ciao andreotti, un altro trentenne che se ne va'

Spazio per messaggi e discussioni a tema libero.

Messaggioda undertaker777 » mer mag 08, 2013 1:26 am

pesa ha scritto:
undertaker777 ha scritto:
...Così si inventò che i reati contestati a Andreotti fino al 1980 erano prescritti, e lui risultava assolto soltanto per quelli che gli erano stato attribuiti dall'80 al '92.

Una assoluzione salomonica per non sconfessare il grande accusatore.

Ma ingiusta e insensata. Perché ciò che è prescritto non può essere considerato reato, in assenza di quella verità giudiziaria che si definisce soltanto con il dibattimento che, a evidenza, a reati prescritti, non vi fu.



interessante voce fuori dal coro, tanto per ricordarci di che razza di giustizia dovremmo fidarci :roll:


che razza di giustizia, già...
e sopprattutto, quanto è facile dare credito a ciò che ci piace, anche se è una palese falsità:

in relazione ai reati contestati ad andreotti nel periodo fino al 1980, il giudizio della cassazione è di piena colpevolezza. andreotti è stato giudicato colpevole di collusione con la mafia. non serve essere un giurista per capire che se la conclusione del processo arriva oltre i termini di prescrizione dei reati contestati, per quei reati non verrà comminata nessuna pena. ma questo non vuol dire in nessua maniera che l'imputato è stato assolto.
Andreotti è stato giudicato colpevole.
essendo questo un fatto oggettivo e documentato, per dire il contrario bisogna essere ignoranti della materia o in cattiva fede.


facilissimo dare credito a ciò che ci piace, basta che ti rileggi, semplice no? tutto bello, tutto giusto, sisi

VOLGIMENTO DEL PROCESSO

1- L?ipotesi accusatoria

Con decreto emesso il 2 marzo 1995, il Giudice per le Indagini Preliminari, su conforme richiesta del P.M., disponeva il giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo nei confronti di Giulio Andreotti perché rispondesse delle seguenti imputazioni:

a) del reato di cui all?art. 416 c.p., per avere messo a disposizione dell?associazione per delinquere denominata Cosa Nostra, per la tutela degli interessi e per il raggiungimento degli scopi criminali della stessa, l?influenza e il potere derivanti dalla sua posizione di esponente di vertice di una corrente politica, nonché dalle relazioni intessute nel corso della sua attività; partecipando in questo modo al mantenimento, al rafforzamento e all?espansione dell?associazione medesima;

E così ad esempio:

- partecipando personalmente ad incontri con esponenti anche di vertice di Cosa Nostra, nel corso dei quali venivano discusse condotte funzionali agli interessi dell?organizzazione (in particolare, gli incontri svoltisi in Palermo e in altre località della Sicilia nel 1979 e nel 1980);

- intrattenendo inoltre rapporti continuativi con l?associazione per delinquere tramite altri soggetti, alcuni dei quali aventi posizioni di rilevante influenza politica in Sicilia (in particolare l?on.le Salvo Lima e i cugini Antonino Salvo e Ignazio Salvo);

- rafforzando la potenzialità criminale dell?organizzazione, in quanto, tra l?altro, determinava nei capi di Cosa Nostra e in altri suoi aderenti la consapevolezza della disponibilità di esso Andreotti a porre in essere (in varie forme e modi, anche mediati) condotte volte ad influenzare, a vantaggio dell?associazione per delinquere, individui operanti in istituzioni giudiziarie e in altri settori dello Stato;

Con le aggravanti di cui all?art. 416 commi 4 e 5 c.p., essendo Cosa Nostra un?associazione armata, composta da più di dieci persone;

Reato commesso in Palermo (luogo di costituzione e centro operativo dell?associazione per delinquere denominata Cosa Nostra) e in altre località, da epoca imprecisata fino al 28 settembre 1982;

b) del reato di cui all?art. 416 bis c.p., per avere messo a disposizione dell?associazione mafiosa denominata Cosa Nostra, per la tutela degli interessi e per il raggiungimento degli scopi criminali della stessa, l?influenza e il potere derivanti dalla sua posizione di esponente di vertice di una corrente politica, nonché dalle relazioni intessute nel corso della sua attività; partecipando in questo modo al mantenimento, al rafforzamento e all?espansione dell?associazione medesima.

E così ad esempio:

- partecipando personalmente ad incontri con esponenti anche di vertice di Cosa Nostra, nel corso dei quali venivano discusse condotte funzionali agli interessi dell?organizzazione (in particolare, l?incontro svoltosi a Palermo con il latitante Salvatore Riina e con Salvo Lima e Ignazio Salvo);

- intrattenendo inoltre rapporti continuativi con l?associazione mafiosa tramite altri soggetti, alcuni dei quali aventi posizioni di rilevante influenza politica in Sicilia (in particolare l?on.le Salvo Lima e i cugini Antonino Salvo e Ignazio Salvo);

- rafforzando la potenzialità criminale dell?organizzazione, in quanto, tra l?altro, determinava nei capi di Cosa Nostra e in altri suoi aderenti la consapevolezza della disponibilità di esso Andreotti a porre in essere (in varie forme e modi, anche mediati) condotte volte ad influenzare, a vantaggio dell?associazione mafiosa, individui operanti in istituzioni giudiziarie e in altri settori dello Stato;

- rafforzando ancora, e in particolare, la capacità di intimidazione dell?organizzazione, fino al punto da ingenerare uno stato di condizionamento persino in vari collaboratori di giustizia; i quali difatti - pur dopo essersi dissociati da Cosa Nostra e averne rivelato la struttura e le attività delittuose, ivi comprese quelle riferibili ai componenti della ?Commissione? - si astenevano tuttavia a lungo dal riferire fatti e circostanze (relativi anche a gravi omicidi, quali ad esempio quelli di Pecorelli, Mattarella, Dalla Chiesa) concernenti rapporti fra Cosa Nostra ed esponenti politici, tra i quali appunto esso Andreotti, per il timore - peraltro esplicitamente manifestato - di poter subire pericolose conseguenze;

Con le aggravanti di cui all?art. 416 bis commi 4, 5 e 6 c.p., essendo Cosa Nostra un?associazione armata, volta a commettere delitti, nonché ad assumere e mantenere il controllo di attività economiche, mediante risorse finanziarie di provenienza delittuosa;

Reato commesso, a partire dal 29.09.1982, in Palermo (luogo di costituzione e centro operativo dell?associazione mafiosa denominata Cosa Nostra) e in altre località.

2- Il ragionamento giuridico del Tribunale

Premesso che all?imputato erano stati contestati i reati di partecipazione ad associazione per delinquere (per il periodo fino al 28 settembre 1982) e di partecipazione ad associazione di tipo mafioso (per il periodo successivo), il Tribunale, citando ampiamente l?insegnamento di questa Corte, si è soffermato sull?individuazione degli elementi costitutivi di tali delitti, ravvisati, per il primo, nella formazione e nella permanenza di un vincolo associativo continuativo, tra almeno tre persone, allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti, con la predisposizione comune dei mezzi occorrenti per la realizzazione del programma delinquenziale, cioè di una struttura organizzativa idonea e, soprattutto, adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira e con la permanente consapevolezza di ciascun associato di far parte dell?illecito sodalizio e di essere disponibile ad operare per l?attuazione del comune programma criminoso e, per il secondo, nei medesimi elementi con la caratterizzazione ulteriore dell?autonoma forza di intimidazione promanante dal vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà.

Quindi il Tribunale ha affrontato il tema del concorso eventuale nel reato associativo, rilevando che, rispetto all?associazione di tipo mafioso, l?applicazione della figura del concorso eventuale assume particolare importanza con riferimento alle situazioni di ?contiguità? all?organizzazione criminale, le quali, rafforzando l?apparato strumentale e agevolando la realizzazione del programma criminoso dell?illecito sodalizio, possono contribuire in misura rilevante ad esporre a pericolo i beni giuridici protetti dalla norma incriminatrice (l?ordine pubblico generale, l?ordine economico, l?ordine democratico, il corretto funzionamento della pubblica amministrazione) e presentano, pertanto, un notevole disvalore.

Dopo un excursus con cui ha preso in esame il problema in generale, rilevando che esso si pone soprattutto con riferimento al concorso materiale, non essendo in discussione l?aspetto del concorso morale, il Tribunale ha poi affrontato il tema specifico dell?associazione per delinquere di tipo mafioso, affermando che il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità ha, con persuasive argomentazioni, ritenuto configurabile il concorso eventuale in tale associazione, pur esprimendo vari indirizzi interpretativi sulla identificazione dei casi e sulla definizione dei limiti di operatività di tale ipotesi delittuosa.

In definitiva, la tesi del Tribunale è che la fattispecie della partecipazione non è suscettibile di ricomprendere le condotte che si esauriscono in un consapevole contributo causale solo ad alcune attività dell?associazione; simili condotte atipiche sono, invece, sussumibili nel concorso eventuale.

