gug ha scritto:Il passo di Gogna che hai citato parla proprio di quel bilancio che occorre fare in alpinismo, e che deve essere scelto volontariamente dallalpinista di cui parlavo sopra.
La mia opinione, che deriva da quello che ho letto, è che Mittersteiner si sia situato proprio nell'estremo dei rischi eccessivi di cui parlava Gogna, e questo in confronto ad altri alpinisti che ho citato.
Tu e altri, qui nel topic, sostenete una posizione diversa, ma sarebbe interessante che la argomentaste con degli esempi concreti per poter cercare di fare un confronto: di fatto quel bilancio di cui parla Gogna si può fare solo in confronto con altri esempi. Può darsi che uno degli esempi sia proprio Gogna, ma mi interesserebbe sapere più dettagli tecnici delle aperture di cui parla in quel passo iniziale.
Ti accontento:
"Fatto il passaggio proprio con il cuore in gola, mi trovo con i piedi su appoggi semoventi: mi fanno l’effetto di tegole di un tetto che stiano per scivolarmi di sotto. E’ una brutta sensazione, favorevole ad un’unica cosa: il tremolìo dei piedi. (…) Cerco di piantare un chiodo, ma tutto è mobile, la roccia non tiene. Ho le mani distese sopra la testa e sento che sto per volare. (…) Qui la posizione tra un po’ non la sostengo più. (…) Ho raggiunto con le palme delle mani aperte la cengetta con la speranza che ci sia un appiglio, anche friabile. Non c’è niente. Solo roccia liscia e terriccio. I piedi (…) non posso alzarli per riuscire a vedere se sulla cengetta ci sia qualche fessura. Col tatto cerco di sentire qualche incrinatura, qualche solco, qualche buco. Le mani mi si stanno stancando. (…) Non voglio volare, e non posso tornare indietro, o per lo meno sarebbe un’impresa disperata. (…) Appena vedo la superficie della cengetta mi spavento, perché non c’è assolutamente la più piccola fessura. C’è un appiglio friabile, che io afferro in extremis e che mi permette di spostare i piedi (…) su appoggi friabilissimi. Non mi fido a spostare il peso su essi e sono sempre su una mano. Di chiodare non se ne parla neppure, perché non riuscirei a tenere in mano il martello (…). Sposto il peso sul piede sinistro trattenendo il respiro; mi si sgretola in mano l’appiglio precedente: ho un attimo di smarrimento perché l’equilibrio è compromesso. (…) Non riesco a disincagliarmi da questa posizione e ho la gola che mi brucia. (…) Qui tutto è sesto, tutto al limite, tutto terribile. Sento un vago senso di malessere. Sono ben lontano dall’esaltazione che certa letteratura alpinistica attribuisce a chi sta facendo qualcosa di stupendo e sta rischiando il massimo. Cerco solo di raggiungere la rampa, in cui, penso, potrò piantare i chiodi nell’erba. Molto lentamente la raggiungo, ma subito mi aspetta una delusione; è rapidissima e spiovente; lo strato di terra sarà al massimo 5-6 cm. Impossibile sostare prima, perciò ci salgo sopra e subito mi trovo in posizione assurda. Accucciato, con i piedi che stanno per scivolare e con le dita aggrappate a ciuffi d’erba. Sento che sto ancora per volare. Questa volta sarebbe una tragedia. L’ultimo chiodo è a sette metri e non mi terrebbe certamente. Il primo chiodo un po’ decente è a dieci metri. (…) Mi sta reggendo un appoggio per il piede sinistro di due centimetri quadrati. (…) sono qui, in posizione critica con i chiodi distantissimi" (Gogna, 1969).
Di alpinisti-scrittori come Gogna che sappiano descrivere in modo così avvincente l'esperienza vissuta non ce ne sono molti, credo. Al contrario, penso che non pochi si siano misurati con salite al (o oltre) il limite (personale), rischiando forse in modo eccessivo (col senno del poi). In ogni caso, il confronto non ha senso. Mittersteiner e Gogna hanno fatto esperienze diverse, ciascuno andando al di là dei propri limiti e prendendo rischi "eccessivi" inevitabilmente soggettivi.