, cioè le Austerità, di cui paradossalmente Draghi è un fanatico sostenitore.

D) Sul QE la realtà è ben diversa da come la propagandano i soliti tecnocrati coi loro economisti prezzolati. Prima cosa anche il QE, comprando montagne di titoli di Stato dai piccoli medi risparmiatori, gli sottrae reddito da interessi, ed è come se li si tassasse di fatto. Poi non è per niente detto che quella liquidità entri nel sistema produttivo di lavoro ed economia reale, perché in realtà tutto quello che accade è che la Banca Centrale sposta numeri (denaro) da conti di risparmio a conti di riserva che stanno dentro la medesima Banca Centrale e finché qualcuno non li spende, quei soldi, essi non fanno un accidenti di nulla. Ma qui in Europa c?è un altro problema. Ed è che gli isterici tecnocrati che hanno creato il mostro indecente che risponde al nome di Eurozona, e quindi la BCE, hanno reso anatema l?idea che la Banca Centrale possa in qualsiasi modo aiutare gli Stati comprandogli i titoli. Voi sapete che i titoli possono essere comprati sul mercato primario (là dove lo Stato li emette ?appena nati?), oppure sul mercato secondario (cioè comprare titoli che già furono emessi dallo Stato e che ora sono in mani altrui). La legge dell?Eurozona proibisce alla BCE di comprarli sul mercato primario, ma gli rende la vita difficilissima anche se li comprasse sul secondario. In ogni caso, ripeto, il QE non significa affatto la garanzia che i soldi finiscano poi nell?economia reale (vedi il caso clamoroso degli USA, dove il QE ha fatto flop per cittadini e aziende).

Ecco spiegato perché le azioni più probabili di Draghi saranno del tutto inutili per noi cittadini e aziende. Ora però viene il peggio, perché la parte del danno che la BCE ci farà è come sempre orribile.

In primo luogo c?è questo: quando una Banca Centrale, come la BCE, promette di inondare di soldi il mercato, la reazione degli speculatori è immediatamente quella di correre a investire in Borsa, e non solo, ma a investire nelle azioni più rischiose, quelle che potrebbero rendere fortune in poco tempo. Lo abbiamo visto mille volte, e mille volte abbiamo assistito a ste bolle speculative che si gonfiano mostruosamente e sempre esplodono con dei collassi (crash) orrendi. Solo che come sempre accade, nel breve periodo della bolla un pugno di milionari fanno milioni, e poi a raccogliere i cocci e il dolore rimaniamo noi cittadini, coi nostri miserabili Stati senza più potere.

Poi: tutte le azioni sopra descritte avrebbero l?effetto d?indebolire il valore dell?euro. Ma questo, come dimostrano le esperienze di Gran Bretagna e Giappone, non significa un aiuto immediato all?economie. Di fatto una moneta più debole non aiuta subito le esportazioni, mentre nel frattempo fa aumentare i prezzi delle importazioni quasi all?istante, con perdita del valore d?acquisto dei cittadini. Quindi la solita tragica spirale di depressione economica, disoccupazione ecc. Infine, sempre come dimostra il Giappone, incoraggiare le esportazioni non solleva un Paese dalle crisi, e infatti a Tokyo sono 20 anni che esportano e 20 anni che ristagnano.

Infine, rimarrà TOTALMENTE INALTERATA la morsa mortale sui limiti di spesa pubblica degli Stati imposta da Bruxelles, dalla stessa BCE e dai Trattati UE sovranazionali, che è invece l?unica ricetta (la spesa pubblica) per creare redditi/profitti ed occupazione subito. Mentre la scellerata corsa degli speculatori a profittare dell?orgia monetaria di Draghi alimenterà sempre più l?economia dei soldi artificiali, quella delle scommesse coi numeri che generano moltiplicatori di numeri fittizi, quella che già ha rovinato mezzo mondo dal 2007 in poi (senza il mezzo?), quella porcheria di mondo finanziario dove l?1% s?ingrassa a dismisura e il 99% crolla verso la servitù della gleba. Bravo Draghi.

Ma qui arriva una chicca. Ci sono analisti finanziari che sanno fare il loro mestiere, che capiscono tutto quello che ho scritto contro le alchimie monetarie di sti tecnocrati scellerati, e che hanno l?onestà di dirci le cose come stanno. Uno di questi lavora nella mega-banca francese Société Générale, un colosso bancario mondiale, e ha scritto quanto segue sul giovedì 5 giugno prossimo:

?Siccome Draghi non annuncerà alcun finanziamento reale della Spesa Pubblica degli Stati, che è proibito dai Trattati, noi crediamo che l?impatto delle sue azioni sull?economia reale sarà assai modesto. Se invece i tecnocrati europei prendessero le distanze dalle Austerità, questo aiuterebbe l?economia a breve.?

Avete letto bene? Alla fine è sempre lui, il vecchio grande Keynes, che persino un analista di una mega-banca d?investimento deve ammettere che aveva ragione. Ciò che va fatto è AUMENTARE LA SPESA PUBBLICA NELLE CRISI ECONOMICHE, E NON DIMINUIRLA CON LE AUSTERITA?, NON FARE GIOCHI MONETARI CHE CREANO BOLLE SPECULATIVE. Ma qui ripesco dal testo più sopra quelle parentesi con dentro scritto ?in apparenza? apparente??.

Se si volesse guardare alle prossime azioni di Draghi con un occhio benigno, potremmo dire che alla BCE non capiscono nulla di macroeconomia reale, che come al solito seguono i dogmi delle Austerità e della scuola monetaria Neoclassica, facendo disastri su disastri, e non c?è verso che cambino testa. La conseguenza di ciò, sempre nell?ipotesi benigna, è che si arricchiscono gli speculatori e non i cittadini.

Ma io non ci credo. Ho documentato a fondo il disegno Neofeudale di questa Europa dei tecnocrati di Bruxelles, dove i discepoli di Friedrich Von Hayek lavorano decisi a distruggere l?economia reale dei popoli per ristabilire paura, incertezza, sottomissione in essi, e quindi dominarli senza più limiti come fu in passato. Io credo che Draghi sia come minimo un servetto del progetto Neofeudale, o forse anche del tutto concorde e partecipe, e che quindi le sopraccitate disastrose azioni della BCE non vengano a caso, anzi, che siano studiate apposta. Io credo che giovedì 5 sarà un altro dei micidiali passi del Neofeudalesimo verso la sua affermazione storica. Ma qui mi fermo. Dopo un po? uno si stanca di ripetere le stesse cose.

Paolo Barnard

Fonte: http://paolobarnard.info/

Link: http://paolobarnard.info/intervento_mos ... php?id=869

3.06.2014
Avatar utente
El Rojo
 
Messaggi: 829
Iscritto il: sab nov 12, 2011 0:28 am
Località: Yuma

Messaggioda PIEDENERO » mer giu 04, 2014 13:56 pm

El Rojo ha scritto: Avete letto bene? Alla fine è sempre lui, il vecchio grande Keynes, che persino un analista di una mega-banca d?investimento deve ammettere che aveva ragione. Ciò che va fatto è AUMENTARE LA SPESA PUBBLICA NELLE CRISI ECONOMICHE, E NON DIMINUIRLA CON LE AUSTERITA?, NON FARE GIOCHI MONETARI CHE CREANO BOLLE SPECULATIVE. Ma qui ripesco dal testo più sopra quelle parentesi con dentro scritto ?in apparenza? apparente??.
Avatar utente
PIEDENERO
 
Messaggi: 7963
Images: 4
Iscritto il: gio set 22, 2011 18:26 pm
Località: Sodor

Messaggioda PIEDENERO » mer giu 04, 2014 14:00 pm

... a Orsoni (Pd) fondi illeciti ....

illecitihttp://www.corriere.it/cronache ... 6e18.shtml

PD 40,8% 8O
Avatar utente
PIEDENERO
 
Messaggi: 7963
Images: 4
Iscritto il: gio set 22, 2011 18:26 pm
Località: Sodor

Messaggioda Sbob » mer giu 04, 2014 15:06 pm

PIEDENERO ha scritto:... a Orsoni (Pd) fondi illeciti ....

illecitihttp://www.corriere.it/cronache ... 6e18.shtml

PD 40,8% 8O

Pensa quanto devono far cagare gli altri!
Avatar utente
Sbob
 
Messaggi: 7265
Images: 2
Iscritto il: ven set 14, 2007 12:49 pm

Messaggioda coniglio » mer giu 04, 2014 15:09 pm

Sbob ha scritto:
PIEDENERO ha scritto:... a Orsoni (Pd) fondi illeciti ....

illecitihttp://www.corriere.it/cronache ... 6e18.shtml

PD 40,8% 8O

Pensa quanto devono far cagare gli altri!


adoro le tue risposte.
pregne d'argomentazioni.
:lol:
La libertà è tutto ciò che dobbiamo a noi stessi
Avatar utente
coniglio
 
Messaggi: 7645
Iscritto il: lun nov 22, 2010 21:52 pm

Messaggioda Sbob » mer giu 04, 2014 15:40 pm

coniglio ha scritto:
Sbob ha scritto:
PIEDENERO ha scritto:... a Orsoni (Pd) fondi illeciti ....

illecitihttp://www.corriere.it/cronache ... 6e18.shtml

PD 40,8% 8O

Pensa quanto devono far cagare gli altri!


adoro le tue risposte.
pregne d'argomentazioni.
:lol:

Detto da te, e' un complimento.
Avatar utente
Sbob
 
Messaggi: 7265
Images: 2
Iscritto il: ven set 14, 2007 12:49 pm

Messaggioda El Rojo » mer giu 04, 2014 16:51 pm

"La questione del perchè non si e? capito prima credo che meriti di essere oggetto di analisi psicologica, antropologica, politica per i prossimi trent?anni: non e? la prima volta che succede e purtroppo non sara? l?ultima; evidentemente questi progetti sfruttano alcune caratteristiche debolezze umane in modo estremamente efficace. Per quel che mi riguarda, in questa circostanza io credo di aver fallito come cittadino e come intellettuale essenzialmente perche? mi sono sempre rifiutato di apprendere le basi dell?economia. In mancanza di queste non sono stato capace di cogliere ovvi collegamenti.
Agli inizi dei ?90 mi era ben chiaro che la battaglia ?no-global? contro lo spostamento delle decisioni in un?area sovranazionale e a-democratica (NAFTA) era la piu? importante delle battaglie, e che la UE si stava schiacciando sulla medesima strategia e che questa era anti-popolare e anti-democratica. Ma non riuscivo assolutamente a collocare l?Euro in questa strategia e, sul fronte nazionale, ero totalmente assorbito dal concreto ?pericolo berlusconi?. Anche qui mi era ben chiaro - a fine anni 90 - che le odiosissime privatizzazioni le faceva il PD (e il PDS-DS prima di lui) e che non c?era alcuna differenza sostanziale nelle politiche delle due ?fazioni?, ma c?era da fronteggiare ?il peggio del peggio? e mi mancava lo schema interpretativo generale. Mettici un po? di wishful thinking, mettici un po? di pigrizia intellettuale e mettici anche la difficolta? di orientarsi quando maggioranza e opposizione a reti unificate ripetono tutte le medesime menzogne (incluso Bertinotti!). L?obiezione, che sento ancora oggi. ?ma e? possibile che siano tutti venduti e malfattori?? ha una discreta potenza. Hanno costruito una rete con le maglie della dimensione giusta, l?hanno stesa sull?intero universo e noi ci siamo impigliati, chi piu? e chi meno. Si poteva evitare di impigliarsi? Evidentemente si: onore a chi non s?e? impigliato e biasimo a chi si e? impigliato, me per primo. Diciamo che se viene data l?occasione di non pensare e? difficile che l?umano medio non la colga, e? un?attrazione irresistibile. Tutti necessitiamo di un paradigma per interpretare la realta? - ne abbiamo bisogno come dell?aria per respirare: uno semplice che si adatti alle nostre credenze precedenti e? perfetto; hanno trovato che con due paradigmi appena diversi si copriva la maggior parte della popolazione, destra (e? colpa dei comunisti, dei sindacati, dei fannulloni) e sinistra (e ? colpa di berlusconi, dei bottegai, degli evasori). Solo l?emergere di un paradigma alternativo puo? permettere un cambiamento. Scusate se sono stato un po? confuso, ma la materia e? vasta."


E' un'analisi che dedico alle tsipriote e piddine che ancora oggi mi hanno detto che "uscire oggi dall'euro sarebbe un disastro e comunque non si torna indietro" e che se lo dicono è perché hanno studiato (sui manuali su "Come Uscire dal Palazzo in Fiamme da Sinistra", immagino) a differenza di me "che ho le certezze".
Vedremo quando arriveranno le riforme che sono le stesse, uguali, paro paro di Monti. Cara vil razza dannata, ma che i mercati esultino quando vince la "sinistra" non vi suona un po' strano?
Luttwak dice che Renzi, per rispettare gli impegni europei dovrebbe mettere assieme qualcosa come 10 IMU all'anno e, vistane l'impossibilità, dovrà tradire la Merkel e l'Italia uscirà dall'euro (magari richiamando in servizio il mago Prodi che ci fece entrare?) Uhm, quindi l'otto settembre coinciderebbe con l'impossibilità dell'applicazione del Fiscal Compact? Che ne pensate, può aver ragione il vecchio falcone?

http://ilblogdilameduck.blogspot.it/201 ... letta.html
Avatar utente
El Rojo
 
Messaggi: 829
Iscritto il: sab nov 12, 2011 0:28 am
Località: Yuma

Messaggioda PIEDENERO » mer giu 04, 2014 20:40 pm

Grazie, Merde.

E no, non sto ringraziando Forza Italia, ne sto ringraziando il Pd.

No.

Ringrazio proprio voi. Quelli che tanto ?non importa se rubano  basta ci lascino qualcosa?, anche solo l?illusione di 80 denari.

Vi voglio vedere impiccati come Giuda.

Anzi peggio, vi voglio vedere in fila, a pagare le tasse, con la bava alla bocca.

E pagherete oh, se pagherete anche per Galan, e Orsoni.



http://www.rischiocalcolato.it/2014/06/ ... merde.html




[/quote]
Avatar utente
PIEDENERO
 
Messaggi: 7963
Images: 4
Iscritto il: gio set 22, 2011 18:26 pm
Località: Sodor

Messaggioda VYGER » mer giu 04, 2014 21:30 pm



Obama, in USA, sta usando un approccio keynesiano: la FED acquista treasury che finanziano le spese statali [e i soldi entrano anche nell'economia reale: disoccupazione al 6,3%, o giù di lì, inflazione al 1,7%, ISM al 56/58%, a seconda del settore, pur con dati artificialmente "corretti"]. Operazione analoga farebbe Draghi se annunciasse un QE da 1.000 miliardi di ?. Solo che la BCE, per statuto, non può impegnarsi in nulla di simile.
Dopo gli anni 80 nel mondo il modello a la Keynes ha cominciato a non funzionare più: lo Stato stampava moneta per riacquistare il proprio debito; ma il valore della moneta si erodeva.
Di qui il ritorno al rigore e al neoliberismo spinto di Reagan e Thatcher.
Da 3/4 anni a questa parte USA, Cina, Giappone e UK - in tempi diversi - sono tornati sui loro passi e creano moneta, rilanciando la propria economia e la propria finanza [SP500 va su a manetta dal maggio 2011] e indebitandosi a gogo.
L'Europa non lo fa. Per la Germania l'attuale valore dell'euro è come post svalutazione [per la loro economia ? dovrebbe essere a 1,50 sul $], mentre per gli Stati più deboli come noi, almeno per l'esportazione è una mannaia.
Quindi dovremmo svalutare anche noi [ma gli USA e la Germania, per motivi diversi, non lo permetteranno].
O dovremmo uscire dall'euro [ma temo che ci costerebbe molto].
È cambiato il mondo.
È finita la pacchia. La produttività non è comprimibile oltre certi limiti.
Credo che domani Draghi annuncerà qualche manovra parziale che farà calare l'? a 1,35 sul $. E poi su di nuovo.
Non credo esistano soluzioni semplici a questo cul de sac [della serie: "in quale cul de sac siamo finiti..."].
In una parola, soccazzi...
Ultima modifica di VYGER il mer giu 04, 2014 21:32 pm, modificato 1 volta in totale.
Non cesseremo di esplorare - E alla fine dell'esplorazione - Saremo al punto di partenza - Sapremo il luogo per la prima volta. T.S. Eliot
Avatar utente
VYGER
 
Messaggi: 2184
Images: 30
Iscritto il: dom giu 25, 2006 11:16 am
Località: brescia

Messaggioda Sbob » mer giu 04, 2014 21:31 pm

El Rojo ha scritto:Cara vil razza dannata, ma che i mercati esultino quando vince la "sinistra" non vi suona un po' strano?

