A difesa dei PACS

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Messaggioda Silvio » mar dic 20, 2005 19:26 pm

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Messaggioda Fokozzone » mer dic 21, 2005 11:14 am

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Messaggioda kau » mer dic 21, 2005 12:45 pm

Sì, è stato possibile per via del calo delle nascite, infatti eravamo arrivati alle circa 400.000 in un anno, non ai milioni che si potrebbero immaginare. Però 400.000 e spiccioli aborti in un anno sono comunque un' enormità...


mmmmh le statistiche che ho riportato parlano di massimo 230.000 aborti (anni '80) contro una natalità di 400-500.000 bambini all'anno...

Oggi i dati indicano 130.000 aborti l'anno....
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Messaggioda gug » mer dic 21, 2005 15:43 pm

Fokozzone ha scritto:Immagine :twisted: :twisted: :twisted:


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Messaggioda Fokozzone » lun gen 16, 2006 13:52 pm

Altro ragionamento contro le grida scomposte.


Le scorciatoie delle provocazioni

FRANCESCO D'AGOSTINO
Presidente dell'Unione Giuristi cattolici Italiani

Riconoscere le convivenze? Riconoscerle per legge
(introducendo nel nostro codice - in analogia con quanto è
avvenuto in Francia - un nuovo istituto, il PACS, cioè il
patto civile di solidarietà)? Riconoscerle,
indipendentemente dal fatto che i partner siano di sesso
diverso o dello stesso sesso? Ammetterle all'adozione?
Queste, ed altre domande, stanno crescendo nell'opinione
pubblica italiana e diventeranno, con ogni probabilità,
questioni non marginali nella prossima campagna elettorale.

Di fughe in avanti, chiaramente volte a predisporre
l'accettazione psicologico-sociale dell'"evento", ne
percepiamo ormai molte. Alcuni Comuni italiani hanno già
istituito pubblici registri per le coppie di conviventi (si
è però prestata ben poca attenzione al fatto che,
indipendentemente dall'irrilevanza giuridica di simili
registri, le conseguenti registrazioni sono state
numericamente irrisorie). A Roma, uno dei Municipi della
capitale ha tentato (ma per ora il progetto è fallito) di
fare lo stesso. Ma soprattutto è sul piano delle
provocazioni che sembra che il dibattito si stia collocando:
è tipica la convocazione, in una centralissima piazza di
Roma, di una manifestazione per "benedire laicamente" le
unioni di fatto di personaggi, più o meno mediaticamente
conosciuti, da parte di altri personaggi dotati di un
carisma fornito loro dalla carica istituzionale di cui sono
portatori (come può essere quello di cui gode un altissimo
magistrato, che ha posto deplorevolmente tale carisma al
servizio di una causa che non è istituzionalmente sua).

In una società democratica la battaglia delle idee non può
che essere sempre benvenuta, perché della società
democratica il dibattito e il confronto costituiscono
l'essenza più preziosa.
A condizione, però, che di dibattito
e di confronto davvero si tratti. Quando invece al posto
delle idee fioccano gli slogan; quando il ragionamento,
soprattutto il ragionamento lucido e pacato, viene
sostituito da cortei e da invettive;
quando si operano
assurdi corto-circuiti, appiattendo uno sull'altro
clericalismo e difesa del matrimonio e chiamando a raccolta
gli anticlericali, come se la lotta a favore del PACS sia
una lotta per i diritti civili, oppressi dall'oscurantismo
religioso, della democrazia e del suo spirito più autentico
non ne rimane più nemmeno l'ombra
. Siamo ancora in attesa di
un argomento, di un solo argomento consistente, a favore del
riconoscimento legale dei PACS. Un breve ragionamento,
assolutamente laico, potrà convincerci di quanto appena
detto.

Le coppie di fatto si dividono in due categorie: quelle
che non vogliono e quelle che non possono sposarsi. Delle
prime, ragionando in linea di stretto principio, non solo è
opportuno, ma è doveroso che il diritto non si occupi:
l'intenzione dei conviventi (apprezzabile o meno che sia sul
piano strettamente morale) è proprio quella - pur potendolo
fare - di non legarsi giuridicamente e non si vede proprio
perché la legge dovrebbe far loro la "violenza" di
considerarle comunque legate, sia pure attraverso un labile
PACS, contro la loro volontà.
Si osserva: ma queste coppie
escludono solo il matrimonio "tradizionale", non altre forme
di riconoscimento giuridico; se chiedono l'istituzione del
PACS è proprio perché vorrebbero usufruire di alcuni diritti
(in genere di carattere economico), che non sono attualmente
riconosciuti se non alle coppie sposate. Ma la ragione per
la quale tali diritti non sono loro riconosciuti è che esse
non hanno l'intenzione di assumere quei doveri che sono
parte essenziale dell'istituto matrimoniale. Non si può, in
buona sostanza, non valutare se non come parassitaria e
quindi indebita l'intenzione di coloro che pretendono un
riconoscimento pubblico della loro convivenza per ottenere
diritti senza doveri. Peraltro, i giuristi ben sanno che
praticamente tutti quei diritti al cui riconoscimento
aspirano i partner di una unione di fatto possono essere
attivati tramite il diritto volontario e senza alcuna
necessità di introdurre nel codice nuovi istituti.
Il
testamento, ad es., esiste proprio per far sì che si possa
trasmettere il proprio patrimonio a chi non avendo vincoli
legali e/o familiari col testatore sarebbe escluso dalla
successione legittima. La locazione della casa di comune
residenza può essere stipulata congiuntamente dai due
partner, in modo tale che al momento della morte dell'uno
essa possa, senza alcuna difficoltà, proseguire a carico
dell'altro. Non è vero, in altre parole, che ai conviventi
vengano negati specifici diritti civili: la differenza
rispetto al matrimonio sta semplicemente qui, che quei
diritti che la legge riconosce automaticamente alla coppia
che contrae matrimonio (assieme a corrispondente numero di
doveri) nel caso delle convivenze devono essere, per dir
così, attivati dai conviventi stessi. Il che, oltre tutto, è
particolarmente coerente col principio, tipicamente moderno,
dell'autonomia della persona, un principio che viene
costantemente rivendicato ed elogiato dalla cultura c.d.
"laica" e che non si vede perché, solo nel caso delle
convivenze, debba essere messo da parte.

Le coppie che non possono sposarsi si dividono a loro
volta in due sotto-categorie. La prima è composta da coloro
che non possono ancora sposarsi per impedimenti transitori
di tipo in genere legale (ad es. per la minore età o perché
uno dei partner è in attesa del divorzio, ecc.). Per queste
coppie l'offerta del PACS è senza senso: la stessa
difficoltà, destinata a risolversi comunque da sola, che
preclude loro le nozze precluderebbe loro anche il PACS.
La
seconda sotto-categoria è composta invece da quelle coppie
che vorrebbero sì sposarsi, ma ritengono di non poterlo
fare, per difficoltà economiche, e rimandano quindi, a volte
sine die, il matrimonio. L'autentico modo di venire incontro
ai bisogni sociali di queste coppie non è certo quello di
offrire loro un "piccolo matrimonio" (secondo l'incisiva e
ironica definizione del Card. Ruini), come è appunto il
PACS, che non risolverebbe alcuna delle difficoltà in
questione, ma quello di attivare quelle iniziative sociali a
favore della famiglia, che oltre tutto sarebbero doverose
già in base al dettato della nostra Costituzione.

Cosa resta dunque delle istanze sociali, che
giustificherebbero l'introduzione in Italia del PACS? Sembra
nulla di nulla.
A meno che non si voglia vedere dietro la
richiesta del PACS una richiesta profondamente diversa,
quella di una prima forma di riconoscimento legale delle
coppie omosessuali,
che dovrebbe aprire la strada, in tempi
ora come ora imprevedibili, ma che per alcuni dovrebbero
essere brevi, ad una compiuta equiparazione al matrimonio
tout court del matrimonio omosessuale. Che le cose stiano
proprio così è fuor di dubbio, per le esplicite
dichiarazioni fatte dai principali rappresentanti del
movimento degli omosessuali e dai loro simpatizzanti
.

L'onestà intellettuale vorrebbe allora che di questo e
solo di questo si parlasse: se cioè abbia una sua coerenza
giuridica l'allargare l'istituto matrimoniale alle coppie
omosessuali
. Ma di fatto questo discorso viene
sistematicamente eluso (pur venendo continuamente, ma
indirettamente richiamato), perché nessuno è in grado di
dare argomenti consistenti per dimostrare la necessità di
alterare in modo così plateale e radicale quella struttura
eterosessuale del matrimonio, che appartiene a tutte le
culture e a tutta la storia da noi conosciuta.

