Un bell'aforisma da pippon

Area di discussione su argomenti di montagna in generale.

Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » mer feb 03, 2016 11:08 am

"Essere sconfitti in partenza fa risparmiare un sacco di tempo" . (Mirco Stefanon)

Potremmo metterla nello statuto del PC :D .

Lapidari saluti
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » mer feb 03, 2016 11:22 am

Sullo stesso tema:

"Quando ognuno avrà capito che la nascita è una sconfitta, l'esistenza, finalmente tollerabile, apparirà come l'indomani di una capitolazione, come il sollievo e il riposo del vinto". (Emil Cioran)

Rassegnati saluti
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda wolf jak » mer feb 03, 2016 11:26 am

Tacchino vuoi dirci qualcosa? sei stato ieri sera su resina? :lol: :wink:
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » mer feb 03, 2016 11:43 am

wolf jak ha scritto:Tacchino vuoi dirci qualcosa? sei stato ieri sera su resina? :lol: :wink:


Sì e ho fatto ca**re come al solito 8)

Nihil sub sole novi :wink:

Ciclici saluti
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » mer feb 03, 2016 11:45 am

Comunque, si riciccia con Montale:

Può darsi che sia ora di tirare
i remi in barca per il noioso evento.
Ma perché fu sprecato tanto tempo
quando era prevedibile il risultato?

Inani saluti
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda wolf jak » mer feb 03, 2016 12:14 pm

Quando e se vorrai venire al King a tirarti su il morale, c'è un bel 6b+ di diedro facile facile :wink:
(se mi avvisi prima e sono libero, sarei lieto di tenerti la corda e indicarti le vie più congeniali al nostro stile "alpinistico" :lol: )

E hanno anche tracciato un 6B su placca appoggiata, un sacco divertente! :D poi, adesso che sei di GRAM, le stritoli quelle tacchette! 8)
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda coniglio » mer feb 03, 2016 12:24 pm

A questo mondo non si diventa ricchi per quello che si guadagna, ma per quello a cui si rinuncia.
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » mer feb 03, 2016 12:57 pm

wolf jak ha scritto:Quando e se vorrai venire al King a tirarti su il morale, c'è un bel 6b+ di diedro facile facile :wink:
(se mi avvisi prima e sono libero, sarei lieto di tenerti la corda e indicarti le vie più congeniali al nostro stile "alpinistico" :lol: )

E hanno anche tracciato un 6B su placca appoggiata, un sacco divertente! :D poi, adesso che sei di GRAM, le stritoli quelle tacchette! 8)


Se è quello che penso io l'ho fatto (e me ne sono alquanto stupito 8O ).

Quello si placca appoggiata invece non ce l'ho in mente.

Comunque quando torno al KR ti mando un MP, così ci vediamo di persona e conquisterò un altro grande elettore per le presidenziali 8)

Elettorali saluti
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » ven feb 05, 2016 9:01 am

Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All'umanità che ne scaturisce. A costruire un'identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell'apparire, del diventare… A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco. Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtú.
Pier Paolo Pasolini.

Mandi frus
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » ven feb 05, 2016 9:38 am

Questa l'ho già postata ma ci sta troppo bene...

"Failure seemed to me to be the only virtue. Every suspicion of self advancement, even to 'succeed' in life to the extent of making a few hundreds a year, seemed to me spiritually ugly, a species of bullying."
George Orwell

Ribaditi saluti
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » ven feb 05, 2016 19:05 pm

ONE ART


The art of losing isn't hard to master;
so many things seem filled with the intent
to be lost that their loss is no disaster.

Lose something every day. Accept the fluster
of lost door keys, the hour badly spent.
The art of losing isn't hard to master.

Then practice losing farther, losing faster:
places, and names, and where it was you meant
to travel. None of these will bring disaster.

I lost my mother's watch. And look! my last, or
next-to-last, of three loved houses went.
The art of losing isn't hard to master.

I lost two cities, lovely ones. And, vaster,
some realms I owned, two rivers, a continent.
I miss them, but it wasn't a disaster.


--Even losing you (the joking voice, a gesture
I love) I shan't have lied. It's evident
the art of losing's not too hard to master
though it may look like (Write it!) like disaster.

