Fokozzone ha scritto: Sì, Enzo, quello che mi interessava di questo topic, era mettere in luce quali sono le motivazioni positive per cui affrontare il rischio in montagna. E capire se quando affrontiamo il rischio stiamo inseguendo quelle motivazioni o non siamo schiavi di altri meccanismi.
Certo la tua posizione ("è un valore positivo anche inseguire il rischio fine a sè stesso") è un po' paradossale, anche se l' hai motivata bene. L' unica obiezione che ti faccio è che a quel punto l' arrampicata e l' ambiente diventano secondari.
Con le tue stesse motivazioni, più altre di carattere sociale ("la nostra società iperprotettiva e preconfezionata ci sottrae gli ambiti dell' avventura della scoperta e dei sentimenti dell' uomo che conquista l' ambiente ostile") era stato fondato il "dangerous sport club" in cui i soci affrontavano attività pericolose, come cenare nel cratere di un vulcano in attività, fare le corse in discesa su strade di montagna nei carrelli del supermercato e anche scalare (senza nessuna preparazione e allenamento) una parete di sesto grado. Come vedi ai fini del rischio un' attività valeva l' altra.
Io mi permetto di aggiungere un' altra causa di "bisogno di rischio": l' incapacità di tanti di rischiare e fare scelte senza ritorno nella vita quotidiana. Il matrimonio, ora che c' è il divorzio è una scelta reversibile, il lavoro spesso si risolve nella ricerca di un posto che garantisca per legge la sussistenza (senza rischiare nulla se si lavora male) etc etc.
A volte l' adrenalina diventa un surrogato della capacità di scelta che caratterizza la virilità. (ovviamente non parlo di te).
Per quanto riguarda la prima frase in grassetto c'e' una parte di verita' ed una parte di falsita'. Io, ad esempio, amo non solo la roccia, ma anche il mare per cui ero appassionato di apnea, amo andare nei fiumi col canotto su rapide o cascate, ed una volta me la son vista brutta, molto brutta, amo la speleologia, ecc. Tuttavia, ho scelto di incanalare le mie energie in una disciplina che riflette meglio, attraverso la verticalita', il mio modo di essere. Anni fa incanalavo la voglia di rischio attraverso la quotidianita' con la MTB, ma anche nei rapporti personali. E qua tocchi un tema estremamente interessante su cui tornero'.
Ma cio' che hanno in comune le varie discipline e' che, attraverso il rischio, le nostre percezioni vengono ipersensibilizzante e ci permettono di vivere delle "aperture" che, come delle calamite, ci spingono a ripetere una certa esperienza altre volte. Su questo aspetto, credo che sia illuminante la teoria di Csikszentmihalyi sul "flow". Questa teoria supera il paradigma dell'ego come riferimento, ed afferma che anni di evoluzione hanno strutturato l'io in modo da permettergli piacevoli esperienze di "flow" comune a tante discipline inclusi i vari sport o l'arte. Lui descrive e spiega anche il perche' di discipline come l'arrampicata o altre attivita' rischiose, o addirittura certe esperienze religiose.
Da questo punto di vista, dunque, il paradigma "rischio voluto = fuga o valvola di sfogo da frustrazione", se generalizzato, rischia di essere obsoleto o inadeguato.
Sul secondo aspetto in grassetto, ahime', mi e' capitato di dire altre volte una cosa del genere. Soprattutto quando ho sentito chi metteva gli alpinisti sul piedistallo rispetto alla "massa". Ovvero, mi e' capitato di vedere gente (me incluso) che, pur rischiando in arrampicata o alpinismo, non era in grado di mettersi in gioco nelle scelte che esulavano dalla verticale. O addirittura ci sono coloro che cercano di ritagliarsi attraverso l'arrampicata/alpinismo quell'autostima che non sono in grado di ottenere nel quotidiano ... e qua mi viene in mente il famoso scritto di Motti ... ma credo che questo punto non riguardi solo i climber ma un po' tutti coloro che si dedicano a varie discipline. E non voglio dire ne' che e' un male ne' un bene, ma semplicemente un'osservazione/interpretazione di cio' che vedo ed anche di cio' che ho vissuto.
Per il resto, se smetto di arrampicare, incanalo la voglia di rischio e sfida nel quotidiano attraverso la trasgressione o la voglia di "rivoluzione", ed in questo senso, per me, il roschio in montagna rappresenta anche, ma non solo, una valvola di sfogo.
Ciao
Lorenzo