Il Tribunale è addivenuto alla delimitazione della rispettiva area di operatività delle fattispecie della partecipazione e del concorso esterno facendo riferimento ai criteri fissati dalla sentenza n. 16 del 1994 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, criteri ritenuti rispondenti alla duplice esigenza di assicurare un?efficace tutela dei beni giuridici protetti dalla norma di cui all?art. 416 bis c.p. anche contro le offese prodotte da soggetti estranei alla struttura criminale e, nel contempo, di garantire il rispetto del principio di necessaria determinatezza della fattispecie penale, con riguardo, sia alla precisione della descrizione astratta della condotta punibile, sia alla sua rispondenza a comportamenti concreti effettivamente riscontrabili nella realtà sociale.

Il Tribunale ha esaminato anche la qualificazione giuridica dei rapporti illeciti tra esponenti politici e associazioni di tipo mafioso, precisando che, sulla base delle indicazioni fornite da dottrina e giurisprudenza, possono al riguardo distinguersi quattro diverse ipotesi.

La prima è quella dell?esponente politico che sia formalmente affiliato all?organizzazione mafiosa e occupi una posizione stabile e predeterminata all?interno della struttura criminale. Pacifica è, in questo caso, l?applicabilità della fattispecie prevista dall?art. 416 bis c.p..

La seconda ipotesi è quella dell?esponente politico che, pur non essendo formalmente affiliato all?organizzazione mafiosa, abbia instaurato con essa un rapporto di stabile e sistematica collaborazione, realizzando comportamenti che abbiano arrecato vantaggio al sodalizio illecito. Anche in questo caso è configurabile il delitto di cui all?art. 416 bis c.p. perché l?uomo politico finisce con perseguire anche la realizzazione degli scopi del sodalizio illecito e dimostra di condividere, orientandola a proprio vantaggio, la logica intimidatoria dell?associazione mafiosa.

La terza ipotesi è quella del candidato che, per la prima volta nella sua carriera politica o comunque in modo occasionale, contratti con esponenti dell?associazione mafiosa il procacciamento del voto degli affiliati e la coercizione del voto altrui, in cambio dell?offerta di sistematici favoritismi verso l?organizzazione criminale. Naturalmente, deve ravvisarsi in concreto un nesso causale tra la conclusione del patto e il consolidamento del sodalizio illecito. In questo caso, ad elezione avvenuta, è configurabile una condotta partecipativa, consistente nella seria manifestazione di volontà in favore dell?associazione mafiosa.

La quarta ipotesi è quella di episodiche condotte compiacenti, che si concretino, ad esempio, nella concessione di singoli favori. Simili comportamenti, rientranti nel concetto di contiguità mafiosa, non integrano gli estremi della partecipazione mancando ?l?affectio societatis?, ma sono riconducibili alla fattispecie del concorso esterno qualora si risolvano nella effettiva realizzazione di almeno un apporto che abbia causalmente contribuito alla conservazione o al rafforzamento del sodalizio mafioso consentendogli di superare una situazione di anormalità.

Quindi il Tribunale, premesso che il procedimento probatorio in tema di reati associativi di tipo mafioso va individuato nel fatto che quasi sempre la ricostruzione della vicenda delittuosa proviene in gran parte dall?interno dell?organizzazione criminale attraverso le confessioni di imputati ad essa già partecipi e poi dissociatisi, ha affrontato, appunto, il tema della prova del reato associativo, facendo particolare riferimento ai criteri di valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e affermando che, allo scopo di individuare i criteri da seguire in proposito, occorre preliminarmente verificare se il collaborante rivesta o meno una delle qualifiche indicate dal terzo e dal quarto comma dell?articolo 192 c.p.p.. In caso positivo, occorre applicare la regola di giudizio prevista dal terzo comma dell?art. 192 c.p.p.; invece, in caso contrario, le dichiarazioni del collaborante vanno considerate come testimonianze a tutti gli effetti e sono soggette al solo limite ordinario dell?attendibilità, da valutare secondo i normali criteri del libero e giustificato convincimento, senza cercarne la conferma nei riscontri richiesti dal detto art. 192 comma terzo c.p.p..

Ha concluso ricordando che, nel caso della chiamata di correo, il prevalente orientamento giurisprudenziale richiede una triplice verifica: controllo di attendibilità personale del dichiarante, controllo di attendibilità intrinseca della dichiarazione e, infine, controllo di attendibilità estrinseca attraverso i riscontri che alle dichiarazioni possono venire da altri elementi probatori di qualsiasi tipo e natura.

3- La valutazione del compendio probatorio secondo il Tribunale

E? necessario ricorrere ad un?ampia citazione della sentenza di primo grado per consentire una comprensione adeguata dei fatti all?origine della vicenda processuale.

Essa ha iniziato la propria indagine di merito dall?esame dei rapporti di Andreotti con i cugini Antonino e Ignazio Salvo e con i politici Salvatore Lima e Vito Ciancimino.

Secondo il Tribunale, l?affiliazione di Ignazio Salvo all?associazione criminale Cosa Nostra era stata accertata dalla sentenza n. 91/90 emessa il 10 dicembre 1990 dalla Corte di Assise di Appello di Palermo a conclusione del secondo grado di giudizio nel c.d. maxiprocesso, l?esattezza delle cui conclusioni era stata riconosciuta dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 80 del 30 gennaio 1992 e aveva trovato conferma nelle risultanze di questo stesso processo (in virtù delle credibili dichiarazioni degli attendibili Tommaso Buscetta, Antonino Calderone, Salvatore Cocuzza, Vincenzo Sinacori, Francesco Marino Mannoia; Francesco Di Carlo, Gioacchino Pennino e Gaspare Mutolo), dalle quali era risultata l?appartenenza a Cosa Nostra anche del cugino Nino Salvo.

In esito alla disamina di tali dichiarazioni il Tribunale è pervenuto alle seguenti conclusioni.

I cugini Salvo erano organicamente inseriti nell?associazione mafiosa Cosa Nostra sin da epoca anteriore al 1976 (cfr. le dichiarazioni di Buscetta, Calderone, Di Carlo); Ignazio Salvo era ?sottocapo? della ?famiglia? di Salemi (secondo quanto hanno riferito Buscetta, Calderone, Cucuzza, Sinacori, Pennino); Antonino Salvo, per un certo periodo, aveva rivestito la carica di ?capodecina? della stessa cosca mafiosa (come si evince dalle affermazioni di Buscetta, Calderone, Cucuzza); i cugini Salvo in un primo tempo erano stati particolarmente vicini ad esponenti dello schieramento ?moderato? di Cosa Nostra, come Gaetano Badalamenti e Stefano Bontate (cfr. le dichiarazioni di Buscetta, Calderone, Cucuzza, Sinacori, Marino Mannoia, Di Carlo), ma, dopo l?inizio della ?guerra di mafia?, erano passati dalla parte dello schieramento ?vincente?, che faceva capo a Riina (cfr. le dichiarazioni di Cucuzza, Sinacori, Marino Mannoia, Di Carlo); diversi esponenti di Cosa Nostra si erano rivolti ai Salvo per cercare di ottenere una favorevole soluzione di vicende processuali (si evince dalle dichiarazioni di Sinacori, Di Carlo, Mutolo, nonché da quelle di altri collaboranti); i cugini Salvo avevano manifestato ad altri esponenti mafiosi i loro stretti rapporti con l?on. Lima (risulta dalle dichiarazioni di Buscetta, Calderone, Di Carlo, Pennino, Mutolo); i cugini Salvo, nei loro colloqui con diversi esponenti mafiosi, avevano evidenziato i loro rapporti con il sen. Andreotti (si desume dalle indicazioni fornite da Buscetta, Di Carlo, Pennino); per alcuni anni l?appartenenza dei Salvo a Cosa Nostra era stata resa nota solo ad alcuni degli associati (emerge dalle precisazioni compiute da Marino Mannoia, Di Carlo, Mutolo).

Dalla sentenza emessa il 16 dicembre 1987 dalla Corte di Assise di Palermo nel c.d. maxiprocesso emergeva, comunque, che da tempo erano stati avanzati sospetti sull?inserimento dei cugini Salvo nel sodalizio criminale. Sul punto, la pronunzia in questione aveva evidenziato quanto segue: i sospetti sull?appartenenza di Ignazio Salvo (e del defunto cugino Nino) alla mafia risalivano ad epoca non recente. Peraltro, in vari rapporti informativi redatti dai Carabinieri del trapanese, l?attività economica dei Salvo e il loro inglobamento nell?associazione mafiosa venivano per lo più considerati come dati di fatto acquisiti dalla pubblica opinione di Salemi. In alcuni rapporti si precisava, anzi, che il padre di Ignazio sarebbe stato considerato, in alcuni periodi, come il capomafia del paese. Sui problemi relativi alle esattorie e ai cugini Salvo si era concentrata, nel 1982, l?attenzione del Prefetto di Palermo gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa, il quale ? resosi conto dell?importanza della questione ? aveva avvertito l?esigenza di accennarvi in occasione di un suo incontro con il Ministro dell?Interno on. Virginio Rognoni, svoltosi a Ficuzza nell?agosto dello stesso anno.