Direi proprio di no. Considerando che rischiava di vincere uno che si dichiara "oltre Hitler". E che vuole uscire dall'Euro - cosa ritenuta negativa per la nostra economia almeno da buona parte dell'economia.
Avatar utente
Sbob
 
Messaggi: 7265
Images: 2
Iscritto il: ven set 14, 2007 12:49 pm

Messaggioda PIEDENERO » gio giu 05, 2014 10:22 am

Sbob ha scritto:
PIEDENERO ha scritto:... a Orsoni (Pd) fondi illeciti ....

illecitihttp://www.corriere.it/cronache ... 6e18.shtml

PD 40,8% 8O

Pensa quanto devono far cagare gli altri!


Se li avessero arrestati prima delle elezioni il pd sarebbe andato al 45%
Avatar utente
PIEDENERO
 
Messaggi: 7963
Images: 4
Iscritto il: gio set 22, 2011 18:26 pm
Località: Sodor

Messaggioda coniglio » gio giu 05, 2014 11:53 am

Il disastro Italiano (Parte I)
di
Perry Anderson
? 23 maggio 2014
Pubblicato in: Gran Bretagna
Traduzione di ItaliaDallEstero.info

Il disastro Italiano

L?Europa è malata. Quanto seriamente e perché sono cose che non si possono sempre giudicare facilmente. Ma tre dei sintomi sono prominenti e collegati fra loro. Il primo, e il più noto, è lo stato di degrado della democrazia nel continente, e di questo la struttura dell?Unione Europea è simultaneamente la causa e la conseguenza. La casta oligarchica dei suoi accordi costituzionali, un tempo concepiti come un?impalcatura provvisoria in vista della futura sovranità popolare di scala sopra-nazionale, si è progressivamente irrigidita con il passare del tempo. I referendum sono regolarmente ribaltati se contrari al volere dei governi in carica. Gli elettori, le cui opinioni sono disprezzate dalle élite, evitano le assemblee che li rappresentano nominalmente, con un?affluenza alle urne che diminuisce ad ogni elezione. Burocrati che non sono mai stati eletti sorvegliano i bilanci dei parlamenti nazionali privati persino del potere di spesa.

Ma l?Unione non è una protuberanza sugli stati membri senza la quale sarebbero in buona salute. Essa riflette, e peggiora allo stesso tempo, le tendenze al loro interno che si manifestano ormai da molto tempo. A livello nazionale, praticamente ovunque, il potere esecutivo addomestica o manipola le legislature con estrema facilità; i partiti perdono dei membri; gli elettori capiscono di non contare, mentre le scelte politiche si restringono e le promesse di differenze durante i comizi si rimpiccioliscono o svaniscono dopo le elezioni.

A questo declino generalizzato si aggiunge la corruzione dilagante della classe politica, un tema sul quale la scienza politica, molto loquace su ciò che il linguaggio dei ragionieri definisce il deficit democratico dell?Unione, di solito resta muta. Le forme della corruzione non hanno ancora trovato una tassonomia sistematica. C?è la corruzione pre-elettorale: il finanziamento delle persone o dei partiti con fonti illegali (o anche legali) con la promessa, esplicita o tacita, di favori futuri. C?è la corruzione post-elettorale: l?uso della carica per ottenere soldi con l?appropriazione indebita delle entrate, o tangenti sui contratti. C?è l?acquisto di voci o voti nelle legislature. C?è il furto diretto dei fondi pubblici. C?è la falsificazione delle credenziali per fini politici. C?è l?arricchimento dall?incarico pubblico subito dopo le votazioni, ma anche durante o prima. Il panorama di questa malavita è impressionante.

Un suo affresco potrebbe cominciare con Helmut Kohl, cancelliere tedesco per sedici anni, che accumulò circa due milioni di marchi tedeschi in fondi neri da donatori illegali di cui rifiutò di rivelare i nomi, non appena fu denunciato, per paura che i favori che questi avevano ricevuto venissero alla luce.

Dall?altra sponda del Reno, Jacques Chirac, presidente della repubblica francese per dodici anni, fu condannato per appropriazione indebita di fondi pubblici, abuso di ufficio e conflitto di interessi quando la sua immunità venne a mancare. Nessuno dei due ha subito alcuna punizione. Questi erano i due politici più potenti di quel periodo in Europa. Un breve sguardo alla situazione di allora basta a dissipare qualunque illusione che loro fossero un?eccezione.

In Germania, il governo di Gerhard Schröder garantì un prestito di un miliardo di euro a Gazprom per la costruzione di un oleodotto nel Baltico poche settimane prima di dimettersi da cancelliere ed essere assunto proprio da Gazprom con uno stipendio molto più alto di quello ricevuto per governare il Paese. Da allora, Angela Merkel ha visto dimettersi due presidenti della repubblica, uno dopo l?altro, travolti dalle polemiche: Horst Köhler, ex leader del Fondo Monetario Internazionale, per aver dichiarato che il contingente della Bundeswehr in Afghanistan stava proteggendo gli interessi commerciali della Germania; e Christian Wulff, ex capo dei Cristiani Democratici in Bassa Sassonia, a causa di un ambiguo prestito per la sua casa da parte di un amichevole uomo d?affari. Due ministri prominenti, uno della difesa e l?altro dell?educazione, si dovettero dimettere quando furono privati, per furto intellettuale, dei loro dottorati, un titolo importante per una carriera politica nella Repubblica Federale.

Mentre uno dei due, Annette Schavan, amica stretta della Merkel (che le aveva dato piena fiducia) tentava di restare in carica nonostante tutto, il quotidiano Bild-Zeitung osservò che avere un ministro dell?educazione che falsificava la sua ricerca era come avere un ministro delle finanze con un conto bancario segreto in Svizzera.

Detto fatto. In Francia, il ministro socialista del bilancio, il chirurgo plastico Jérôme Cahusac, in carica per difendere l?integrità e l?equità fiscale, fu trovato in possesso di una cifra tra 600.000 and 15 milioni di Euro in depositi nascosti in Svizzera e Singapore.

Nel frattempo, Nicolas Sarkozy, viene accusato da alcuni testimoni di aver ricevuto circa 20 milioni di dollari da Gheddafi per la campagna elettorale che lo ha condotto alla presidenza. Christine Legarde, il suo ministro delle finanze, attualmente a capo del FMI, è sotto inchiesta per il suo ruolo nella consegna di 420 milioni di Euro di ?risarcimento? a Bernard Tapie, un ben noto truffatore con precedenti penali e divenuto ultimamente amico di Sarkozy. La vicinanza casuale al crimine è bipartisan. François Holland, attuale presidente della Repubblica, si incontrava con la sua amante nell?appartamento della compagna di un malvivente corso ucciso durante una sparatoria nell?isola lo scorso anno.

In Gran Bretagna, nello stesso periodo, l?ex premier Blair fungeva da consigliere per Rebekah Brooks, imputata con cinque capi d?accusa (?Resta forte e certamente sonniferi. Passerà. Tieni duro?) e esortandola a ?pubblicare un rapporto alla Hutton?, come aveva fatto lui per lavarsi le mani da qualunque ruolo la sua amministrazione potesse aver avuto nella morte di un informatore durante la sua guerra in Iraq: un?invasione dalla quale in seguito ricavò, naturalmente per la sua organizzazione ?Faith Foundation?, mance assortite e contratti in giro per il mondo, fra i quali una notevole somma di denaro da parte di una compagnia petrolifera sudcoreana amministrata da un pregiudicato con interessi in Iraq e nella dinastia feudale del Kuwait. Tutta ancora da scoprire la ricompensa che può aver guadagnato più a est per i numerosi consigli al dittatore Nazarbaev (?I successi del Kazakhstan sono meravigliosi. Però, signor Presidente, hai raggiunto nuove altezze nel tuo messaggio alla nazione? Ad litteram). In patria, in uno scambio di favori sul quale mentì senza remore al parlamento, ricevette un finanziamento di 1 milione di sterline per le casse del partito dal magnate della Formula uno 1 Bernie Ecclestone, attualmente sotto accusa in Baviera per tangenti di circa 33 milioni di euro.

Nell?ottica del Nuovo Partito Laburista, le figure leader nel giro di Blair, ministri oggi, come Byers, Hoon, Hewitt, potevano svendersi all?indomani. Negli stessi anni, e al di là di qualsiasi colore politico, la Camera dei Comuni si svelava pozzo nero di appropriazione indebita dei soldi versati dai contribuenti.

Nel frattempo in Irlanda, il leader del Fianna Fáil Bertie Ahern, dopo aver investito più di 400.000 euro in misteriosi pagamenti prima ancora di diventare capo del governo, si assicurò il più alto salario di qualsiasi altro premier europeo ? 310.000 euro, anche più del presidente degli Stati Uniti, il tutto un anno prima di dimettersi a causa della sua spudorata disonestà.

In Spagna, il premier attuale Mariano Rajoy, a capo di un governo di destra, è stato colto in flagrante, coinvolto in un giro di tangenti su edilizia ed altri affari, per una somma totale di 250.000 euro in oltre 10 anni, passati a lui da Luis Bárcenas. Quest?ultimo, tesoriere del partito per vent?anni, è ora agli arresti per aver accumulato la somma di 48 milioni di euro in conti svizzeri non dichiarati. Le transazioni appuntate a mano dettagliavano i versamenti a Rajoy e altri membri del partito ? incluso Rodrigo Rato, anche lui con un passato a capo del FMI ? e finirono pubblicate ampiamente sulla stampa nazionale. Quando scoppiò lo scandalo, Rajoy inviò un messaggio a Bárcenas, utilizzando esattamente le stesse parole di Blair a Brooks: ?Louis, ti capisco. Tieni duro. Ti chiamo domani. Un abbraccio?. Mentre cerca di coprire uno scandalo su cui l?85% degli spagnoli crede che menta, lui tiene stretto il suo posto al Palazzo della Moncloa.

Nel frattempo in Grecia, Akis Tsochatzopoulos, in successione Ministro degli Interni, della Difesa e dello Sviluppo per Pasok, e che per un pelo non ha guidato la democrazia sociale in Grecia, è stato meno fortunato: è stato condannato lo scorso autunno a vent?anni di prigione a causa di una brillante carriera in estorsione e riciclaggio di denaro sporco. Poco distante, Tayyip Erdogan, a lungo acclamato dai media ed intellettuali europei come il più grande stratega democratico della Turchia e la cui condotta ha portato il suo paese a divenire membro onorario della comunità europea ante diem, ha dimostrato valesse la pena includerlo tra le fila dell?Unione in tutt?un altro senso: in una conversazione registrata, in cui dava indicazioni al figlio su come nascondere decine di milioni in contanti, o in un?altra, in cui alzava il prezzo di una pesante mazzetta su un appalto edile. Altri tre ministri si dimisero dopo simili rivelazioni, prima che Erdoğan ripulisse le forze di polizia e il potere giudiziario per assicurarsi che la questione non venisse discussa oltre.

Mentre accadeva tutto ciò, la Commissione Europea rilasciava il primo rapporto ufficiale sulla corruzione nell?Unione, la cui diffusione, a detta del commissario relatore era ?mozzafiato?: come minimo, costa alla UE tanto quanto il suo intero budget: 120 miliardi di euro l?anno ? la somma totale è ?probabilmente anche maggiore?. Saggiamente, la relazione copriva solo gli stati membri. La Comunità Europea stessa, la cui intera Commissione fu recentemente forzata a dimettersi per lo scandalo, non venne inclusa.

In un?Unione che si presenta al mondo come tutrice morale, è cosa normale che l?inquinamento del potere per denaro e frode sia dovuto alla perdita di contenuto o coinvolgimento nella democrazia. Le élites, liberatesi sia dalla divisione reale dall?alto sia dalla sostanziale responsabilità dal basso, possono permettersi di arricchirsi senza troppe distrazioni o ricompense. La visibilità smette di contare e l?impunità diventa la regola. Come per i banchieri, i politici al potere non vanno in prigione. Di tutta questa fauna appena citata, soltanto un anziano greco ha subito un tale affronto. Ma la corruzione non è soltanto un aspetto del declino dell?ordine politico. È anche, ovviamente, un sintomo del regime economico che impera in Europa dagli anni 80. In un universo neoliberale, dove i mercati sono l?unità di misura del valore, il denaro diventa, più facilmente che mai, il mezzo per ogni cosa. Se gli ospedali, le scuole e i carceri possono essere privatizzati come fossero imprese per trarne profitto, perché non può esserlo anche la politica?

Al di là del crollo culturale del neoliberalismo, esiste comunque il suo impatto come sistema socio-economico, il terzo e, per esperienza generale, il peggiore malessere che affligge l?Europa. Che la crisi economica che ha attraversato l?Occidente nel 2008 fu il risultato di decenni di sregolatezze finanziarie ed espansione creditizia, anche i suoi architetti ora lo ammettono, chi più chi meno, persino Alan Greenspan. Collegate da entrambe le rive dell?Atlantico, le banche europee e le operazioni edili erano coinvolte nella bolla tanto quanto la loro controparte americana. Nell?UE tuttavia, questa crisi generale fu principalmente causata da un?altra caratteristica tipica dell?Unione, le distorsioni create da una moneta unica, imposta su economie molto differenti, spingendo quelle più vulnerabili quasi alla bancarotta, una volta che la crisi era iniziata. La soluzione per loro? Sotto la pressione di Berlino e Bruxelles, non semplicemente il classico regime di stabilizzazione, sullo stile Churchill-Brüning del periodo fra le guerre, tagliando la spesa pubblica, bensì una compattazione fiscale che ha imposto un limite uniforme del 3% a qualsiasi debito, come una riserva costituzionale, consacrando effettivamente una strabica ossessione economica, principio base del Rechtsstaat, alla pari della libertà di espressione, uguaglianza di fronte alla legge, la sostanza dell?accusa (o habeas corpus), divisione dei poteri e tutto il resto.

Se non fosse stato per il loro ruolo, in passato, nelle ?rendition? illegali, sarebbe difficile trovare un esempio più azzeccato per descrivere il rispetto con cui questi princìpi vengono adottati dalle oligarchie europee di oggi.

Da un punto di vista economico, i vantaggi dell?integrazione sono stati lodati esageratamente fin dall?inizio. Nella primavera del 2008, la stima più accurata, eseguita da Andrea Boltho e Barry Eichengreen, due brillanti economisti con un impeccabile punto di vista pro-europeo, concluse che il Mercato Comune ha creato una crescita del 3-4% del PIL della Comunità Economica Europea per tutto il periodo che andava dalla metà degli anni 50 alla metà degli anni 70 e l?Atto Unico Europeo di un solo punto percentuale, mentre l?impatto positivo della moneta unica era stato fino ad allora trascurabile, arrivando forse al massimo ad un 5% di crescita del PIL in più di cinquant?anni. Il tutto prima della crisi. Qual è l?analisi di bilancio da allora? Alla fine del 2013, a cinque anni dalla crisi, il PIL dell?eurozona non aveva ancora raggiunto i livelli del 2007. Circa un quarto dei suoi giovani sono disoccupati. In Spagna ed in Grecia, le cifre sono catastrofiche, con rispettivi 57 e 58 %. Anche in Germania, nonostante l?accumularsi di surplus anno dopo anno, ampiamente sbandierato come la storia di successo del periodo, gli investimenti sono stati al minimo rispetto alle economie del G7 e la quota di lavoratori al minimo sindacale (coloro che guadagnano meno dei due terzi dello stipendio medio) è il più alto tra tutti gli stati dell?Europa Occidentale. Queste sono le ultime novità relative alla moneta unica. I dottori dell?austerità hanno indebolito il paziente, anziché riportarlo in salute.