(Elizabeth Bishop)

Rimati saluti
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » ven feb 05, 2016 22:11 pm

Volevate un po' d'allegria? Va bene, vi accontento.

Beccatevi Philip Larkin :twisted:

Wires
The widest prairies have electric fences,
For though old cattle know they must not stray
Young steers are always scenting purer water
Not here but anywhere. Beyond the wires
Leads them to blunder up against the wires
Whose muscle-shredding violence gives no quarter.
Young steers become old cattle from that day,
Electric limits to their widest senses.

Bovini saluti
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » ven feb 05, 2016 22:19 pm

Ah, ne volete ancora... 8)

(Sempre lui)

This Be The Verse

They fuck you up, your mum and dad.
They may not mean to, but they do.
They fill you with the faults they had
And add some extra, just for you.
But they were fucked up in their turn
By fools in old-style hats and coats,
Who half the time were soppy-stern
And half at one another’s throats.
Man hands on misery to man.
It deepens like a coastal shelf.
Get out as early as you can,
And don’t have any kids yourself.

Genitoriali saluti
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda EvaK » ven feb 05, 2016 23:10 pm

dialogo tra forumisti filosofi.

uffa, che periodo incasinato. meglio scomporre i problemi e fare una cosa per volta, pensando che prima o poi sta cosa finisce

eh si, tutto finisce, prima o poi.

si, beh, se poi in mezzo c'è anche qualche intermezzo piacevole non ci da mica fastidio, eh.

teoretici saluti.
"Quanto monotona sarebbe la faccia della terra senza le montagne" (Immanuel Kant)

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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » dom feb 14, 2016 0:05 am

¿Qué es la vida? Un frenesí.
¿Qué es la vida? Una ficción,
una sombra, una ilusión,
y el mayor bien es pequeño.
¡Que toda la vida es sueño,
y los sueños, sueños son!

Calderón de la Barca

Barocchi saluti
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda PIEDENERO » dom feb 14, 2016 8:52 am

gli aforismi del nuovo futuro presidente sono più mmeglio. ho avuto modo di ascoltarne di bellissimi ed originalissimi :lol:
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » lun feb 15, 2016 10:16 am

You did your best and you failed miserably? The lesson is, never try! (Homer Simpson)

Comportamentisti,saluti
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » lun feb 15, 2016 14:27 pm

Good! I'm looking for the least possibile amount of responsability. (Kevin Spacey in American Beauty).

Declassati saluti
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » lun feb 15, 2016 14:29 pm

Questa l'ho già postata ma mi piace troppo:

"If at first you don't succeed...Lower your expectations!" (Mia cognata canadese, credo la persona in assoluto più negata per l'arrampicata che abbia mai visto. E dire che me ne intendo!)

Tenaci saluti
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Re: Un bell'aforisma da pippon

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » mar feb 16, 2016 8:52 am

Paolo Morelli, l'autore di "er Ciuanghezzù"...