Quindi il Tribunale ha esaminato l?influenza politica dei cugini Salvo e i loro rapporti con la corrente andreottiana.

Secondo il primo giudice i predetti, organicamente inseriti nell?organizzazione mafiosa, avevano esercitato per un lungo periodo una fortissima influenza sulla vita politica siciliana. Il loro controllo del sistema esattoriale in Sicilia, sottoposto ad una particolare regolamentazione che prevedeva un aggio ampiamente superiore a quello praticato nel restante territorio nazionale e una ?tolleranza? sui tempi di versamento di parte delle somme riscosse, aveva loro assicurato la disponibilità di enormi importi di denaro, reinvestibili in altre attività. I Salvo, conseguentemente, erano riusciti ad incidere profondamente sull?esito delle competizioni elettorali e sulle decisioni assunte in varie sedi istituzionali, come dimostravano le dichiarazioni dell?on. Giuseppe D?Angelo, dell?on. Giacomo Mancini, dell?on. Mario Fasino, dell?on. Sergio Mattarella, dell?on. Giuseppe Campione, di Francesco Maniglia, di Calogero Adamo, dell?on. Attilio Ruffini, di Gioacchino Pennino, di Giuseppe Cambria, di Francesco Di Carlo, di Nicolò Mario Graffagnini.

Il Tribunale ha affermato che, dagli evidenziati elementi di convincimento, si desumeva che tra i Salvo e l?on. Lima si era sviluppato un solido e duraturo legame di natura personale e politica.

Inoltre ha ritenuto che l?enorme influenza esercitata sull?economia e sulla politica siciliana dal centro di potere facente capo ai cugini Salvo (i quali erano stati in grado anche di impedire la rielezione all?Assemblea Regionale Siciliana di un ex Presidente della Regione ? l?on. D?Angelo - entrato in contrasto con loro) aveva consentito loro di sostenere elettoralmente esponenti di diverse correnti della Democrazia Cristiana, senza per questo incrinare il rapporto privilegiato con l?on. Lima.

Sul punto è pervenuto alla conclusione che l?esame del complessivo quadro probatorio acquisito nel corso dell?istruzione dibattimentale induceva ad affermare che i cugini Salvo avevano offerto un sostegno aperto, efficace e costante (seppure non esclusivo) a diversi esponenti della corrente andreottiana, sulla base dello stretto rapporto di collaborazione e di amicizia personale instaurato da lungo tempo con l?on. Lima.

Particolare rilievo è stato attribuito ad alcuni episodi che il Tribunale ha ritenuto provati.

In primo luogo al regalo ? un vassoio d?argento - fatto da Andreotti in occasione delle nozze con Gaetano Sangiorgi della figlia di Antonino Salvo, Angela, celebrate il 6 settembre 1976, alla presenza di Salvo Lima e Mario D?Acquisto, circostanza risultante da una serie di apporti probatori, originati dalle confidenze dello stesso Sangiorgi.

Il Tribunale ha commentato che l?offerta del regalo presupponeva necessariamente la preventiva instaurazione di intensi rapporti, anche sul piano personale, quanto meno con Antonino Salvo; non era risultato, infatti, che ? al di fuori dello stretto legame che lo univa ad Antonino Salvo (e di riflesso ai suoi congiunti) sul piano politico e personale ? l?imputato avesse avuto occasione di intrattenere ulteriori relazioni amichevoli con gli sposi, ovvero con la famiglia di origine del Sangiorgi.

Ha rilevato, infine, che nessuna indicazione in tal senso era stata fornita da Andreotti, che, nelle spontanee dichiarazioni rese all?udienza del 15 dicembre 1995, si era limitato a sostenere (nel quadro di una completa negazione dei rapporti con i Salvo) di non avere ricevuto alcun invito o partecipazione per il suddetto matrimonio e di non avere inviato regali né telegrammi.

In secondo luogo all?incontro conviviale tra Andreotti e Antonino Salvo presso l?Hotel Zagarella, in territorio di Santa Flavia, in data 7 giugno 1979, dopo che il primo aveva tenuto, presso il cinema Nazionale di Palermo, un discorso elettorale di sostegno della candidatura di Salvo Lima alle elezioni europee alla presenza del secondo e di Vito Ciancimino.

A parere del Tribunale, dagli elementi raccolti (foto che ritraevano l?imputato insieme al Salvo; numerose dichiarazioni testimoniali), era emerso che Antonino Salvo, nel caso concreto, aveva posto in essere, oltre a comportamenti riconducibili alla sua qualità di soggetto interessato alla società proprietaria dell?Hotel Zagarella, anche ulteriori condotte inequivocabilmente inquadrabili in un?attività di deciso e aperto sostegno alla candidatura dell?on. Lima per le imminenti elezioni europee del giugno 1979.

Il primo giudice ha ritenuto particolarmente sintomatico, al riguardo, il fatto che era stato lo stesso Antonino Salvo ad ordinare il banchetto e a sostenerne successivamente il costo, evidenziando che, se se si fosse trattata di una normale prestazione alberghiera espletata nei confronti di un partito politico, senza alcun ulteriore interesse di Antonino Salvo, l?ordinativo e la corresponsione del compenso sarebbero stati effettuati da un esponente o da un funzionario del partito.

Secondo il Tribunale, il contegno effettivamente serbato da Antonino Salvo denotava, invece, la reale natura del suo intervento, palesemente finalizzato all?organizzazione e al finanziamento di un incontro conviviale assai costoso e strettamente connesso al comizio conclusivo della campagna elettorale dell?on. Lima.

Il convincimento del primo giudice è stato rafforzato dalla considerazione che la ricostruzione dell?accaduto prospettata dall?imputato era stata contraddetta dagli ulteriori elementi probatori, che avevano dimostrato che egli, già nel 1976, conosceva Antonino Salvo così bene da avvertire l?esigenza di inviare un dono nuziale in occasione del matrimonio della figlia con Sangiorgi.

Era, quindi, perfettamente conforme alla realtà la sensazione manifestata dai testi De Martino e Conte, i quali, sulla scorta delle modalità dell?incontro, avevano ritenuto che Antonino Salvo e il sen. Andreotti già si conoscessero.

Le argomentazioni sviluppate inducevano, quindi, il Tribunale a ritenere che l?imputato aveva deliberatamente travisato il reale svolgimento dell?episodio, al fine di negare la sussistenza di ogni rapporto personale e politico con Antonino Salvo.

In terzo luogo alla telefonata effettuata nel settembre 1983, per conto di Andreotti, da persona qualificatasi come appartenente alla sua segreteria allo scopo di informarsi delle condizioni di salute di Giuseppe Cambria, socio dei cugini Salvo e ad essi fortemente legato, e sotto il profilo dell?esercizio delle comuni attività imprenditoriali, e sotto il profilo dell?incisiva influenza esplicata sul piano politico-istituzionale, persona che, al pari di loro, manteneva intensi rapporti sia con autorevoli esponenti siciliani della corrente andreottiana, sia con soggetti organicamente inseriti in cosche mafiose facenti capo allo schieramento dei ?corleonesi?.

Per quanto riguarda le ragioni dell?interessamento esplicato da Andreotti, sia pure per il tramite di un componente della sua segreteria personale, nei confronti di costui, il Tribunale ha rilevato che le stesse non apparivano riconducibili a rapporti diversi rispetto a quelli che legavano l?imputato (sotto il profilo personale e sotto il profilo politico) all?importante centro di potere economico-politico facente capo ai cugini Salvo e ai soggetti loro vicini.

In quarto luogo all?annotazione del numero telefonico di Andreotti in un?agenda sequestrata ad Ignazio Salvo in occasione dell?arresto del medesimo, insieme al cugino Antonino Salvo, avvenuto il 12 novembre 1984, agenda che poi non era stata rinvenuta e, dunque, non era stata acquisita agli atti, per cui il Tribunale ha ritenuto provata la circostanza sulla scorta delle dichiarazioni, ampiamente richiamate, con cui Laura Iacovoni (vedova del commissario Antonino Cassarà, assassinato in un agguato mafioso nel 1985), Francesco Accordino, già collega di lavoro di Cassarà, e Francesco Forleo, dirigente della Polizia di Stato, avevano riferito su quanto, in merito, appreso da quest?ultimo. La conclusione era stata che gli elementi probatori raccolti (incluse alcune dichiarazioni dei cugini Salvo) dimostravano la disponibilità, da parte di Ignazio Salvo, del numero telefonico diretto del sen. Andreotti.

Il primo giudice ha attribuito alla circostanza specifico e univoco rilievo indiziante circa l?esistenza di rapporti personali tali da consentire allo stesso Ignazio Salvo di rivolgersi direttamente all?imputato contattandolo per mezzo del telefono e non ha ritenuto attendibile la versione dei fatti esposta dall?imputato, il quale, nelle spontanee dichiarazioni rese all?udienza del 29 ottobre 1998, aveva negato la circostanza e anzi aveva posto in dubbio anche l?esistenza della rubrica telefonica.