*

In questo scenario un Paese è generalmente considerato come il più acuto di tutti i casi di disfunzione europea. Dall?introduzione della moneta unica, l?Italia ha registrato la peggiore performance economica di qualsiasi stato dell?Unione: 20 anni di stagnazione praticamente ininterrotta ad un tasso di crescita nettamente inferiore a quelli della Grecia o della Spagna. Il suo debito pubblico supera il 130 per cento del PIL. Tuttavia questo non è un paese periferico di piccole o medie dimensioni che ha recentemente aderito all?Unione. È uno dei sei membri fondatori, con una popolazione paragonabile a quella della Gran Bretagna e un?economia grande una volta e mezza quella spagnola. La sua base manifatturiera è la seconda in Europa dopo la Germania ed è anche la seconda nell?esportazione di beni capitali. Le sue emissioni governative rappresentano il terzo più grande mercato obbligazionario al mondo e quasi metà del suo debito pubblico è detenuta all?estero: il dato comparabile per il Giappone è sotto il 10 per cento. Per questa combinazione di fragilità e importanza, l?Italia è il vero anello debole dell?UE che teoricamente potrebbe rompersi.

Finora, e non per caso, è il paese dove la disillusione dovuta allo svuotamento delle forme democratiche ha prodotto non solo un?intorpidita indifferenza, ma una rivolta attiva che ha scosso il cuore delle sue istituzioni trasformando il panorama politico. Movimenti di protesta di ogni sorta sono emersi in altri stati dell?Unione, ma finora nessuno si avvicina per innovazione o successo all?ondata del Movimento 5 Stelle in Italia in termini di ribellione alle urne. Inoltre, l?Italia offre lo spettacolo più familiare di tutti i teatri continentali per quanto riguarda la corruzione. La sua più celebrata personificazione è il miliardario che ha governato il paese per quasi la metà della Seconda Repubblica e su cui sono state spese più parole che su tutti i suoi concorrenti messi insieme. Le riflessioni sulla situazione raggiunta dall?Italia inevitabilmente iniziano con Silvio Berlusconi. Che egli si distingua tra i suoi pari per l?incastro tra potere e denaro è fuori discussione, ma il modo con cui lo ha fatto può essere oscurato dal clamore della stampa estera su di lui, in particolare le denunce tonanti dell?Economist e del Financial Times.

Due cose rendono Berlusconi speciale. La prima, è che egli ha invertito il percorso tipico dalla politica al profitto, avendo accumulato una fortuna prima di entrare in politica. Politica che ha poi utilizzato per preservare la sua ricchezza e proteggere se stesso dalle accuse penali sulle modalità con cui si arricchì.

Il secondo è che la sua principale fonte di ricchezza, anche se non l?unica, è il suo impero televisivo e pubblicitario che gli ha consentito di disporre di un potere indipendente dalla politica e che, una volta entrato nell?arena politica, ha convertito in una macchina di propaganda e uno strumento di governo. Inoltre, i suoi legami politici con il Partito socialista di Milano e il suo segretario Craxi sono stati fondamentali per la sua ascesa economica, e in particolare alla costruzione di una rete nazionale per i suoi canali televisivi. Anche se ha sviluppato notevoli capacità di comunicazione e di manovra politica, in sostanza è rimasto essenzialmente un uomo d?affari per il quale il potere significa sicurezza e glamour, ma non azione o progetto politico. Nonostante abbia espresso la sua ammirazione per la Thatcher e si sia auto-definito sostenitore del mercato e della libertà economica, l?immobilismo delle sue coalizioni di centro-destra non ha mai differito molto da quelle di centro-sinistra dello stesso periodo.

Che questo sia ciò che veramente gli critica l?opinione neo-liberale del mondo anglosassone si può notare da come quest?ultima ha considerato due simboli di corruzione ai vertici di stati a est e a ovest dell?Italia. Per anni, Erdoğan ? un caro amico di Berlusconi ? è stato oggetto di un numero esagerato di interviste, articoli e reportage nel Financial Times e altrove, in cui era presentato come un architetto illuminato di una nuova democrazia turca e un ponte essenziale tra Europa e Asia, da accogliere senza indugi nell?Unione. Diversamente da Berlusconi, tuttavia, il cui governo era anodino in termini di libertà civili, Erdoğan ne era e ne è una minaccia. Già all?epoca del boom turco, segnato dal decollo delle privatizzazioni, fatti come l?arresto di giornalisti, l?uccisione di manifestanti, i processi truccati, le intimidazioni brutali all?opposizione ? per non parlare del peculato su larga scala ? contavano poco. Anche quando l?estensione della criminalità e della corruzione non potevano più essere ignorate, i dettagli sullo scandalo travolgente lo infangavano sono stati tenuti al minimo e la colpa rapidamente gettata sulla UE, rea di non aver offerto tempestivamente il suo abbraccio redentore. In seguito alle intercettazioni, il Frankfurter Allgemeine sottolineò che, in qualsiasi democrazia funzionante, questi sarebbero stati motivi sufficienti a costringere l?intero governo ad andarsene. Il Financial Times non lo sussurrava neanche. Lo stesso commento poteva essere fatto di Rajoy e i suoi confederati in Spagna, dove le malefatte sono ancora più evidenti rispetto al labirinto di reati di Berlusconi. Ma Rajoy, diversamente da Berlusconi, è un affidabile intendente del regime neo-liberale: nessun bisogno di supplementi speciali in The Economist per sciorinare i suoi misfatti, sui quali si prende la cura di dire il meno possibile, insieme a Bruxelles e Berlino. ?I leader della UE e i suoi funzionari sono restati stranamente a bocca chiusa sullo scandalo, data l?importanza della Spagna nell?Eurozona?, commentava Gavin Hewitt, corrispondente della BBC da Bruxelles. ?La cancelliera tedesca Angela Merkel e altri hanno riposto molta fiducia nel Signor Rajoy e lo considerano preparato, in vista delle riforme dolorose che mirano a ravvivare l?economia spagnola?. Berlusconi pagherà per mancanza di altrettanta fiducia.

All?epoca del suo trionfo nella primavera 2008, quando vinse le sue terze e decisive elezioni, Berlusconi si preoccupava poco della scarsa opinione di lui all?estero. Il fronte di centro-destra, che lui aveva organizzato e riorganizzato dal 1994 ? composto ora dal Popolo delle Libertà, una fusione del suo precedente partito con quello del suo alleato di sempre, l?ex-fascista Gianfranco Fini, più la Lega Nord di Umberto Bossi, che continuava a mantenere le sue basi e la sua identità separata ? deteneva un? ampia maggioranza alle Camere. Nei suoi primi mesi al governo si fece un passo lungo le linee Thatcher/Blair, il primo di una serie di cambiamenti che cominciavano dalle scuole elementari per finire alle università e che tagliavano le spese del sistema educativo di circa 8 miliardi di euro negli interessi dell?economia e della competitività: riduzione del numero degli insegnati, imposizione di contratti a breve termine, priorità agli affari, quantificando i successi della ricerca. Ma questa era l?estensione dello zelo riformatore del suo governo. Di primissima importanza nell?agenda politica era la legislazione ad personam per proteggere Berlusconi dalle accuse criminali che gli pendevano addosso, di cui molte tirate per le lunghe fino a cadere in prescrizione e altre decriminalizzate. Nel 2003, il suo governo aveva approvato una legge che garantiva immunità dai procedimenti per le cinque principali cariche dello stato, abolita dalla Corte Costituzionale sei mesi più tardi. Nell?estate del 2008, ritornò all?attacco con una legge presentata dal suo braccio destro, l?avvocato siciliano Angelino Alfano, che sospendeva i processi per le quattro principali cariche dello stato.

Alcuni mesi più tardi, la tempesta finanziaria attraverso l?Atlantico colpì l?Europa, prima in Irlanda, poi in Grecia. In Italia, la Seconda Repubblica è stata caratterizzata fin dall?inizio da insuccessi economici, nonostante i migliori sforzi dei Presidenti del Consiglio di Centrosinistra per arginarla (Giuliano Amato ha tagliato e privatizzato, Romano Prodi ha sostenuto il paese stretto nella camicia di forza del Patto di Stabilità). Il tasso di crescita italiano è precipitato negli anni Novanta. Dopo il 2000, è risultato stagnante a una media dello 0.25 del Prodotto Interno Lordo. Ad un anno dalla rielezione di Berlusconi nel 2008, la differenza di rendimento tra i titoli di Stato italiani e tedeschi stava già iniziando ad aumentare. Dal 2009 la recessione è diventata più grave rispetto a qualsiasi altro paese dell?eurozona e il Prodotto Interno Lordo precipitava di più di cinque punti percentuali. Per tenere a bada i mercati finanziari, successivi pacchetti di emergenza tagliarono il debito di bilancio dell?Italia, ma con i tassi di interesse che gravavano sul terzo debito pubblico più alto del mondo, verso la fine del 2010 il governo si stava avvicinando alla catastrofe economica.

Politicamente, l?Italia avrebbe potuto passarsela meglio. Dal marzo all?ottobre del 2009, i titoli dei giornali erano dominati da rivelazioni sensazionali sulle stravaganze erotiche di Berlusconi, dando un colore ancor più vivo alla descrizione profetica di Giovanni Sartori del suo governo ? secondo una definizione presa in prestito da Weber ? sultano come sultanato. Sempre vantandosi delle sue abilità nella stanza da letto, ora anche con l?arroganza di potersi sottrarre all?avanzare dell?età, Berlusconi abbandonava la più elementare prudenza, costellando liste degli invitati a festini con soubrette e trastullandosi con minorenni, fino al punto di provocare una rottura pubblica con la moglie Veronica Lario. Poco dopo cominciò a ricevere prostitute nella sua residenza romana. Stizzita per non aver ricevuto un permesso di costruzione a Bari, una di loro raccontò le loro visite. Nella sua villa sfarzosa di Arcore, poco fuori Milano, venivano inscenate orge secondo uno stile settecentesco aggiornato, con donne vestite come suore ? oppure come infermiere e poliziotte ? che facevano capriole e si spogliavano per il coito collettivo. Quando una delle partecipanti, una giovane marocchina, fu arrestata per furto a Milano, Berlusconi telefonò per assicurarle il rilascio perché nipote di Mubarak. Poiché era minorenne, ne è conseguito un procedimento giudiziario. Berlusconi fu indebolito dal deterioramento della sua immagine, sebbene non così dannoso come la rovina che di lì a poco travolgerà Dominique Strauss-Kahn, presidente del Fondo Monetario Internazionale e favorito per le presidenziali francesi. Ma per il momento sopravvisse.

Una più seria minaccia alla sua posizione arrivò da un?altra parte. Per eccesso di sicurezza, nata dal successo elettorale, perse il senso del limite politico, umiliando gratuitamente Fini, che era destinato a diventare il suo successore e che in quel momento era Presidente della Camera. A partire dall?estate del 2010, comprendendo che non poteva più aspettarsi di diventare il naturale erede del Centrodestra e facendosi allettare dalle lusinghe dell?opposizione che ne prospettavano la leadership di un Centrosinistra responsabile, Fini lo abbandona. In autunno, pur sottraendo un numero di deputati sufficienti per privare il governo di una stabile maggioranza, non riesce però a farlo cadere. A partire dalla primavera del 2011, anche gli elettori abbandonano il governo e Berlusconi perde il controllo persino di una roccaforte come Milano.

Durante quell?estate, dato che la crisi dell?eurozona si intensificava, con la Grecia che si avvicinava al fallimento, la pressione sull?Italia dai mercati dei bond aumentava. La Germania, affiancata dalla Francia e dalla Banca Centrale Europea (BCE), non nascondeva più la sua determinazione di rompere qualsiasi resistenza alle draconiane misure di austerity, e ad eliminare i leader che esitavano a implementarle, ad Atene e a Roma. Ad agosto, Trichet e Draghi, presidenti uscente e entrante della BCE, spedirono un ultimatum virtuale a Berlusconi. Due mesi più tardi, durate un summit UE, Papandreou fu costretto ad accettare ulteriori tagli selvaggi della spesa pubblica e un impegno di privatizzazione radicale. In panico a causa dell?ondata di odio popolare per queste decisioni ? il presidente della Grecia fu cacciato dal palco di Thessalonika durante la festa nazionale ? annunciò un referendum sulle riforme, e fu convocato immediatamente a Cannes dalla Merkel e Sarkozy e costretto a cancellare tutto. Una settimana più tardi, se ne andò. In tre giorni, Berlusconi lo seguì.

Le dinamiche della caduta di Berlusconi non furono tuttavia le stesse. In Grecia, Papandreou governò sul diffuso impoverimento per volere di Berlino, Parigi e Francoforte, che suscitarono proteste locali massive. Fino alla sua improvvisa idea di un referendum, lui fu uno strumento perfettamente accettabile della volontà dell?Unione ? una disposizione dimostrata dalla velocità con cui è sottostato a Merkel e Sarkozy, ritirando la sua proposta. Se ne andò perchè la sua posizione diventò internamente insostenibile. In Italia, non c?era né un impoverimento in corso né una mobilitazione popolare. La maggioranza di Berlusconi alla Camera era a quel punto sottile come la lama di un rasoio, e alcuni dei suoi deputati stavano perdendo entusiasmo a causa dell?incremento dello spread. Ma Berlusconi manteneva il pieno controllo del Senato, e non era ancora sconfitto in tribunale. La sua posizione interna era sostanzialmente più forte di quella di Papandreou. Nell?intero territorio dell?UE, tuttavia, l?ostilità verso di lui era molto più grande, dovuta all?imbarazzo di lunga data per la sua performance politica; e la volontà di Berlino e Francoforte di liberarsi di lui, come un ostacolo al necessario spurgo dell?economia italiana e l?ordine sociale, stava diventando inarrestabile.

*

In ogni caso, per la sua estromissione, era necessario un meccanismo che collegasse l?indebolimento della sua posizione in patria, non ancora completo, con l?assoluta avversione verso di lui all?estero. Per sua sfortuna, tale meccanismo era pronto e innescato. Meno evidente di altri mutamenti portati dalla seconda repubblica, c`è stato un ruolo sempre più forte della presidenza della repubblica nella politica italiana. Sotto il regno della DC nella prima repubblica, quando un solo partito spadroneggiava in ogni legislatura, questo ruolo, in gran parte formale, ha avuto raramente molta influenza. Ma una volta che, nella seconda Repubblica, le coalizioni rivali si sono scontrate per il potere, si è aperto un nuovo spazio di manovra per la presidenza della repubblica. Scalfaro, al Quirinale dal 1992 al 1999, è stato il primo a usare questo potere, rifiutando di sciogliere il Parlamento quando Berlusconi perse la sua maggioranza nel 1994, e facilitando il governo di un?alleanza di centro-sinistra, dandole il tempo necessario per unire le forze e conseguire una vittoria elettorale con Prodi l?anno successivo.

Ora il Presidente era Giorgio Napolitano, come Scalfaro un ex Ministro degli Interni. Berlusconi ne aveva sostenuto l?elezione al Quirinale nel 2006, e aveva motivo di pensare di aver fatto una scelta sensata aiutando un veterano della classe politica tradizionale. Un ?Vicar of Bray? (uno che cambia bandiera per rimanere in carica ndt) italiano, Napolitano aveva sempre avuto, nella sua lunga carriera, un principio chiaro, aderire a qualunque trend politico vincente. L?incipit di una lunga sequenza è già nel suo periodo da studente, quando aderisce al Gruppo Universitario Fascista, nel momento in cui l?Italia stava per inviare le truppe ad aggregarsi ai nazisti nell?attacco alla Russia. Una volta caduto il fascismo, il giovane Napolitano optò per la forza del comunismo. Iscrittosi al PCI a fine 1945, fece velocemente strada nel partito, fino ad entrare nel Comitato Centrale in circa un decennio.