ROBERT WALSER E IL MAGNIFICO ZERO
di minima&moralia pubblicato mercoledì, 26 febbraio 2014 · 2 Commenti
Questo pezzo è uscito su Blowup 170/171 (luglio/agosto 2012). (Fonte immagine)
di Paolo Morelli
Ciò che perennemente scorre costringe a una moralità
Robert Walser
Se è vero che tutti i libri importanti sono nient’altro che manuali di orientamento, vere e proprie mappe nelle quali si entra per così dire, imparando senza quasi saperlo a districarsi nelle cose che ci succedono in vita, sono rari tuttavia quelli che si presentano come tali, puntando e indirizzandoci direttamente a una specie di metodo di apprendimento. Lo Jacob von Gunten si può leggere in questo modo, è godibile fino in fondo solo se viene ‘agito’, per così dire. A prima vista è il libro più inutile del mondo, a veder bene è invece utilizzabile per avvicinare diverse modalità cognitive, per un rapporto col mondo più pieno e godibile e meno scioccamente intrusivo e faticoso. Per tendere a far sì che quello che vogliamo coincida con quello che ci succede insomma.
Scritto nel 1908 quando Walser era ospite a Berlino di suo fratello, il famoso pittore Karl, rappresenta l’ultimo tentativo di avere, se non successo, almeno una certa considerazione. Il successo non arrivò e lui, sebbene subito amato da Kafka, Benjamin, Musil ed Hesse, avvertito il fallimento intraprese un’altra via che lo portò a tornare in Svizzera, ad accettare quello che Elias Canetti chiama il convento moderno, vale a dire il ricovero in strutture psichiatriche dove passò gli ultimi 27 anni, per morire poi nella neve il giorno di Natale del 1956, come aveva previsto e descritto più volte.
Un libro estremo dunque a cui aveva affidato la sua fortuna e invece significò la presa di coscienza della definitiva incompatibilità con la “pettegola consorteria letteraria”, ma che comunque rimase il suo più caro, come confesserà molti anni dopo a Carl Selig, definendolo solo “un po’ temerario”. La pretesa temerarietà va cercata certo nel suo mostrarsi bravamente fuori moda, con l’usuale improntitudine che è la vera e propria cifra espressiva dello scrittore il quale, qui come sempre, simula la timidezza e pratica la sfacciataggine. Ma soprattutto direi nell’ottica che propone, del tutto insolubile all’inizio del secolo che vedrà il trionfo di ideologie razionaliste di intervento e controllo, all’esterno come all’interno, della definitiva presa di potere di quello che è stato chiamato ‘imperialismo della ragione’. Non poteva, non doveva piacere, forse l’autore stesso se ne rese conto.
È un libro che si pone tuttora come universale, un libro attivo, che va alla radice e propone un cambiamento di rotta alla visione che abbiamo del mondo, giacché ovviamente “tutto dipende dal modo di guardare le cose”. Cambiamento o scaravoltamento che non può avvenire se non in seguito a un addestramento, a esercizi o espedienti che ci permettano di prendere in giro le nostre pretese di controllo su qualcosa che è pienamente vivibile solo se a quel controllo si impara a rinunciare. Ecco così l’addestramento, traverso le strambe vicende nell’Istituto Benjamenta, dove si studia “qualcosa di affatto diverso” che porta a diventare “un bello zero tondo tondo”. Quello che ci si presenta come Tagebuch, un diario di cui conserva l’aspetto formale, è di fatto un manuale densissimo, perfino troppo. Walser lo sa bene e lo dice anche, ma evidentemente non può fare altrimenti.
L’inizio è folgorante e programmatico, veniamo a sapere che con questo metodo si impara ben poco, “non conduce a nulla”, di sicuro non si impara il successo, piuttosto a disimparare i gravami che la civiltà ha accumulato sulla nostra percezione e la consapevolezza: “L’educazione che ci viene data consiste nel costringerci a fare precisa conoscenza con la costituzione della nostra particolare anima, del nostro personale corpo”. Quello che si propone è prima di tutto un apprendimento non compulsivo, tardo all’apparenza ma dal sapore molto antico, un apprendimento goccia a goccia, rituale, liturgico, con relativa indipendenza dal comprendonio che è quasi sostituito dal ripetere a memoria, con l’importante massima del “poco ma a fondo”, e sempre la stessa cosa. Un metodo che arriva tardi alle cose, anzi si potrebbe dire con un po’ di presunzione che sono le cose a un certo punto ad arrivare già assimilate: “Ci impadroniamo prima di una cosa, poi di un’altra, e una volta che ce ne siamo impadroniti quasi quasi è essa che ci possiede”, perché “niente è più salutare dell’adeguarsi a un ‘poco’ solido e sicuro”. L’intenzione è insomma quella di un’estrema semplificazione in quello che è comune a tutti.
