Momenti intensi in parete

Arrampicata e alpinismo su roccia in montagna

Momenti intensi in parete

Messaggioda Roberto » dom nov 07, 2010 18:24 pm

Leggendo il topic di crodoialo "Un passo ancora e sei fuori", ho ragionato su questo passo che è sempre un momento speciale per lo scalatore, il passaggio dall' insicurezza alla serenità dell' essere fuori, salvo almeno per il momento, ne è uscito quello che segue. E' forse un po lunghetto per un forum ... mi è venuto così :oops:

La traversata del Mar Rosso

Ecco la sosta, il prossimo tiro è quello chiave, con il tratto obbligatorio.
Mentre armeggio con fettucce e moschettoni guardo quello che mi aspetta, cerco di intuire i passaggi del tratto impegnativo della prossima lunghezza di corda. La relazione dice che dopo i due spit relativamente vicini si deve andare verso destra, fino ad un chiodo, visibile solo a pochi metri. La placca è quasi verticale e all? apparenza non ci sono grosse prese, di quelle che sembrano isole salvifiche in mezzo al mare. Una bella incognita.
E? un anno che attendo questo momento, con ansia, curiosità e, perché no, un po di fifa. In realtà il passo più duro è tra i due spit, ma sta appunto ?tra i due spit?. Il resto è meno difficile, ma è da considerare più impegnativo dal fatto che è obbligato e cadere non sembra una alternativa fattibile. Passare in libera è l? unica possibilità, a meno di non armeggiare ore per fare pochi metri. Dopo i due spit tanti metri senza mettere nulla, poi forse un tricam in un buco, quindi altri metri di scalata per arrivare al chiodo, sempre se c? è ancora. Ho i chiodi con me, ma dubito che potrei metterne uno, arriverò lassù con le braccia lesse e il ?vibram? alle gambe.
Attrezzata la sosta scendo a recuperare lo zaino, risalgo disattrezzando il tiro precedente e torno alla base della successiva lunghezza.
Mi preparo senza tonare a guardare quello che mi aspetta.
Sistemo ben bene il materiale sull? imbrago, ripasso la corda nell? autobloccante che ho in vita, tiro fuori il foglietto con la relazione che tengo nella tasca dei pantaloni poco sopra il ginocchio destro e rileggo la relazione, mi fossi dimenticato qualcosa.
?Salire in verticale dalla sosta (due spit; VIII o A1) poi obbliquare lungamente verso destra fino ad un chiodo nascosto (VI e VI+, passo di VII+; possibile tricam). Continuare ancora in obliquo per due metri e salire alla sosta (VI). (35 m.; sosta con spit e chiodo)?
Nulla di nuovo, tutto da scoprire.
Sgancio la mia sicura, faccio un bel respiro e parto.
Quando ripeto una via a me sconosciuta, o apro un nuovo itinerario, c? è sempre una piccola palpitazione nel lasciare la sosta per attaccare il tiro, un? emozione dovuta all? incognita di quello che mi aspetta, come l? attimo in cui si lascia il trampolino per un lungo tuffo. Ed io mi tuffo nella placca di calcare, che dovrò superare con bracciate di arrampicata.
E? l? essenza dell? alpinismo, è l? avventura. Senza l? avventura non si lo può chiamare alpinismo, può anche essere difficilissimo, estremo, ma senza incognite resta solo il gesto atletico.
Come prevedevo il tratto tra i due spit è durissimo e mi appendo senza vergogna al primo e al secondo, tanto non devo fare la libera ma ?solo la solitaria?. Mentre riposo sul secondo spit cerco di capire come passare, ma già so che poi, mentre arrampicherò, tutto sembrerà diverso e non riuscirò a rammentare nulla di quello che mi sto prefigurando. Tanto vale andare e mi avventuro verso l? ignoto, che in questo caso sono soltanto una decina di metri di placca.
Per uno scalatore non occorrono distese di ghiaccio, foreste vergini, oceani turbinosi o suoli lunari per essere completamente in balia degli eventi, bastano pochi metri di roccia avara di prese ed appoggi e già sei ?verso l? infinito ed oltre!? Pochi metri diventano un piccolo infinito da colmare di ansia, coraggio, determinazione, fortuna.