Quando le truppe e i carrarmati russi soffocarono la rivolta ungherese nel 1956, egli li elogiò. ?L?intervento sovietico ha dato un contributo decisivo, non solo per evitare il collasso dell?Ungheria nel caos e nella contro-rivoluzione, e per difendere gli interessi militari e strategici dell?URSS, ma ha anche salvato la pace del mondo? disse al congresso del partito nel novembre di quell?anno. Salutando l?espulsione di Solzhenistyn dalla Russia nel 1964, dichiarò: ?Solo commentatori faziosi e sciocchi possono evocare lo spettro dello stalinismo, non accorgendosi di come Solzhenitsyn abbia spinto le cose fino a un punto di rottura?. In questo periodo Napolitano era il braccio destro di Giorgio Amendola che, dopo la morte di Togliatti, era la figura più straordinaria del PCI. Come il suo mentore, egli era per una ferrea disciplina interna al partito, e votò senza alcuna esitazione per l?espulsione dal partito del gruppo del Manifesto per aver espresso opinioni contro l?invasione della Cecoslovacchia. Con appoggi sia nella segreteria sia nell?ufficio politico, era considerato il più probabile futuro leader del PCI.

Per la carica fu invece scelto Enrico Berlinguer, figura che creava meno divisioni. Napolitano rimase comunque un ?ornamento di potere? del partito mentre si spostò verso l?eurocomunismo. Alla fine del 1970, fu scelto come primo inviato del PCI per rassicurare gli Stati Uniti sull?affidabilità del partito nei rapporti atlantici, diventando presto il ?comunista preferito di Kissinger?, secondo le parole compiaciute del New York Times. Nel 1980, il trasferimento di fedeltà a un nuovo sovrano era completo. Il Terzo Reich un brutto ricordo, l?URSS in declino, adesso erano gli Stati Uniti il potere da coltivare. Responsabile delle relazioni estere del PCI, si sarebbe preso cura di ammorbidire i rapporti con Washington a lungo anche dopo la scomparsa del partito. Una volta presidente, ha fatto di tutto per ingraziarsi sia Bush che Obama.

In patria, il fallimento del tentativo del PCI di realizzare il ?compromesso storico? con la Democrazia Cristiana che ne avrebbe permesso l?ingresso al governo, e l?ascesa, nonostante la corruzione sempre più palese, del Partito Socialista di Craxi come partner chiave della DC, portò Berlinguer a intraprendere una svolta a sinistra. La sua denuncia della degenerazione del sistema politico era un forte invito a ripulire la vita pubblica. Napolitano rispose con rabbia, lo accusò di isolazionismo settario e per la ?vuota invettiva?. Le relazioni fra i due erano sempre state fredde ma si trattava di molto più che di rivalità personale. In quel periodo Napolitano guidava la corrente più a destra del PCI, i miglioristi, che sentivano una certa affinità con Craxi, con il quale non volevano alcuna ostilità. La base principale della corrente era a Milano, dove ?la macchina? di Craxi controllava la città. Lì, a metà degli anni 80, i miglioristi pubblicarono un giornale, Il Moderno, non solo sovvenzionato da Berlusconi, ma che ne celebrava lo spirito rivoluzionario nella modernizzazione dei media e nel rendere Milano la capitale televisiva di Italia.

Questo accadeva nel 1986, mentre Craxi era primo ministro. Un tribunale avrebbe in seguito giudicato la Fininvest di Berlusconi colpevole di finanziare illegalmente i miglioristi. Nel mese di febbraio, nel periodo antecedente al referendum anti-nucleare in Italia, il giornale del PCI (l?Unità ndt) rifiutò un articolo pro-nucleare di Giovanni Battista Zorzoli, uno dei seguaci di Napolitano. Furioso, Napolitano chiese la testa del direttore. Nel 1993 Zorzoli era in manette, condannato a quattro anni e mezzo di carcere per corruzione risalente al periodo in cui era un alto dirigente della società statale per l?energia elettrica.

Poco tempo dopo, Napolitano divenne ministro dell?interno nel governo di centro-sinistra del 1996. Era la prima volta che una personalità di sinistra ricopriva questa carica. Il coinvolgimento della polizia italiana e dei servizi segreti nella cosiddetta strategia della tensione, una serie di attentati dal massacro di Piazza Fontana a Milano nel 1969 a quello della stazione di Bologna nel 1980, fu a lungo contestato ma mai messo sotto inchiesta. La tensione che poteva causare l?arrivo al ministero di un ex comunista fu subito dissipata. Napolitano rassicurò i suoi subordinati che non sarebbe andato ?in cerca di scheletri nell?armadio?. Nessuna rivelazione incresciosa rovinò la sua permanenza in carica. Fu nominato senatore a vita nel 2005. Divenuto Presidente della Repubblica l?anno successivo, deplorò pubblicamente il trattamento ingiusto riservato a Craxi, morto da latinante in Tunisia, dopo essere stato condannato in absentia a 27 anni di carcere per corruzione, e addirittura elogiò il suo ruolo positivo di uomo di stato.

Non ebbe lo stesso riguardo per Berlusconi, che trattò con benevola accondiscendenza, e a ragione, non come un politico a tutti gli effetti, come lo erano stati i grandi della Prima Repubblica. Del resto i due non potrebbero essere più diversi nello stile, il decoro cerimonioso di Napolitano in studiato contrasto con la sfarzosa spavalderia di Berlusconi. Ma avevano un passato comune nella rete di legami e simpatie attorno a Craxi a Milano, e un interesse comune nello stabilizzare ciò che entrambi vedevano come potenziali tornaconti della Seconda Repubblica: un sistema politico bipolare sul modello anglosassone, ridotto ad un centro-destra ed un centro-sinistra, scevro da qualsiasi ostilità al mercato e al suo guardiano transatlantico. Entrambi avevano inoltre ragione di temere l?insistenza con cui i pubblici ministeri rivangavano accuse contro il leader più popolare del paese, ed il risentimento di minoranze irresponsabili nel servirsene.

Per Berlusconi, queste erano, certamente, minacce esistenziali. Per Napolitano queste erano semplicemente divisive, proprio come era stato il moralismo di Berlinguer, che temerariamente oscillava la barca del moderato consenso di cui il pese aveva bisogno. Lui era più che disponibile ad aiutare Berlusconi a proteggersi da questi problemi, commutando in legge senza esitazione il Lodo Alfano del 2008 che garantiva a Berlusconi come primo ministro e lui stesso come Presidente l?immunità da ogni processo; e quando questo fu dichiarato incostituzionale, approvando con la stessa velocità il sostituto nel 2010, il legittimo impedimento, che permetteva ai ministri di evitare i processi appellandosi ai loro doveri urgenti da dipendenti pubblici, che fu a sua volta giudicata incostituzionale nel 2011. Napolitano fu pubblicamente criticato per il suo appoggio inopportuno del Lodo Alfano da Ciampi, suo predecessore alla presidenza, e non aveva nessun obbligo a far passare alcuna delle due leggi: piuttosto il contrario, come ebbe a dimostrare l?esito legale in ambedue i casi.

La condotta di Napolitano, però, si accordava con le aspettative di Berlusconi del modus vivendi tra di loro, sulla cui base lo aveva sostenuto come presidente.

Un?ulteriore tagliente espressione di tale comprensione è arrivata quando la defezione di Fini ha privato il governo Berlusconi di una maggioranza alla Camera , e l?opposizione presentò una mozione di sfiducia , con i voti in mano per far cadere il governo. Nel 2008 Prodi era stato in una situazione simile dopo che Berlusconi aveva comprato abbastanza voti in Senato per farlo cadere, un episodio per il quale è attualmente sotto accusa per il pagamento di 3 milioni di euro ad un solo senatore per convincerlo a fare voltagabbana, una tangente che il destinatario ha confessato. Allora, Napolitano perse poco tempo, meno di due settimane, per usare la sua prerogativa presidenziale per sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni, che produssero una valanga di voti per Berlusconi. Questa volta però, Napolitano convinse Fini a fermarsi per più di un mese, mentre una legge di bilancio veniva approvata, dando il tempo a Berlusconi di acquistare la manciata di deputati necessari per ripristinare la sua maggioranza.

*

Questo però fu l?ultimo favore che Napolitano fece a Berlusconi. Il presidente si stava preparando a prendere la situazione in mano. Nella primavera del 2011 il governo annunciò che l?Italia non avrebbe preso parte all?azione militare in Libia guidata dagli americani, a cui peraltro la Lega Nord era fortemente contraria, tanto da minacciare di far cadere il governo se avesse deciso di partecipare. Ma Napolitano sapeva cosa andava fatto: per lui, le aspettative di Washington sull?Italia erano più importanti di sottigliezze costituzionali. Senza alcun voto o dibattito in parlamento, , e ottenuto l?appoggio degli ex comunisti, il presidente lanciò l?Italia in guerra, mandando l?aeronautica militare a bombardare un paese vicino, con cui l?Italia aveva firmato un accordo di amicizia, cooperazione e alleanza militare, ratificato da una stragrande maggioranza alla Camera, inclusi gli ex comunisti, appena due anni prima.

Entro l?estate successiva, incoraggiato dalle lusinghe dei media che lo proclamarono la pietra miliare della Repubblica, e con il supporto di Berlino, Bruxelles e Francoforte, aveva deciso di mettere fuori gioco Berlusconi. La mossa chiave per sbarazzarsi del presidente del consiglio era trovare un rimpiazzamento adeguato che soddisfacesse gli alleati e i maggiori esponenti della vita economica italiana. Per sua fortuna, la figura ideale era a portata di mano: Mario Monti, ex commissario UE, membro del gruppo Bilderberg e della Commissione Trilaterale, senior adviser per la Goldman Sachs e all?epoca rettore dell?università Bocconi. Era un po? di tempo che Monti non vedeva l?ora di aggiustare la situazione in Italia, e ora finalmente l?occasione era giunta. ?I governi italiani sanno prendere delle decisioni dure?, confidò nel 2005 all?Economist, ?solo se due condizioni sono soddisfatte: deve essere in atto un?emergenza palpabile e deve essere presente una forte pressione dall?esterno. Purtroppo?, si rammaricò, ?non è ancora giunto il momento della verità.? E adesso era arrivato.

Già a giugno o luglio, nella più totale segretezza, Napolitano preparò Monti a prendere le redini del governo. Nello stesso periodo, chiese al direttore del più grande gruppo bancario in Italia, Corrado Passera, di preparare un piano economico per il paese. Passera in passato aveva collaborato con l?arci-nemico politico e rivale in affari di Berlusconi, Carlo De Benedetti, proprietario de La Repubblica e L?Espresso, che era al corrente delle mosse di Napolitano. Redatto in un corsivo impellente, il documento di 196 pagine di Passera proponeva una terapia shock: 100 miliardi di euro in privatizzazioni, tasse immobiliari, imposte sul capitale ed un aumento dell?IVA. Napolitano, al telefono con la Merkel e con Draghi, adesso aveva l?uomo ed il piano pronto per far fuori Berlusconi. Monti non si era mai candidato alle elezioni, e sebbene un seggio in parlamento non era un requisito per la candidatura a presidente del consiglio, sarebbe stato opportuno che Monti ne avesse uno.

Non vi era tempo da perdere: il 9 novembre Napolitano strappò Monti dalla Bocconi e lo investì della carica di senatore a vita, con il plauso della stampa finanziaria mondiale. Berlusconi, sotto la minaccia di distruzione per mano del mercato delle obbligazioni dovesse egli resistere, capitolò e in una settimana Monti diventò il governante del paese alla guida di un gabinetto non eletto di banchieri, uomini d?affari e tecnocrati. L?operazione che lo portò al potere è un esempio di cosa possano significare al giorno d?oggi in Europa le procedure democratiche e la legge. Fu un atto completamente incostituzionale. Il presidente italiano ha il dovere di essere il guardiano imparziale dell?ordine parlamentare, colui che non interferisce con le decisioni del suddetto, salvo nel caso in cui queste decisioni violino la costituzione, cosa che il parlamento fallì chiaramente. Non è autorizzato a cospirare, alle spalle di un presidente del consiglio eletto, con individui scelti da lui, nemmeno in Parlamento, per formare un governo che sia di suo gradimento. La corruzione nel mondo degli affari, nella burocrazia e nella politica si era ormai fusa alla corruzione nella costituzione in Italia.

I fatti avvenuti quell?estate dentro le stanze del Quirinale rimasero nascosti all?opinione pubblica. I dettagli sono emersi alla luce solo quest?anno con le parole dello stesso Monti, un ingenuo in questo senso, e subito smentite da Napolitano. Nel frattempo, la reazione della classe dirigente al nuovo governo oscillava fra sollievo ed euforia. Agli occhi degli opinionisti italiani e stranieri il nuovo governo appariva come una seconda chance per l?Italia di voltare pagina e ricominciare da dove ci si era fermati, dopo la caduta della prima repubblica. Finalmente alla guida vi era un governo onesto e competente, non solo impegnato a riformare tutto quello che non andava in Italia, come un mercato del lavoro rigido, pensioni insostenibili, nepotismo universitario, restrizioni corporative, mancanza di competitività industriale, privatizzazioni insufficienti, un sistema giuridico lento ed evasione fiscale, ma anche capace di navigare nella tempesta dei mercati finanziari che stava sballottando il paese. Una nuova, vera, Seconda Repubblica era sorta dopo vent?anni di messinscene. Forti tagli alla spesa pubblica, dure manovre fiscali e i cambiamenti iniziali alle disastrose leggi sul lavoro degli anni settanta, erano i primi passi per ripristinare la fiducia nello stato.

Visti da un?altra prospettiva, questi eventi ricordavano la congiuntura dei primi anni novanta quando Ciampi, il governatore della Banca d?Italia, fu chiamato per il ruolo di presidente del consiglio nel bel mezzo della crisi di Tangentopoli. Ma le similitudini non erano del tutto positive. L?amministrazione Monti era simile a quella Ciampi per composizione ed intenzioni politiche. Nel frattempo però, molte cose erano cambiate, soprattutto se si guarda da che contesto venivano le figure di questo nuovo ordine, Monti e Draghi, suo garante a Francoforte. Nel 1994, Berlusconi si presentò come un innovatore con un passato da uomo d?affari, la cui vittoria avrebbe sepolto la corruzione e il disordine creato dalla classe politica della prima repubblica. In realtà, fece la sua fortuna proprio con l?aiuto di quella classe politica. La crisi del 2011 che attanagliava l?Europa e l?Italia era partita da un?ondata di speculazioni finanziarie e manipolazioni di derivati su entrambe le sponde dell?Atlantico. L?operatore finanziario più noto che ebbe la sua parte nella crisi aveva nei suoi libri paga Monti e Draghi. La società Goldman Sachs, che si era ampiamente guadagnata il soprannome di ?calamaro sanguisuga?, era stata complice della falsificazioni dei conti pubblici greci ed accusata dalla Security and Exchange Commission (NdT Commissione per i Titoli e gli Scambi, ente federale statunitense preposto alla vigilanza della borsa valori, analogo all?italiana Consob.) di frode, risolvendo poi la faccenda fuori dal tribunale con un pagamento di mezzo miliardo di dollari. Aspettarsi un taglio netto con il passato da parte di Monti e Draghi era appena più realistico che credere che il patrocinio di Craxi su Berlusconi non avesse lasciato segni.

Vi erano altre similitudini con il passato non meno impressionanti. Nell?estate del 2012 emerse che Napolitano fosse intervenuto per bloccare l?interrogatorio di Nicola Mancino, democristiano e ministro dell?interno nel 1992, quando il magistrato palermitano Paolo Borsellino venne assassinato dalla mafia. Mancino era uno dei quattro ministri dell?Interno ? un altro era Scalfaro ? recipienti di fondi neri provenienti dal SISDE, i servizi segreti. Mancino aveva sempre negato il fatto di aver incontrato Borsellino poco prima della sua morte, nonostante ci fossero le prove che dimostrassero il contrario. La questione non era mai stata chiarita fino al momento in cui la magistratura aprì un?inchiesta sui possibili collegamenti fra stato e mafia, minacciando così Mancino con un confronto con gli altri due ministri dell?epoca. In grande agitazione, Mancino chiamò il Quirinale e pregò il braccio destro di Napolitano incaricato delle questioni legali, Loris D?Ambrosio, di proteggerlo. La sua richiesta non fu respinta, anzi, gli venne detto che il presidente era molto preoccupato per lui. Napolitano in seguito chiamò Mancino, non sapendo che il telefono di quest?ultimo era sotto sorveglianza nell?ambito dell?inchiesta.

