Ha piovuto bene fino all'altro ieri, probabilmente in alto sarà ancora bagnato (non c'è CALICE degno di tal nome che rimanga asciutto a lungo...)
Ormai è da qualche tempo che desidero salirla, e per oggi il bollettino meteo è da vione in Civetta: andiamo comunque.
Siamo a Sud ma fa decisamente freddo, Saverio me l'aveva detto di non attaccarla troppo presto.
Lui e Annalisa però 2 anni fa avevano fatto la "coda", oggi quanto meno siamo i primi.
L3, le prime difficoltà nel diedro con uscita ostica a sinistra
(senza il chiodo nel buco il passaggio sarebbe ben altra cosa)
su L5 ed L6, belle placche poco chiodabili, l'amico non è in giornata e non tarda a darmelo ad intendere:
"Guarda... ho mal di testa, per me oggi prima finiamo e meglio è...".
Una scena già vista. Sa quanto io ci tenga, come d'altronde io so quanto gli "pesino" certe vie.
Un tiro più facile e siamo in sosta alla base del tratto strapiombante.
Qui hanno bivaccato i 2 roveretani ormai 31 anni fa...
Ricordo solo ora di aver letto il racconto della salita da parte di Stenghel in un libro di testimonianze a ricordo di Maffei.
Mentre recupero la corda guardo in su e.. qualcosa non mi convince.
Parto su L8 ed affronto un bel diedro a sinistra per poi traversare a dx qualche metro.
Su un terrazzino dopo solo 10 mt trovo una sosta/calata dove un kevlar collega 2ch + clessidra.
Sopra di me un muretto verticale di 2 mt, poi ahimè, laddove la relazione parla di un diedro originato da un'enorme lama da prendere in opposizione per guadagnare la sosta sotto uno strapiombino,
mi ritrovo ad alzarmi sfruttando il bordo inferiore di una grossa nicchia chiara frutto di un distacco recente, molto recente a giudicare dal detrito ancora presente.
La nicchia è alta 5-6 mt e larga 3, al suo margine superiore, poco sotto lo strapiombo vedo dei cordini strappati (la sosta?)
E adesso?
Mi allungo a rinviare un chiodo a lama nel muro grigio appena a dx, provo ad alzarmi ancora ma poi.. mi appendo.
Ormai è evidente: il CALICE, da fragile qual'è, si è scheggiato ed io sono decisamente spiazzato.
Sia chiaro, vedo la possibilità di passare, sicuramente con maggiori difficoltà rispetto al previsto,
ma... mi accorgo che qualcos'altro si è rotto.
Stavolta dentro.
Malgrado il rospo che già sento di dover ingoiare, qualcosa mi fa prendere velocemente la decisione di scendere.
Dal chiodo mi calo e raggiungo Franco che, già da prima, vista l'antifona, non nutre più alcuna velleità.
Fin qui le soste erano tutte attrezzate per la calata. Buttiamo le doppie.
Ma ecco che nel frattempo ci ha raggiunto una cordata.
Il primo, più giovane, mi chiede informazioni, quindi, mentre io procedo verso il basso, parte verso l'alto. Curioso.
Curioso ormai lo sono anch'io che, senza troppa fretta ma ormai a debita distanza,
mi guardo nello specchio.
E nel vederlo, in qualche modo, comunque passare... mi sento battuto, sì, ma al contempo leggero e tranquillo,
come in casi simili non mi era mai capitato.
Ovviamente per buona parte dei giorni successivi da Campitello il binocolo frugava nella parete
tanto che alla fine anche il mio piccolo sapeva individuare "la frana da dove papà ha ribattuto..."
E' inutile negarlo, ci sono segni che rimangono.
Esattamente il 18 luglio di 20 anni fa cadevo rovinosamente per 15 mt con un'enorme lama di granito che stringevo alla dulfer con l'ardore dei 20 anni,
per poi volare in elicottero in Svizzera a farmi sistemare da uno specialista di maxillo-facciale.
Mi dico: forse, a volte... è meglio mancare agli appuntamenti.