Sulla chiodatura che fa grado

Area dedicata all'arrampicata sportiva e al bouldering.

Messaggioda pietrodp » mar mag 18, 2004 11:41 am

Roberto ha scritto:Queste discussioni possone essere interessanti, ma ho notato che spesso, dopo i primo post interessanti, ci ritroviamo a fare esercizio mentale, spesso fine a se stesso... che ne dite di scalare e liberare le vie, cercando di non considerare se "la spittatura fa la difficoltà", ma solo che è "il grado che fa la difficoltà"? :wink:


Buona idea!!!

Adesso prendo imbrago e scarpette e vado in falesia e...

..ah no, e' vero, sono costretto a stare qui in ufficio almeno fino a stasera. :?

Allora mi sa che tanto vale continuare a fare esercizi mentali, fintantoche' quelli fisici mi sono preclusi.. :P
mandi
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Messaggioda edlingeros » mar mag 18, 2004 11:45 am

cuorpiccino ha scritto:Secondo me il problema non è nel concetto in se, ma nella scala di difficoltà adottata e nella "filosofia" intrinseca in essa.
Nel caso dei tiri che dici tu, secondo me, bisognerebbe utilizzare un metodo di valutazione che comprenda la difficoltà ed uno che comprenda il rischio, come si fa in inghilterra. Io del sistema inglese non capisco un tubo, però se mi dici 7c+, protezioni tradizionali, rischio di cadute potenzialmente mortali, stai tranquillo che ho ben capito di cosa si tratta.


concordo pienamente.
quando provi un tiro, a vista, al tuo limite, e non sai quello che trovi salendo, la distanza degli spit CONTA.pensa a quando hai la protezione un metro sotto i piedi, vedi che hai una sezione molto dura davanti e ancora qualche metro prima di arrivare alla protezione dopo.quanti fanno il passo, magari anche sapendo di cadere nel vuoto?
se poi si parla di protezioni tradizionali...
quindi sarebbe da introdurre una gradazione come quella inglese, che tenga conto del passo più duro che trovi e dell'impegno psicologico richiesto dalla via.
ciao
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Messaggioda maxx » mar mag 18, 2004 12:42 pm

edlingeros ha scritto:quando provi un tiro, a vista, al tuo limite, e non sai quello che trovi salendo, la distanza degli spit CONTA.pensa a quando hai la protezione un metro sotto i piedi, vedi che hai una sezione molto dura davanti e ancora qualche metro prima di arrivare alla protezione dopo.quanti fanno il passo, magari anche sapendo di cadere nel vuoto?
se poi si parla di protezioni tradizionali...
quindi sarebbe da introdurre una gradazione come quella inglese, che tenga conto del passo più duro che trovi e dell'impegno psicologico richiesto dalla via.
ciao


Sono molto d'accordo, del resto per gli inglesi la doppia scala e' lo standard, gli americani hanno anche un sistema simile basato sui cinema :lol: e pure in molte guide moderne europee iniziano a comparire informazioni dettagliate sulla chiodatura, anche per i singoli monotiri di una falesia (vedi il sistema a uno due tre pallini di Pietra di Luna, le indicazioni super-gut-so...so-alpin di Schweiz Plaisir, e accanto a queste tutte le combinazioni possibili basate su stelle quadratini o chiodini/spit stilizzati). Quello che manca forse e' una simbologia universalmente accettata, che permetta di capire subito con cosa si ha a che fare anche per chi viene da fuori. E soprattutto secondo me bisognerebbe fare una distinzione chiara e netta tra cio' che e' "engage" (impegno essenzialmente psicologico: volo anche lungo ma senza rischi) da cio' che e' proprio "expo" (se cadi nel posto sbagliato ti fai molto male).

Ciao,
Max
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Messaggioda Mago del gelato » gio ago 26, 2004 16:33 pm

Tutto dipende da cosa si intende per grado di una via.
La difficoltà espressa da un solo indicatore (come nel caso della scala francese) DOVREBBE esprimere la difficoltà complessiva di un tiro, tenendo conto di tutti gli aspetti principali che la determinano, altrimenti risulterebbe incompleta (come a mio avviso è la scala francese).
Il modo migliore e più preciso di gradare un tiro è secondo me attribuire un indicatore per ognuno di questi aspetti, che si possono decidere insieme tra arrampicatori, ad esempio intensità del passaggio più difficile, chiodatura, quota o altro, caratteristica che nemmeno la scala di difficoltà inglese possiede.
Non conosco al momento una scala secondo la quale si riesca a definire la reale difficoltà di una via.
La liberazione dello spirito generò la liberazione del gesto, e nacque il Free Climbing
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