



da kau » mer dic 21, 2005 12:45 pm
Sì, è stato possibile per via del calo delle nascite, infatti eravamo arrivati alle circa 400.000 in un anno, non ai milioni che si potrebbero immaginare. Però 400.000 e spiccioli aborti in un anno sono comunque un' enormità...
da gug » mer dic 21, 2005 15:43 pm
Fokozzone ha scritto:![]()
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da Fokozzone » lun gen 16, 2006 13:52 pm
da zeo saverio » mar gen 17, 2006 0:47 am
Fokozzone ha scritto:Altro ragionamento contro le grida scomposte.
Le scorciatoie delle provocazioni
FRANCESCO D'AGOSTINO
Presidente dell'Unione Giuristi cattolici Italiani
Riconoscere le convivenze? Riconoscerle per legge
(introducendo nel nostro codice - in analogia con quanto è
avvenuto in Francia - un nuovo istituto, il PACS, cioè il
patto civile di solidarietà)? Riconoscerle,
indipendentemente dal fatto che i partner siano di sesso
diverso o dello stesso sesso? Ammetterle all'adozione?
Queste, ed altre domande, stanno crescendo nell'opinione
pubblica italiana e diventeranno, con ogni probabilità,
questioni non marginali nella prossima campagna elettorale.
Di fughe in avanti, chiaramente volte a predisporre
l'accettazione psicologico-sociale dell'"evento", ne
percepiamo ormai molte. Alcuni Comuni italiani hanno già
istituito pubblici registri per le coppie di conviventi (si
è però prestata ben poca attenzione al fatto che,
indipendentemente dall'irrilevanza giuridica di simili
registri, le conseguenti registrazioni sono state
numericamente irrisorie). A Roma, uno dei Municipi della
capitale ha tentato (ma per ora il progetto è fallito) di
fare lo stesso. Ma soprattutto è sul piano delle
provocazioni che sembra che il dibattito si stia collocando:
è tipica la convocazione, in una centralissima piazza di
Roma, di una manifestazione per "benedire laicamente" le
unioni di fatto di personaggi, più o meno mediaticamente
conosciuti, da parte di altri personaggi dotati di un
carisma fornito loro dalla carica istituzionale di cui sono
portatori (come può essere quello di cui gode un altissimo
magistrato, che ha posto deplorevolmente tale carisma al
servizio di una causa che non è istituzionalmente sua).
In una società democratica la battaglia delle idee non può
che essere sempre benvenuta, perché della società
democratica il dibattito e il confronto costituiscono
l'essenza più preziosa. A condizione, però, che di dibattito
e di confronto davvero si tratti. Quando invece al posto
delle idee fioccano gli slogan; quando il ragionamento,
soprattutto il ragionamento lucido e pacato, viene
sostituito da cortei e da invettive; quando si operano
assurdi corto-circuiti, appiattendo uno sull'altro
clericalismo e difesa del matrimonio e chiamando a raccolta
gli anticlericali, come se la lotta a favore del PACS sia
una lotta per i diritti civili, oppressi dall'oscurantismo
religioso, della democrazia e del suo spirito più autentico
non ne rimane più nemmeno l'ombra. Siamo ancora in attesa di
un argomento, di un solo argomento consistente, a favore del
riconoscimento legale dei PACS. Un breve ragionamento,
assolutamente laico, potrà convincerci di quanto appena
detto.