È noto che ciò a cui aspirano le coppie omosessuali
(peraltro nemmeno tutte, anzi solo una piccola parte di
esse
) è, prima ancora che il riconoscimento di diritti
economici e sociali, un riconoscimento simbolico del loro
rapporto.
Ma il diritto non esiste per offrire
riconoscimenti simbolici, bensì per dare risposte pubbliche
ad esigenze sociali, che superano la mera dimensione privata
dell'esistenza
. Perché ad es. il diritto dà un
riconoscimento pubblico al matrimonio e non all'amicizia?
Perché l'amicizia, che pure attiva un vincolo, che può
essere in alcuni casi esistenzialmente ancora più
significativo di quello coniugale, non ha rilievo sociale,
ma esclusivamente personale
. Il matrimonio invece, fondando
la famiglia, e garantendo l'ordine delle generazioni, ha un
rilievo sociale del tutto caratteristico, che ne giustifica
la giuridicizzazione.

La coppia omosessuale non crea famiglia: lo impedisce la
sua costitutiva sterilità. Come superare questa difficoltà,
se non potenziando il carattere mimetico della coppia
omosessuale rispetto a quella eterosessuale? Di qui, la
pretesa, confusa, ma dotata di una certa qual coerenza, di
ammettere le coppie omosessuali (e in specie quelle
"sposate") all'adozione. Poco importa che la psicologia
dell'età evolutiva insista nel sottolineare quanto sia
rilevante l'esigenza per i bambini di possedere una doppia
figura genitoriale, maschile e femminile: di fronte
all'ideologia, anche le argomentazioni della scienza vengono
messe da parte.

Siamo tutti testimoni che si è aperta una partita
decisiva, inimmaginabile fino a qualche decennio fa, che ha
per oggetto la famiglia e attraverso la famiglia la stessa
identità umana. La famiglia chiede di essere difesa; ma per
difenderla non c'è bisogno di argomenti teologici o
religiosi; bastano comuni argomenti umani, perché ciò che la
famiglia tutela e promuove è innanzi tutto il bene umano.
Chi ritiene che sia giunto il tempo per ripensare in modo
assolutamente radicale la realtà della famiglia ha l'onere
di provare fino in fondo le sue tesi eversive e di non darle
per evidenti
; ha il dovere di entrare in un dialogo serrato
con chi è di diverso avviso; e soprattutto deve saper e
voler rinunciare alle scorciatoie delle provocazioni e delle
manifestazioni di piazza, che ben poco aiuto possono dare al
confronto e al progresso delle idee. Sarebbe preoccupante se
nell'Italia di oggi non ci fosse più uno spazio per un tale
stile dialogico.


(©L'Osservatore Romano - 14 Gennaio 2006)
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Messaggioda zeo saverio » mar gen 17, 2006 0:47 am

Fokozzone ha scritto:Altro ragionamento contro le grida scomposte.


Le scorciatoie delle provocazioni

FRANCESCO D'AGOSTINO
Presidente dell'Unione Giuristi cattolici Italiani

Riconoscere le convivenze? Riconoscerle per legge
(introducendo nel nostro codice - in analogia con quanto è
avvenuto in Francia - un nuovo istituto, il PACS, cioè il
patto civile di solidarietà)? Riconoscerle,
indipendentemente dal fatto che i partner siano di sesso
diverso o dello stesso sesso? Ammetterle all'adozione?
Queste, ed altre domande, stanno crescendo nell'opinione
pubblica italiana e diventeranno, con ogni probabilità,
questioni non marginali nella prossima campagna elettorale.

Di fughe in avanti, chiaramente volte a predisporre
l'accettazione psicologico-sociale dell'"evento", ne
percepiamo ormai molte. Alcuni Comuni italiani hanno già
istituito pubblici registri per le coppie di conviventi (si
è però prestata ben poca attenzione al fatto che,
indipendentemente dall'irrilevanza giuridica di simili
registri, le conseguenti registrazioni sono state
numericamente irrisorie). A Roma, uno dei Municipi della
capitale ha tentato (ma per ora il progetto è fallito) di
fare lo stesso. Ma soprattutto è sul piano delle
provocazioni che sembra che il dibattito si stia collocando:
è tipica la convocazione, in una centralissima piazza di
Roma, di una manifestazione per "benedire laicamente" le
unioni di fatto di personaggi, più o meno mediaticamente
conosciuti, da parte di altri personaggi dotati di un
carisma fornito loro dalla carica istituzionale di cui sono
portatori (come può essere quello di cui gode un altissimo
magistrato, che ha posto deplorevolmente tale carisma al
servizio di una causa che non è istituzionalmente sua).

In una società democratica la battaglia delle idee non può
che essere sempre benvenuta, perché della società
democratica il dibattito e il confronto costituiscono
l'essenza più preziosa.
A condizione, però, che di dibattito
e di confronto davvero si tratti. Quando invece al posto
delle idee fioccano gli slogan; quando il ragionamento,
soprattutto il ragionamento lucido e pacato, viene
sostituito da cortei e da invettive;
quando si operano
assurdi corto-circuiti, appiattendo uno sull'altro
clericalismo e difesa del matrimonio e chiamando a raccolta
gli anticlericali, come se la lotta a favore del PACS sia
una lotta per i diritti civili, oppressi dall'oscurantismo
religioso, della democrazia e del suo spirito più autentico
non ne rimane più nemmeno l'ombra
. Siamo ancora in attesa di
un argomento, di un solo argomento consistente, a favore del
riconoscimento legale dei PACS. Un breve ragionamento,
assolutamente laico, potrà convincerci di quanto appena
detto.

Le coppie di fatto si dividono in due categorie: quelle
che non vogliono e quelle che non possono sposarsi. Delle
prime, ragionando in linea di stretto principio, non solo è
opportuno, ma è doveroso che il diritto non si occupi:
l'intenzione dei conviventi (apprezzabile o meno che sia sul
piano strettamente morale) è proprio quella - pur potendolo
fare - di non legarsi giuridicamente e non si vede proprio
perché la legge dovrebbe far loro la "violenza" di
considerarle comunque legate, sia pure attraverso un labile
PACS, contro la loro volontà.
Si osserva: ma queste coppie
escludono solo il matrimonio "tradizionale", non altre forme
di riconoscimento giuridico; se chiedono l'istituzione del
PACS è proprio perché vorrebbero usufruire di alcuni diritti
(in genere di carattere economico), che non sono attualmente
riconosciuti se non alle coppie sposate. Ma la ragione per
la quale tali diritti non sono loro riconosciuti è che esse
non hanno l'intenzione di assumere quei doveri che sono
parte essenziale dell'istituto matrimoniale. Non si può, in
buona sostanza, non valutare se non come parassitaria e
quindi indebita l'intenzione di coloro che pretendono un
riconoscimento pubblico della loro convivenza per ottenere
diritti senza doveri. Peraltro, i giuristi ben sanno che
praticamente tutti quei diritti al cui riconoscimento
aspirano i partner di una unione di fatto possono essere
attivati tramite il diritto volontario e senza alcuna
necessità di introdurre nel codice nuovi istituti.
Il
testamento, ad es., esiste proprio per far sì che si possa
trasmettere il proprio patrimonio a chi non avendo vincoli
legali e/o familiari col testatore sarebbe escluso dalla
successione legittima. La locazione della casa di comune
residenza può essere stipulata congiuntamente dai due
partner, in modo tale che al momento della morte dell'uno
essa possa, senza alcuna difficoltà, proseguire a carico
dell'altro. Non è vero, in altre parole, che ai conviventi
vengano negati specifici diritti civili: la differenza
rispetto al matrimonio sta semplicemente qui, che quei
diritti che la legge riconosce automaticamente alla coppia
che contrae matrimonio (assieme a corrispondente numero di
doveri) nel caso delle convivenze devono essere, per dir
così, attivati dai conviventi stessi. Il che, oltre tutto, è
particolarmente coerente col principio, tipicamente moderno,
dell'autonomia della persona, un principio che viene
costantemente rivendicato ed elogiato dalla cultura c.d.
"laica" e che non si vede perché, solo nel caso delle
convivenze, debba essere messo da parte.

Le coppie che non possono sposarsi si dividono a loro
volta in due sotto-categorie. La prima è composta da coloro
che non possono ancora sposarsi per impedimenti transitori
di tipo in genere legale (ad es. per la minore età o perché
uno dei partner è in attesa del divorzio, ecc.). Per queste
coppie l'offerta del PACS è senza senso: la stessa
difficoltà, destinata a risolversi comunque da sola, che
preclude loro le nozze precluderebbe loro anche il PACS.
La
seconda sotto-categoria è composta invece da quelle coppie
che vorrebbero sì sposarsi, ma ritengono di non poterlo
fare, per difficoltà economiche, e rimandano quindi, a volte
sine die, il matrimonio. L'autentico modo di venire incontro
ai bisogni sociali di queste coppie non è certo quello di
offrire loro un "piccolo matrimonio" (secondo l'incisiva e
ironica definizione del Card. Ruini), come è appunto il
PACS, che non risolverebbe alcuna delle difficoltà in
questione, ma quello di attivare quelle iniziative sociali a
favore della famiglia, che oltre tutto sarebbero doverose
già in base al dettato della nostra Costituzione.

