Sono un uomo, nulla che sia umano mi è estraneo.
E allora, perché alienarmi da me stesso? Perché costringermi?
Già, perché.
Per una ben conscia paura, paura di non potermi giustificare.
Forse, per una voglia, per il desiderio di sentirmi grande.
Diciamocelo, solo questo ci spinge a osare. Vogliamo essere grandi, grandi più di chiunque altro.
Oppure, per il desiderio di sentirmi, per una volta, in pace con me. Senza nascondigli, senza vie di fuga.
Io, me stesso, me. Soli. Faccia a faccia.
Ed è con questi pensieri che ho cominciato a pensare alla mia prima, vera solitaria: il Monch.
Certo, la Marmolada e qualche via semplice non contavano, per me.
Via facile, via breve e trafficata, dicevo. Entro i miei limiti, pensavo.
Pensare... PENSARE! COSA PENSI, TU! Chi ti ha dato il diritto di pensare?
Mi sveglio. Come in un rituale: colazione, denti, viso, zaino.
Per una settimana non ha fatto altro che nevicare sopra i 2500m e piovere, qui, ad Interlaken. Per oggi, stranamente, il meteo è bello ed è l'ultimo giorno di ferragosto. Non ci si può lasciare sfuggire l'occasione.
Riavvolgo con attenzione la corda e la pongo sulla cima dello zaino con la cura che si riserva alle reliquie, quasi come se una sola spira fuori posto possa farle perdere ogni sua proprietà, come se la sua aura di sicurezza possa dissolversi da un momento all'altro.
Calzo gli scarponi e mi avvio. Il tempo è bello e davanti alla mia porta si erge il più maestoso trittico di pareti nord delle Alpi: Eiger, Monch e Jungfrau.
Le vedo, avvolte in qualche cumulo che, spero, si dissolverà con l'arrivo del sole. Sono vicine, sono grandi, forse troppo grandi per me.
Nel frattempo, il treno arriva e, seduto, non posso che prostrarmi di fronte alla maestosità della Lancia. Semplicemente enorme, bianca e scintillante.
La neve caduta l'ha resa ancora più affascinante, con le sue vesti invernali, e io, memore delle decine di storie sul Mostro, rievoco mentalmente le imprese degli anni trenta e degli anni cinquanta, chiedendomi se sarò mai all'altezza degli Alpinisti con la A maiuscola.
Capolinea. Scendo, accompagnato da altri scalatori, la cui meta mi è ignota, e mi avvio sulle piste da sci che fungono da comodo sentiero per l'avvicinamento.
Eppure, con le mie smanie di grandezza, mi pare di sminuire la mia prima solitaria. Cosa racconterò, un giorno? Dove saranno le storie di crepacci e di nevi fino alle ascelle? Dove è la gloria di cui ho letto.
Chi ti ha dato il diritto di pensare?
L'attacco già mi riporta alla realtà: la neve della settimana precedente ha cancellato i punti di riferimento che mi ero studiato, ha mutato la morfologia non solo dell cresta sud-est, ma anche dell'intera parete sud, dalla cui sommità cadono, a intervalli irregolari, piccole cornici di neve che finisi tramutano in slavine prima di esaurirsi sulla terminale.
Ecco l'ambiente che immaginavo. Ecco l'ambiente che, stupidamente, sognavo.
Purtroppo, però, tutto ciò comporta la fatica di dover battere traccia fino al primo tratto di misto.
II+ su roccia. Bazzecole. E invece no. Sono il secondo a salire e mi ritrovo a dover pulire la roccia dalla neve, a cercare improbabili posizioni con i ramponi.
Così procedo fino al passo chiave: un piccolo strapiombetto da aggirare a destra.
Anche qui, neve e ghiaccio regnano incontrastate. Per un momento penso di voler tornare indietro.
No. Sei qui, su, grande uomo. Dimostra chi sei. Marcello, (nda: sono io) sei una sega.
Supero anche questo passaggio, accompagnato dal frastuono di una cornice, più grande delle altre, che si schianta trecento metri sotto di me.
Arrivo in cresta, dove scopro che alla vetta nessuno è ancora arrivato. Due ragazzi giapponesi, abbattuti, mi parlano di neve troppo instabile.
Comprensibile, mi dico. Non voglio ritrovarmi ai piedi della sud. Non sono qui per questo.
Ma, si sa, l'uomo è stupido e lo sono anche io. Incoscientemente, tento di battere traccia anche sugli ultimi 150m di cresta. Voglio conquistare, espugnare questa fortezza. Ci riesco, al modico prezzo di qualche goccia di sudore freddo e tanta, tanta calma.
Sono in cima, incredibilmente solo.
Io. Proprio io. Ragazzetto idiota e petulante.
Discendo. E' finita.
Cosa ho ottenuto? Cosa non ho ottenuto? Non lo voglio sapere. Non voglio più sapere.
Mi basta essere stato faccia a faccia con me, con le mie convinzioni, ed essermi riconosciuto in ciò che speravo di essere.
c***o.
Mi riprometto di non voler mai più scalare da solo: i rischi, evidentemente, sono troppi e troppo difficilmente controllabili.
Ed è ripensando a questo che mi sto preparando a tre giorni di solitaria sul rosa.
p.s. salita del 10.08.2017, ma solo ora mi è venuto voglia di scrivere qualcosa









FLAME E VOGLIO VEDERE CHE MINCHIA SALTA FUORI