Mi allungo e piglio una buona tacca con la destra, appoggio il piede in uno svaso, traziono e raggiungo un piccolo e netto forellino. Mi fermo e ci penso su, tasto la presa successiva e cerco di figurarmi il movimento da fare. Sembra fattibile, di certo lo è, non sono il primo a passare di qua ? iniziano i consueti dubbi sulle mie possibilità.
Adesso posso ancora tornare indietro arrampicando, al limite volare sullo spit, oltre comincerò ad avere seri problemi in caso di errore, devo decidere su continuare o no, ma non posso rinunciare al primo dubbio, non sarei qui se avessi veramente questa possibilità come opzione seria.
Mi decido e tirando il netto forellino salgo di quel tanto che serve per rendermi conto che la presa che avevo adocchiato non è un gran che, ma vedo che la successiva più in alto è invitante, in falesia diremmo una ronchia. Devo azzardare un po in aderenza, raggiunta quella sarò al sicuro, almeno finché non dovrò mollarla per proseguire.
Un po contratto ma senza grossi problemi la afferro e respiro.
Sarà duro lasciarla, sono ormai abbastanza alto sullo spit da avere una comprensibile paura di volare.
Mi sporgo un po per vedere l? agognato chiodo, adesso unico mio obbiettivo esistenziale, nel vero senso della parola. La sua presenza è come un atto di fede, un dogma assoluto: lui c? è, ci deve essere.
E se non c? è, se un secondo di cordata un po idiota lo avesse portato via? A che mi appendo quando arriverò stremato, con gli avambracci disfatti, sarei capace di piantane un altro? E se volo?
In questi momenti mi vengono i più strani timori: avrò fatto il nodo alla sosta bene? Il moschettone in vita avrà la ghiera ben serrata? ? Preso da questi dubbi verifico che l? imbrago sia chiuso correttamente, poi controllo che non si sia formato un po di lasco alla corda e con la mano libera la tiro dentro all? autobloccante che mi auto assicura in vita.
La presa che ho con la destra è buona, ma la mano inizia a stancarsi. Faccio un cambio per riposarla, non voglio partire con la mano acciaiata.
Continuo a studiare il tratto successivo e cerco invano il buco adatto al tricam.
Giulia è stata grande quando ha aperto questo tiro, ha avuto eccezionale intuito comprendendo che si passava, oppure grande coraggio se ha sfidato la sorte, o forse, più realisticamente, parecchia incoscienza. La possibilità di non trovare la presa giusta al posto giusto è alta e così lontano dall? ultima protezione. Io non sarei andato, forse avrei piantato un terzo spit.
E? in questi tiri che si vede la vera categoria dell? alpinista, la differenza tra un fuoriclasse e un mestierante. Il mio amor proprio è messo a dura prova di fronte a certi exploit, probabilmente quello che a me sembra un? incognita troppo alta per i miei mezzi, per Giulia è stato solo un rischio calcolato.
Devo andare, altrimenti mi stanco inutilmente, da qui tanto posso solo andare o cadere e preferisco andare ? sperando di non cadere.
Riporto la destra sulla presa buona e chiudo il braccio in un bloccaggio. Con la sinistra cerco inutilmente di afferrare quell? appiglio, troppo lontano. Se non ci arrivo io neppure Gulia ci arrivava, è più piccola di me, quindi devo provare in un modo diverso. Allento il bloccaggio e ritorno alla posizione riflessiva di prima. Cambio di nuovo la mano con cui mi tengo, cercando di riposare la destra.
Un attimo e riprovo alzando il piede destro al livello della mano, facendo un ?piede-mano?. Anche così non se ne parla di arrivare all? appiglio, tocco solo uno svaso immondo, a cui non potrei mai tenermi.