Tuttavia, per il Tribunale, l?annotazione del numero della Presidenza del Consiglio dei Ministri nella rubrica sequestrata al Salvo non valeva a dimostrare l?esistenza di rapporti diretti tra quest?ultimo e il sen. Andreotti: era, infatti, ben possibile che il possesso di tale numero telefonico si ricollegasse all?attività di lobbying svolta a vasto raggio da Antonino Salvo in funzione dei propri interessi economico-imprenditoriali.

Invece le ulteriori argomentazioni difensive sviluppate dall?imputato erano infondate perché inequivocabilmente contraddette dalle risultanze processuali, oltre che dagli ulteriori elementi di convincimento che avevano dimostrato l?esistenza di un diretto rapporto personale tra Andreotti e Antonino Salvo.

In quinto luogo all?utilizzazione, in occasione di vari viaggi in Sicilia, da parte di Andreotti, come pure di Salvo Lima, di autovetture blindate intestate alla Satris S.p.A. (società esattoriale che apparteneva alle famiglie Salvo, Cambria, Iuculano e Corleo), risultante da alcune parziali ammissioni degli stessi cugini Salvo e dalle dichiarazioni dell?autista Francesco Filippazzo.

Il Tribunale ha ritenuto non verosimile, per una serie di considerazioni, l?affermazione dell?imputato di avere ignorato a chi appartenessero le autovetture da lui utilizzate in tali occasioni.

Esaurita questa disamina, il Tribunale è passato all?esame sintetico dei rapporti dei cugini Salvo con Claudio Vitalone, che li aveva incontrati ripetutamente, e poi alla valutazione delle difformi deposizioni dei loro familiari, alle quali ha negato particolare credibilità.

In esito all?analisi sopra sintetizzata, è pervenuto alle seguenti conclusioni:

a) i cugini Salvo, profondamente inseriti in Cosa Nostra, erano stati più volte interpellati da persone associate all?illecito sodalizio per cercare di ottenere una favorevole soluzione di vicende processuali, avevano manifestato a diversi ?uomini d?onore? i loro stretti rapporti con l?on. Lima, e, nei colloqui con una pluralità di esponenti mafiosi, avevano evidenziato i loro rapporti con il sen. Andreotti;

b) i cugini Salvo, sul piano politico, avevano offerto un sostegno aperto ed efficace (seppure non esclusivo) a diversi esponenti della corrente andreottiana, sulla base dello stretto rapporto di collaborazione e di amicizia personale che essi avevano instaurato da lungo tempo con l?on. Lima;

c) tra il sen. Andreotti e i cugini Salvo si erano sviluppati anche diretti rapporti personali, evidenziati dagli episodi sopra riferiti;

d) il sen. Andreotti, per i propri spostamenti in Sicilia, aveva utilizzato in più occasioni, e anche per periodi di diversi giorni, un?autovettura blindata intestata alla Satris S.p.A., prestata all?on. Lima da Antonino Salvo.

Ma le considerazioni fondamentali sono state che, sebbene l?affermazione dell?imputato di non avere intrattenuto alcun rapporto con i cugini Salvo fosse stata inequivocabilmente contraddetta dalle risultanze probatorie, restava pur sempre da verificare quale valenza probatoria potessero assumere, rispetto alle contestazioni mosse all?imputato, i suoi accertati rapporti diretti con i cugini Salvo e che gli elementi di convincimento raccolti non fossero tali da dimostrare che l?imputato avesse manifestato ai cugini Salvo una permanente disponibilità ad attivarsi per il conseguimento degli obiettivi propri dell?associazione mafiosa, o, comunque, avesse effettivamente compiuto, su loro richiesta, specifici interventi idonei a rafforzare l?illecito sodalizio.

A questo punto il Tribunale ha indagato i rapporti tra il sen. Andreotti e l?on. Salvatore Lima, muovendo dalla carriera politica di quest?ultimo e dalla sua adesione alla corrente andreottiana.

Ha evidenziato che, come risultava da numerose testimonianze, l?ingresso nella corrente andreottiana dell?on. Lima, in precedenza appartenente a quella fanfaniana, che era avvenuto verosimilmente nel 1969, a seguito diretto della frattura con l?on. Giovanni Gioia, era stato l?effetto dell?opera di mediazione e di impulso svolta dall?on. Evangelisti e aveva comportato un notevole rafforzamento della ?presenza andreottiana? in Sicilia.

Poi il Tribunale ha trattato i rapporti di Salvatore Lima con esponenti mafiosi, risultanti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Buscetta, Di Carlo, Siino, Pennino, Mutolo, Annaloro, Vitale, Marsala, Marino Mannoia, Calderone, Cannella, Giovanni Brusca e Messina, rapporti che ha ritenuto esistenti e tali da configurare una stabile collaborazione (il padre di Lima era ?uomo d?onore? della ?famiglia? di Palermo Centro) già in epoca precedente alla sua adesione alla corrente andreottiana.

E? stato, in particolare, posto in evidenza che egli aveva attuato, tanto prima, quanto dopo tale adesione, una stabile collaborazione con Cosa Nostra e che aveva esternato all?on. Evangelisti (uomo politico particolarmente vicino al sen. Andreotti) la propria amicizia con un esponente mafioso di spicco come Tommaso Buscetta, esprimendo altresì una chiara consapevolezza dell?influenza di quest?ultimo soggetto.

La disamina è proseguita con la verifica della posizione, al riguardo, dell?imputato, dando rilievo alla considerazione che il problema dei rapporti esistenti tra la corrente andreottiana siciliana e l?organizzazione mafiosa era stato portato all?attenzione del sen. Andreotti dal gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa già nell?Gennaio 1982. Ma, alla fine, il Tribunale ha constatato che non era rimasto provato che il sen. Andreotti avesse tenuto specifici comportamenti suscettibili di assumere rilevanza penale.

Ha, però, sottolineato che il generale aveva espresso delle considerazioni in merito alla situazione della Democrazia Cristiana siciliana e alla contiguità con ambienti mafiosi di esponenti della stessa; che aveva individuato nella corrente andreottiana il gruppo politico che, in Sicilia, presentava le più gravi collusioni con la mafia; che, inizialmente, aveva creduto alla buona fede del sen. Andreotti, ritenendolo responsabile di semplici errori di valutazione e, quindi, gli aveva offerto con piena lealtà istituzionale il proprio contributo conoscitivo in merito agli aderenti alla sua corrente in Sicilia; che poi era giunto, nel corso della sua permanenza nella carica di Prefetto di Palermo, a ipotizzare che il medesimo esponente politico facesse ?il doppio gioco?.

Ma ha rilevato che la circostanza che l?imputato fosse il capo della corrente in cui era inserito l?on. Lima, nel periodo in cui l?attività politica di quest?ultimo si era proiettata sul piano nazionale, non era sufficiente ai fini dell?affermazione della sua responsabilità penale per il reato di partecipazione all?associazione mafiosa ovvero per quello di concorso esterno nella stessa, in mancanza di ulteriori elementi idonei a dimostrare inequivocabilmente che, nell?ambito di questo intenso legame di tipo politico, egli fosse attivamente intervenuto per consentire all?associazione delittuosa di raggiungere le sue illecite finalità, secondo i principi giuridici precedentemente esposti.

Il Tribunale ha concluso con il rilievo che non solo si doveva riconoscere che il quadro probatorio acquisito non era sufficiente a dimostrare che l?imputato avesse personalmente contribuito, in modo concreto ed effettivo, a indirizzare la sua influenza politica verso specifici obiettivi immediatamente funzionali all?esistenza e al rafforzamento dell?organizzazione mafiosa, ma che anzi, con il D.L. 12 settembre 1989, n. 317, la cui approvazione era stata energicamente contrastata dalle forze politiche dell?opposizione e da una parte della stessa maggioranza, tanto da renderne necessaria la reiterazione, e con la legislazione successiva egli, pur avendo la possibilità di agire diversamente, si era attivamente impegnato per conseguire un risultato oggettivamente sfavorevole all?organizzazione mafiosa.

Questo quadro di carattere generale è stato completato con la disamina dei rapporti tra l?imputato e Vito Ciancimino.

Al riguardo il Tribunale ha richiamato, in particolare, gli apporti forniti dall?on. Alberto Alessi, dall?on. Mario D?Acquisto, dall?on. Sergio Mattarella, da Gioacchino Pennino, dall?on. Attilio Ruffini, da Antonio Calabrò, da Francesco Di Carlo, da Giovanni Brusca, dall?on. Giuseppe Campione, da Gaetano Caltagirone e dall?on. Giacomo Mancini, nonché alcune dichiarazioni rese dall?imputato dinanzi all?Autorità Giudiziaria di Perugia.