Cosa resta dunque delle istanze sociali, che
giustificherebbero l'introduzione in Italia del PACS? Sembra
nulla di nulla.
A meno che non si voglia vedere dietro la
richiesta del PACS una richiesta profondamente diversa,
quella di una prima forma di riconoscimento legale delle
coppie omosessuali,
che dovrebbe aprire la strada, in tempi
ora come ora imprevedibili, ma che per alcuni dovrebbero
essere brevi, ad una compiuta equiparazione al matrimonio
tout court del matrimonio omosessuale. Che le cose stiano
proprio così è fuor di dubbio, per le esplicite
dichiarazioni fatte dai principali rappresentanti del
movimento degli omosessuali e dai loro simpatizzanti
.

L'onestà intellettuale vorrebbe allora che di questo e
solo di questo si parlasse: se cioè abbia una sua coerenza
giuridica l'allargare l'istituto matrimoniale alle coppie
omosessuali
. Ma di fatto questo discorso viene
sistematicamente eluso (pur venendo continuamente, ma
indirettamente richiamato), perché nessuno è in grado di
dare argomenti consistenti per dimostrare la necessità di
alterare in modo così plateale e radicale quella struttura
eterosessuale del matrimonio, che appartiene a tutte le
culture e a tutta la storia da noi conosciuta.

È noto che ciò a cui aspirano le coppie omosessuali
(peraltro nemmeno tutte, anzi solo una piccola parte di
esse
) è, prima ancora che il riconoscimento di diritti
economici e sociali, un riconoscimento simbolico del loro
rapporto.
Ma il diritto non esiste per offrire
riconoscimenti simbolici, bensì per dare risposte pubbliche
ad esigenze sociali, che superano la mera dimensione privata
dell'esistenza
. Perché ad es. il diritto dà un
riconoscimento pubblico al matrimonio e non all'amicizia?
Perché l'amicizia, che pure attiva un vincolo, che può
essere in alcuni casi esistenzialmente ancora più
significativo di quello coniugale, non ha rilievo sociale,
ma esclusivamente personale
. Il matrimonio invece, fondando
la famiglia, e garantendo l'ordine delle generazioni, ha un
rilievo sociale del tutto caratteristico, che ne giustifica
la giuridicizzazione.

La coppia omosessuale non crea famiglia: lo impedisce la
sua costitutiva sterilità. Come superare questa difficoltà,
se non potenziando il carattere mimetico della coppia
omosessuale rispetto a quella eterosessuale? Di qui, la
pretesa, confusa, ma dotata di una certa qual coerenza, di
ammettere le coppie omosessuali (e in specie quelle
"sposate") all'adozione. Poco importa che la psicologia
dell'età evolutiva insista nel sottolineare quanto sia
rilevante l'esigenza per i bambini di possedere una doppia
figura genitoriale, maschile e femminile: di fronte
all'ideologia, anche le argomentazioni della scienza vengono
messe da parte.

Siamo tutti testimoni che si è aperta una partita
decisiva, inimmaginabile fino a qualche decennio fa, che ha
per oggetto la famiglia e attraverso la famiglia la stessa
identità umana. La famiglia chiede di essere difesa; ma per
difenderla non c'è bisogno di argomenti teologici o
religiosi; bastano comuni argomenti umani, perché ciò che la
famiglia tutela e promuove è innanzi tutto il bene umano.
Chi ritiene che sia giunto il tempo per ripensare in modo
assolutamente radicale la realtà della famiglia ha l'onere
di provare fino in fondo le sue tesi eversive e di non darle
per evidenti
; ha il dovere di entrare in un dialogo serrato
con chi è di diverso avviso; e soprattutto deve saper e
voler rinunciare alle scorciatoie delle provocazioni e delle
manifestazioni di piazza, che ben poco aiuto possono dare al
confronto e al progresso delle idee. Sarebbe preoccupante se
nell'Italia di oggi non ci fosse più uno spazio per un tale
stile dialogico.


(©L'Osservatore Romano - 14 Gennaio 2006)


vai a cagare te e l'osservatore romano
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POWDER TO THE PEOPLE NO DELAY !!!
FIND THE POWDER !!!! "
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Messaggioda s » mar gen 17, 2006 2:10 am

Fokozzone ha scritto:Altro ragionamento contro le grida scomposte.


Poco importa che la psicologia
dell'età evolutiva insista nel sottolineare quanto sia
rilevante l'esigenza per i bambini di possedere una doppia
figura genitoriale, maschile e femminile: di fronte
all'ideologia, anche le argomentazioni della scienza vengono
messe da parte.


mi limito solo a segnalare questo, e cioè che quello che il tizio qui afferma non credo sia poi così palese, né per il senso comune, né per la scienza.
E' sicuramente materia "sensibile" anche per il mio senso comune, ma tutt'altro che scontata.

per il resto non so: le argomentazioni sono serrate, ma mi sa che reggono solo se rimani entro i limiti di una definizione tradizionale dei rapporti matrimoniali (così come sono definiti nella nostra legislazione), e che quindi reggano solo in quanto, in fondo, autoreferenziali.


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Messaggioda Silvio » mar gen 17, 2006 2:27 am

zeo saverio ha scritto:
Fokozzone ha scritto:Altro ragionamento contro le grida scomposte.


Le scorciatoie delle provocazioni

FRANCESCO D'AGOSTINO
Presidente dell'Unione Giuristi cattolici Italiani

Riconoscere le convivenze? Riconoscerle per legge
(introducendo nel nostro codice - in analogia con quanto è
avvenuto in Francia - un nuovo istituto, il PACS, cioè il
patto civile di solidarietà)? Riconoscerle,
indipendentemente dal fatto che i partner siano di sesso
diverso o dello stesso sesso? Ammetterle all'adozione?
Queste, ed altre domande, stanno crescendo nell'opinione
pubblica italiana e diventeranno, con ogni probabilità,
questioni non marginali nella prossima campagna elettorale.

Di fughe in avanti, chiaramente volte a predisporre
l'accettazione psicologico-sociale dell'"evento", ne
percepiamo ormai molte. Alcuni Comuni italiani hanno già
istituito pubblici registri per le coppie di conviventi (si
è però prestata ben poca attenzione al fatto che,
indipendentemente dall'irrilevanza giuridica di simili
registri, le conseguenti registrazioni sono state
numericamente irrisorie). A Roma, uno dei Municipi della
capitale ha tentato (ma per ora il progetto è fallito) di
fare lo stesso. Ma soprattutto è sul piano delle
provocazioni che sembra che il dibattito si stia collocando:
è tipica la convocazione, in una centralissima piazza di
Roma, di una manifestazione per "benedire laicamente" le
unioni di fatto di personaggi, più o meno mediaticamente
conosciuti, da parte di altri personaggi dotati di un
carisma fornito loro dalla carica istituzionale di cui sono
portatori (come può essere quello di cui gode un altissimo
magistrato, che ha posto deplorevolmente tale carisma al
servizio di una causa che non è istituzionalmente sua).

In una società democratica la battaglia delle idee non può
che essere sempre benvenuta, perché della società
democratica il dibattito e il confronto costituiscono
l'essenza più preziosa.
A condizione, però, che di dibattito
e di confronto davvero si tratti. Quando invece al posto
delle idee fioccano gli slogan; quando il ragionamento,
soprattutto il ragionamento lucido e pacato, viene
sostituito da cortei e da invettive;
quando si operano
assurdi corto-circuiti, appiattendo uno sull'altro
clericalismo e difesa del matrimonio e chiamando a raccolta
gli anticlericali, come se la lotta a favore del PACS sia
una lotta per i diritti civili, oppressi dall'oscurantismo
religioso, della democrazia e del suo spirito più autentico
non ne rimane più nemmeno l'ombra
. Siamo ancora in attesa di
un argomento, di un solo argomento consistente, a favore del
riconoscimento legale dei PACS. Un breve ragionamento,
assolutamente laico, potrà convincerci di quanto appena
detto.