Forse Giulia poteva ed io no? Forse è qui che cadrò?
Un lampo di genio motorio mi prende senza preavviso e lolotto (*) decisamente con la gamba del piede-mano. Questo mi permette di riuscire a tenere lo svaso e raggiungere con la destra l? appiglio, piccolo e netto, ora non più troppo lontano.
Ma non è finita, sono a metà del guado. Anzi, in pieno Mar Rosso diviso in due dal bastone di Mosè, pronto a richiudersi con me dentro.
Ho un po di affanno, mi impongo di respirare profondamente e con ritmo, dicono che aiuta a scalare.
Non posso fermarmi, anche se ho il piede destro ben piantato, tengo con la sinistra uno svaso e con la destra una mini tacca, devo andare non ho molta autonomia in questa posizione.
Un attimo prima di ripartire intravedo il chiodo, fonte di vita terrena, l? altra sponda del mar Rosso diviso, una spiaggia ancora lontana da raggiungere. Mi giro e guardo con autentica paura la distanza con lo spit, cerco ancora invano il famoso buco per il tricam, anche se mi pare impossibile ora sperare di metterlo.
Mi decido è mollo lo svaso alla ricerca di qualcosa di prendibile.
Una serie di gocce, forellini, piccoli appigli e guadagno un po di metri. Mi trovo, quasi a sorpresa a tiro del chiodo.
Bello, per niente arrugginito riflette i raggi del sole, sta li da dieci anni, come un piccolo molo in attesa dei naufraghi che hanno guadato le acque del Mar Rosso. Ancoraggio sicuro a cui appendersi dopo la traversata ? Sicuro? Meglio verificare.
Lo tocco e mi accorgo con un vago terrore che si muove. Questa mia deve essere la prima ripetizione dopo l? inverno, il piccolo bastardo si deve essere allentato a causa del gelo e disgelo, non posso appendermi. Le mie braccia implorano pietà, gli avambracci dolgono e sono gonfi, ma devo resistere.
Prendo il martello e cerco di ribatterlo. Un colpo, un secondo e il chiodo rimbalza fuori, perdendosi tra le ghiaie sotto la parete.
Improvvisamente mi sento nudo, perduto. Il vuoto lasciato dal chiodo misura al millimetro la distanza dalla sosta: se cado mi ammazzo.
Con affanno prendo un altro chiodo dalla mazzetta che porto all? imbrago, lo posiziono è lo martello con furia. Come quello che è caduto arriva subito al fondo del buco e non mi da sicurezza.
Forse sono preso dal panico e vedo insidie ovunque, forse il chiodo è sufficientemente affidabile per appendermi, sta di fatto che la paura che possa cedere non mi permette di dargli fiducia. Sempre sorreggendomi all? appiglio con la ormai esausta mano sinistra, accoppio un secondo chiodo a quello già piantato e picchio col martello. Ora devo passare un cordino a strozzo sui due chiodi, in modo da farli lavorare insieme. Manovra banale in condizioni normali, ma adesso l? ansia di sbrigarmi mi rende imbranato e non riesco con la sola destra a strozzare il kevlar. Finalmente effettuo la manovra e afferro con la mano il cordino, mentre con l? altra lascio la presa e prendo in gancio fiffi che ho all? imbrago e con questo mi appendo.
Salvo!
Metto un moschettone nel cordino e passo la corda; respiro. Alzo gli occhi e vedo la sosta, manca un tratto di placca, pochi metri e sono fuori dal tiro.
Che paura, per poco il Mar Rosso si richiudeva mentre ero già sul bagnasciuga della riva opposta.
Passato l? affanno riprendo ad arrampicare, con pochi movimenti arrivo allo spit e chiodo della sosta, mi assicuro e proseguo con il consueto rituale della scalata in solitaria.
Ho traversato il mio piccolo Mar Rosso, grigio di roccia calcarea, cosparso di piccoli appigli scavati nel tempo dall? acqua, predisposti ad arte per permettermi di misurarmi con le mie paure, superarle, viverle e comprenderle fino in fondo.
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Messaggioda bertoldik65 » dom nov 07, 2010 18:57 pm