Una vera e propria gamma di esercizi, con addirittura una parte teorica e una pratica che suggeriscono posture, fino all’allenamento del respiro, al fine di acquisire una particolare qualità dell’attenzione: “Sto attento, e così la vita diventa bella, perché se non si è costretti a stare attenti, si può dire che non ci sia neanche vita”. È un atteggiamento della mente che è necessario imparare o forse reimparare, una qualità del pensiero che attraverso l’attenzione può permettersi di non aspettarsi nulla, visto che la reazione sarà comunque adeguata. Chi non impara a disidentificarsi da quello che gli passa per la testa, chi “si trattiene coi suoi pensierucci per lo più in tutt’altri luoghi che non nel regno e nel giardino dell’attenzione”, non ha alcuna possibilità di essere non solo efficace ma neppure elegante, e nessuno più di Walser può affermare che “conformarsi è più elegante, assai più elegante che non il pensare”. L’esercizio principale quindi ruota attorno all’assunto che “uno che si applica a non pensare, fa qualche cosa, ebbene proprio quella cosa è più necessaria”.
Certo l’intento plausibile o dichiarato è di non avere davanti un obiettivo da raggiungere, quale esso sia (“vietato guardare lontano inutilmente”), però questo mirare non intenzionale produce un uso della mente che ha sapore naturale, “estremamente manovrabile, pieghevole, duttile”. Ciò che qui viene detto naturale o originario non ha a che fare con un ritorno allo stato primigenio, ma l’accenno alla primordialità serve soltanto a sviluppare un’abilità, “una specie di dono divino”, un potere che, con tutta evidenza, ci appartiene da sempre. Uno degli aspetti più evidenti del potere che si sviluppa è la capacità di abbracciare simultaneamente punti di vista differenti, anche opposti, con il riconoscimento che gli opposti non sono contrari, ma polari o interdipendenti, e che vi è qualcosa che può venire alla luce da una consapevolezza più piena di quella tracciata dalla linearità logica.
Esperienza culmine di questo processo è il sogno estatico di Jacob, quando la maestra lo porta negli appartamenti interni, dove si abitua ai pensieri come apparizioni, ad “amare la necessità, ad averne cura”, per ammorbidire il “rigore inesorabile”. È così che si impara che per essere un po’ liberi non ci si può innamorare nemmeno della verità o della libertà, visto quanto esse sono condizioni provvisorie, piacevolmente instabili, impermanenti nelle quali “bisogna sempre muoversi”, bisogna danzare, per “entrare da valorosi nell’inevitabile”.
A qualcuno non sfuggirà che l’ubbidienza alla regola qui somiglia troppo a quella che spesso è stata tradotta come Via, ma che verrebbe meglio semplicemente come metodo. E non dovrebbe sfuggire inoltre la completa e direi stupefacente aderenza del metodo-Benjamenta con i dettami di alcune filosofie orientali, pragmatiche e operative, in particolare della taoista cinese.
Ora nessuno sa, e non credo faccia parte della vasta letteratura critica, se e quanto Robert Walser abbia letto i libri della tradizione filosofica taoista. E del resto importa poco, visto l’assunto principale di tale filosofia, per il quale l’unica cosa veramente importante a cui deve tendere un taoista è non sapere di esserlo, o almeno dimenticarsene o ricordarselo molto poco, e, nel caso più imperfetto e subordinato, non parlarne. Del resto qui, “quando un allievo dell’Istituto Benjamenta non sa di fare il suo dovere, è allora che lo fa. Mettiamo invece che lo sappia, in quel caso tutta la sua grazia e la sua bravura spariscono e commette un qualunque errore”. È vero che al taoismo fa cenno sempre Canetti, sostenendo che Walser è “taoista per natura, non ha bisogno di diventarlo come Kafka”, ma la sua intuizione resterà comunque senza seguito, e sul taoismo di Kafka poi ci sarebbe molto da dire.
Eppure tutta l’opera dello scrittore bernese, se osservata da questo particolare punto di vista, altro non è che un coerente e perfino meticoloso dispiegamento di indicazioni e descrizioni al riguardo. Anzi si può dire che lo testimonia parola per parola, esercitandolo attivamente in tutta la sua scrittura anche posteriore, nell’andamento ondivago dei pensieri narrativi scritti nella condizione in cui si raggiunge il risultato senza volerlo, nelle parole che sembrano cancellarsi via via e ci restituiscono una sorta di vertigine non violenta, in quella specie di brezza spontanea che sembra bucare le pagine, e comunque sempre nella laica, semplice e squisita fiducia o meglio certezza che “Dio va con chi è libero dai pensieri”.

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