Ciancimino era un esponente della Democrazia Cristiana di Palermo che aveva instaurato da lungo tempo un rapporto di stabile collaborazione con lo schieramento ?corleonese? di Cosa Nostra (circostanza che il Tribunale ha ritenuto sicuramente provata indicando le ragioni del proprio convincimento).

Pur mantenendo la propria autonomia, il gruppo facente capo a Ciancimino aveva instaurato nel 1976 un rapporto di collaborazione con la corrente andreottiana, ricevendo l?anno successivo un sostanzioso finanziamento da parte di Gaetano Caltagirone per il pagamento delle quote relative al ?pacchetto tessere?. L?inserimento formale nella corrente era avvenuto nel 1980; in seguito se ne era distaccato avendo avuto forti contrasti con l?on. Lima, anche se costui, in occasione del Congresso Regionale di Agrigento della Democrazia Cristiana, aveva appoggiato, con l?assenso di Andreotti, la proposta ? poi respinta per l?opposizione dell?on. Sergio Mattarella - di formare una lista unitaria, nella quale sarebbero state incluse tutte le correnti, compreso il gruppo di Ciancimino, che così avrebbe potuto essere rappresentato nel Comitato Regionale. Andreotti lo aveva incontrato a Roma tre volte, rispettivamente intorno al 1976 (a palazzo Chigi), il 20 settembre 1978 e nel 1983.

Ma la conclusione del Tribunale è stata che le risultanze dell?istruttoria dibattimentale non dimostravano che il sen. Andreotti, nell?ambito dei predetti rapporti politici con Ciancimino, avesse espresso una stabile disponibilità ad attivarsi per il perseguimento dei fini propri dell?organizzazione mafiosa, ovvero avesse compiuto concreti interventi funzionali al rafforzamento di Cosa Nostra.

Delineato questo quadro politico, la sentenza di primo grado ha esaminato una serie di episodi posti dall?Accusa a sostegno della propria tesi.

1) Il presunto incontro che sarebbe avvenuto nel settembre ? ottobre 1970 tra Andreotti e Frank Coppola, riferito dal collaborante Federico Corniglia, che aveva affermato di avervi assistito, le cui dichiarazioni sono state ritenute illogiche, generiche, contraddittorie e sostanzialmente prive di riscontri.

Il Tribunale è pervenuto a questa conclusione dopo aver richiamato anche gli apporti forniti dall?on. Alberto Alessi, dall?on. Mario D?Acquisto, dall?on. Sergio Mattarella, da Gioacchino Pennino, dall?on. Attilio Ruffini, da Antonio Calabrò, da Francesco Di Carlo, da Giovanni Brusca, dall?on. Giuseppe Campione, da Gaetano Caltagirone e dall?on. Giacomo Mancini, nonché alcune dichiarazioni rese dall?imputato dinanzi alla Autorità Giudiziaria di Perugia, e averne rilevato l?inadeguatezza a confermare la tesi accusatoria.

2) I rapporti di Andreotti con Michele Sindona. Anche in questo caso la disamina è iniziata dai legami di quest?ultimo con Cosa Nostra, ponendo in rilievo che le dichiarazioni di una pluralità di collaboratori di giustizia (Francesco Marino Mannoia, Francesco Di Carlo, Gaspare Mutolo, Angelo Siino) convergevano nell?affermare che costui aveva svolto attività di riciclaggio nell?interesse dei massimi esponenti dello schieramento ?moderato? di Cosa Nostra, facente capo a Stefano Bontate e a Salvatore Inzerillo.

Il Tribunale ha ritenuto che, nell?ambito del suo finto sequestro, da lui stesso inscenato, Sindona avesse tentato di ricattare Andreotti in correlazione con la necessità di assicurare il recupero di ingenti capitali agli esponenti dello schieramento ?moderato? di Cosa Nostra, che in precedenza si erano avvalsi dell?opera dello stesso Sindona per il riciclaggio dei proventi del narcotraffico.

Ha poi sviluppato il tema dei rapporti tra il sen. Andreotti e Michele Sindona ed ha affermato che, dalle risultanze dell?istruttoria dibattimentale, si desumeva che il primo aveva rappresentato, per il secondo, un costante punto di riferimento anche durante il periodo della sua latitanza e che il raccordo tra i due soggetti era noto a settori di Cosa Nostra i quali, contestualmente, avevano operato in modo illecito a favore del finanziere siciliano.

Ha sottolineato che l?imputato si era astenuto dall?attuare iniziative favorevoli al finanziere siciliano con riferimento ad un?operazione per costui di particolare importanza: il progettato aumento del capitale della società Finambro (a lui riconducibile), operazione necessaria a Sindona per procurarsi liquidità sul mercato, ma ha anche rilevato che, successivamente, il sen. Andreotti, in diverse altre occasioni, aveva assunto iniziative favorevoli a Sindona, aveva mantenuto, per anni, frequenti contatti con i soggetti operanti per conto del finanziere siciliano e aveva manifestato un reiterato e intenso interessamento per i suoi più rilevanti problemi, sia di ordine economico, sia di ordine giudiziario.

Il Tribunale ha analizzato a fondo il tema riferendo anche di un incontro tra i due avvenuto negli Stati Uniti durante la latitanza di Sindona.

Poi ha concluso che era rimasto non sufficientemente provato che il sen. Andreotti, al momento in cui aveva realizzato i comportamenti suscettibili di agevolare il Sindona, fosse consapevole della natura dei legami che univano il finanziere siciliano ad alcuni autorevoli esponenti dell?associazione mafiosa e, quindi, che non era configurabile la partecipazione dell?imputato al reato associativo, pur rimanendo il fatto che egli, anche nei periodi in cui rivestiva le cariche di Ministro e di Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, si era adoperato in favore di Sindona, nei cui confronti l?Autorità Giudiziaria italiana aveva emesso, sin dal 24 ottobre 1974, un ordine di cattura per il reato di bancarotta fraudolenta.

3) Il presunto intervento dell?imputato a favore dell?imprenditore petrolifero laziale Bruno Nardini, vittima verso la fine degli anni ?70 di richieste estorsive da parte della ?ndrangheta calabrese, episodio che, secondo l?accusa, proverebbe l?esistenza di un patto di scambio tra Cosa Nostra e Andreotti.

Detto intervento si sarebbe estrinsecato nell?efficace utilizzazione, quale tramite, del capomafia Stefano Bontate perché si adoperasse presso la ?ndrangheta calabrese affinché cessassero le azioni estorsive poste in essere, in quel territorio, ai danni del suddetto imprenditore, grande elettore dell?imputato nel Lazio.

Ma la vicenda era stata riferita solo da Antonino Mammoliti, persona rivelatasi non particolarmente attendibile, non aveva trovato alcuna conferma nelle dichiarazioni dei numerosi collaboratori di giustizia escussi nel dibattimento e, anzi, era stata radicalmente smentita dalla deposizione degli altri protagonisti e, in particolare, dai diretti interessati.

4) Il regalo di un quadro a Giulio Andreotti da parte dei capimafia palermitani Stefano Bontate e Giuseppe Calò, vicenda risultante dalle dichiarazioni di Francesco Marino Mannoia e che, nella prospettazione dell?accusa, dimostrerebbe l?esistenza, alla fine degli anni ?70, di rapporti tra Giulio Andreotti ed esponenti di Cosa Nostra.

Nella trattazione dell?argomento è stato fatto richiamo, quali possibili elementi di riscontro, alle dichiarazioni dell?avv. Antonino Filastò, della gallerista Angela Sassu, del dr. Domenico Farinacci e del defunto on. Franco Evangelisti, di alcune delle quali, secondo il consueto metodo espositivo, sono stati testualmente riportati nella sentenza ampi brani.

La sentenza di primo grado ha definito il quadro probatorio acquisito sul tema incompleto e viziato da incongruenze insanabili, che ha puntualmente evidenziato nel corso della motivazione.

5) Il presunto incontro che sarebbe avvenuto a Roma tra l?imputato, Gaetano Badalamenti, uno dei cugini Salvo e Filippo Rimi allo scopo di ?aggiustare? il processo a carico di quest?ultimo, celebratosi, nei vari gradi di giudizio, a Perugia e a Roma tra il 1968 ed il 1979.

La vicenda era stata riferita da Tommaso Buscetta, le cui dichiarazioni sono state, però, ritenute viziate da estrema contraddittorietà e manifesta genericità. Inoltre il Tribunale, disattendendo la tesi del P.M., ha ritenuto che la disamina critica delle dichiarazioni sul punto di Francesco Marino Mannoia, di Vincenzo Sinacori, di Salvatore Cucuzza, di Giovanni Brusca, di Francesco Di Carlo e di Salvatore Cancemi (tutte puntualmente riferite anche in modo testuale) conduceva all?unica conclusione che la tesi di Buscetta, piuttosto che trovarvi sicuro riscontro, avesse ricevuto palesi e molteplici smentite.