grande Roberto....è sempre un piacere leggerti.....a proposito,sei tornato in piena forma???
alberto

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Messaggioda crodaiolo » dom nov 07, 2010 22:16 pm

Molto bello.

P.S. sarà anche quello di Mosè, ma...
fra l'uso del bastone e quello della canna da pesca il passo è breve :roll: ...e l'Etica quanto mai malandrina


Roberto ha scritto:Leggendo il topic di crodoialo ...

P.P.S. sarà anche un refuso, ma...
accentato al punto giusto suona come un imperativo dal sapore assai truce 8O roba degna del drugo...
:wink:
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Messaggioda Giorgio Travaglia » dom nov 07, 2010 22:52 pm

Oh belin queste si che son le cose che mi piace leggere :D
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Messaggioda Roberto » lun nov 08, 2010 11:21 am

L' idea del paragone "bastone di Mosè"/"canna da pesca" mi distrugge tutta la poesia ... non ci avevo pensato :lol: In ogni caso il tiro non sarebbe stato risolvibile con un bastone, troppo lontana la protezione e poi, immaginate che situazione passare il chiodo con il bastone ed appendercisi, scoprendo che era lento ... :smt095

Per quel che riguarda la mia forma direi che è ben lontana da tornare come quella prima dell' incidente, non mi lamento ed ho ripreso a scalare, anche se scalare è una parola grossa nella mia situazione attuale. In compenso ho una scusa imbattibile per giustificare la mia pippagine, ci camperò di rendita per un bel po :smt003
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Messaggioda Fabrizio Righetti » lun nov 08, 2010 14:02 pm

Bellissimo Roberto, mi hai fatto sudare le mani su quella piccola tacca ed anch'io alla fine ho tirato il fiato quando hai messo il cordino intorno ai due chiodi ......
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Messaggioda -frollo- » lun nov 08, 2010 14:17 pm

bellissimo roberto!!

davvero un racconto bello da leggere!!
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Messaggioda spaceC » lun nov 08, 2010 14:31 pm

Grazie Roberto!

MI fai iniziare il lunedi mattina con un altro spirito. :wink:
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Re: Momenti intensi in parete

Messaggioda muretto » lun nov 08, 2010 15:14 pm

Cavolo Robbè ho finito di leggere e mi sono ritrovato ansimante (forse ho letto in apnea) e tutto sudato.
Il racconto prende parecchio e mi ha fatto rivivere alcune situazioni in cui ho avuto sensazioni simili. Solo la sensazione era simile, non certo la difficoltà e l'essere in solitaria.
Bello !!!
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Messaggioda Raven » lun nov 08, 2010 16:53 pm

spesso l'alpinismo al maschile è povero di emozioni e sentimenti, quasi fosse un punto di debolezza metterli a nudo e confessare che ci sono e sono vissuti al pari dell'ingaggio e della tecnica.
quasi ci fosse il rischio di coprirsi di ridicolo confessando che anche il "maschio" che scala può essere un uomo e non solo un superuomo.
è bello liberarsi da miti di onnipotenti dei e trovarsi a leggere di mortali esseri alle prese con se stessi e con la ricerca di una sintonia uomo/natura che gli permetta di compiere l'ultimo passo per tornare a fare il primo.
Leggerti quando scrivi in questo modo (cioè sempre) mette di nuovo in luce quegli scorci di umanità montana dentro i quali si nasconde il perchè (che a volte mi si offusca nella mente) ho iniziato ad amare questo mondo e a scalare montagne.
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Re: Momenti intensi in parete

Messaggioda Piero26 » lun nov 08, 2010 23:24 pm

Roberto ha scritto:Leggendo il topic di crodoialo
Per uno scalatore non occorrono distese di ghiaccio, foreste vergini, oceani turbinosi o suoli lunari per essere completamente in balia degli eventi, bastano pochi metri di roccia avara di prese ed appoggi e già sei ?verso l? infinito ed oltre!? Pochi metri diventano un piccolo infinito da colmare di ansia, coraggio, determinazione, fortuna..


