Le raffinate abitudini greche ed orientali influenzarono fortemente i costumi dei Romani durante l?Impero si occuparono di quest?arte tutti i più famosi medici dell?antichità: Ippocrate, Celso e Galeno (a quest?ultimo si deve attribuire la prima emulsione codificata, costituita dall? uguentum ceratum) e autori quali Plinio, Discoride, Ovidio sono esaurienti fonti di notizie su ricette e consigli che venivano richiesti da ambedue i sessi.
Le donne romane di tutte le età, delle estrazioni sociali e delle etnie diverse, incominciavano il loro trucco quotidiano (mundus) con una base di fondotinta, che prevedeva come base una polvere di biacca (cerussa) o di gesso (creata) o di carbonato di piombo che veniva venduto in pasticche da mescolare al miele o a sostanze grasse. L?impasto poteva poi essere colorato con salnitro, feccia di vino o ocra rossa a seconda della colorazione della pelle e poi veniva applicato sul viso; su questo si stendeva, poi, l?odierno fard (fucus) ottenuto dalla rocella, quindi si metteva la mica che dava alla pelle maggior lucentezza. Per annerire le ciglia e le sopracciglia si utilizzava la fuligo; mentre per truccarsi gli occhi utilizzavano antimonio polverizzato (stibium) e si coloravano le palpebre con ombretti verdi, se ottenuti dalla malachite, azzurri se derivati dall?azzurrite. Ultimo tocco era il rossetto ottenuto dal gelso, dal fuco (un?alga di colore rosso), da estratti animali e vegetali e da sostanze minerali (come il cinabro, il gesso rosso e il minio). Per completare il trucco, infine, vi era chi si applicava un neo sulla guancia o sulla fronte.
L?arte della preparazione dei belletti era affidata alle cosmetae (schiave appositamente addestrate per questo compito) che ogni giorno al momento della toilette scioglievano i vari ingredienti con la saliva in piccoli contenitori, aiutandosi poi ad applicarli con scatolette, cucchiaini e miscelatori di vari materiali.
Anche se il trucco venne ampiamente criticato da Lucilio, da Luciano, da Orazio non meno caustico fu Marziale e Tertulliano, Ovidio non sembra più conciliante anche se è prodigo di consigli come ad esempio:
Per una pelle del viso schiarente:
Ovidio suggerisce di mescolare 650 gr. di orzo, 650 gr. di zirlo (baccello simile a quello del salice) e di farlo ?asciugare al soffio del vento?, quindi triturare il composto a 50 gr. di corno di cervo longevo e a 12 bulbi di narciso, 50 gr. di cipolla e di farro, e per fluidificare il tutto dopo averlo tritato finemente aggiungere 500 gr. di miele. Il miscuglio andava applicato diverse volte sul volto.
Per una pelle del viso splendente:
Sgusciare dell'orzo, possibilmente proveniente dalla Libia, e lavarlo. Immergere in dieci uova una quantità di veccia pari all'orzo, che non deve superare le due libbre. Far asciugare la mistura all'aria aperta, macinarla insieme a qualche corno di cervo e setacciarla. Aggiungere dodici bulbi di narciso lavati, ridotti in polvere in un mortaio, due once di gomma con farina di frumento toscano e nove porzioni di miele.
Per una pelle del viso liscia e odorosa:
Mescolare l'incenso al nitro, circa un terzo di libbra, ed aggiungere un quarto di libbra di gomma e un dadetto di mirra grassa. Tritare il composto e diluirlo col miele, mirra odorosa , finocchio ed un pugno di rose secche. Aggiungere incenso maschile e sale di ammoniaca. Versare sul tutto una mucillagine d'orzo.
Per una pelle del viso delicata:
Stemperare (sciogliere) nell'acqua fredda dei papaveri. Una volta ridotti in crema, spalmare sulle guance.
meno male che oggi esistono le creme

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