Le coppie di fatto si dividono in due categorie: quelle
che non vogliono e quelle che non possono sposarsi. Delle
prime, ragionando in linea di stretto principio, non solo è
opportuno, ma è doveroso che il diritto non si occupi:
l'intenzione dei conviventi (apprezzabile o meno che sia sul
piano strettamente morale) è proprio quella - pur potendolo
fare - di non legarsi giuridicamente e non si vede proprio
perché la legge dovrebbe far loro la "violenza" di
considerarle comunque legate, sia pure attraverso un labile
PACS, contro la loro volontà. Si osserva: ma queste coppie
escludono solo il matrimonio "tradizionale", non altre forme
di riconoscimento giuridico; se chiedono l'istituzione del
PACS è proprio perché vorrebbero usufruire di alcuni diritti
(in genere di carattere economico), che non sono attualmente
riconosciuti se non alle coppie sposate. Ma la ragione per
la quale tali diritti non sono loro riconosciuti è che esse
non hanno l'intenzione di assumere quei doveri che sono
parte essenziale dell'istituto matrimoniale. Non si può, in
buona sostanza, non valutare se non come parassitaria e
quindi indebita l'intenzione di coloro che pretendono un
riconoscimento pubblico della loro convivenza per ottenere
diritti senza doveri. Peraltro, i giuristi ben sanno che
praticamente tutti quei diritti al cui riconoscimento
aspirano i partner di una unione di fatto possono essere
attivati tramite il diritto volontario e senza alcuna
necessità di introdurre nel codice nuovi istituti. Il
testamento, ad es., esiste proprio per far sì che si possa
trasmettere il proprio patrimonio a chi non avendo vincoli
legali e/o familiari col testatore sarebbe escluso dalla
successione legittima. La locazione della casa di comune
residenza può essere stipulata congiuntamente dai due
partner, in modo tale che al momento della morte dell'uno
essa possa, senza alcuna difficoltà, proseguire a carico
dell'altro. Non è vero, in altre parole, che ai conviventi
vengano negati specifici diritti civili: la differenza
rispetto al matrimonio sta semplicemente qui, che quei
diritti che la legge riconosce automaticamente alla coppia
che contrae matrimonio (assieme a corrispondente numero di
doveri) nel caso delle convivenze devono essere, per dir
così, attivati dai conviventi stessi. Il che, oltre tutto, è
particolarmente coerente col principio, tipicamente moderno,
dell'autonomia della persona, un principio che viene
costantemente rivendicato ed elogiato dalla cultura c.d.
"laica" e che non si vede perché, solo nel caso delle
convivenze, debba essere messo da parte.
Le coppie che non possono sposarsi si dividono a loro
volta in due sotto-categorie. La prima è composta da coloro
che non possono ancora sposarsi per impedimenti transitori
di tipo in genere legale (ad es. per la minore età o perché
uno dei partner è in attesa del divorzio, ecc.). Per queste
coppie l'offerta del PACS è senza senso: la stessa
difficoltà, destinata a risolversi comunque da sola, che
preclude loro le nozze precluderebbe loro anche il PACS. La
seconda sotto-categoria è composta invece da quelle coppie
che vorrebbero sì sposarsi, ma ritengono di non poterlo
fare, per difficoltà economiche, e rimandano quindi, a volte
sine die, il matrimonio. L'autentico modo di venire incontro
ai bisogni sociali di queste coppie non è certo quello di
offrire loro un "piccolo matrimonio" (secondo l'incisiva e
ironica definizione del Card. Ruini), come è appunto il
PACS, che non risolverebbe alcuna delle difficoltà in
questione, ma quello di attivare quelle iniziative sociali a
favore della famiglia, che oltre tutto sarebbero doverose
già in base al dettato della nostra Costituzione.
Cosa resta dunque delle istanze sociali, che
giustificherebbero l'introduzione in Italia del PACS? Sembra
nulla di nulla. A meno che non si voglia vedere dietro la
richiesta del PACS una richiesta profondamente diversa,
quella di una prima forma di riconoscimento legale delle
coppie omosessuali, che dovrebbe aprire la strada, in tempi
ora come ora imprevedibili, ma che per alcuni dovrebbero
essere brevi, ad una compiuta equiparazione al matrimonio
tout court del matrimonio omosessuale. Che le cose stiano
proprio così è fuor di dubbio, per le esplicite
dichiarazioni fatte dai principali rappresentanti del
movimento degli omosessuali e dai loro simpatizzanti.
L'onestà intellettuale vorrebbe allora che di questo e
solo di questo si parlasse: se cioè abbia una sua coerenza
giuridica l'allargare l'istituto matrimoniale alle coppie
omosessuali. Ma di fatto questo discorso viene
sistematicamente eluso (pur venendo continuamente, ma
indirettamente richiamato), perché nessuno è in grado di
dare argomenti consistenti per dimostrare la necessità di
alterare in modo così plateale e radicale quella struttura
eterosessuale del matrimonio, che appartiene a tutte le
culture e a tutta la storia da noi conosciuta.
È noto che ciò a cui aspirano le coppie omosessuali
(peraltro nemmeno tutte, anzi solo una piccola parte di
esse) è, prima ancora che il riconoscimento di diritti
economici e sociali, un riconoscimento simbolico del loro
rapporto. Ma il diritto non esiste per offrire
riconoscimenti simbolici, bensì per dare risposte pubbliche
ad esigenze sociali, che superano la mera dimensione privata
dell'esistenza. Perché ad es. il diritto dà un
riconoscimento pubblico al matrimonio e non all'amicizia?