E' una delle frasi del tuo racconto che ho letto e riletto ... , per il resto ti ammiro per come sai trasmettere le emozioni, capacità che sono molto carente, ma sò colmare nel leggere racconti come i tuoi.

Grazie anche a daniele che ti ha dato l'imput :wink:
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Messaggioda Roberto » lun nov 08, 2010 23:54 pm

Grazie dell' apprezzamento e grazie a voi tutti forumisti.
Sembrerà strano, ma il piacere di scrivere è cresciuto insieme al piacere di stare in questo forum. Comunicare è diventato, piano, piano, per me importante come arrampicare, le due cose sono collegate.
Questo lo devo anche al forum, al modo di condividere, di avere qualcosa in comune. Il forum mi ha permesso di conoscere delle persone magiche e ha fatto nascere in me la voglia di dividere con altri le emozioni difficilmente ripetibili che abbiamo in montagna.
A forza di scrivere post, tra una scemenza ed una cosa seria, ho anche cominciato ad imparare a scrivere, senza certo illudermi di saper scrivere davvero. In fondo per riuscire a dire qualcosa di buono la cosa più importante è avere qualcosa da dire e raccontarlo con sincerità.
Il tiro del racconto non è un tiro particolare, è quello che accade a tutti, indipendentemente dalla difficoltà e dal rischio concreto di farsi male. E' l' emozione di sentirsi vulnerabili, comprendere il valore della vita. Come dice la Meroi " ... gli alinisti alla vita ci tengono ...", per questo a noi piace sentirla tutta, chiara e forte, stringerla forte per evitare che ci sfugga.
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Messaggioda CMauri » mar nov 09, 2010 10:30 am

Roberto ha scritto:Grazie dell' apprezzamento e grazie a voi tutti forumisti.


Grazie a te... davvero un bel racconto... da annotare!

Ciao, C.-
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Re: Momenti intensi in parete

Messaggioda muretto » mar nov 09, 2010 10:49 am

Vedo che il racconto di Roberto ha fatto riflettere un po' tutti, in varie direzioni.
Che ne dite di scambiarci qualche idea in proposito? Il forum serve anche a questo no?
Allora io propongo 3 temi:
1
E? l? essenza dell? alpinismo, è l? avventura. Senza l? avventura non si lo può chiamare alpinismo, può anche essere difficilissimo, estremo, ma senza incognite resta solo il gesto atletico.

2
Ho traversato il mio piccolo Mar Rosso, grigio di roccia calcarea, cosparso di piccoli appigli scavati nel tempo dall? acqua, predisposti ad arte per permettermi di misurarmi con le mie paure, superarle, viverle e comprenderle fino in fondo.

3 L'intervento di raven (molto bello, grazie)

Dai su, dite, dite quello che pensate .....
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Messaggioda ciocco » mar nov 09, 2010 12:02 pm

Innanzitutto dico che mi sono trascritto su un foglio la frase evidenziata da Piero26 che spiega molto bene l'essenza di ciò che facciamo.