Quando le registrazioni delle telefonate fra Mancino e D?Ambrosio vennero pubblicate, così come la notizia che la magistratura era in possesso delle registrazioni telefoniche fra Napolitano e Mancino, il presidente invocò l?immunità assoluta del suo incarico e ordinò di far distruggere le registrazioni, in pieno stile Nixon. Salvatore, il fratello di Borsellino, chiese l?impeachment di Napolitano. Negli Stati Uniti questo sarebbe stato possibile, dal momento che vi era stata una lampante ostruzione alla giustizia da parte del presidente. In Italia questo era impensabile. La classe politica e i media chiusero i ranghi attorno al presidente, esattamente nella stessa maniera di quando Scalfaro usò il suo aiutante per soffocare lo scandalo del SISDE. L?assistente di Napolitano, l?Ehrlichman italiano, morì di infarto proprio nel bel mezzo di questa crisi. Come al solito, Marco Travaglio, forse il più grande giornalista europeo, fu l?unico a chiamare le cose con il proprio nome. Nel suo libro Viva il Re! pubblicato lo scorso anno, stilò un?esauriente condanna del comportamento di Napolitano in seicento pagine di documentazione schiacciante. Altrove, il pericolo per la posizione del presidente fece alzare un coro di voci ruffiane e raggiunse livelli quasi isterici.

Nel frattempo Monti, salutato con entusiasmo all?inizio del suo incarico e insignito sul Financial Times del nomignolo di ?Super Mario?, si stava dimostrando una delusione. Incaricato con riluttanza sia dal centro sinistra che dal centro destra, lo spazio di manovra di Monti era limitato, dal momento che non aveva pieno appoggio di nessuno dei due blocchi e la base dei due movimenti politici era scontenta di questo accordo. Presto però divenne chiaro che i suoi rimedi non stavano portando alcun beneficio. Sotto un regime che un critico italiano definì ?austeritario?, la combinazione di Monti di alzare le tasse ed abbassare la spesa pubblica abbassò sì lo spread ed il deficit ma intensificò anche la recessione. I consumi crollarono e la disoccupazione giovanile aumentò. Le riforme strutturali, come intese dalla Commissione Europea e dalla BCE, non si materializzavano. Nel 2012, il PIL arretrò del 2,4%. Dal punto di visto politico, vi era poco da guadagnare continuando a sostenere quello che era diventato un governo molto impopolare. Alla fine dell?anno, il centro-destra uscì da questa intesa e Napolitano, riluttante, dovette sciogliere le camere con Monti al suo posto, finché non fossero state indette nuove elezioni.

[Articolo originale "The Italian Disaster" di Perry Anderson]
La libertà è tutto ciò che dobbiamo a noi stessi
Avatar utente
coniglio
 
Messaggi: 7645
Iscritto il: lun nov 22, 2010 21:52 pm

Messaggioda Sbob » gio giu 05, 2014 12:32 pm

PIEDENERO ha scritto:
Sbob ha scritto:
PIEDENERO ha scritto:... a Orsoni (Pd) fondi illeciti ....

illecitihttp://www.corriere.it/cronache ... 6e18.shtml

PD 40,8% 8O

Pensa quanto devono far cagare gli altri!


Se li avessero arrestati prima delle elezioni il pd sarebbe andato al 45%

Probabilmente si'. Anche se era un'altro PD.
Avatar utente
Sbob
 
Messaggi: 7265
Images: 2
Iscritto il: ven set 14, 2007 12:49 pm

Messaggioda Sbob » gio giu 05, 2014 12:39 pm

[quote]LA DIVINA COMMEDIA
di Dante Alighieri





INFERNO





CANTO I

[Incomincia la Comedia di Dante Alleghieri di Fiorenza, ne la quale tratta de le pene e punimenti de' vizi e de' meriti e premi de le virtù. Comincia il canto primo de la prima parte la quale si chiama Inferno, nel qual l'auttore fa proemio a tutta l'opera.]





Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

Tant' è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

Io non so ben ridir com' i' v'intrai,
tant' era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.

Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m'avea di paura il cor compunto,

guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de' raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.

Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m'era durata
la notte ch'i' passai con tanta pieta.

E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l'acqua perigliosa e guata,

così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.

Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso.

Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,
una lonza leggiera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;

e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi 'mpediva tanto il mio cammino,
ch'i' fui per ritornar più volte vòlto.

Temp' era dal principio del mattino,
e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
ch'eran con lui quando l'amor divino

mosse di prima quelle cose belle;
sì ch'a bene sperar m'era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle

l'ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone.

Questi parea che contra me venisse
con la test' alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l'aere ne tremesse.

Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,

questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch'uscia di sua vista,
ch'io perdei la speranza de l'altezza.

E qual è quei che volontieri acquista,
e giugne 'l tempo che perder lo face,
che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;

tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi 'ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove 'l sol tace.

Mentre ch'i' rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.

Quando vidi costui nel gran diserto,
«Miserere di me», gridai a lui,
«qual che tu sii, od ombra od omo certo!».

Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patrïa ambedui.

Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.

Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d'Anchise che venne di Troia,
poi che 'l superbo Ilïón fu combusto.

Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch'è principio e cagion di tutta gioia?».

«Or se' tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?»,
rispuos' io lui con vergognosa fronte.

«O de li altri poeti onore e lume,
vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
che m'ha fatto cercar lo tuo volume.

Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,
tu se' solo colui da cu' io tolsi
lo bello stilo che m'ha fatto onore.

Vedi la bestia per cu' io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi».

«A te convien tenere altro vïaggio»,
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
«se vuo' campar d'esto loco selvaggio;

ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide;

e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo 'l pasto ha più fame che pria.

Molti son li animali a cui s'ammoglia,
e più saranno ancora, infin che 'l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.

Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.

Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.

Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno,
là onde 'nvidia prima dipartilla.

Ond' io per lo tuo me' penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno;

ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch'a la seconda morte ciascun grida;

e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti.

A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;

ché quello imperador che là sù regna,
perch' i' fu' ribellante a la sua legge,
non vuol che 'n sua città per me si vegna.

In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e l'alto seggio:
oh felice colui cu' ivi elegge!».

E io a lui: «Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
a ciò ch'io fugga questo male e peggio,

che tu mi meni là dov' or dicesti,
sì ch'io veggia la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti».

Allor si mosse, e io li tenni dietro.



CANTO II

[Canto secondo de la prima parte ne la quale fa proemio a la prima cantica cioè a la prima parte di questo libro solamente, e in questo canto tratta l'auttore come trovò Virgilio, il quale il fece sicuro del cammino per le tre donne che di lui aveano cura ne la corte del cielo.]





Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno
toglieva li animai che sono in terra
da le fatiche loro; e io sol uno

m'apparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
che ritrarrà la mente che non erra.

O muse, o alto ingegno, or m'aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch'io vidi,
qui si parrà la tua nobilitate.

Io cominciai: «Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtù s'ell' è possente,
prima ch'a l'alto passo tu mi fidi.

Tu dici che di Silvïo il parente,
corruttibile ancora, ad immortale
secolo andò, e fu sensibilmente.

Però, se l'avversario d'ogne male
cortese i fu, pensando l'alto effetto
ch'uscir dovea di lui, e 'l chi e 'l quale

non pare indegno ad omo d'intelletto;
ch'e' fu de l'alma Roma e di suo impero
ne l'empireo ciel per padre eletto:

la quale e 'l quale, a voler dir lo vero,
fu stabilita per lo loco santo
u' siede il successor del maggior Piero.

Per quest' andata onde li dai tu vanto,
intese cose che furon cagione
di sua vittoria e del papale ammanto.

Andovvi poi lo Vas d'elezïone,
per recarne conforto a quella fede
ch'è principio a la via di salvazione.

Ma io, perché venirvi? o chi 'l concede?
Io non Enëa, io non Paulo sono;
me degno a ciò né io né altri 'l crede.

Per che, se del venire io m'abbandono,
temo che la venuta non sia folle.
Se' savio; intendi me' ch'i' non ragiono».

E qual è quei che disvuol ciò che volle
e per novi pensier cangia proposta,
sì che dal cominciar tutto si tolle,

tal mi fec' ïo 'n quella oscura costa,
perché, pensando, consumai la 'mpresa
che fu nel cominciar cotanto tosta.

«S'i' ho ben la parola tua intesa»,
rispuose del magnanimo quell' ombra,
«l'anima tua è da viltade offesa;

la qual molte fïate l'omo ingombra
sì che d'onrata impresa lo rivolve,
come falso veder bestia quand' ombra.

Da questa tema acciò che tu ti solve,
dirotti perch' io venni e quel ch'io 'ntesi
nel primo punto che di te mi dolve.

Io era tra color che son sospesi,
e donna mi chiamò beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi.

Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
con angelica voce, in sua favella:

"O anima cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
e durerà quanto 'l mondo lontana,

l'amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che vòlt' è per paura;

e temo che non sia già sì smarrito,
ch'io mi sia tardi al soccorso levata,
per quel ch'i' ho di lui nel cielo udito.

Or movi, e con la tua parola ornata
e con ciò c'ha mestieri al suo campare,
l'aiuta sì ch'i' ne sia consolata.

I' son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
amor mi mosse, che mi fa parlare.

Quando sarò dinanzi al segnor mio,
di te mi loderò sovente a lui".
Tacette allora, e poi comincia' io:

"O donna di virtù sola per cui
l'umana spezie eccede ogne contento
di quel ciel c'ha minor li cerchi sui,

tanto m'aggrada il tuo comandamento,
che l'ubidir, se già fosse, m'è tardi;
più non t'è uo' ch'aprirmi il tuo talento.

Ma dimmi la cagion che non ti guardi
de lo scender qua giuso in questo centro
de l'ampio loco ove tornar tu ardi".

"Da che tu vuo' saver cotanto a dentro,
dirotti brievemente", mi rispuose,
"perch' i' non temo di venir qua entro.

Temer si dee di sole quelle cose
c'hanno potenza di fare altrui male;
de l'altre no, ché non son paurose.

I' son fatta da Dio, sua mercé, tale,
che la vostra miseria non mi tange,
né fiamma d'esto 'ncendio non m'assale.

Donna è gentil nel ciel che si compiange
di questo 'mpedimento ov' io ti mando,
sì che duro giudicio là sù frange.

Questa chiese Lucia in suo dimando
e disse: ? Or ha bisogno il tuo fedele
di te, e io a te lo raccomando ?.

Lucia, nimica di ciascun crudele,
si mosse, e venne al loco dov' i' era,
che mi sedea con l'antica Rachele.

Disse: ? Beatrice, loda di Dio vera,
ché non soccorri quei che t'amò tanto,
ch'uscì per te de la volgare schiera?

Non odi tu la pieta del suo pianto,
non vedi tu la morte che 'l combatte
su la fiumana ove 'l mar non ha vanto? ?.

Al mondo non fur mai persone ratte
a far lor pro o a fuggir lor danno,
com' io, dopo cotai parole fatte,

venni qua giù del mio beato scanno,
fidandomi del tuo parlare onesto,
ch'onora te e quei ch'udito l'hanno".

Poscia che m'ebbe ragionato questo,
li occhi lucenti lagrimando volse,
per che mi fece del venir più presto.

E venni a te così com' ella volse:
d'inanzi a quella fiera ti levai
che del bel monte il corto andar ti tolse.

Dunque: che è? perché, perché restai,
perché tanta viltà nel core allette,
perché ardire e franchezza non hai,

poscia che tai tre donne benedette
curan di te ne la corte del cielo,
e 'l mio parlar tanto ben ti promette?».

Quali fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che 'l sol li 'mbianca,
si drizzan tutti aperti in loro stelo,

tal mi fec' io di mia virtude stanca,
e tanto buono ardire al cor mi corse,
ch'i' cominciai come persona franca:

«Oh pietosa colei che mi soccorse!
e te cortese ch'ubidisti tosto
a le vere parole che ti porse!

Tu m'hai con disiderio il cor disposto
sì al venir con le parole tue,
ch'i' son tornato nel primo proposto.

Or va, ch'un sol volere è d'ambedue:
tu duca, tu segnore e tu maestro».
Così li dissi; e poi che mosso fue,

intrai per lo cammino alto e silvestro.



CANTO III

[Canto terzo, nel quale tratta de la porta e de l'entrata de l'inferno e del fiume d'Acheronte, de la pena di coloro che vissero sanza opere di fama degne, e come il demonio Caron li trae in sua nave e come elli parlò a l'auttore; e tocca qui questo vizio ne la persona di papa Cilestino.]





'Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
la somma sapïenza e 'l primo amore.

Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate'.

Queste parole di colore oscuro
vid' ïo scritte al sommo d'una porta;
per ch'io: «Maestro, il senso lor m'è duro».

Ed elli a me, come persona accorta:
«Qui si convien lasciare ogne sospetto;
ogne viltà convien che qui sia morta.

Noi siam venuti al loco ov' i' t'ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
c'hanno perduto il ben de l'intelletto».

E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond' io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose.

Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l'aere sanza stelle,
per ch'io al cominciar ne lagrimai.

Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d'ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle

facevano un tumulto, il qual s'aggira
sempre in quell' aura sanza tempo tinta,
come la rena quando turbo spira.

E io ch'avea d'error la testa cinta,
dissi: «Maestro, che è quel ch'i' odo?
e che gent' è che par nel duol sì vinta?».

Ed elli a me: «Questo misero modo
tegnon l'anime triste di coloro
che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.

Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.

Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli».

E io: «Maestro, che è tanto greve
a lor che lamentar li fa sì forte?».
Rispuose: «Dicerolti molto breve.

Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che 'nvidïosi son d'ogne altra sorte.

Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa».

E io, che riguardai, vidi una 'nsegna
che girando correva tanto ratta,
che d'ogne posa mi parea indegna;

e dietro le venìa sì lunga tratta
di gente, ch'i' non averei creduto
che morte tanta n'avesse disfatta.

Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l'ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.

Incontanente intesi e certo fui
che questa era la setta d'i cattivi,
a Dio spiacenti e a' nemici sui.

Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
erano ignudi e stimolati molto
da mosconi e da vespe ch'eran ivi.

Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, a' lor piedi
da fastidiosi vermi era ricolto.

E poi ch'a riguardar oltre mi diedi,
vidi genti a la riva d'un gran fiume;
per ch'io dissi: «Maestro, or mi concedi

ch'i' sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer sì pronte,
com' i' discerno per lo fioco lume».

Ed elli a me: «Le cose ti fier conte
quando noi fermerem li nostri passi
su la trista riviera d'Acheronte».

Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no 'l mio dir li fosse grave,
infino al fiume del parlar mi trassi.

Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: «Guai a voi, anime prave!

Non isperate mai veder lo cielo:
i' vegno per menarvi a l'altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.

E tu che se' costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti».
Ma poi che vide ch'io non mi partiva,

disse: «Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
più lieve legno convien che ti porti».

E 'l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare».

Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote.

Ma quell' anime, ch'eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che 'nteser le parole crude.

Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme
di lor semenza e di lor nascimenti.

Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
ch'attende ciascun uom che Dio non teme.

Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s'adagia.

Come d'autunno si levan le foglie
l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie,

similemente il mal seme d'Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo.

Così sen vanno su per l'onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s'auna.

«Figliuol mio», disse 'l maestro cortese,
«quelli che muoion ne l'ira di Dio
tutti convegnon qui d'ogne paese;

e pronti sono a trapassar lo rio,
ché la divina giustizia li sprona,
sì che la tema si volve in disio.

Quinci non passa mai anima buona;
e però, se Caron di te si lagna,
ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona».

Finito questo, la buia campagna
tremò sì forte, che de lo spavento
la mente di sudore ancor mi bagna.

La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento;

e caddi come l'uom cui sonno piglia.



