?Forse non è neanche la cosa più difficile che ho fatto. O meglio non riesco a parlare delle difficoltà, perché per me è stata un'esperienza che andata ben oltre i numeri. Sì, so che sembrerà strano, e che forse non sarò compreso, ma per me questa è stata soprattutto una ricerca, una ricerca mistica... Aldilà delle alte difficoltà, e aldilà di quei tetti e diedri assolutamente marci e con protezioni non buone, su questa via ho provato delle cose diverse, sentivo che c'era qualcosa di diverso... e che era arrivato il momento giusto. Sentivo che questo era un incontro da non perdere. E sapevo che questo poteva accadere solo su quella via. In realtà erano più di vent'anni che ci pensavo, anzi tra me e Luca Maspes era diventato quasi uno scherzo. Sapevamo che c'era quella via sul Badile, quella ?Memento Mori? che era stata ripetuta solo d'inverno quando il pericolo di scariche è più limitato. Così quasi a prenderci in giro ci dicevamo che mancava la solitaria... Appunto, era una boutade. Uno scherzo che ci ha messo quasi 25 anni a maturare. Poi, ecco che era arrivato per me il momento di affrontarlo. Fin dall'inizio l'ho sentito come un richiamo. Allo stesso tempo era come se volessi chiedere alla montagna, al Badile: ?ma io e te ci vogliamo ancora bene??. Così ho lasciato fare al destino il suo corso. Ma non consiglierei a nessuno quella via. Quando ho attaccato sapevo e sentivo di essere nelle mani della montagna. I sassi continuavano a cadere... eppure per me non c'era scelta: dovevo farlo. Volevo essere lì e basta... quello era il mio posto. Il primo giorno, sul tiro prima del bivacco, sopra la fascia dei tetti, dopo aver superato la prima parte strapiombante della via, due sassi mi hanno centrato, sul casco il primo sull'orologio che avevo al polso il secondo. So che magari qualcuno adesso sorriderà, ma quei due colpi li ho vissuti come una prova che in qualche modo la montagna mi stavo accettando, che avevo sentito bene, che quello era il momento. Ho pensato che non porto mai l'orologio al polso quando scalo e che se non l'avessi avuto quasi sicuramente quel sasso mi avrebbe rotto il polso... e da lì, dov'ero, tornare indietro con il polso rotto sarebbe stato molto difficile, se non impossibile. Era un altro segno che dovevo essere lì. Allo stesso tempo sapevo bene che se una scarica mi avesse colpito, se qualcosa fosse andato storto qualcuno avrebbe sicuramente detto che me l'ero cercata. I sassi hanno continuato a cadere anche il giorno dopo, e io ho continuato a lasciare fare al destino, concentrandomi solo nel vivere il più profondamente possibile quello che stavo vivendo. Sentivo che quello era il mio ?oltre?, una mia frontiera indicibile. Era la mia illuminazione.... tanto che in realtà non so neanche cosa raccontare né quale sia il vero senso. So solo che quando sono arrivato in cima non mi sono mai sentito così accettato e legato alla montagna. Mi sono sporto a riguardare la via dove avevo vissuto per due giorni... e ho pianto di commozione?.

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