Significativamente, il Tribunale ha rilevato che divergenze e contraddizioni nelle deposizioni esaminate avevano cominciato ad emergere persino riguardo alla fase processuale nella quale l?intervento sarebbe stato svolto.

6) Le dichiarazioni di Tommaso Buscetta sul caso Moro e sull?omicidio del giornalista Carmime Pecorelli, fatti, secondo il dichiarante, intrecciati tra loro.

Tale disamina è stata effettuata ai limitati fini della verifica di eventuali riflessi sul reato associativo, essendo competente, per la cognizione dell?omicidio del giornalista, l?Autorità Giudiziaria di Perugia. Pertanto è stata accantonata ogni approfondita analisi sulle vicende relative all?interessamento di Cosa Nostra per la liberazione dell?on. Moro, sequestrato dalle Brigate Rosse, avendo, peraltro, lo stesso Buscetta affermato esplicitamente, già nel corso delle sue dichiarazioni al P.M. del 6 Gennaio 1993, che il coinvolgimento dei cugini Salvo e, quindi, dell?imputato in tali iniziative, da attuarsi con il tramite di Cosa Nostra, era frutto di una sua deduzione, nulla risultandogli di specifico.

Nella trattazione sono stati richiamati ampi stralci del c.d. memoriale Moro, passi di articoli di stampa apparsi sulla rivista ?OP? e le dichiarazioni di Buscetta, del m.llo Angelo Incandela, di Fernando Dalla Chiesa, di Franca Mangiavacca, dell?on. Egidio Carenini, di Santo Sciarrone, del col. Angelo Tadeo, dell?on. Francesco Evangelisti, del gen. Nicolò Bozzo, dell?on. Virginio Rognoni, di Paolo Patrizi e di Maria Antonietta Setti-Carraro.

All?esito, il Tribunale ha concluso che, in ordine alla prospettata causale legata ai pretesi fastidi che il giornalista, con i suoi articoli e con quant?altro avrebbe potuto rendere pubblico, avrebbe arrecato al Sen. Andreotti, le risultanze processuali avevano evidenziato l?insussistenza di elementi certi e univoci comprovanti l?ipotesi accusatoria.

7) Gli incontri che sarebbero avvenuti tra l?imputato e l?esponente di Cosa Nostra Michele Greco a Roma nella saletta riservata dell?Hotel Nazionale, ove Andreotti si recava spesso per assistere a proiezioni cinematografiche.

Essi erano risultati dalle dichiarazioni dell?imprenditore palermitano Benedetto D?Agostino e ulteriore materiale probatorio era stato tratto dalle dichiarazioni del com. Domenico Farinacci, di Massimo Gemini e di Giovanni Brusca, nonché dalle indicazioni tratte dalle agende dell?imputato.

Anche in proposito la sentenza di primo grado è pervenuta alla conclusione che, non essendo stata adeguatamente riscontrata, la dichiarazione ?de relato? di Benedetto D?Agostino era insufficiente per affermare l?esistenza di rapporti diretti e personali tra Giulio Andreotti e Michele Greco.

8) L?incontro che sarebbe avvenuto nella primavera ? estate del 1979 in un albergo di Catania tra l?imputato e l?esponente di Cosa Nostra Benedetto Santapaola, con la partecipazione dell?on. Salvo Lima, incontro risultante dalle dichiarazioni di Vito Di Maggio.

Esse sono state ritenute incerte, non riscontrate, ma anzi incompatibili con altri elementi acquisiti al processo, per cui il Tribunale ha concluso che l?incontro non era avvenuto.

9) L?omicidio del Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella. In tale quadro sono stati esaminati gli incontri dell?imputato con Stefano Bontate e altri esponenti di Cosa Nostra a Catania e a Palermo. Infatti, secondo la tesi del P.M., fondata soprattutto sulle dichiarazioni di Francesco Marino Mannoia, sussisterebbe una stretta relazione tra questo omicidio, avvenuto a Palermo il 6 gennaio 1980, e due incontri del sen. Andreotti con esponenti di primo piano di Cosa Nostra.

Il Tribunale ha rilevato che la deposizione di Marino Mannoia andava valutata alla stregua dei criteri dettati dall?art. 192, comma 3, c.p.p. e che la verifica doveva essere particolarmente rigorosa anche perché le indicazioni del collaboratore erano assolutamente isolate, non essendo state confermate da altre fonti. Occorreva, dunque, verificare quali fossero i riscontri acquisiti a conferma dell?attendibilità del dichiarante e, in proposito, veniva sottolineato che, tanto più generica era risultata la propalazione, tanto più solidi e inequivoci avrebbero dovuto essere i riscontri.

Alla luce di queste premesse, ha ritenuto che le dichiarazioni accusatorie, non esenti da genericità e contraddittorietà, non fossero confortate da adeguati riscontri e che, anzi, la presenza di Andreotti in Sicilia, nei giorni in cui si sarebbe potuto verificare il primo incontro, fosse incompatibile con gli impegni altrove dello stesso documentalmente provati e che la data del secondo incontro fosse rimasta assolutamente indeterminata e non ricostruibile, stante la vastità del possibile arco temporale.

10) L?intervento che sarebbe stato compiuto dall?on. Lima e dal sen. Andreotti per ottenere il trasferimento di alcuni detenuti siciliani dal carcere di Pianosa a quello di Novara, intervento riferito al collaboratore di giustizia Gaetano Costa da Leoluca Bagarella.

In sintesi, il Costa aveva riferito che, nel corso o in prossimità delle festività natalizie del 1983, presso il carcere di Pianosa alcuni detenuti, che stavano organizzando una rivolta per far cessare i soprusi cui erano sottoposti, avevano invitato il dichiarante ad aderirvi. Egli ne aveva parlato con Bagarella, il quale gli aveva consigliato di restare inerte in quanto i detenuti siciliani presto sarebbero stati trasferiti in un altro istituto penitenziario. Lo stesso Bagarella, allo scopo di superare le perplessità del dichiarante, aveva precisato che si stavano interessando per il trasferimento persone come l?on. Lima, dietro il quale c?era il sen. Andreotti (indicato con l?espressione dispregiativa ?il gobbo?) e aveva aggiunto: ?quindi siamo coperti?.

Il collaboratore aveva, conseguentemente, persuaso gli altri detenuti ad attuare soltanto una forma di protesta blanda, consistente in uno ?sciopero della fame?. Dopo uno o due mesi, dieci o quindici detenuti siciliani erano stati trasferiti al carcere di Novara: tra di loro vi erano, oltre a Bagarella e a Costa, Santo Mazzei, Rosario Condorelli, Antonio Anastasi, Giuseppe Alticozzi, Nino Marano, Adolfo Scuderi, Gaetano Quartararo e un individuo di nome Rosario.

In epoca successiva al trasferimento, Bagarella aveva invitato Costa a comunicare all?esterno dell?ambiente carcerario che a Messina occorreva indirizzare il consenso elettorale verso la Democrazia Cristiana e, in particolare, verso la corrente andreottiana, cosicché il dichiarante, sentendosi obbligato, si era premurato di fare pervenire tale messaggio ad uno dei responsabili della sua ?famiglia?.

Il collaboratore aveva, altresì, dichiarato di avere conosciuto nel carcere di Livorno, intorno al 1989-90, Francesco Paolo Anzelmo, il quale gli aveva confidato di essere stato impegnato, insieme al proprio suocero, nella realizzazione di lavori di rilevantissima entità a Messina per la costruzione di un complesso edilizio denominato Casa Nostra, nel quale avevano investito fondi Mariano Agate, Salvatore Riina, Leoluca Bagarella e i Ganci.

Il Tribunale ha ritenuto le dichiarazioni del collaboratore dotate di un grado elevato di attendibilità intrinseca e corroborate da numerosi riscontri estrinseci, che avevano confermato univocamente le modalità oggettive dell?episodio; ha rilevato che Bagarella non aveva interesse a riferire a Costa cose non vere; ha anche evidenziato l?assoluta anomalia del provvedimento con cui era stato disposto il trasferimento dei detenuti, senza alcuna indicazione di ragioni giustificative e in carenza di qualsiasi atto presupposto.