Roberto oltre che un forte alpinista è anche un forte scrittore che riesce a dare voce alle emozioni che tutti noi abbiamo avuto occasione di provare andando in montagna.
Gli invidio questa capacità che purtroppo io non ho.
Concordo pienamente anche con Raven e infatti uno dei motivi per cui ho smesso di leggere libri di montagna è che li trovo ripetitivi nell'esaltare le gesta eroiche e l'azione ma quasi mai si soffermano sulle emozioni e le paure.
Anche se npon credo che sia solo una prerogativa dei maschi.
Per esempio se leggete il libro di Steph Davis (la fortissima scalatrice americana) sembra quasi un freddo elenco delle sue imprese sportive, o almeno questa è l'impressione che ho avuto io.
Non c’è sconfitta nel cuore di chi se ne sbatte il ca.zzo
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Messaggioda Mascavezza » mar nov 09, 2010 12:06 pm

Complimenti Roberto.. Leggendo il tuo racconto mi è sembrato di essere in parete con te, veramente emozionante. :P
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Messaggioda gug » mar nov 09, 2010 12:06 pm

Bellissimo!
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Messaggioda Raven » mar nov 09, 2010 15:31 pm

ciocco ha scritto: ...uno dei motivi per cui ho smesso di leggere libri di montagna è che li trovo ripetitivi nell'esaltare le gesta eroiche e l'azione ma quasi mai si soffermano sulle emozioni e le paure.
Anche se npon credo che sia solo una prerogativa dei maschi.
...


e' vero. ahimè devo darti ragione, rendendomi conto che quello che dici si adatta perfaettamente anche al mio modo di raccontarmi, adesso. vivo le mie piccole imprese nella ricerca del risveglio di quell'istintualità selvaggia che da millenni guida l'essere umano verso la capacità di sopravvivenza e che il troppo elevato livello di sicurezza dell'attuale quotidiano rischia di far atrofizzare.

mi chiudo tra le pareti e mi schiudo all'antico. alle emozioni. alla saggia logica del corpo che per una volta se la gioca alla pari con lo schematica razionalità aristotelica.

per molto tempo ho parlato e raccontato di emozioni, sogni, metafore che ho avuto e vissuto in questi momenti. poi qualcosa si è chiuso. saranno forse state le sponde del mar Rosso che hanno coperto le parole nascondendole sotto metricubi di acqua e di sabbia.

saranno state le repliche non sempre positive di chi ascoltava o leggeva, saranno state quelle voci che mi hanno dato della visionaria, della falsa, della patetica.

ho iniziato ad aver pudore delle mie emozioni, a vergognarmi dei miei pensieri.
ho iniziato a nasconderli, a mascherarli perchè non venissero capiti.
ho fatto finta di non averli. ho iniziato a parlare di schede di allenamento, di gradi, di prestazioni.

ma continuo a pensare a quelle parole che adesso vivono di ombra


Tu prova ad avere un mondo nel cuore
e non riesci ad esprimerlo con le parole,
...
qui nella penombra ora invento parole
ma rimpiango una luce, la luce del sole.


[youtube]http://www.youtube.com/v/IO82qr-rpZk[/youtube]
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roberto

Messaggioda emanuele » mar nov 09, 2010 18:37 pm

dalle cose che racconti e dal come le dici si capisce che non sei "un conquistatore di montagne", ma che sei stato "conquistato" da questa montagna
"Se i cosiddetti "migliori" di noi avessero il coraggio di sottovalutarsi almeno un po' vivremmo in un mondo infinitamente migliore"(de andré)
bravo!
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Messaggioda il Duca » mar nov 09, 2010 20:27 pm

Mi è venuto un crampo alla mano leggendo il racconto :wink:

Molto bello, e molto vero che: "...Senza l? avventura non lo si può chiamare alpinismo, può anche essere difficilissimo, estremo, ma senza incognite resta solo il gesto atletico."

Ho apprezzato tantissimo anche questa frase:

Roberto ha scritto: " ... gli alpinisti alla vita ci tengono ...", per questo a noi piace sentirla tutta, chiara e forte, stringerla forte per evitare che ci sfugga.


è esattamente la filsofia che sta dietro al mio andarare in montagna;
che sostiene il fare ciò che appare tanto assurdo quanto necessario per sentirmi vivo
http://www.respirodelvento.blogspot.com

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"nel muoversi in montagna guardate alle capre prima che alle scimmie" crodaiolo
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