Perché l'amicizia, che pure attiva un vincolo, che può
essere in alcuni casi esistenzialmente ancora più
significativo di quello coniugale, non ha rilievo sociale,
ma esclusivamente personale. Il matrimonio invece, fondando
la famiglia, e garantendo l'ordine delle generazioni, ha un
rilievo sociale del tutto caratteristico, che ne giustifica
la giuridicizzazione.
La coppia omosessuale non crea famiglia: lo impedisce la
sua costitutiva sterilità. Come superare questa difficoltà,
se non potenziando il carattere mimetico della coppia
omosessuale rispetto a quella eterosessuale? Di qui, la
pretesa, confusa, ma dotata di una certa qual coerenza, di
ammettere le coppie omosessuali (e in specie quelle
"sposate") all'adozione. Poco importa che la psicologia
dell'età evolutiva insista nel sottolineare quanto sia
rilevante l'esigenza per i bambini di possedere una doppia
figura genitoriale, maschile e femminile: di fronte
all'ideologia, anche le argomentazioni della scienza vengono
messe da parte.
Siamo tutti testimoni che si è aperta una partita
decisiva, inimmaginabile fino a qualche decennio fa, che ha
per oggetto la famiglia e attraverso la famiglia la stessa
identità umana. La famiglia chiede di essere difesa; ma per
difenderla non c'è bisogno di argomenti teologici o
religiosi; bastano comuni argomenti umani, perché ciò che la
famiglia tutela e promuove è innanzi tutto il bene umano.
Chi ritiene che sia giunto il tempo per ripensare in modo
assolutamente radicale la realtà della famiglia ha l'onere
di provare fino in fondo le sue tesi eversive e di non darle
per evidenti; ha il dovere di entrare in un dialogo serrato
con chi è di diverso avviso; e soprattutto deve saper e
voler rinunciare alle scorciatoie delle provocazioni e delle
manifestazioni di piazza, che ben poco aiuto possono dare al
confronto e al progresso delle idee. Sarebbe preoccupante se
nell'Italia di oggi non ci fosse più uno spazio per un tale
stile dialogico.
(©L'Osservatore Romano - 14 Gennaio 2006)
da s » mar gen 17, 2006 2:10 am
Fokozzone ha scritto:Altro ragionamento contro le grida scomposte.
Poco importa che la psicologia
dell'età evolutiva insista nel sottolineare quanto sia
rilevante l'esigenza per i bambini di possedere una doppia
figura genitoriale, maschile e femminile: di fronte
all'ideologia, anche le argomentazioni della scienza vengono
messe da parte.
da Silvio » mar gen 17, 2006 2:27 am
zeo saverio ha scritto:Fokozzone ha scritto:Altro ragionamento contro le grida scomposte.
Le scorciatoie delle provocazioni
FRANCESCO D'AGOSTINO
Presidente dell'Unione Giuristi cattolici Italiani
Riconoscere le convivenze? Riconoscerle per legge
(introducendo nel nostro codice - in analogia con quanto è
avvenuto in Francia - un nuovo istituto, il PACS, cioè il
patto civile di solidarietà)? Riconoscerle,
indipendentemente dal fatto che i partner siano di sesso
diverso o dello stesso sesso? Ammetterle all'adozione?
Queste, ed altre domande, stanno crescendo nell'opinione
pubblica italiana e diventeranno, con ogni probabilità,
questioni non marginali nella prossima campagna elettorale.
Di fughe in avanti, chiaramente volte a predisporre
l'accettazione psicologico-sociale dell'"evento", ne
percepiamo ormai molte. Alcuni Comuni italiani hanno già
istituito pubblici registri per le coppie di conviventi (si
è però prestata ben poca attenzione al fatto che,
indipendentemente dall'irrilevanza giuridica di simili
registri, le conseguenti registrazioni sono state
numericamente irrisorie). A Roma, uno dei Municipi della
capitale ha tentato (ma per ora il progetto è fallito) di
fare lo stesso. Ma soprattutto è sul piano delle
provocazioni che sembra che il dibattito si stia collocando:
è tipica la convocazione, in una centralissima piazza di
Roma, di una manifestazione per "benedire laicamente" le
unioni di fatto di personaggi, più o meno mediaticamente
conosciuti, da parte di altri personaggi dotati di un
carisma fornito loro dalla carica istituzionale di cui sono
portatori (come può essere quello di cui gode un altissimo
magistrato, che ha posto deplorevolmente tale carisma al
servizio di una causa che non è istituzionalmente sua).