Tuttavia ha concluso che non erano stati acquisiti riscontri estrinseci dotati di carattere individualizzante, da cui poter trarre il sicuro convincimento dell?esattezza della riferibilità del fatto alla persona dell?imputato e che, pertanto, in assenza di riscontri concernenti in modo specifico la posizione del medesimo, non potesse ritenersi sufficientemente provato il suo personale coinvolgimento nell?episodio in esame.
blablabla
blablabla
blablabla ovvero giro la frittata come mi pare e piace e traggo le conclusioni che mi interessano.
AMEN



ma si può anche dare credito a giornalacci come republica di debenedetti, che non hanno un indirizzo politico :lol: :lol: :lol: :lol:




se poi si vuole parlare della giustizia italiana, possiamo ammirare quanto hanno speso bocassini e rossi per i gravissimi bungabunga, mentre nello stesso tempo gli assassini vengono rilasciati senza processo.... dopo un anno in perfetta libertà... wow la giustizia italiana!
Strangolò la compagna e diede fuoco alla casa:
fuori dal carcere dopo appena un anno
Ivan Forte, 27 anni, ha confessato l'omicidio di Tiziana Olivieri, avvenuto nel 2012. Ma a 12 mesi di distanza scadono i termini di custodia cautelare. Strazio della famiglia: "Una vergogna, noi abbandonati dallo Stato"
...
REGGIO EMILIA - Nell'aprile 2012 Ivan Forte, 27 anni, uccise la compagna Tiziana Olivieri, 40 anni, a Fontana di Rubiera, nel Reggiano, strangolandola e appiccando fuoco alla loro stanza da letto per cercare di cancellare ogni prova mentre nella stanza a fianco dormiva il loro bimbo di undici mesi.
Forte confessò il delitto e finì in carcere da dove però è uscito due giorni fa per "decorrenza dei termini di custodia cautelare".
...
...



ma sicuramente era un compagno che ha sbagliato, quindi va' benone così







-3-
mi.llumino, di.mmenso
Avatar utente
undertaker777
 
Messaggi: 2239
Images: 36
Iscritto il: gio set 08, 2011 21:26 pm
Località: nordest

Messaggioda coniglio » mer mag 08, 2013 11:51 am

DI MARCO TRAVAGLIO
ilfattoquotidiano.it

Uno straniero atterrato ieri in Italia da un paese lontano durante la lunga veglia funebre per Andreotti a reti unificate, vedendo le lacrime e ascoltando le lodi dei politici democristi e comunisti, berlusconiani e socialisti, ma anche dei giornalisti e degli intellettuali da riporto di tutte le tendenze e parrocchie, non può non pensare che l?Italia abbia perso un grande statista, il miglior politico di tutti i tempi, un padre della Patria che ha garantito al Paese buongoverno e prosperità, e ciononostante fu perseguitato con accuse false da un pugno di magistrati politicizzati, ma alla fine fu riconosciuto innocente e riabilitato agli occhi di tutti nell?ottica di una finalmente ritrovata pacificazione nazionale. La verità, naturalmente, è esattamente quella opposta. Non solo giudiziaria. Ma anche storica e politica.

È raro trovare un politico che ha occupato tante cariche (7 volte premier, 33 volte ministro, da 13 anni senatore a vita) e ha fatto così poco per l?Italia: nessuno ? diversamente che per gli altri cavalli di razza Dc, da De Gasperi a Fanfani a Moro ? ricorda una sola grande riforma sociale o economica legata al suo nome, una sola scelta politica di ampio respiro per cui meriti di essere ricordato.

Andreotti era il simbolo del cinismo al potere, del potere per il potere, fine a se stesso, del ?meglio tirare a campare che tirare le cuoia?. Il primo responsabile, per longevità politica, dello sfascio dei conti pubblici che ancora paghiamo salato. Un politico buono a nulla, ma pronto a tutto e capace di tutto. Il principe del trasformismo, che l?aveva portato con la stessa nonchalance a rappresentare la destra, la sinistra e il centro della Dc, a presiedere governi di destra ma anche di compromesso storico, a essere l?uomo degli Usa ma anche degli arabi. Un politico convinto dell?irredimibilità della corruzione e delle collusioni, che usò a piene mani senza mai provare a combatterle, perchè ? come diceva Giolitti e come gli suggeriva la natura ? ?un sarto che deve tagliare un abito per un gobbo, deve fare la gobba anche all?abito?.

Eppure, o forse proprio per questo, era il politico più popolare. Perchè il più somigliante a quell?? italiano medio? che non è tutto il popolo italiano. Ma ne incarna una bella porzione e al contempo la tragica maschera caricaturale. Se però Andreotti spaccava gli italiani, affratellava i politici, che han sempre visto in lui ? amici e nemici ? il proprio santo patrono e protettore.

La sua falsa assoluzione, in fondo, era anche la loro assoluzione. Per il passato e per il futuro.

Per questo, quando le Procure di Palermo e Perugia osarono processarlo per mafia e il delitto Pecorelli, si ritrovarono contro tutto il Palazzo. Il massimo che riusciva a balbettare la sinistra era che, sì, aveva qualche frequentazione discutibile, ma che stile, che eleganza in quell?aula di tribunale dove non si era sottratto al processo (il non darsi alla latitanza già diventava un titolo di merito). Fu parlando del suo processo che B. diede dei ?matti, antropologicamente diversi dalla razza umana? a tutti i giudici. Fu quando si salvò per prescrizione che Violante criticò l?ex amico Caselli per averlo processato e la Finocchiaro esultò per l?inesistente ?assoluzione?. Anche i magistrati più furbi e meno ?matti?, come Grasso, si dissociarono dal processo e fecero carriera.

Oggi le stesse alte e medie e basse cariche dello Stato che l?altroieri piangevano la morte di Agnese Borsellino piangono la morte di Giulio Andreotti. Ma non è vero che fingano sempre: piangendo Andreotti, almeno, sono sincere.

Enrico Letta, alla notizia che la Cassazione aveva giudicato Andreotti mafioso almeno fino al 1980, si abbandonò a pubblici festeggiamenti: ?Quante volte da bambino ho sentito nominare Andreotti a casa di zio Gianni. Era la Presenza e basta, venerata da tutti. Io avevo una venerazione per questa Icona!?. E giù lacrime per l??ingiustizia? subìta dalla venerata Presenza anzi Icona, fortunatamente ?andata a buon fine? tant?è che ?siamo tutti qui a festeggiare? (un mafioso fino al 1980).

L?altro giorno Letta jr. è divenuto presidente del Consiglio. È stato allora che il Divo ha capito di poter chiudere gli occhi tranquillo.

Marco Travaglio
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
7.05.2013
La libertà è tutto ciò che dobbiamo a noi stessi
Avatar utente
coniglio
 
Messaggi: 7645
Iscritto il: lun nov 22, 2010 21:52 pm

Messaggioda Sbob » mer mag 08, 2013 12:17 pm

Avatar utente
Sbob
 
Messaggi: 7265
Images: 2
Iscritto il: ven set 14, 2007 12:49 pm

Messaggioda PIEDENERO » mer mag 08, 2013 13:22 pm

coniglio ha scritto:
DI MARCO TRAVAGLIO
ilfattoquotidiano.it

Uno straniero atterrato ieri in Italia da un paese lontano durante la lunga veglia funebre per Andreotti a reti unificate, vedendo le lacrime e ascoltando le lodi dei politici democristi e comunisti, berlusconiani e socialisti, ma anche dei giornalisti e degli intellettuali da riporto di tutte le tendenze e parrocchie, non può non pensare che l?Italia abbia perso un grande statista, il miglior politico di tutti i tempi, un padre della Patria che ha garantito al Paese buongoverno e prosperità, e ciononostante fu perseguitato con accuse false da un pugno di magistrati politicizzati, ma alla fine fu riconosciuto innocente e riabilitato agli occhi di tutti nell?ottica di una finalmente ritrovata pacificazione nazionale. La verità, naturalmente, è esattamente quella opposta. Non solo giudiziaria. Ma anche storica e politica.
È raro trovare un politico che ha occupato tante cariche (7 volte premier, 33 volte ministro, da 13 anni senatore a vita) e ha fatto così poco per l?Italia: nessuno ? diversamente che per gli altri cavalli di razza Dc, da De Gasperi a Fanfani a Moro ? ricorda una sola grande riforma sociale o economica legata al suo nome, una sola scelta politica di ampio respiro per cui meriti di essere ricordato.
Andreotti era il simbolo del cinismo al potere, del potere per il potere, fine a se stesso, del ?meglio tirare a campare che tirare le cuoia?. Il primo responsabile, per longevità politica, dello sfascio dei conti pubblici che ancora paghiamo salato. Un politico buono a nulla, ma pronto a tutto e capace di tutto. Il principe del trasformismo, che l?aveva portato con la stessa nonchalance a rappresentare la destra, la sinistra e il centro della Dc, a presiedere governi di destra ma anche di compromesso storico, a essere l?uomo degli Usa ma anche degli arabi. Un politico convinto dell?irredimibilità della corruzione e delle collusioni, che usò a piene mani senza mai provare a combatterle, perchè ? come diceva Giolitti e come gli suggeriva la natura ? ?un sarto che deve tagliare un abito per un gobbo, deve fare la gobba anche all?abito?.

Eppure, o forse proprio per questo, era il politico più popolare. Perchè il più somigliante a quell?? italiano medio? che non è tutto il popolo italiano. Ma ne incarna una bella porzione e al contempo la tragica maschera caricaturale. Se però Andreotti spaccava gli italiani, affratellava i politici, che han sempre visto in lui ? amici e nemici ? il proprio santo patrono e protettore.

La sua falsa assoluzione, in fondo, era anche la loro assoluzione. Per il passato e per il futuro.