Le coppie di fatto si dividono in due categorie: quelle
che non vogliono e quelle che non possono sposarsi. Delle
prime, ragionando in linea di stretto principio, non solo è
opportuno, ma è doveroso che il diritto non si occupi:
l'intenzione dei conviventi (apprezzabile o meno che sia sul
piano strettamente morale) è proprio quella - pur potendolo
fare - di non legarsi giuridicamente e non si vede proprio
perché la legge dovrebbe far loro la "violenza" di
considerarle comunque legate, sia pure attraverso un labile
PACS, contro la loro volontà.
Si osserva: ma queste coppie
escludono solo il matrimonio "tradizionale", non altre forme
di riconoscimento giuridico; se chiedono l'istituzione del
PACS è proprio perché vorrebbero usufruire di alcuni diritti
(in genere di carattere economico), che non sono attualmente
riconosciuti se non alle coppie sposate. Ma la ragione per
la quale tali diritti non sono loro riconosciuti è che esse
non hanno l'intenzione di assumere quei doveri che sono
parte essenziale dell'istituto matrimoniale. Non si può, in
buona sostanza, non valutare se non come parassitaria e
quindi indebita l'intenzione di coloro che pretendono un
riconoscimento pubblico della loro convivenza per ottenere
diritti senza doveri. Peraltro, i giuristi ben sanno che
praticamente tutti quei diritti al cui riconoscimento
aspirano i partner di una unione di fatto possono essere
attivati tramite il diritto volontario e senza alcuna
necessità di introdurre nel codice nuovi istituti.
Il
testamento, ad es., esiste proprio per far sì che si possa
trasmettere il proprio patrimonio a chi non avendo vincoli
legali e/o familiari col testatore sarebbe escluso dalla
successione legittima. La locazione della casa di comune
residenza può essere stipulata congiuntamente dai due
partner, in modo tale che al momento della morte dell'uno
essa possa, senza alcuna difficoltà, proseguire a carico
dell'altro. Non è vero, in altre parole, che ai conviventi
vengano negati specifici diritti civili: la differenza
rispetto al matrimonio sta semplicemente qui, che quei
diritti che la legge riconosce automaticamente alla coppia
che contrae matrimonio (assieme a corrispondente numero di
doveri) nel caso delle convivenze devono essere, per dir
così, attivati dai conviventi stessi. Il che, oltre tutto, è
particolarmente coerente col principio, tipicamente moderno,
dell'autonomia della persona, un principio che viene
costantemente rivendicato ed elogiato dalla cultura c.d.
"laica" e che non si vede perché, solo nel caso delle
convivenze, debba essere messo da parte.

Le coppie che non possono sposarsi si dividono a loro
volta in due sotto-categorie. La prima è composta da coloro
che non possono ancora sposarsi per impedimenti transitori
di tipo in genere legale (ad es. per la minore età o perché
uno dei partner è in attesa del divorzio, ecc.). Per queste
coppie l'offerta del PACS è senza senso: la stessa
difficoltà, destinata a risolversi comunque da sola, che
preclude loro le nozze precluderebbe loro anche il PACS.
La
seconda sotto-categoria è composta invece da quelle coppie
che vorrebbero sì sposarsi, ma ritengono di non poterlo
fare, per difficoltà economiche, e rimandano quindi, a volte
sine die, il matrimonio. L'autentico modo di venire incontro
ai bisogni sociali di queste coppie non è certo quello di
offrire loro un "piccolo matrimonio" (secondo l'incisiva e
ironica definizione del Card. Ruini), come è appunto il
PACS, che non risolverebbe alcuna delle difficoltà in
questione, ma quello di attivare quelle iniziative sociali a
favore della famiglia, che oltre tutto sarebbero doverose
già in base al dettato della nostra Costituzione.

Cosa resta dunque delle istanze sociali, che
giustificherebbero l'introduzione in Italia del PACS? Sembra
nulla di nulla.
A meno che non si voglia vedere dietro la
richiesta del PACS una richiesta profondamente diversa,
quella di una prima forma di riconoscimento legale delle
coppie omosessuali,
che dovrebbe aprire la strada, in tempi
ora come ora imprevedibili, ma che per alcuni dovrebbero
essere brevi, ad una compiuta equiparazione al matrimonio
tout court del matrimonio omosessuale. Che le cose stiano
proprio così è fuor di dubbio, per le esplicite
dichiarazioni fatte dai principali rappresentanti del
movimento degli omosessuali e dai loro simpatizzanti
.

L'onestà intellettuale vorrebbe allora che di questo e
solo di questo si parlasse: se cioè abbia una sua coerenza
giuridica l'allargare l'istituto matrimoniale alle coppie
omosessuali
. Ma di fatto questo discorso viene
sistematicamente eluso (pur venendo continuamente, ma
indirettamente richiamato), perché nessuno è in grado di
dare argomenti consistenti per dimostrare la necessità di
alterare in modo così plateale e radicale quella struttura
eterosessuale del matrimonio, che appartiene a tutte le
culture e a tutta la storia da noi conosciuta.

È noto che ciò a cui aspirano le coppie omosessuali
(peraltro nemmeno tutte, anzi solo una piccola parte di
esse
) è, prima ancora che il riconoscimento di diritti
economici e sociali, un riconoscimento simbolico del loro
rapporto.
Ma il diritto non esiste per offrire
riconoscimenti simbolici, bensì per dare risposte pubbliche
ad esigenze sociali, che superano la mera dimensione privata
dell'esistenza
. Perché ad es. il diritto dà un
riconoscimento pubblico al matrimonio e non all'amicizia?
Perché l'amicizia, che pure attiva un vincolo, che può
essere in alcuni casi esistenzialmente ancora più
significativo di quello coniugale, non ha rilievo sociale,
ma esclusivamente personale
. Il matrimonio invece, fondando
la famiglia, e garantendo l'ordine delle generazioni, ha un
rilievo sociale del tutto caratteristico, che ne giustifica
la giuridicizzazione.

La coppia omosessuale non crea famiglia: lo impedisce la
sua costitutiva sterilità. Come superare questa difficoltà,
se non potenziando il carattere mimetico della coppia
omosessuale rispetto a quella eterosessuale? Di qui, la
pretesa, confusa, ma dotata di una certa qual coerenza, di
ammettere le coppie omosessuali (e in specie quelle
"sposate") all'adozione. Poco importa che la psicologia
dell'età evolutiva insista nel sottolineare quanto sia
rilevante l'esigenza per i bambini di possedere una doppia
figura genitoriale, maschile e femminile: di fronte
all'ideologia, anche le argomentazioni della scienza vengono
messe da parte.

Siamo tutti testimoni che si è aperta una partita
decisiva, inimmaginabile fino a qualche decennio fa, che ha
per oggetto la famiglia e attraverso la famiglia la stessa
identità umana. La famiglia chiede di essere difesa; ma per
difenderla non c'è bisogno di argomenti teologici o
religiosi; bastano comuni argomenti umani, perché ciò che la
famiglia tutela e promuove è innanzi tutto il bene umano.
Chi ritiene che sia giunto il tempo per ripensare in modo
assolutamente radicale la realtà della famiglia ha l'onere
di provare fino in fondo le sue tesi eversive e di non darle
per evidenti
; ha il dovere di entrare in un dialogo serrato
con chi è di diverso avviso; e soprattutto deve saper e
voler rinunciare alle scorciatoie delle provocazioni e delle
manifestazioni di piazza, che ben poco aiuto possono dare al
confronto e al progresso delle idee. Sarebbe preoccupante se
nell'Italia di oggi non ci fosse più uno spazio per un tale
stile dialogico.


(©L'Osservatore Romano - 14 Gennaio 2006)


vai a cagare te e l'osservatore romano
un convivente




concordo, ma dove dico io.


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Messaggioda Fokozzone » mar gen 17, 2006 8:58 am

zeo saverio ha scritto: vai a cagare te e l'osservatore romano [/size]
un convivente


Sei convivente? E allora chi meglio di te potrebbe spiegare l' eventuale bisogno che hai dei pacs?
Fammi sapere.
Se però inizi il tuo discorso con "a me non me ne frega niente, ma c' è qualcuno che..." allora dai ragione al d' Agostino.
Intanto gli hai già dato ragione sul fatto che non porti ragionamenti ma grida scomposte: "vai a cagare" non è un argomento...


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Messaggioda gomo » mar gen 17, 2006 10:33 am

Non voglio suscitare polemiche.

Qualcuno mi puo' aiutare a capire la differenza fra un matrimonio civile ed un PACS (per le coppie eterosessuali)?

A me sembra che siano entrambi contratti liberamente stipulati fra due persone al fine di regolamentare la convivenza (ad es. per proteggere le persone, per consentire la pensione di reversibilita' e cosi' via).

Grazie
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Messaggioda Fokozzone » mer gen 18, 2006 14:27 pm

gomo ha scritto:Non voglio suscitare polemiche.

Qualcuno mi puo' aiutare a capire la differenza fra un matrimonio civile ed un PACS (per le coppie eterosessuali)?

A me sembra che siano entrambi contratti liberamente stipulati fra due persone al fine di regolamentare la convivenza (ad es. per proteggere le persone, per consentire la pensione di reversibilita' e cosi' via).

Grazie

E' esattamente la tesi del giornalista che ho citato: sostiene che in realtà i pacs servono soltanto agli omosessuali e anche fra costoro (che sono una minoranza) solo una minoranza è interessata. Quindi è un can can fatto per incentivare la minoranza di una minoranza a discapito della famiglia, su cui si regge lo stato.
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Messaggioda zeo saverio » mer gen 18, 2006 17:00 pm

Fokozzone ha scritto:
zeo saverio ha scritto: vai a cagare te e l'osservatore romano [/size]
un convivente


Sei convivente? E allora chi meglio di te potrebbe spiegare l' eventuale bisogno che hai dei pacs?
Fammi sapere.
Se però inizi il tuo discorso con "a me non me ne frega niente, ma c' è qualcuno che..." allora dai ragione al d' Agostino.
Intanto gli hai già dato ragione sul fatto che non porti ragionamenti ma grida scomposte: "vai a cagare" non è un argomento...