CANTO IV

[Canto quarto, nel quale mostra del primo cerchio de l'inferno, luogo detto Limbo, e quivi tratta de la pena de' non battezzati e de' valenti uomini, li quali moriron innanzi l'avvenimento di Gesù Cristo e non conobbero debitamente Idio; e come Iesù Cristo trasse di questo luogo molte anime.]





Ruppemi l'alto sonno ne la testa
un greve truono, sì ch'io mi riscossi
come persona ch'è per forza desta;

e l'occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
per conoscer lo loco dov' io fossi.

Vero è che 'n su la proda mi trovai
de la valle d'abisso dolorosa
che 'ntrono accoglie d'infiniti guai.

Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
io non vi discernea alcuna cosa.

«Or discendiam qua giù nel cieco mondo»,
cominciò il poeta tutto smorto.
«Io sarò primo, e tu sarai secondo».

E io, che del color mi fui accorto,
dissi: «Come verrò, se tu paventi
che suoli al mio dubbiare esser conforto?».

Ed elli a me: «L'angoscia de le genti
che son qua giù, nel viso mi dipigne
quella pietà che tu per tema senti.

Andiam, ché la via lunga ne sospigne».
Così si mise e così mi fé intrare
nel primo cerchio che l'abisso cigne.

Quivi, secondo che per ascoltare,
non avea pianto mai che di sospiri
che l'aura etterna facevan tremare;

ciò avvenia di duol sanza martìri,
ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi,
d'infanti e di femmine e di viri.

Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi
che spiriti son questi che tu vedi?
Or vo' che sappi, innanzi che più andi,

ch'ei non peccaro; e s'elli hanno mercedi,
non basta, perché non ebber battesmo,
ch'è porta de la fede che tu credi;

e s'e' furon dinanzi al cristianesmo,
non adorar debitamente a Dio:
e di questi cotai son io medesmo.

Per tai difetti, non per altro rio,
semo perduti, e sol di tanto offesi
che sanza speme vivemo in disio».

Gran duol mi prese al cor quando lo 'ntesi,
però che gente di molto valore
conobbi che 'n quel limbo eran sospesi.

«Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,
comincia' io per volere esser certo
di quella fede che vince ogne errore:

«uscicci mai alcuno, o per suo merto
o per altrui, che poi fosse beato?».
E quei che 'ntese il mio parlar coverto,

rispuose: «Io era nuovo in questo stato,
quando ci vidi venire un possente,
con segno di vittoria coronato.

Trasseci l'ombra del primo parente,
d'Abèl suo figlio e quella di Noè,
di Moïsè legista e ubidente;

Abraàm patrïarca e Davìd re,
Israèl con lo padre e co' suoi nati
e con Rachele, per cui tanto fé,

e altri molti, e feceli beati.
E vo' che sappi che, dinanzi ad essi,
spiriti umani non eran salvati».

Non lasciavam l'andar perch' ei dicessi,
ma passavam la selva tuttavia,
la selva, dico, di spiriti spessi.

Non era lunga ancor la nostra via
di qua dal sonno, quand' io vidi un foco
ch'emisperio di tenebre vincia.

Di lungi n'eravamo ancora un poco,
ma non sì ch'io non discernessi in parte
ch'orrevol gente possedea quel loco.

«O tu ch'onori scïenzïa e arte,
questi chi son c'hanno cotanta onranza,
che dal modo de li altri li diparte?».

E quelli a me: «L'onrata nominanza
che di lor suona sù ne la tua vita,
grazïa acquista in ciel che sì li avanza».

Intanto voce fu per me udita:
«Onorate l'altissimo poeta;
l'ombra sua torna, ch'era dipartita».

Poi che la voce fu restata e queta,
vidi quattro grand' ombre a noi venire:
sembianz' avevan né trista né lieta.

Lo buon maestro cominciò a dire:
«Mira colui con quella spada in mano,
che vien dinanzi ai tre sì come sire:

quelli è Omero poeta sovrano;
l'altro è Orazio satiro che vene;
Ovidio è 'l terzo, e l'ultimo Lucano.

Però che ciascun meco si convene
nel nome che sonò la voce sola,
fannomi onore, e di ciò fanno bene».

Così vid' i' adunar la bella scola
di quel segnor de l'altissimo canto
che sovra li altri com' aquila vola.

Da ch'ebber ragionato insieme alquanto,
volsersi a me con salutevol cenno,
e 'l mio maestro sorrise di tanto;

e più d'onore ancora assai mi fenno,
ch'e' sì mi fecer de la loro schiera,
sì ch'io fui sesto tra cotanto senno.

Così andammo infino a la lumera,
parlando cose che 'l tacere è bello,
sì com' era 'l parlar colà dov' era.

Venimmo al piè d'un nobile castello,
sette volte cerchiato d'alte mura,
difeso intorno d'un bel fiumicello.

Questo passammo come terra dura;
per sette porte intrai con questi savi:
giugnemmo in prato di fresca verdura.

Genti v'eran con occhi tardi e gravi,
di grande autorità ne' lor sembianti:
parlavan rado, con voci soavi.

Traemmoci così da l'un de' canti,
in loco aperto, luminoso e alto,
sì che veder si potien tutti quanti.

Colà diritto, sovra 'l verde smalto,
mi fuor mostrati li spiriti magni,
che del vedere in me stesso m'essalto.

I' vidi Eletra con molti compagni,
tra ' quai conobbi Ettòr ed Enea,
Cesare armato con li occhi grifagni.

Vidi Cammilla e la Pantasilea;
da l'altra parte vidi 'l re Latino
che con Lavina sua figlia sedea.

Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia;
e solo, in parte, vidi 'l Saladino.

Poi ch'innalzai un poco più le ciglia,
vidi 'l maestro di color che sanno
seder tra filosofica famiglia.

Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
quivi vid' ïo Socrate e Platone,
che 'nnanzi a li altri più presso li stanno;

Democrito che 'l mondo a caso pone,
Dïogenès, Anassagora e Tale,
Empedoclès, Eraclito e Zenone;

e vidi il buono accoglitor del quale,
Dïascoride dico; e vidi Orfeo,
Tulïo e Lino e Seneca morale;

Euclide geomètra e Tolomeo,
Ipocràte, Avicenna e Galïeno,
Averoìs, che 'l gran comento feo.

Io non posso ritrar di tutti a pieno,
però che sì mi caccia il lungo tema,
che molte volte al fatto il dir vien meno.

La sesta compagnia in due si scema:
per altra via mi mena il savio duca,
fuor de la queta, ne l'aura che trema.

E vegno in parte ove non è che luca.



CANTO V

[Canto quinto, nel quale mostra del secondo cerchio de l'inferno, e tratta de la pena del vizio de la lussuria ne la persona di più famosi gentili uomini.]





Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia
e tanto più dolor, che punge a guaio.

Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia.

Dico che quando l'anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata

vede qual loco d'inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.

Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
dicono e odono e poi son giù volte.

«O tu che vieni al doloroso ospizio»,
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l'atto di cotanto offizio,

«guarda com' entri e di cui tu ti fide;
non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!».
E 'l duca mio a lui: «Perché pur gride?

Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare».

Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote.

Io venni in loco d'ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.

La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta.

Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.

Intesi ch'a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.

E come li stornei ne portan l'ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali

di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.

E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid' io venir, traendo guai,

ombre portate da la detta briga;
per ch'i' dissi: «Maestro, chi son quelle
genti che l'aura nera sì gastiga?».

«La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper», mi disse quelli allotta,
«fu imperadrice di molte favelle.

A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.

Ell' è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che 'l Soldan corregge.

L'altra è colei che s'ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussurïosa.

Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.

Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch'amor di nostra vita dipartille.

Poscia ch'io ebbi 'l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.

I' cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggieri».

Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno».

Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s'altri nol niega!».

Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere, dal voler portate;

cotali uscir de la schiera ov' è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
sì forte fu l'affettüoso grido.

«O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,

se fosse amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c'hai pietà del nostro mal perverso.

Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che 'l vento, come fa, ci tace.

Siede la terra dove nata fui
su la marina dove 'l Po discende
per aver pace co' seguaci sui.

Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.

Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.

Quand' io intesi quell' anime offense,
china' il viso, e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?».

Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!».

Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.

Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?».

E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.

Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.

Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».

Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com' io morisse.

E caddi come corpo morto cade.



CANTO VI

[Canto sesto, nel quale mostra del terzo cerchio de l'inferno e tratta del punimento del vizio de la gola, e massimamente in persona d'un fiorentino chiamato Ciacco; in confusione di tutt'i buffoni tratta del dimonio Cerbero e narra in forma di predicere più cose a divenire a la città di Fiorenza.]





Al tornar de la mente, che si chiuse
dinanzi a la pietà d'i due cognati,
che di trestizia tutto mi confuse,

novi tormenti e novi tormentati
mi veggio intorno, come ch'io mi mova
e ch'io mi volga, e come che io guati.

Io sono al terzo cerchio, de la piova
etterna, maladetta, fredda e greve;
regola e qualità mai non l'è nova.

Grandine grossa, acqua tinta e neve
per l'aere tenebroso si riversa;
pute la terra che questo riceve.

Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.

Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e 'l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti ed iscoia ed isquatra.

Urlar li fa la pioggia come cani;
de l'un de' lati fanno a l'altro schermo;
volgonsi spesso i miseri profani.

Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
non avea membro che tenesse fermo.

E 'l duca mio distese le sue spanne,
prese la terra, e con piene le pugna
la gittò dentro a le bramose canne.

Qual è quel cane ch'abbaiando agogna,
e si racqueta poi che 'l pasto morde,
ché solo a divorarlo intende e pugna,

cotai si fecer quelle facce lorde
de lo demonio Cerbero, che 'ntrona
l'anime sì, ch'esser vorrebber sorde.

Noi passavam su per l'ombre che adona
la greve pioggia, e ponavam le piante
sovra lor vanità che par persona.

Elle giacean per terra tutte quante,
fuor d'una ch'a seder si levò, ratto
ch'ella ci vide passarsi davante.

«O tu che se' per questo 'nferno tratto»,
mi disse, «riconoscimi, se sai:
tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto».

E io a lui: «L'angoscia che tu hai
forse ti tira fuor de la mia mente,
sì che non par ch'i' ti vedessi mai.

Ma dimmi chi tu se' che 'n sì dolente
loco se' messo, e hai sì fatta pena,
che, s'altra è maggio, nulla è sì spiacente».

Ed elli a me: «La tua città, ch'è piena
d'invidia sì che già trabocca il sacco,
seco mi tenne in la vita serena.

Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,
come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.

E io anima trista non son sola,
ché tutte queste a simil pena stanno
per simil colpa». E più non fé parola.

Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno
mi pesa sì, ch'a lagrimar mi 'nvita;
ma dimmi, se tu sai, a che verranno

li cittadin de la città partita;
s'alcun v'è giusto; e dimmi la cagione
per che l'ha tanta discordia assalita».

E quelli a me: «Dopo lunga tencione
verranno al sangue, e la parte selvaggia
caccerà l'altra con molta offensione.

Poi appresso convien che questa caggia
infra tre soli, e che l'altra sormonti
con la forza di tal che testé piaggia.

Alte terrà lungo tempo le fronti,
tenendo l'altra sotto gravi pesi,
come che di ciò pianga o che n'aonti.

Giusti son due, e non vi sono intesi;
superbia, invidia e avarizia sono
le tre faville c'hanno i cuori accesi».

Qui puose fine al lagrimabil suono.
E io a lui: «Ancor vo' che mi 'nsegni
e che di più parlar mi facci dono.

Farinata e 'l Tegghiaio, che fuor sì degni,
Iacopo Rusticucci, Arrigo e 'l Mosca
e li altri ch'a ben far puoser li 'ngegni,

dimmi ove sono e fa ch'io li conosca;
ché gran disio mi stringe di savere
se 'l ciel li addolcia o lo 'nferno li attosca».

E quelli: «Ei son tra l'anime più nere;
diverse colpe giù li grava al fondo:
se tanto scendi, là i potrai vedere.

Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
priegoti ch'a la mente altrui mi rechi:
più non ti dico e più non ti rispondo».

Li diritti occhi torse allora in biechi;
guardommi un poco e poi chinò la testa:
cadde con essa a par de li altri ciechi.

E 'l duca disse a me: «Più non si desta
di qua dal suon de l'angelica tromba,
quando verrà la nimica podesta:

ciascun rivederà la trista tomba,
ripiglierà sua carne e sua figura,
udirà quel ch'in etterno rimbomba».

Sì trapassammo per sozza mistura
de l'ombre e de la pioggia, a passi lenti,
toccando un poco la vita futura;

per ch'io dissi: «Maestro, esti tormenti
crescerann' ei dopo la gran sentenza,
o fier minori, o saran sì cocenti?».

Ed elli a me: «Ritorna a tua scïenza,
che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
più senta il bene, e così la doglienza.

Tutto che questa gente maladetta
in vera perfezion già mai non vada,
di là più che di qua essere aspetta».

Noi aggirammo a tondo quella strada,
parlando più assai ch'i' non ridico;
venimmo al punto dove si digrada:

quivi trovammo Pluto, il gran nemico.



CANTO VII

[Canto settimo, dove si dimostra del quarto cerchio de l'inferno e alquanto del quinto; qui pone la pena del peccato de l'avarizia e del vizio de la prodigalità; e del dimonio Pluto; e quello che è fortuna.]





«Pape Satàn, pape Satàn aleppe!»,
cominciò Pluto con la voce chioccia;
e quel savio gentil, che tutto seppe,

disse per confortarmi: «Non ti noccia
la tua paura; ché, poder ch'elli abbia,
non ci torrà lo scender questa roccia».

Poi si rivolse a quella 'nfiata labbia,
e disse: «Taci, maladetto lupo!
consuma dentro te con la tua rabbia.

Non è sanza cagion l'andare al cupo:
vuolsi ne l'alto, là dove Michele
fé la vendetta del superbo strupo».

Quali dal vento le gonfiate vele
caggiono avvolte, poi che l'alber fiacca,
tal cadde a terra la fiera crudele.

Così scendemmo ne la quarta lacca,
pigliando più de la dolente ripa
che 'l mal de l'universo tutto insacca.

Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa
nove travaglie e pene quant' io viddi?
e perché nostra colpa sì ne scipa?

Come fa l'onda là sovra Cariddi,
che si frange con quella in cui s'intoppa,
così convien che qui la gente riddi.

Qui vid' i' gente più ch'altrove troppa,
e d'una parte e d'altra, con grand' urli,
voltando pesi per forza di poppa.

Percotëansi 'ncontro; e poscia pur lì
si rivolgea ciascun, voltando a retro,
gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?».

Così tornavan per lo cerchio tetro
da ogne mano a l'opposito punto,
gridandosi anche loro ontoso metro;

poi si volgea ciascun, quand' era giunto,
per lo suo mezzo cerchio a l'altra giostra.
E io, ch'avea lo cor quasi compunto,

dissi: «Maestro mio, or mi dimostra
che gente è questa, e se tutti fuor cherci
questi chercuti a la sinistra nostra».

Ed elli a me: «Tutti quanti fuor guerci
sì de la mente in la vita primaia,
che con misura nullo spendio ferci.

Assai la voce lor chiaro l'abbaia,
quando vegnono a' due punti del cerchio
dove colpa contraria li dispaia.

Questi fuor cherci, che non han coperchio
piloso al capo, e papi e cardinali,
in cui usa avarizia il suo soperchio».

E io: «Maestro, tra questi cotali
dovre' io ben riconoscere alcuni
che furo immondi di cotesti mali».

Ed elli a me: «Vano pensiero aduni:
la sconoscente vita che i fé sozzi,
ad ogne conoscenza or li fa bruni.

In etterno verranno a li due cozzi:
questi resurgeranno del sepulcro
col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.

Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
qual ella sia, parole non ci appulcro.

Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
d'i ben che son commessi a la fortuna,
per che l'umana gente si rabuffa;

ché tutto l'oro ch'è sotto la luna
e che già fu, di quest' anime stanche
non poterebbe farne posare una».

«Maestro mio», diss' io, «or mi dì anche:
questa fortuna di che tu mi tocche,
che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?».