Per questo, quando le Procure di Palermo e Perugia osarono processarlo per mafia e il delitto Pecorelli, si ritrovarono contro tutto il Palazzo. Il massimo che riusciva a balbettare la sinistra era che, sì, aveva qualche frequentazione discutibile, ma che stile, che eleganza in quell?aula di tribunale dove non si era sottratto al processo (il non darsi alla latitanza già diventava un titolo di merito). Fu parlando del suo processo che B. diede dei ?matti, antropologicamente diversi dalla razza umana? a tutti i giudici. Fu quando si salvò per prescrizione che Violante criticò l?ex amico Caselli per averlo processato e la Finocchiaro esultò per l?inesistente ?assoluzione?. Anche i magistrati più furbi e meno ?matti?, come Grasso, si dissociarono dal processo e fecero carriera.

Oggi le stesse alte e medie e basse cariche dello Stato che l?altroieri piangevano la morte di Agnese Borsellino piangono la morte di Giulio Andreotti. Ma non è vero che fingano sempre: piangendo Andreotti, almeno, sono sincere.

Enrico Letta, alla notizia che la Cassazione aveva giudicato Andreotti mafioso almeno fino al 1980, si abbandonò a pubblici festeggiamenti: ?Quante volte da bambino ho sentito nominare Andreotti a casa di zio Gianni. Era la Presenza e basta, venerata da tutti. Io avevo una venerazione per questa Icona!?. E giù lacrime per l??ingiustizia? subìta dalla venerata Presenza anzi Icona, fortunatamente ?andata a buon fine? tant?è che ?siamo tutti qui a festeggiare? (un mafioso fino al 1980).

L?altro giorno Letta jr. è divenuto presidente del Consiglio. È stato allora che il Divo ha capito di poter chiudere gli occhi tranquillo.

Marco Travaglio
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
7.05.2013

incredibile.
quello in evidenza lo stavo per scrivere (a mio modo ovviamente) ieri sera.
Avatar utente
PIEDENERO
 
Messaggi: 7963
Images: 4
Iscritto il: gio set 22, 2011 18:26 pm
Località: Sodor

Messaggioda undertaker777 » mer mag 08, 2013 13:53 pm

http://www.unita.it/italia/ho-confessat ... o-1.499119

?Non era Belzebù?, si sgola ancora il suo confessore, don Luigi Veturi, quando il feretro ha già lasciato la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini tra due ali di folla nemmeno troppo vaste per la fama del defunto.

Don Luigi, non è da tutti aver confessato Belzebù in persona.

Ma quale Belzebù, Giulio Andreotti era una persona semplice, mite, attenta, generosa. Veniva a messa tutte le mattine, finché ha potuto. Educato e gentile con tutti. Chiunque poteva parlare con Andreotti, lui dava ascolto a tutti. Lo hanno ritratto come Belzebù per distruggerlo. Ma non ce l?hanno fatta. E? stato un grande uomo politico e come tale in molti oggi sono venuti a rendergli omaggio.

Ma a lei che era anche il suo confessore qualche segno di pentimento o di tormento interiore lo ha mai mostrato?

Una volta a pensarci.

Ah sì.

Sì, avrei voluto raccontarlo durante l?omelia ma me ne sono dimenticato.

Racconti pure.

Ecco, Andreotti una volta mi disse con rammarico che lui e quelli della sua generazione avevano dato poco spazio ai giovani. ?Abbiamo agito così per paura del comunismo e per paura del ritorno del fascismo?, mi disse.

Tutto qui?

Gliel?ho detto Andreotti era una persona buona. Io stesso gli ho consegnato montagne di lettere. Facevo un po? da postino. Se tutte le persone che gli devono un grazie fossero venute al suo funerale non sarebbe bastata la basilica di San Pietro.

E come mai non sono venuti a salutarlo?

Sarà perché sono sparsi in ogni parte d?Italia...


strano che lo scriva l'unità :roll:
mi.llumino, di.mmenso
Avatar utente
undertaker777
 
Messaggi: 2239
Images: 36
Iscritto il: gio set 08, 2011 21:26 pm
Località: nordest

Messaggioda North Face » mer mag 08, 2013 14:11 pm

Ah beh," se andava a messa tutte le mattine"... come non perdonarlo..
Avatar utente
North Face
 
Messaggi: 1700
Iscritto il: lun gen 11, 2010 23:38 pm
Località: Mozzate

Messaggioda undertaker777 » mer mag 08, 2013 14:17 pm

:lol: :lol: :lol: :lol: :lol:
mi.llumino, di.mmenso
Avatar utente
undertaker777
 
Messaggi: 2239
Images: 36
Iscritto il: gio set 08, 2011 21:26 pm
Località: nordest

Messaggioda nuvolarossa » mer mag 08, 2013 14:18 pm

undertaker777 ha scritto:http://www.unita.it/italia/ho-confessato-andreotti-br-e-vero-aveva-un-pentimento-1.499119

strano che lo scriva l'unità :roll:


Strano che tu metta una fonte... :roll:
Avatar utente
nuvolarossa
 
Messaggi: 2426
Images: 7
Iscritto il: ven ott 20, 2006 15:51 pm
Località: wherever I lay my hat

Messaggioda undertaker777 » mer mag 08, 2013 14:19 pm

stranissimo, ma stavolta aveva un senso, anche se non ti piace :roll:


se non l'avessi specificato, sarebbe sembrato l'articolo di un giornale filoberlusca
mi.llumino, di.mmenso
Avatar utente
undertaker777
 
Messaggi: 2239
Images: 36
Iscritto il: gio set 08, 2011 21:26 pm
Località: nordest

Messaggioda nuvolarossa » mer mag 08, 2013 14:30 pm

undertaker777 ha scritto:stranissimo, ma stavolta aveva un senso, anche se non ti piace :roll:


se non l'avessi specificato, sarebbe sembrato l'articolo di un giornale filoberlusca


manco l'ho letto l'articolo, infatti mica lo commento come fanno altri... :smt044
Avatar utente
nuvolarossa
 
Messaggi: 2426
Images: 7
Iscritto il: ven ott 20, 2006 15:51 pm
Località: wherever I lay my hat

Messaggioda undertaker777 » mer mag 08, 2013 14:53 pm

però si vede da sempre, che ignori
mi.llumino, di.mmenso
Avatar utente
undertaker777
 
Messaggi: 2239
Images: 36
Iscritto il: gio set 08, 2011 21:26 pm
Località: nordest

Messaggioda nuvolarossa » mer mag 08, 2013 15:11 pm

Eccerto, per non ignorare dovrei leggere i giornali che leggi tu, peccato che tu non metta mai le fonti... :roll: :roll: :roll:
Avatar utente
nuvolarossa
 
Messaggi: 2426
Images: 7
Iscritto il: ven ott 20, 2006 15:51 pm
Località: wherever I lay my hat

Messaggioda undertaker777 » mer mag 08, 2013 15:29 pm

negare sempre anche davanti all'evidenza, e scaricare sempre la colpa sugli altri, questo è il primo comandamento per grillo e grillini, se ignorano non è colpa loro :smt023
mi.llumino, di.mmenso
Avatar utente
undertaker777
 
Messaggi: 2239
Images: 36
Iscritto il: gio set 08, 2011 21:26 pm
Località: nordest

Messaggioda nuvolarossa » mer mag 08, 2013 15:38 pm

No no guarda, sono disposto a leggere qualunque cosa tu mi dica di leggere.
Ma non metti mai i link dove potrei colmare questa MIA ignoranza.
Aiutami, please!
Avatar utente
nuvolarossa
 
Messaggi: 2426
Images: 7
Iscritto il: ven ott 20, 2006 15:51 pm
Località: wherever I lay my hat

Messaggioda undertaker777 » mer mag 08, 2013 16:14 pm

se crepi nella tua ignoranza, non se ne ciava nigùn
mi.llumino, di.mmenso
Avatar utente
undertaker777
 
Messaggi: 2239
Images: 36
Iscritto il: gio set 08, 2011 21:26 pm
Località: nordest

Messaggioda nuvolarossa » mer mag 08, 2013 17:22 pm

Sai che c'è?
Che hai davvero ragione.
Avatar utente
nuvolarossa
 
Messaggi: 2426
Images: 7
Iscritto il: ven ott 20, 2006 15:51 pm
Località: wherever I lay my hat

Precedente

Torna a Parole in libertà

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 11 ospiti

Forum.Planetmountain.com

Il Forum è uno spazio d’incontro virtuale, aperto a tutti, che consente la circolazione e gli scambi di opinioni, idee, informazioni, esperienze sul mondo della montagna, dell’alpinismo, dell’arrampicata e dell’escursionismo.

La deliberata inosservanza di quanto riportato nel REGOLAMENTO comporterà l'immediato bannaggio (cancellazione) dal forum, a discrezione degli amministratori del forum. Sarà esclusivo ed insindacabile compito degli amministratori stabilire quando questi limiti vengano oltrepassati ed intervenire di conseguenza.

cron