Alice sulla vetta delle meraviglie
FUMANE. In due anni ha bruciato le tappe, dalle Alpi all'Himalaya: ha la montagna nel sangue e ora punta a scalare senza ossigeno il suo primo ottomila in primavera
È una ragazza da record: ha conquistato i 7.200 del Barunze in ottobre e ora sogna lo Shisha Pangma ALICE ALLEGRINI Alice sulle montagne delle meraviglie a guardare il mondo dall'alto in basso. Un diploma di perito agrario in tasca, un trascorso da casaro nelle malghe della Lessinia, già promessa di calcio femminile e triathlon, la ventunenne fumanese Alice Allegrini potrebbe presto diventare anche la più giovane alpinista al mondo ad avere superato quota ottomila. A soli 21 anni la Allegrini ha sulle spalle uno zaino colmo di esperienze maturate sui monti di casa o appesa ai picchi himalayani. Esperienze consumate tra cieli infiniti, paesaggi mozzafiato e drammi, che l'hanno coinvolta oppure sfiorata lassù, dove finisce la terra e comincia l'infinito.
Ma partiamo dall'inizio. «Ho cominciato col giocare a calcio in serie C con il Valpolicella femminile», si racconta Alice, «poi sono passata al triathlon agonistico nella squadra di Fumane con qualche secondo posto in gare nazionali». A 19 anni quindi è arrivato il richiamo della montagna. Prima qualche escursione, poi le ferrate, quindi le arrampicate e l'alta quota: il Bianco, le vette del Rosa e le cime svizzere. L'Himalaya era destino.
«La primavera scorsa mi è venuta voglia di provare con un ottomila. Ho trovato una spedizione in partenza per il Dhaulagiri, uno dei più difficili». Comincia quindi la preparazione con l'amico Andrea Lucchi. Fuori in bici tutte le sere, su e giù per la Peri Fosse. Il 14 aprile arrivano ai piedi della montagna. «Siamo arrivati fino al campo due, a 6.700 metri, poi è peggiorato il tempo, due argentini sorpresi dalla bufera sul ritorno dalla vetta sono morti, i nostri sherpa sono stati sfiorati dalla caduta di un seracco, si sono aperti crepacci, abbiamo deciso di scendere. Troppo pericoloso. Scendendo, un amico e io siamo stati sorpresi da una bufera su un passo a 5.000 metri. Lo sherpa ci ha abbandonati e abbiamo passato la notte lì con un freddo cane e poco per coprirci. Ce la siamo cavata per miracolo».
Sfumato il tentativo primaverile, a fine estate seconda occasione. A chiamarla è Alberto Magliano, alpinista milanese, uno dei 113 al mondo ad avere conquistato le Seven Summit, le vette più alte di ogni continente, che le propone i 7.200 metri del Barunze, con Silvio «Gnaro» Mondinelli, lo scalatore bresciano che ha conquistato tutte le 14 vette di ottomila metri senza ossigeno, innumerevoli soccorsi effettuati durante le sue spedizioni.
L'inizio è poco promettente. «Siamo arrivati a Katmandu il 30 settembre scoprendo che il cargo con gran parte del nostro materiale non era arrivato. Ci è toccato ricomprare tutto: scarponi, sacchi a pelo, tende. Il brutto tempo ci ha poi fatti ritardare il volo per Lukla». Altri due giorni di attesa e la spedizione atterra all'aeroporto di Lukla, il più pericoloso al mondo e riservato a piloti dalla mira infallibile. «Un aereo due giorni dopo si è schiantato sulla pista e sono morti 14 scalatori tedeschi». Comincia il trakking verso il Barunze. «In sei giorni siamo arrivati ai 5.400 metri del campo base. Qui, una signora che era con noi, ha avuto una crisi respiratoria. Nonostante l'intervento del nostro medico Mauro Mabellini è dovuta rientrare a Katmandu». Fine delle iatture? Macchè. Tre giorni e Magliano deve abbandonare la spedizione per problemi di acclimatamento. Poi l'attacco alla vetta.
«Siamo partiti in quattro, Mondinelli, Mabellini, Enrico Dalla Rosa ed io, con due sherpa, per arrivare ai 6.100 metri del campo uno. Tre giorni dopo abbiamo raggiunto il campo due a 6.300. Alle tre della mattina successiva è cominciata l'ascesa verso la vetta». Un'impresa irta di pericoli. «Pendii ripidissimi, seracchi da saltare e una lunga cresta larga 30 centimetri con 3.000 metri di vuoto attorno da superare ci hanno creato notevoli difficoltà. A 7.000 metri Dalla Rosa ha deciso che aveva rischiato anche troppo ed è tornato al campo 2». L'ascesa continua. «Alle 9,30 siamo arrivati in vetta in tre, con gli sherpa». E lassù? «Beh, da lassù si vedeva il mondo e l'Everest, il Lhotse, lo Shisha Pangma, il Cho Oyu, il Makalu, il Kanchenjonga e l'Amai Dablang». Dieci giorni per arrivare in vetta. Importante avere al fianco uno come Gnaro Mondinelli. «Ti dà sicurezza e può salvarti la vita». Mai pensato a chi te l'ha fatto fare? «No, mai anche se gli ultimi cento metri li ho fatti in un'ora, sprofondando nella neve fresca. Però ne valeva la pena». Il 28 ottobre il ritorno a Fumane. E ora? «L'idea è di riprovare con un ottomila in primavera. Il Shisha Pangma o il Makalu». Ce la facesse diventerebbe la più giovane al mondo ad avere conquistato un ottomila senza ossigeno. Mamma Marina e papà Francesco capiscono.
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