E quelli a me: «Oh creature sciocche,
quanta ignoranza è quella che v'offende!
Or vo' che tu mia sentenza ne 'mbocche.

Colui lo cui saver tutto trascende,
fece li cieli e diè lor chi conduce
sì, ch'ogne parte ad ogne parte splende,

distribuendo igualmente la luce.
Similemente a li splendor mondani
ordinò general ministra e duce

che permutasse a tempo li ben vani
di gente in gente e d'uno in altro sangue,
oltre la difension d'i senni umani;

per ch'una gente impera e l'altra langue,
seguendo lo giudicio di costei,
che è occulto come in erba l'angue.

Vostro saver non ha contasto a lei:
questa provede, giudica, e persegue
suo regno come il loro li altri dèi.

Le sue permutazion non hanno triegue:
necessità la fa esser veloce;
sì spesso vien chi vicenda consegue.

Quest' è colei ch'è tanto posta in croce
pur da color che le dovrien dar lode,
dandole biasmo a torto e mala voce;

ma ella s'è beata e ciò non ode:
con l'altre prime creature lieta
volve sua spera e beata si gode.

Or discendiamo omai a maggior pieta;
già ogne stella cade che saliva
quand' io mi mossi, e 'l troppo star si vieta».

Noi ricidemmo il cerchio a l'altra riva
sovr' una fonte che bolle e riversa
per un fossato che da lei deriva.

L'acqua era buia assai più che persa;
e noi, in compagnia de l'onde bige,
intrammo giù per una via diversa.

In la palude va c'ha nome Stige
questo tristo ruscel, quand' è disceso
al piè de le maligne piagge grige.

E io, che di mirare stava inteso,
vidi genti fangose in quel pantano,
ignude tutte, con sembiante offeso.

Queste si percotean non pur con mano,
ma con la testa e col petto e coi piedi,
troncandosi co' denti a brano a brano.

Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi
l'anime di color cui vinse l'ira;
e anche vo' che tu per certo credi

che sotto l'acqua è gente che sospira,
e fanno pullular quest' acqua al summo,
come l'occhio ti dice, u' che s'aggira.

Fitti nel limo dicon: "Tristi fummo
ne l'aere dolce che dal sol s'allegra,
portando dentro accidïoso fummo:

or ci attristiam ne la belletta negra".
Quest' inno si gorgoglian ne la strozza,
ché dir nol posson con parola integra».

Così girammo de la lorda pozza
grand' arco, tra la ripa secca e 'l mézzo,
con li occhi vòlti a chi del fango ingozza.

Venimmo al piè d'una torre al da sezzo.



CANTO VIII

[Canto ottavo, ove tratta del quinto cerchio de l'inferno e alquanto del sesto, e de la pena del peccato de l'ira, massimamente in persona d'uno cavaliere fiorentino chiamato messer Filippo Argenti, e del dimonio Flegias e de la palude di Stige e del pervenire a la città d'inferno detta Dite.]





Io dico, seguitando, ch'assai prima
che noi fossimo al piè de l'alta torre,
li occhi nostri n'andar suso a la cima

per due fiammette che i vedemmo porre,
e un'altra da lungi render cenno,
tanto ch'a pena il potea l'occhio tòrre.

E io mi volsi al mar di tutto 'l senno;
dissi: «Questo che dice? e che risponde
quell' altro foco? e chi son quei che 'l fenno?».

Ed elli a me: «Su per le sucide onde
già scorgere puoi quello che s'aspetta,
se 'l fummo del pantan nol ti nasconde».

Corda non pinse mai da sé saetta
che sì corresse via per l'aere snella,
com' io vidi una nave piccioletta

venir per l'acqua verso noi in quella,
sotto 'l governo d'un sol galeoto,
che gridava: «Or se' giunta, anima fella!».

«Flegïàs, Flegïàs, tu gridi a vòto»,
disse lo mio segnore, «a questa volta:
più non ci avrai che sol passando il loto».

Qual è colui che grande inganno ascolta
che li sia fatto, e poi se ne rammarca,
fecesi Flegïàs ne l'ira accolta.

Lo duca mio discese ne la barca,
e poi mi fece intrare appresso lui;
e sol quand' io fui dentro parve carca.

Tosto che 'l duca e io nel legno fui,
segando se ne va l'antica prora
de l'acqua più che non suol con altrui.

Mentre noi corravam la morta gora,
dinanzi mi si fece un pien di fango,
e disse: «Chi se' tu che vieni anzi ora?».

E io a lui: «S'i' vegno, non rimango;
ma tu chi se', che sì se' fatto brutto?».
Rispuose: «Vedi che son un che piango».

E io a lui: «Con piangere e con lutto,
spirito maladetto, ti rimani;
ch'i' ti conosco, ancor sie lordo tutto».

Allor distese al legno ambo le mani;
per che 'l maestro accorto lo sospinse,
dicendo: «Via costà con li altri cani!».

Lo collo poi con le braccia mi cinse;
basciommi 'l volto e disse: «Alma sdegnosa,
benedetta colei che 'n te s'incinse!

Quei fu al mondo persona orgogliosa;
bontà non è che sua memoria fregi:
così s'è l'ombra sua qui furïosa.

Quanti si tegnon or là sù gran regi
che qui staranno come porci in brago,
di sé lasciando orribili dispregi!».

E io: «Maestro, molto sarei vago
di vederlo attuffare in questa broda
prima che noi uscissimo del lago».

Ed elli a me: «Avante che la proda
ti si lasci veder, tu sarai sazio:
di tal disïo convien che tu goda».

Dopo ciò poco vid' io quello strazio
far di costui a le fangose genti,
che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.

Tutti gridavano: «A Filippo Argenti!»;
e 'l fiorentino spirito bizzarro
in sé medesmo si volvea co' denti.

Quivi il lasciammo, che più non ne narro;
ma ne l'orecchie mi percosse un duolo,
per ch'io avante l'occhio intento sbarro.

Lo buon maestro disse: «Omai, figliuolo,
s'appressa la città c'ha nome Dite,
coi gravi cittadin, col grande stuolo».

E io: «Maestro, già le sue meschite
là entro certe ne la valle cerno,
vermiglie come se di foco uscite

fossero». Ed ei mi disse: «Il foco etterno
ch'entro l'affoca le dimostra rosse,
come tu vedi in questo basso inferno».

Noi pur giugnemmo dentro a l'alte fosse
che vallan quella terra sconsolata:
le mura mi parean che ferro fosse.

Non sanza prima far grande aggirata,
venimmo in parte dove il nocchier forte
«Usciteci», gridò: «qui è l'intrata».

Io vidi più di mille in su le porte
da ciel piovuti, che stizzosamente
dicean: «Chi è costui che sanza morte

va per lo regno de la morta gente?».
E 'l savio mio maestro fece segno
di voler lor parlar segretamente.

Allor chiusero un poco il gran disdegno
e disser: «Vien tu solo, e quei sen vada
che sì ardito intrò per questo regno.

Sol si ritorni per la folle strada:
pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai,
che li ha' iscorta sì buia contrada».

Pensa, lettor, se io mi sconfortai
nel suon de le parole maladette,
ché non credetti ritornarci mai.

«O caro duca mio, che più di sette
volte m'hai sicurtà renduta e tratto
d'alto periglio che 'ncontra mi stette,

non mi lasciar», diss' io, «così disfatto;
e se 'l passar più oltre ci è negato,
ritroviam l'orme nostre insieme ratto».

E quel segnor che lì m'avea menato,
mi disse: «Non temer; ché 'l nostro passo
non ci può tòrre alcun: da tal n'è dato.

Ma qui m'attendi, e lo spirito lasso
conforta e ciba di speranza buona,
ch'i' non ti lascerò nel mondo basso».

Così sen va, e quivi m'abbandona
lo dolce padre, e io rimagno in forse,
che sì e no nel capo mi tenciona.

Udir non potti quello ch'a lor porse;
ma ei non stette là con essi guari,
che ciascun dentro a pruova si ricorse.

Chiuser le porte que' nostri avversari
nel petto al mio segnor, che fuor rimase
e rivolsesi a me con passi rari.

Li occhi a la terra e le ciglia avea rase
d'ogne baldanza, e dicea ne' sospiri:
«Chi m'ha negate le dolenti case!».

E a me disse: «Tu, perch' io m'adiri,
non sbigottir, ch'io vincerò la prova,
qual ch'a la difension dentro s'aggiri.

Questa lor tracotanza non è nova;
ché già l'usaro a men segreta porta,
la qual sanza serrame ancor si trova.

Sovr' essa vedestù la scritta morta:
e già di qua da lei discende l'erta,
passando per li cerchi sanza scorta,

tal che per lui ne fia la terra aperta».



CANTO IX

[Canto nono, ove tratta e dimostra de la cittade c'ha nome Dite, la qual si è nel sesto cerchio de l'inferno e vedesi messa la qualità de le pene de li eretici; e dichiara in questo canto Virgilio a Dante una questione, e rendelo sicuro dicendo sé esservi stato dentro altra fiata.]





Quel color che viltà di fuor mi pinse
veggendo il duca mio tornare in volta,
più tosto dentro il suo novo ristrinse.

Attento si fermò com' uom ch'ascolta;
ché l'occhio nol potea menare a lunga
per l'aere nero e per la nebbia folta.

«Pur a noi converrà vincer la punga»,
cominciò el, «se non... Tal ne s'offerse.
Oh quanto tarda a me ch'altri qui giunga!».

I' vidi ben sì com' ei ricoperse
lo cominciar con l'altro che poi venne,
che fur parole a le prime diverse;

ma nondimen paura il suo dir dienne,
perch' io traeva la parola tronca
forse a peggior sentenzia che non tenne.

«In questo fondo de la trista conca
discende mai alcun del primo grado,
che sol per pena ha la speranza cionca?».

Questa question fec' io; e quei «Di rado
incontra», mi rispuose, «che di noi
faccia il cammino alcun per qual io vado.

Ver è ch'altra fïata qua giù fui,
congiurato da quella Eritón cruda
che richiamava l'ombre a' corpi sui.

Di poco era di me la carne nuda,
ch'ella mi fece intrar dentr' a quel muro,
per trarne un spirto del cerchio di Giuda.

Quell' è 'l più basso loco e 'l più oscuro,
e 'l più lontan dal ciel che tutto gira:
ben so 'l cammin; però ti fa sicuro.

Questa palude che 'l gran puzzo spira
cigne dintorno la città dolente,
u' non potemo intrare omai sanz' ira».

E altro disse, ma non l'ho a mente;
però che l'occhio m'avea tutto tratto
ver' l'alta torre a la cima rovente,

dove in un punto furon dritte ratto
tre furïe infernal di sangue tinte,
che membra feminine avieno e atto,

e con idre verdissime eran cinte;
serpentelli e ceraste avien per crine,
onde le fiere tempie erano avvinte.

E quei, che ben conobbe le meschine
de la regina de l'etterno pianto,
«Guarda», mi disse, «le feroci Erine.

Quest' è Megera dal sinistro canto;
quella che piange dal destro è Aletto;
Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto.

Con l'unghie si fendea ciascuna il petto;
battiensi a palme e gridavan sì alto,
ch'i' mi strinsi al poeta per sospetto.

«Vegna Medusa: sì 'l farem di smalto»,
dicevan tutte riguardando in giuso;
«mal non vengiammo in Tesëo l'assalto».

«Volgiti 'n dietro e tien lo viso chiuso;
ché se 'l Gorgón si mostra e tu 'l vedessi,
nulla sarebbe di tornar mai suso».

Così disse 'l maestro; ed elli stessi
mi volse, e non si tenne a le mie mani,
che con le sue ancor non mi chiudessi.

O voi ch'avete li 'ntelletti sani,
mirate la dottrina che s'asconde
sotto 'l velame de li versi strani.

E già venìa su per le torbide onde
un fracasso d'un suon, pien di spavento,
per cui tremavano amendue le sponde,

non altrimenti fatto che d'un vento
impetüoso per li avversi ardori,
che fier la selva e sanz' alcun rattento

li rami schianta, abbatte e porta fori;
dinanzi polveroso va superbo,
e fa fuggir le fiere e li pastori.

Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo
del viso su per quella schiuma antica
per indi ove quel fummo è più acerbo».

Come le rane innanzi a la nimica
biscia per l'acqua si dileguan tutte,
fin ch'a la terra ciascuna s'abbica,

vid' io più di mille anime distrutte
fuggir così dinanzi ad un ch'al passo
passava Stige con le piante asciutte.

Dal volto rimovea quell' aere grasso,
menando la sinistra innanzi spesso;
e sol di quell' angoscia parea lasso.

Ben m'accorsi ch'elli era da ciel messo,
e volsimi al maestro; e quei fé segno
ch'i' stessi queto ed inchinassi ad esso.

Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
Venne a la porta e con una verghetta
l'aperse, che non v'ebbe alcun ritegno.

«O cacciati del ciel, gente dispetta»,
cominciò elli in su l'orribil soglia,
«ond' esta oltracotanza in voi s'alletta?

Perché recalcitrate a quella voglia
a cui non puote il fin mai esser mozzo,
e che più volte v'ha cresciuta doglia?

Che giova ne le fata dar di cozzo?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
ne porta ancor pelato il mento e 'l gozzo».

Poi si rivolse per la strada lorda,
e non fé motto a noi, ma fé sembiante
d'omo cui altra cura stringa e morda

che quella di colui che li è davante;
e noi movemmo i piedi inver' la terra,
sicuri appresso le parole sante.

Dentro li 'ntrammo sanz' alcuna guerra;
e io, ch'avea di riguardar disio
la condizion che tal fortezza serra,

com' io fui dentro, l'occhio intorno invio:
e veggio ad ogne man grande campagna,
piena di duolo e di tormento rio.

Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,
sì com' a Pola, presso del Carnaro
ch'Italia chiude e suoi termini bagna,

fanno i sepulcri tutt' il loco varo,
così facevan quivi d'ogne parte,
salvo che 'l modo v'era più amaro;

ché tra li avelli fiamme erano sparte,
per le quali eran sì del tutto accesi,
che ferro più non chiede verun' arte.

Tutti li lor coperchi eran sospesi,
e fuor n'uscivan sì duri lamenti,
che ben parean di miseri e d'offesi.

E io: «Maestro, quai son quelle genti
che, seppellite dentro da quell' arche,
si fan sentir coi sospiri dolenti?».

E quelli a me: «Qui son li eresïarche
con lor seguaci, d'ogne setta, e molto
più che non credi son le tombe carche.

Simile qui con simile è sepolto,
e i monimenti son più e men caldi».
E poi ch'a la man destra si fu vòlto,

passammo tra i martìri e li alti spaldi.



CANTO X

[Canto decimo, ove tratta del sesto cerchio de l'inferno e de la pena de li eretici, e in forma d'indovinare in persona di messer Farinata predice molte cose e di quelle che avvennero a Dante, e solve una questione.]





Ora sen va per un secreto calle,
tra 'l muro de la terra e li martìri,
lo mio maestro, e io dopo le spalle.

«O virtù somma, che per li empi giri
mi volvi», cominciai, «com' a te piace,
parlami, e sodisfammi a' miei disiri.

La gente che per li sepolcri giace
potrebbesi veder? già son levati
tutt' i coperchi, e nessun guardia face».

E quelli a me: «Tutti saran serrati
quando di Iosafàt qui torneranno
coi corpi che là sù hanno lasciati.

Suo cimitero da questa parte hanno
con Epicuro tutti suoi seguaci,
che l'anima col corpo morta fanno.

Però a la dimanda che mi faci
quinc' entro satisfatto sarà tosto,
e al disio ancor che tu mi taci».

E io: «Buon duca, non tegno riposto
a te mio cuor se non per dicer poco,
e tu m'hai non pur mo a ciò disposto».

«O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco.

La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patrïa natio,
a la qual forse fui troppo molesto».

Subitamente questo suono uscìo
d'una de l'arche; però m'accostai,
temendo, un poco più al duca mio.

Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s'è dritto:
da la cintola in sù tutto 'l vedrai».

Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s'ergea col petto e con la fronte
com' avesse l'inferno a gran dispitto.

E l'animose man del duca e pronte
mi pinser tra le sepulture a lui,
dicendo: «Le parole tue sien conte».