Fokozzone

non capisco il ragionamento ....hai mai sentito parlare di universalità dei diritti ? se un diritto è universale si può goderne o no ma esso è garantito...questo nuovo oscurantismo invece si dimentica di questo semplice concetto...partendo da una posizione morale e valoriale interviene influenzando il dibattito su aspetti giuridici anche sevuoi minoritari..ma meno male che il modo cattolico evolve; ho sentito oggi (per quello che può valere) che in un indagine svolta fra cattolici la metà di essi si è espressa a favore dei pacs...
ps mi scuso per il va cagare
"WHAT WE GOT TO SAY
POWDER TO THE PEOPLE NO DELAY !!!
FIND THE POWDER !!!! "
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Messaggioda il.bruno » mer gen 18, 2006 17:13 pm

... scusa ma... di quali diritti stai parlando?
Del diritto a convivere? Tu convivi, quindi evidentemente il diritto a convivere esiste, non è minato e nessuno te lo toglie.
Il diritto ad avere un'eredità per il convivente? :arrow: Fai testamento (non costa niente, basta un foglio di carta leggibile con la firma)
Il diritto per il convivente di mantenere la residenza nel momento della morte del convivente "proprietario" o "affittuario"? :arrow: Co-intestate la proprietà o l'affitto.
ecc. ecc.

Come del resto dice meglio di me quel bellissimo e ragionevolissimo articolo:
i giuristi ben sanno che
praticamente tutti quei diritti al cui riconoscimento
aspirano i partner di una unione di fatto possono essere
attivati tramite il diritto volontario e senza alcuna
necessità di introdurre nel codice nuovi istituti. Il
testamento, ad es., esiste proprio per far sì che si possa
trasmettere il proprio patrimonio a chi non avendo vincoli
legali e/o familiari col testatore sarebbe escluso dalla
successione legittima. La locazione della casa di comune
residenza può essere stipulata congiuntamente dai due
partner, in modo tale che al momento della morte dell'uno
essa possa, senza alcuna difficoltà, proseguire a carico
dell'altro. Non è vero, in altre parole, che ai conviventi
vengano negati specifici diritti civili: la differenza
rispetto al matrimonio sta semplicemente qui, che quei
diritti che la legge riconosce automaticamente alla coppia
che contrae matrimonio (assieme a corrispondente numero di
doveri) nel caso delle convivenze devono essere, per dir
così, attivati dai conviventi stessi. Il che, oltre tutto, è
particolarmente coerente col principio, tipicamente moderno,
dell'autonomia della persona, un principio che viene
costantemente rivendicato ed elogiato dalla cultura c.d.
"laica" e che non si vede perché, solo nel caso delle
convivenze, debba essere messo da parte.
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Messaggioda gug » mer gen 18, 2006 18:52 pm

il.bruno ha scritto:... scusa ma... di quali diritti stai parlando?
Del diritto a convivere? Tu convivi, quindi evidentemente il diritto a convivere esiste, non è minato e nessuno te lo toglie.
Il diritto ad avere un'eredità per il convivente? :arrow: Fai testamento (non costa niente, basta un foglio di carta leggibile con la firma)
Il diritto per il convivente di mantenere la residenza nel momento della morte del convivente "proprietario" o "affittuario"? :arrow: Co-intestate la proprietà o l'affitto.
ecc. ecc.

Come del resto dice meglio di me quel bellissimo e ragionevolissimo articolo:
i giuristi ben sanno che
praticamente tutti quei diritti al cui riconoscimento
aspirano i partner di una unione di fatto possono essere
attivati tramite il diritto volontario e senza alcuna
necessità di introdurre nel codice nuovi istituti. Il
testamento, ad es., esiste proprio per far sì che si possa
trasmettere il proprio patrimonio a chi non avendo vincoli
legali e/o familiari col testatore sarebbe escluso dalla
successione legittima. La locazione della casa di comune
residenza può essere stipulata congiuntamente dai due
partner, in modo tale che al momento della morte dell'uno
essa possa, senza alcuna difficoltà, proseguire a carico
dell'altro. Non è vero, in altre parole, che ai conviventi
vengano negati specifici diritti civili: la differenza
rispetto al matrimonio sta semplicemente qui, che quei
diritti che la legge riconosce automaticamente alla coppia
che contrae matrimonio (assieme a corrispondente numero di
doveri) nel caso delle convivenze devono essere, per dir
così, attivati dai conviventi stessi. Il che, oltre tutto, è
particolarmente coerente col principio, tipicamente moderno,
dell'autonomia della persona, un principio che viene
costantemente rivendicato ed elogiato dalla cultura c.d.
"laica" e che non si vede perché, solo nel caso delle
convivenze, debba essere messo da parte.


Ragazzi, mi sembra che quanto scritto nell'articolo sia ampiamente condivisibile, anche se viene dall'Osservatore Romano (io sono fortemente anticlericale e soprattutto allergico al Vaticano).


s ha scritto:
Fokozzone ha scritto:Altro ragionamento contro le grida scomposte.


Poco importa che la psicologia
dell'età evolutiva insista nel sottolineare quanto sia
rilevante l'esigenza per i bambini di possedere una doppia
figura genitoriale, maschile e femminile: di fronte
all'ideologia, anche le argomentazioni della scienza vengono
messe da parte.


mi limito solo a segnalare questo, e cioè che quello che il tizio qui afferma non credo sia poi così palese, né per il senso comune, né per la scienza.
E' sicuramente materia "sensibile" anche per il mio senso comune, ma tutt'altro che scontata.



Anche questo passo mi sembra ineccepibile: se esiste un solo dubbio che per i bambini sia necessaria o anche solo migliore la presenza di due figure genitoriali di sesso opposto, e del resto tutti gli articoli che ho letto sulla psicologia e soprattutto su quella dell'età evolutiva lo sostengono, allora deve valere il principio di cautela che non deve consentire adozioni da parte di coppie omosessuali. E' di gran lunga più importante il diritto dei bambini ad avere una crescita più possibile normale, di quello delle coppie omosessuali ad essere equiparate a quelle eterosessuali in questo campo.
"montagne che varcai, dopo varcate, sì grande spazio d'in su voi non pare"

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Messaggioda Jocondor » mer gen 18, 2006 19:58 pm

Art. 15 (Diritti successori)

1. Nella successione legittima, di cui al Libro II del Codice civile, i diritti spettanti al coniuge sono estesi al contraente legato al defunto da un patto civile di solidarietà iscritto.

Art. 16 (Diritto al lavoro)

1. Nel caso in cui l?appartenenza ad un nucleo familiare sia titolo di preferenza per l?inserimento in graduatorie occupazionali o per l?inserimento in categorie privilegiare di disoccupati, a parità di condizioni tali diritti sono estesi anche ai contraenti un patto civile di solidarietà iscritto nel registro dello stato civile. 2. Nel caso in cui lo stato coniugale sia titolo di preferenza nello svolgimento di un pubblico concorso, la stessa preferenza è riconosciuta ai contraenti un patto civile di solidarietà iscritto nel registro dello stato civile.


Art. 17 (Disciplina fiscale e previdenziale)

1. La disciplina fiscale e previdenziale, particolarmente le agevolazioni fiscali, le sovvenzioni, gli assegni di sostentamento previsti dalle norme nazionali, regionali o comunali, che derivano dall?appartenenza di un soggetto ad un determinato nucleo familiare, nonché dallo stato di coniuge sono estese di diritto alle persone legate da un patto civile di solidarietà iscritto nel registro dello stato civile che sia stato stipulato da almeno due anni.



Sezione III - Scioglimento del patto civile di solidarietà


Art.18 (Scioglimento del Patto civile di solidarietà)

1. Il patto civile di solidarietà si scioglie nel caso di morte di uno dei contraenti ovvero nel caso in cui una delle parti contragga matrimonio. 2. Ciascun contraente ha diritto di sciogliere il patto civile di solidarietà mediante atto scritto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario. Il patto si scioglie trascorsi tre mesi dalla notifica. 3. L?ufficiale dello stato civile annota l?avvenuto scioglimento del patto: a) in caso di morte o susseguente matrimonio su richiesta di chiunque ne abbia interesse. b) in caso di scioglimento per mutuo consenso su richiesta congiunta delle parti. c) in caso di volontà unilaterale di scioglimento del patto su richiesta della parte che ha effettuato la notifica di cui al precedente comma. 4. Sono fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede sorti prima della annotazione di cui al comma precedente.


Art. 19 (Effetti personali dello scioglimento)

1. In caso di scioglimento del patto civile di solidarietà, i contraenti possono rivolgersi al giudice al fine di ottenere l?affidamento dei figli minori comuni a entrambi e la determinazione di un assegno quale contributo per il loro mantenimento a carico del genitore non affidatario, secondo quanto previsto dall?articolo 155 del codice civile. 2. L?abitazione della casa familiare spetta di preferenza alla parte cui vengono affidati i figli comuni ai contraenti. 3. Il giudice ad istanza di parte può imporre al contraente tenuto a contribuire al mantenimento dei figli di prestare idonea garanzia reale o personale qualora sussista il pericolo che egli possa sottrarsi all?adempimento degli obblighi di cui all?articolo 155 del codice civile. 4. Si applicano altresì i commi quinto, sesto e settimo dell?articolo 156 del codice civile.


Art. 20 (Effetti patrimoniali dello scioglimento)

1. Con il patto civile di solidarietà i contraenti possono regolare le conseguenze economiche dello scioglimento del patto. 2. In ogni caso, qualora una delle parti versi nelle condizioni previste dall?articolo 438, primo comma, del codice civile, l?altra parte è tenuta a prestare gli alimenti, fino al termine di due anni dallo scioglimento del patto. L?obbligo di prestare gli alimenti cessa comunque nel momento il cui l?avente diritto contrae matrimonio o un nuovo patto civile di solidarietà.


(DAL SITO DI ARCIGAY)

E adesso vorrei che i fondamentalisti cattolici di questo forum mi spiegassero che cosa mai toglie, a loro ed alla loro sacra famiglia, il fatto che questi diritti siano estesi alle coppie di fatto che ne fanno richiesta.

I guiristi cattolici.
Roba da medioevo.
Sostenitori della teocrazia, pensano che ciò che per loro è peccato, debba anche ssere vietato dallo stato.
La loro legge è la Sharia cattolica; e poi criticano quella islamica.

La sola idea che un parlamento possa discutere di questi argomenti, come nel resto dell'europa, li manda fuori di testa; e giù accuse di laicismo e di zapaterismo.
Non argomenti, no: solo (presunte) offese, solo richiami alla tradizione (la loro, naturalmente), ed alla sacralità (sempre la loro).
Argomenti zero.

Ma voglio informare questi teocratici che l'indagine dell'Eurispes di oggi li condanna: siete una minoranza, perfino tra i cattolici; e la vostra sola speranza è la pecoraggine della nostra classe politica.
:twisted:
...devi imparare a leggere, oppure il tuo cervello è bruciato......
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Messaggioda Silvio » mer gen 18, 2006 20:00 pm

Jocondor ha scritto:Art. 15 (Diritti successori)

1. Nella successione legittima, di cui al Libro II del Codice civile, i diritti spettanti al coniuge sono estesi al contraente legato al defunto da un patto civile di solidarietà iscritto.

Art. 16 (Diritto al lavoro)

1. Nel caso in cui l?appartenenza ad un nucleo familiare sia titolo di preferenza per l?inserimento in graduatorie occupazionali o per l?inserimento in categorie privilegiare di disoccupati, a parità di condizioni tali diritti sono estesi anche ai contraenti un patto civile di solidarietà iscritto nel registro dello stato civile. 2. Nel caso in cui lo stato coniugale sia titolo di preferenza nello svolgimento di un pubblico concorso, la stessa preferenza è riconosciuta ai contraenti un patto civile di solidarietà iscritto nel registro dello stato civile.


Art. 17 (Disciplina fiscale e previdenziale)

1. La disciplina fiscale e previdenziale, particolarmente le agevolazioni fiscali, le sovvenzioni, gli assegni di sostentamento previsti dalle norme nazionali, regionali o comunali, che derivano dall?appartenenza di un soggetto ad un determinato nucleo familiare, nonché dallo stato di coniuge sono estese di diritto alle persone legate da un patto civile di solidarietà iscritto nel registro dello stato civile che sia stato stipulato da almeno due anni.



Sezione III - Scioglimento del patto civile di solidarietà


Art.18 (Scioglimento del Patto civile di solidarietà)

1. Il patto civile di solidarietà si scioglie nel caso di morte di uno dei contraenti ovvero nel caso in cui una delle parti contragga matrimonio. 2. Ciascun contraente ha diritto di sciogliere il patto civile di solidarietà mediante atto scritto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario. Il patto si scioglie trascorsi tre mesi dalla notifica. 3. L?ufficiale dello stato civile annota l?avvenuto scioglimento del patto: a) in caso di morte o susseguente matrimonio su richiesta di chiunque ne abbia interesse. b) in caso di scioglimento per mutuo consenso su richiesta congiunta delle parti. c) in caso di volontà unilaterale di scioglimento del patto su richiesta della parte che ha effettuato la notifica di cui al precedente comma. 4. Sono fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede sorti prima della annotazione di cui al comma precedente.


Art. 19 (Effetti personali dello scioglimento)

1. In caso di scioglimento del patto civile di solidarietà, i contraenti possono rivolgersi al giudice al fine di ottenere l?affidamento dei figli minori comuni a entrambi e la determinazione di un assegno quale contributo per il loro mantenimento a carico del genitore non affidatario, secondo quanto previsto dall?articolo 155 del codice civile. 2. L?abitazione della casa familiare spetta di preferenza alla parte cui vengono affidati i figli comuni ai contraenti. 3. Il giudice ad istanza di parte può imporre al contraente tenuto a contribuire al mantenimento dei figli di prestare idonea garanzia reale o personale qualora sussista il pericolo che egli possa sottrarsi all?adempimento degli obblighi di cui all?articolo 155 del codice civile. 4. Si applicano altresì i commi quinto, sesto e settimo dell?articolo 156 del codice civile.


Art. 20 (Effetti patrimoniali dello scioglimento)

1. Con il patto civile di solidarietà i contraenti possono regolare le conseguenze economiche dello scioglimento del patto. 2. In ogni caso, qualora una delle parti versi nelle condizioni previste dall?articolo 438, primo comma, del codice civile, l?altra parte è tenuta a prestare gli alimenti, fino al termine di due anni dallo scioglimento del patto. L?obbligo di prestare gli alimenti cessa comunque nel momento il cui l?avente diritto contrae matrimonio o un nuovo patto civile di solidarietà.


(DAL SITO DI ARCIGAY)

E adesso vorrei che i fondamentalisti cattolici di questo forum mi spiegassero che cosa mai toglie, a loro ed alla loro sacra famiglia, il fatto che questi diritti siano estesi alle coppie di fatto che ne fanno richiesta.

I guiristi cattolici.
Roba da medioevo.
Sostenitori della teocrazia, pensano che ciò che per loro è peccato, debba anche ssere vietato dallo stato.
La loro legge è la Sharia cattolica; e poi criticano quella islamica.

La sola idea che un parlamento possa discutere di questi argomenti, come nel resto dell'europa, li manda fuori di testa; e giù accuse di laicismo e di zapaterismo.
Non argomenti, no: solo (presunte) offese, solo richiami alla tradizione (la loro, naturalmente), ed alla sacralità (sempre la loro).
Argomenti zero.

Ma voglio informare questi teocratici che l'indagine dell'Eurispes di oggi li condanna: siete una minoranza, perfino tra i cattolici; e la vostra sola speranza è la pecoraggine della nostra classe politica.
:twisted:



Bella prova, Jo, come sempre !!!


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Messaggioda il.bruno » mer gen 18, 2006 20:39 pm

Jocondor ha scritto:Non argomenti, no: solo (presunte) offese, solo richiami alla tradizione (la loro, naturalmente), ed alla sacralità (sempre la loro).
Argomenti zero.

La tua arroganza è sconfinata.
1. fondamentalista dillo a tua nonna, anzi a te stesso, che ti calza molto bene
2. non è che riportando 2 articoli di una proposta di legge si annulli tutto quanto scritto prima nel topic. Se secondo te l'articolo riportato sopra conteneva 0 argomenti, be', o devi andare da un oculista, o devi imparare a leggere, oppure il tuo cervello è bruciato (io opto per la terza, visto anche il commento che hai fatto sui giuristi cattolici, che vien da ridere leggendolo).
3. quello che ha portato 0 argomenti sei tu: il tuo intervento è il testo della proposta, non c'è traccia di una argomentazione che la giustifichi o la spieghi

Entrando faticosamente nel merito del tuo intervento:
- niente di ciò che metti in grassetto, o quasi, è impossibile già oggi mediante testamenti, co-intestazioni ecc. ecc.;
- quello che non c'è lo si potrebbe più semplicemente introdurre senza bisogno di moltiplicare il numero di "stati civili" che uno può avere (libero, coniugato, ora anche pacs-ato);
- qual è la convenienza per la collettività di estendere il diritto alle agevolazioni concesse a chi costruisce una famiglia impegnandosi in un legame duraturo (com'è il matrimonio, anche non religioso, che anche perchè duraturo diventa buon luogo per la crescita delle future generazioni, e per questo di interesse pubblico), a chi invece non si vuole impegnare in questo? Perchè tutti dobbiamo agevolare mediante un riconoscimento pubblico chi non si impegna a costruire qualcosa di duraturo, ma solo un suo legame privato?
Non sto dicendo che uno non possa avere questo suo legame privato: lo si fa di già come e quando si vuole e si riesce, e come dicevo i (pochi) disagi che comporta il fatto che sia privato si possono già oggi evitare semplicemente.
Quindi la proposta alla "sacralità della famiglia" non toglie niente, casomai toglie alla famiglia il privilegio che essa merita per l'interesse di tutti.