Com' io al piè de la sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?».

Io ch'era d'ubidir disideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel' apersi;
ond' ei levò le ciglia un poco in suso;

poi disse: «Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
sì che per due fïate li dispersi».

«S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogne parte»,
rispuos' io lui, «l'una e l'altra fïata;
ma i vostri non appreser ben quell' arte».

Allor surse a la vista scoperchiata
un'ombra, lungo questa, infino al mento:
credo che s'era in ginocchie levata.

Dintorno mi guardò, come talento
avesse di veder s'altri era meco;
e poi che 'l sospecciar fu tutto spento,

piangendo disse: «Se per questo cieco
carcere vai per altezza d'ingegno,
mio figlio ov' è? e perché non è teco?».

E io a lui: «Da me stesso non vegno:
colui ch'attende là, per qui mi mena
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno».

Le sue parole e 'l modo de la pena
m'avean di costui già letto il nome;
però fu la risposta così piena.

Di sùbito drizzato gridò: «Come?
dicesti "elli ebbe"? non viv' elli ancora?
non fiere li occhi suoi lo dolce lume?».

Quando s'accorse d'alcuna dimora
ch'io facëa dinanzi a la risposta,
supin ricadde e più non parve fora.

Ma quell' altro magnanimo, a cui posta
restato m'era, non mutò aspetto,
né mosse collo, né piegò sua costa;

e sé continüando al primo detto,
«S'elli han quell' arte», disse, «male appresa,
ciò mi tormenta più che questo letto.

Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
che tu saprai quanto quell' arte pesa.

E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi: perché quel popolo è sì empio
incontr' a' miei in ciascuna sua legge?».

Ond' io a lui: «Lo strazio e 'l grande scempio
che fece l'Arbia colorata in rosso,
tal orazion fa far nel nostro tempio».

Poi ch'ebbe sospirando il capo mosso,
«A ciò non fu' io sol», disse, «né certo
sanza cagion con li altri sarei mosso.

Ma fu' io solo, là dove sofferto
fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
colui che la difesi a viso aperto».

«Deh, se riposi mai vostra semenza»,
prega' io lui, «solvetemi quel nodo
che qui ha 'nviluppata mia sentenza.

El par che voi veggiate, se ben odo,
dinanzi quel che 'l tempo seco adduce,
e nel presente tenete altro modo».

«Noi veggiam, come quei c'ha mala luce,
le cose», disse, «che ne son lontano;
cotanto ancor ne splende il sommo duce.

Quando s'appressano o son, tutto è vano
nostro intelletto; e s'altri non ci apporta,
nulla sapem di vostro stato umano.

Però comprender puoi che tutta morta
fia nostra conoscenza da quel punto
che del futuro fia chiusa la porta».

Allor, come di mia colpa compunto,
dissi: «Or direte dunque a quel caduto
che 'l suo nato è co' vivi ancor congiunto;

e s'i' fui, dianzi, a la risposta muto,
fate i saper che 'l fei perché pensava
già ne l'error che m'avete soluto».

E già 'l maestro mio mi richiamava;
per ch'i' pregai lo spirto più avaccio
che mi dicesse chi con lu' istava.

Dissemi: «Qui con più di mille giaccio:
qua dentro è 'l secondo Federico
e 'l Cardinale; e de li altri mi taccio».

Indi s'ascose; e io inver' l'antico
poeta volsi i passi, ripensando
a quel parlar che mi parea nemico.

Elli si mosse; e poi, così andando,
mi disse: «Perché se' tu sì smarrito?».
E io li sodisfeci al suo dimando.

«La mente tua conservi quel ch'udito
hai contra te», mi comandò quel saggio;
«e ora attendi qui», e drizzò 'l dito:

«quando sarai dinanzi al dolce raggio
di quella il cui bell' occhio tutto vede,
da lei saprai di tua vita il vïaggio».

Appresso mosse a man sinistra il piede:
lasciammo il muro e gimmo inver' lo mezzo
per un sentier ch'a una valle fiede,

che 'nfin là sù facea spiacer suo lezzo.



CANTO XI

[Canto undecimo, nel quale tratta de' tre cerchi disotto d'inferno, e distingue de le genti che dentro vi sono punite, e che quivi più che altrove; e solve una questione.]





In su l'estremità d'un'alta ripa
che facevan gran pietre rotte in cerchio,
venimmo sopra più crudele stipa;

e quivi, per l'orribile soperchio
del puzzo che 'l profondo abisso gitta,
ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio

d'un grand' avello, ov' io vidi una scritta
che dicea: 'Anastasio papa guardo,
lo qual trasse Fotin de la via dritta'.

«Lo nostro scender conviene esser tardo,
sì che s'ausi un poco in prima il senso
al tristo fiato; e poi no i fia riguardo».

Così 'l maestro; e io «Alcun compenso»,
dissi lui, «trova che 'l tempo non passi
perduto». Ed elli: «Vedi ch'a ciò penso».

«Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,
cominciò poi a dir, «son tre cerchietti
di grado in grado, come que' che lassi.

Tutti son pien di spirti maladetti;
ma perché poi ti basti pur la vista,
intendi come e perché son costretti.

D'ogne malizia, ch'odio in cielo acquista,
ingiuria è 'l fine, ed ogne fin cotale
o con forza o con frode altrui contrista.

Ma perché frode è de l'uom proprio male,
più spiace a Dio; e però stan di sotto
li frodolenti, e più dolor li assale.

Di vïolenti il primo cerchio è tutto;
ma perché si fa forza a tre persone,
in tre gironi è distinto e costrutto.

A Dio, a sé, al prossimo si pòne
far forza, dico in loro e in lor cose,
come udirai con aperta ragione.

Morte per forza e ferute dogliose
nel prossimo si danno, e nel suo avere
ruine, incendi e tollette dannose;

onde omicide e ciascun che mal fiere,
guastatori e predon, tutti tormenta
lo giron primo per diverse schiere.

Puote omo avere in sé man vïolenta
e ne' suoi beni; e però nel secondo
giron convien che sanza pro si penta

qualunque priva sé del vostro mondo,
biscazza e fonde la sua facultade,
e piange là dov' esser de' giocondo.

Puossi far forza ne la deïtade,
col cor negando e bestemmiando quella,
e spregiando natura e sua bontade;

e però lo minor giron suggella
del segno suo e Soddoma e Caorsa
e chi, spregiando Dio col cor, favella.

La frode, ond' ogne coscïenza è morsa,
può l'omo usare in colui che 'n lui fida
e in quel che fidanza non imborsa.

Questo modo di retro par ch'incida
pur lo vinco d'amor che fa natura;
onde nel cerchio secondo s'annida

ipocresia, lusinghe e chi affattura,
falsità, ladroneccio e simonia,
ruffian, baratti e simile lordura.

Per l'altro modo quell' amor s'oblia
che fa natura, e quel ch'è poi aggiunto,
di che la fede spezïal si cria;

onde nel cerchio minore, ov' è 'l punto
de l'universo in su che Dite siede,
qualunque trade in etterno è consunto».

E io: «Maestro, assai chiara procede
la tua ragione, e assai ben distingue
questo baràtro e 'l popol ch'e' possiede.

Ma dimmi: quei de la palude pingue,
che mena il vento, e che batte la pioggia,
e che s'incontran con sì aspre lingue,

perché non dentro da la città roggia
sono ei puniti, se Dio li ha in ira?
e se non li ha, perché sono a tal foggia?».

Ed elli a me «Perché tanto delira»,
disse, «lo 'ngegno tuo da quel che sòle?
o ver la mente dove altrove mira?

Non ti rimembra di quelle parole
con le quai la tua Etica pertratta
le tre disposizion che 'l ciel non vole,

incontenenza, malizia e la matta
bestialitade? e come incontenenza
men Dio offende e men biasimo accatta?

Se tu riguardi ben questa sentenza,
e rechiti a la mente chi son quelli
che sù di fuor sostegnon penitenza,

tu vedrai ben perché da questi felli
sien dipartiti, e perché men crucciata
la divina vendetta li martelli».

«O sol che sani ogne vista turbata,
tu mi contenti sì quando tu solvi,
che, non men che saver, dubbiar m'aggrata.

Ancora in dietro un poco ti rivolvi»,
diss' io, «là dove di' ch'usura offende
la divina bontade, e 'l groppo solvi».

«Filosofia», mi disse, «a chi la 'ntende,
nota, non pure in una sola parte,
come natura lo suo corso prende

dal divino 'ntelletto e da sua arte;
e se tu ben la tua Fisica note,
tu troverai, non dopo molte carte,

che l'arte vostra quella, quanto pote,
segue, come 'l maestro fa 'l discente;
sì che vostr' arte a Dio quasi è nepote.

Da queste due, se tu ti rechi a mente
lo Genesì dal principio, convene
prender sua vita e avanzar la gente;

e perché l'usuriere altra via tene,
per sé natura e per la sua seguace
dispregia, poi ch'in altro pon la spene.

Ma seguimi oramai che 'l gir mi piace;
ché i Pesci guizzan su per l'orizzonta,
e 'l Carro tutto sovra 'l Coro giace,

e 'l balzo via là oltra si dismonta».



CANTO XII

[Canto XII, ove tratta del discendimento nel settimo cerchio d'inferno, e de le pene di quelli che fecero forza in persona de' tiranni, e qui tratta di Minotauro e del fiume del sangue, e come per uno centauro furono scorti e guidati sicuri oltre il fiume.]





Era lo loco ov' a scender la riva
venimmo, alpestro e, per quel che v'er' anco,
tal, ch'ogne vista ne sarebbe schiva.

Qual è quella ruina che nel fianco
di qua da Trento l'Adice percosse,
o per tremoto o per sostegno manco,

che da cima del monte, onde si mosse,
al piano è sì la roccia discoscesa,
ch'alcuna via darebbe a chi sù fosse:

cotal di quel burrato era la scesa;
e 'n su la punta de la rotta lacca
l'infamïa di Creti era distesa

che fu concetta ne la falsa vacca;
e quando vide noi, sé stesso morse,
sì come quei cui l'ira dentro fiacca.

Lo savio mio inver' lui gridò: «Forse
tu credi che qui sia 'l duca d'Atene,
che sù nel mondo la morte ti porse?

Pàrtiti, bestia, ché questi non vene
ammaestrato da la tua sorella,
ma vassi per veder le vostre pene».

Qual è quel toro che si slaccia in quella
c'ha ricevuto già 'l colpo mortale,
che gir non sa, ma qua e là saltella,

vid' io lo Minotauro far cotale;
e quello accorto gridò: «Corri al varco;
mentre ch'e' 'nfuria, è buon che tu ti cale».

Così prendemmo via giù per lo scarco
di quelle pietre, che spesso moviensi
sotto i miei piedi per lo novo carco.

Io gia pensando; e quei disse: «Tu pensi
forse a questa ruina, ch'è guardata
da quell' ira bestial ch'i' ora spensi.

Or vo' che sappi che l'altra fïata
ch'i' discesi qua giù nel basso inferno,
questa roccia non era ancor cascata.

Ma certo poco pria, se ben discerno,
che venisse colui che la gran preda
levò a Dite del cerchio superno,

da tutte parti l'alta valle feda
tremò sì, ch'i' pensai che l'universo
sentisse amor, per lo qual è chi creda

più volte il mondo in caòsso converso;
e in quel punto questa vecchia roccia,
qui e altrove, tal fece riverso.

Ma ficca li occhi a valle, ché s'approccia
la riviera del sangue in la qual bolle
qual che per vïolenza in altrui noccia».

Oh cieca cupidigia e ira folle,
che sì ci sproni ne la vita corta,
e ne l'etterna poi sì mal c'immolle!

Io vidi un'ampia fossa in arco torta,
come quella che tutto 'l piano abbraccia,
secondo ch'avea detto la mia scorta;

e tra 'l piè de la ripa ed essa, in traccia
corrien centauri, armati di saette,
come solien nel mondo andare a caccia.

Veggendoci calar, ciascun ristette,
e de la schiera tre si dipartiro
con archi e asticciuole prima elette;

e l'un gridò da lungi: «A qual martiro
venite voi che scendete la costa?
Ditel costinci; se non, l'arco tiro».

Lo mio maestro disse: «La risposta
farem noi a Chirón costà di presso:
mal fu la voglia tua sempre sì tosta».

Poi mi tentò, e disse: «Quelli è Nesso,
che morì per la bella Deianira,
e fé di sé la vendetta elli stesso.

E quel di mezzo, ch'al petto si mira,
è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;
quell' altro è Folo, che fu sì pien d'ira.

Dintorno al fosso vanno a mille a mille,
saettando qual anima si svelle
del sangue più che sua colpa sortille».

Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle:
Chirón prese uno strale, e con la cocca
fece la barba in dietro a le mascelle.

Quando s'ebbe scoperta la gran bocca,
disse a' compagni: «Siete voi accorti
che quel di retro move ciò ch'el tocca?

Così non soglion far li piè d'i morti».
E 'l mio buon duca, che già li er' al petto,
dove le due nature son consorti,

rispuose: «Ben è vivo, e sì soletto
mostrar li mi convien la valle buia;
necessità 'l ci 'nduce, e non diletto.

Tal si partì da cantare alleluia
che mi commise quest' officio novo:
non è ladron, né io anima fuia.

Ma per quella virtù per cu' io movo
li passi miei per sì selvaggia strada,
danne un de' tuoi, a cui noi siamo a provo,

e che ne mostri là dove si guada,
e che porti costui in su la groppa,
ché non è spirto che per l'aere vada».

Chirón si volse in su la destra poppa,
e disse a Nesso: «Torna, e sì li guida,
e fa cansar s'altra schiera v'intoppa».

Or ci movemmo con la scorta fida
lungo la proda del bollor vermiglio,
dove i bolliti facieno alte strida.

Io vidi gente sotto infino al ciglio;
e 'l gran centauro disse: «E' son tiranni
che dier nel sangue e ne l'aver di piglio.

Quivi si piangon li spietati danni;
quivi è Alessandro, e Dïonisio fero
che fé Cicilia aver dolorosi anni.

E quella fronte c'ha 'l pel così nero,
è Azzolino; e quell' altro ch'è biondo,
è Opizzo da Esti, il qual per vero

fu spento dal figliastro sù nel mondo».
Allor mi volsi al poeta, e quei disse:
«Questi ti sia or primo, e io secondo».

Poco più oltre il centauro s'affisse
sovr' una gente che 'nfino a la gola
parea che di quel bulicame uscisse.

Mostrocci un'ombra da l'un canto sola,
dicendo: «Colui fesse in grembo a Dio
lo cor che 'n su Tamisi ancor si cola».

Poi vidi gente che di fuor del rio
tenean la testa e ancor tutto 'l casso;
e di costoro assai riconobb' io.

Così a più a più si facea basso
quel sangue, sì che cocea pur li piedi;
e quindi fu del fosso il nostro passo.

«Sì come tu da questa parte vedi
lo bulicame che sempre si scema»,
disse 'l centauro, «voglio che tu credi

che da quest' altra a più a più giù prema
lo fondo suo, infin ch'el si raggiunge
ove la tirannia convien che gema.

La divina giustizia di qua punge
quell' Attila che fu flagello in terra,
e Pirro e Sesto; e in etterno munge

le lagrime, che col bollor diserra,
a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,
che
Avatar utente
Sbob
 
Messaggi: 7265
Images: 2
Iscritto il: ven set 14, 2007 12:49 pm

PrecedenteProssimo

Torna a Parole in libertà

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 24 ospiti

Forum.Planetmountain.com

Il Forum è uno spazio d’incontro virtuale, aperto a tutti, che consente la circolazione e gli scambi di opinioni, idee, informazioni, esperienze sul mondo della montagna, dell’alpinismo, dell’arrampicata e dell’escursionismo.

La deliberata inosservanza di quanto riportato nel REGOLAMENTO comporterà l'immediato bannaggio (cancellazione) dal forum, a discrezione degli amministratori del forum. Sarà esclusivo ed insindacabile compito degli amministratori stabilire quando questi limiti vengano oltrepassati ed intervenire di conseguenza.