Salvo che poi vai a vedere quel che c'è scritto dopo sullo scioglimento e sui figli ed allora ti accorgi che si vuol fare un "piccolo matrimonio", già che c'è con un tempo di "divorzio" comodamente breve, tutto al servizio delle coppie omosessuali e basta (si vede che ormai hanno rinunciato al matrimonio gay in Italia), già nella prospettiva di una futura estensione ad esse dell'adozione. Ed allora tutto torna con il contenuto dell'articolo di cui sopra.
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Messaggioda Jocondor » mer gen 18, 2006 21:54 pm

il.bruno ha scritto:
Jocondor ha scritto:Non argomenti, no: solo (presunte) offese, solo richiami alla tradizione (la loro, naturalmente), ed alla sacralità (sempre la loro).
Argomenti zero.

La tua arroganza è sconfinata.
1. fondamentalista dillo a tua nonna, anzi a te stesso, che ti calza molto bene
2. non è che riportando 2 articoli di una proposta di legge si annulli tutto quanto scritto prima nel topic. Se secondo te l'articolo riportato sopra conteneva 0 argomenti, be', o devi andare da un oculista, o devi imparare a leggere, oppure il tuo cervello è bruciato (io opto per la terza, visto anche il commento che hai fatto sui giuristi cattolici, che vien da ridere leggendolo).
3. quello che ha portato 0 argomenti sei tu: il tuo intervento è il testo della proposta, non c'è traccia di una argomentazione che la giustifichi o la spieghi

Entrando faticosamente nel merito del tuo intervento:
- niente di ciò che metti in grassetto, o quasi, è impossibile già oggi mediante testamenti, co-intestazioni ecc. ecc.;
- quello che non c'è lo si potrebbe più semplicemente introdurre senza bisogno di moltiplicare il numero di "stati civili" che uno può avere (libero, coniugato, ora anche pacs-ato);
- qual è la convenienza per la collettività di estendere il diritto alle agevolazioni concesse a chi costruisce una famiglia impegnandosi in un legame duraturo (com'è il matrimonio, anche non religioso, che anche perchè duraturo diventa buon luogo per la crescita delle future generazioni, e per questo di interesse pubblico), a chi invece non si vuole impegnare in questo? Perchè tutti dobbiamo agevolare mediante un riconoscimento pubblico chi non si impegna a costruire qualcosa di duraturo, ma solo un suo legame privato?
Non sto dicendo che uno non possa avere questo suo legame privato: lo si fa di già come e quando si vuole e si riesce, e come dicevo i (pochi) disagi che comporta il fatto che sia privato si possono già oggi evitare semplicemente.
Quindi la proposta alla "sacralità della famiglia" non toglie niente, casomai toglie alla famiglia il privilegio che essa merita per l'interesse di tutti.

Salvo che poi vai a vedere quel che c'è scritto dopo sullo scioglimento e sui figli ed allora ti accorgi che si vuol fare un "piccolo matrimonio", già che c'è con un tempo di "divorzio" comodamente breve, tutto al servizio delle coppie omosessuali e basta (si vede che ormai hanno rinunciato al matrimonio gay in Italia), già nella prospettiva di una futura estensione ad esse dell'adozione. Ed allora tutto torna con il contenuto dell'articolo di cui sopra.



Non vedo proprio l'arroganza, se tu stesso dici che non ho portato argomenti ma solo citato codici. E l'ho fatto proprio perchè non c'è bisogno di argomenti: per la mia mente bruciata, per la mia sconfinata arroganza, basta sapere di che cosa si sta parlando per capire la ragione del vostro rifiuto. Leggo dentro di voi come se foste fatti di nebbia.

Tu stesso dici che le cose citate nella proposta di legge sono in massima parte già possibili; allora voi fondamentalisti (eh già, dal momento che fin'adesso io non ti avevo indicato, e sei tu che ti ci sei messo da solo... "exscusatio non petita....") perchè contrastate i PACS? Se è tutto già possibile, che fastidio vi dà una piccola semplificazione legislativa?

Il punto che viene allo scoperto e che brucia, è che voi nascondete (dietro ad un dito) le vostre credenze fondamentaliste: se, come tu affermi, il problema sono i vantaggi che la società ricava (ma quali?) dalle unioni codificate come da tradizione, e che giustificherebbero la negazione di un piccolo beneficio ad una "infima" minoranza (una sciocchezzuola: l'uguaglianza di fronte alla legge); se il problema è questo, e quindi è soltanto sociale, come mai sono proprio la Chiesa, i cattolici tradizionalisti, ed i loro rappresentanti poltici dichiarati, ad insorgere inferociti? :twisted:

Proprio gli stessi, guarda caso, che si sono opposti via via allo stato laico, alla repubblica, al matrimonio civile, al divorzio, e poi al divorzio breve, per non parlare della 194 e via di questo passo?
Come mai proprio sempre gli stessi? 8O

Non sarà proprio il fatto che, essendo integralisti, costoro non accettano la differenza tra peccato e reato?
8) 8)
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Messaggioda Fokozzone » gio gen 19, 2006 9:13 am

In democrazia sembra quasi che tutti possano esprimere il proprio parere meno che i cattolici.
Jocondor è il tipico esempio di ateo militante che, senza neppure preoccuparsi di giustificare le proprie tesi, usa la politica per combattere la chiesa (e non semmai combatte la chiesa per un fine politico).
I cattolici hanno il DIRITTO di esprimere le proprie opinioni e i propri voti, di condividerle tramite i mezzi di comunicazione e di creare consenso. Un consenso basato sulla ragionevolezza, cosa che non traspare minimamente nell' intervento di jocondor, che mostra l' atteggiamento tipico dell' anticlericale: non creare consenso su una tesi ragionevole (di ragionevole non dice nulla) ma creare astio fondandosi sul luogo comune e su stupide calunnie.

Comunque siamo qui a parlare di presunti diritti di gente che non vuole assumere nessun dovere. Domanda: visto che nel diritto privato il diritto è garantito da uno scambio di prestazioni tra i contraenti (come l' acquisto, il bene diventa mio perché l' ho pagato) e nel diritto pubblico lo stato eroga delle prestazioni in cambio dell' assunzione di doveri, DOVE NASCE IL DIRITTO DI RICONOSCIMENTO GIURIDICO (e conseguente sostegno economico) PER QUELLE COPPIE CHE NON VOGLIONO ASSUMERE NESSUN IMPEGNO?
Non si tratta dunque di diritto, ma di pretesa di un regalo. Ora il regalo si fa se lo si vuole, ma non è un diritto.
Quindi i pacs NON SONO UN DIRITTO.

Ma a tutti questi argomenti, non c' è risposta, ci sono grida scomposte e mugolii di rabbia. Ma rabbia per cosa poi? Forse che Jocondor avrebbe qualche vantaggio dai pacs? No. Quanti avrebbero qualche vantaggio dai pacs? Pochissimi. Allora rabbia per cosa? Alla fine tutto si riduce a una lotta testarda, pregiudiziale, insensata e di principio (senza cause prossime) contro la chiesa. Per imporre una giurisdizione atea, in nome della democrazia, e anteporre presunti diritti di andare a prenderlo nel culo a VERI E FONDAMENTALI DIRITTI come la libertà di pensiero, di espressione e di religione.

Fokozzone
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Messaggioda Fokozzone » gio gen 19, 2006 9:19 am

Un altro esempio di come si distorce la democrazia, secondo fini mirati. Perché se qualcuno pensa che la partita sia giocata fra i credenti e i "liberi pensatori" si sbaglia: di libero pensiero non c' è traccia, esiste una fazione schierata con principi integralisti, basati su una fede nel nulla.

UE/1. La Commissione vuole obbligare i dottori a praticare
l'aborto.
Un rapporto dell'EU Network of Independent Experts on
Fundamental Rights (EUNIEFR, Commissione dell'Unione Europea
di esperti indipendenti sui Diritti Fondamentali) condanna
una bozza di trattato tra Slovacchia e Santa Sede che
garantisce l'obiezione di coscienza ai medici e paramedici
che non intendono praticare aborti. Motivo: il diritto all'obiezione
di coscienza non può ledere i diritti delle donne alla
salute. Il rapporto di 40 pagine (Opinion no. 4/2005,
pubblicato il 15 dicembre 2005) riconosce l'esistenza di un
diritto all'obiezione di coscienza garantito dalle
Convenzioni internazionali, ma sostiene che esso "non è
illimitato", ovvero "può confliggere con altri diritti
ugualmente riconosciuti dal diritto internazionale. In
queste circostanze deve essere trovato un equilibrio tra
queste esigenze conflittuali, per cui un diritto non deve
essere sacrificato a un altro".

Nel caso specifico, l'EUNIEFR sostiene che laddove l'aborto
è garantito per legge, ogni donna ha diritto a ricevere il
trattamento medico in tal senso, per cui lo Stato deve
assicurare quanto segue:

Ogni rifiuto a praticare l'aborto deve avere un'alternativa
efficace che però lo consenta;
Deve essere previsto l'obbligo per il medico obiettore di
informare la donna su a chi e dove fare riferimento per
accedere all'aborto;
Che ci sia effettivamente la disponibilità di un altro
sanitario qualificato a praticare l'aborto, comprese le aree
rurali o periferiche (vale a dire deve essere facilmente
raggiungibile).

L'Opinione della Commissione Europea intende chiaramente
vanificare l'istituto dell'obiezione di coscienza, ma
soprattutto creare un precedente che permetta di considerare
l'aborto come un diritto umano fondamentale. La costruzione
giuridica alla base dell'Opinione riconosce infatti che il
diritto all'obiezione di coscienza è "un'implicazione del
diritto alla libertà di religione", ovvero un diritto
fondamentale che può essere limitato solo da un diritto che
abbia la stessa forza. L'aborto, riconosce la Commissione
UE, non è riconosciuto come diritto dalla Convenzione
Europea sui diritti umani, ma appellandosi ad alcune
Convenzioni Internazionali (quella sui Diritti politici e
civlili e quella contro la Discriminazione delle donne), per
quel che riguardano - paradossalmente - il diritto alla vita
e il diritto alla salute, si arriva a considerare l'accesso
all'assistenza medica per l'aborto come un diritto che pone
limiti all'obiezione di coscienza.

Oltretutto ciò che vale per l'aborto - si trova scritto
nell'Opinione degli esperti UE - deve valere anche per
l'eutanasia, la celebrazione del matrimonio tra omosessuali
e la distribuzione dei contraccettivi.

L'Opinione attacca in diverse parti le prerogative delle
religioni e in particolare della Chiesa cattolica, ma -
oltre ad essere molto discutibile sul piano giuridico - se
venisse applicata e usata come precedente da usare a livello
internazionale (è questo il vero scopo di chi l'ha redatta)
avrebbe pesanti ripercussioni sul sistema sanitario mondiale
e soprattutto si trasformerebbe in una pesante ipoteca per
lo sviluppo dei Paesi poveri. Secondo i dati ufficiali
forniti dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari,
alla Chiesa (ordini religiosi, diocesi e altre
organizzazioni) sono legate ben 21.751 istituzioni sanitarie
presenti in 135 Stati. In molti Paesi in via di Sviluppo le
strutture sanitarie nazionali sono praticamente garantite in
toto o in massima parte da istituzioni cattoliche, che
rischierebbero così di dover chiudere nell'impossibilità di
accettare di praticare aborti.


UE/2. Chi c'è dietro gli esperti "indipendenti" della
Commissione

Cos'è l'EU Network of Independent Experts on Fundamental
Rights (EUNIEFR) che ha redatto l'Opinione 4/2005 che di
fatto nega l'obiezione di coscienza in materia di aborto ed
eutanasia?

L'EUNIEFR, si legge nello specifico sito all'interno del
portale della CommissioneEuropea
(http://europa.eu.int/comm/justice_home/ ... dex_en.htm),
è stata istituita nel 2002 come conseguenza di una
Raccomandazione del Parlamento Europeo e dipende dalla
Direzione Generale per Giustizia, Libertà e Sicurezza
(direttore è l'inglese Jonathan Faull, in precedenza
portavoce del presidente della Commissione Romano Prodi). Il
Network è coordinato dal professor Olivier De Schutter
(Università di Lovanio) ed è formato da un esperto per ogni
Paese (per l'Italia è il professor Bruno Nascimbene, docente
di diritto internazionale ed esperto in particolar modo di
immigrazione e cittadinanza). L'elenco completo dei membri
dell'EUNIEFR si trova nel sito.

Ciò che invece nel sito non viene spiegato è che in realtà a
decidere le Opinioni è soltanto il professor De Schutter con
i suoi collaboratori del Centro di Ricerche

Interdisciplinari sui Diritti dell'Uomo (CRIDHO) che egli
dirige all'interno della Nuova Università di Lovanio (che
rimane cattolica nominalmente ma è ormai sfuggita al
controllo dei vescovi belgi ed è in aperta concorrenza con
la vecchia Università Cattolica). Ad esempio, per l'Opinione
in questione agli esperti del Network è stato chiesto
semplicemente come nei singoli Paesi è trattata la questione
dell'obiezione di coscienza, ma la redazione, la stesura e
la pubblicazione della Opinione è avvenuta senza il loro
effettivo contributo e senza il loro consenso.

Non sorprende perciò che la costruzione giuridica alla base
dell'Opinione ricalchi esattamente gli argomenti presentati
dal Center for Reproductive Rights (CRR), le cui
osservazioni scritte sono peraltro allegate (Appendix II)
all'Opinione. Il CRR (www.crlp.org) è un'organizzazione
statunitense creata nel 1992 con l'obiettivo di esplorare la
"via giuridica" all'aborto, ovvero come scardinare le
legislazioni restrittive sull'aborto a colpi di Convenzioni
internazionali e interpretazioni (l'Opinione in questione ne
è un chiaro esempio). Il CRR è inoltre sostenuto e
finanziato dalle solite grandi fondazioni americane
(Hewlett, Packard, Ford, Soros, McArthur tanto per citare le
più famose) e dalla solita UNFPA (il Fondo ONU per la
Popolazione). In Italia ha un solido rapporto con l'AIDOS
(Associazione Donne per lo Sviluppo), organizzazione
abortista che cura ogni anno la traduzione in italiano e la
p! resentazione del Rapporto UNFPA sulla popolazione.
Non
sorprenderà dunque neanche il fatto che l'Opinione degli
Esperti "indipendenti" UE sull'obiezione di coscienza non si
trovi ancora sul sito dell'EUNIEFR ma è già su quello del
CRR.

Il presunto Network di esperti indipendenti si presenta
perciò - almeno su questi temi - soltanto come una comoda
facciata dietro la quale manovra un ristretto gruppo di
persone al soldo delle grandi lobby internazionali
abortiste.
E' un altro esempio clamoroso di come - aldilà
dei grandi vertici politici - la politica europea sia in
mano a oscuri funzionari che agiscono nell'ombra e sfuggono
a ogni controllo da parte della popolazione europea.


India: Mezzo milione di donne l'anno eliminate con l'aborto
selettivo

Dieci milioni di donne in 20 anni sono state eliminate in
India con l'aborto selettivo. E' il risultato di uno studio
presentato dal settimanale scientifico britannico The
Lancet. Lo studio si basa sui dati del Rapporto Speciale su
Fertilità e Mortalità pubblicato nel 1998, che ha raccolto
la storia della fecondità di donne presenti in un 1 milione
100mila gruppi familiari, distribuiti in tutta la nazione.

Ebbene, per le 133.738 nascite del 1997 prese in esame, i
ricercatori hanno trovato che il rapporto tra femmine e
maschi era di 759 a 1000 per le seconde nascite quando la
prima era femmina, ratio che scendeva a 719 per 1000 quando
le prime due erano femmine. Il rapporto saliva invece
rispettivamente a 1.102 e 1.176 femmine per 1000 maschi se i
primi nati erano maschi. Altro dato interessante è che il
rapporto femmine-maschi risulta significativamente più basso
tra le donne con tasso di istruzione medio-alto.

Secondo i ricercatori questi dati dimostrano che proprio l'aborto
selettivo è la ragione della bassa nascita di femmine in
India e una stima conservativa permette di stabilire che
ogni anno in questo modo vengono eliminate in India almeno
mezzo milione di bambine (10 milioni negli ultimi venti
anni).

Fin qui lo studio. Vale però la pena di chiedersi il perché
di questo fenomeno, visto che lo squilibrio tra femmine e
maschi è un fenomeno relativamente recente. Purtroppo nei
commenti di politici e sociologi si mette in evidenza solo
una parte del problema, ovvero i motivi culturali ed
economici che ai genitori indiani fanno preferire un maschio
alla femmina. Ma questo fatto - e il disastro che ne deriva
in fatto di "strage delle bambine" - non ci sarebbe senza le
violente campagne di controllo delle nascite lanciate in
India già negli anni '70 e che stanno conoscendo un nuovo
revival. E i vari governi indiani sono stati fortemente
sostenuti in questo dalle agenzie dell'ONU e dai Fondi per
lo Sviluppo dei singoli Paesi occidentali (cfr. Newsletter
no. 6/2005 del 21 ottobre 2005). Per porre fine a questa
tragedia è perciò necessario ripensare anzitutto le
condizioni poste dalle agenzie internazionali per gli aiuti
allo sviluppo
e rimettere in discussione l'esistenza di
certe agenzie come il Fondo delle Nazioni Unite per la
Popolazione (UNFPA), massimo responsabile mondiale delle
politiche di controllo delle nascite.
Fokozzone
 
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