In una società democratica la battaglia delle idee non può
che essere sempre benvenuta, perché della società
democratica il dibattito e il confronto costituiscono
l'essenza più preziosa. A condizione, però, che di dibattito
e di confronto davvero si tratti. Quando invece al posto
delle idee fioccano gli slogan; quando il ragionamento,
soprattutto il ragionamento lucido e pacato, viene
sostituito da cortei e da invettive; quando si operano
assurdi corto-circuiti, appiattendo uno sull'altro
clericalismo e difesa del matrimonio e chiamando a raccolta
gli anticlericali, come se la lotta a favore del PACS sia
una lotta per i diritti civili, oppressi dall'oscurantismo
religioso, della democrazia e del suo spirito più autentico
non ne rimane più nemmeno l'ombra. Siamo ancora in attesa di
un argomento, di un solo argomento consistente, a favore del
riconoscimento legale dei PACS. Un breve ragionamento,
assolutamente laico, potrà convincerci di quanto appena
detto.
Le coppie di fatto si dividono in due categorie: quelle
che non vogliono e quelle che non possono sposarsi. Delle
prime, ragionando in linea di stretto principio, non solo è
opportuno, ma è doveroso che il diritto non si occupi:
l'intenzione dei conviventi (apprezzabile o meno che sia sul
piano strettamente morale) è proprio quella - pur potendolo
fare - di non legarsi giuridicamente e non si vede proprio
perché la legge dovrebbe far loro la "violenza" di
considerarle comunque legate, sia pure attraverso un labile
PACS, contro la loro volontà. Si osserva: ma queste coppie
escludono solo il matrimonio "tradizionale", non altre forme
di riconoscimento giuridico; se chiedono l'istituzione del
PACS è proprio perché vorrebbero usufruire di alcuni diritti
(in genere di carattere economico), che non sono attualmente
riconosciuti se non alle coppie sposate. Ma la ragione per
la quale tali diritti non sono loro riconosciuti è che esse
non hanno l'intenzione di assumere quei doveri che sono
parte essenziale dell'istituto matrimoniale. Non si può, in
buona sostanza, non valutare se non come parassitaria e
quindi indebita l'intenzione di coloro che pretendono un
riconoscimento pubblico della loro convivenza per ottenere
diritti senza doveri. Peraltro, i giuristi ben sanno che
praticamente tutti quei diritti al cui riconoscimento
aspirano i partner di una unione di fatto possono essere
attivati tramite il diritto volontario e senza alcuna
necessità di introdurre nel codice nuovi istituti. Il
testamento, ad es., esiste proprio per far sì che si possa
trasmettere il proprio patrimonio a chi non avendo vincoli
legali e/o familiari col testatore sarebbe escluso dalla
successione legittima. La locazione della casa di comune
residenza può essere stipulata congiuntamente dai due
partner, in modo tale che al momento della morte dell'uno
essa possa, senza alcuna difficoltà, proseguire a carico
dell'altro. Non è vero, in altre parole, che ai conviventi
vengano negati specifici diritti civili: la differenza
rispetto al matrimonio sta semplicemente qui, che quei
diritti che la legge riconosce automaticamente alla coppia
che contrae matrimonio (assieme a corrispondente numero di
doveri) nel caso delle convivenze devono essere, per dir
così, attivati dai conviventi stessi. Il che, oltre tutto, è
particolarmente coerente col principio, tipicamente moderno,
dell'autonomia della persona, un principio che viene
costantemente rivendicato ed elogiato dalla cultura c.d.
"laica" e che non si vede perché, solo nel caso delle
convivenze, debba essere messo da parte.
Le coppie che non possono sposarsi si dividono a loro
volta in due sotto-categorie. La prima è composta da coloro
che non possono ancora sposarsi per impedimenti transitori
di tipo in genere legale (ad es. per la minore età o perché
uno dei partner è in attesa del divorzio, ecc.). Per queste
coppie l'offerta del PACS è senza senso: la stessa
difficoltà, destinata a risolversi comunque da sola, che
preclude loro le nozze precluderebbe loro anche il PACS. La
seconda sotto-categoria è composta invece da quelle coppie
che vorrebbero sì sposarsi, ma ritengono di non poterlo
fare, per difficoltà economiche, e rimandano quindi, a volte
sine die, il matrimonio. L'autentico modo di venire incontro
ai bisogni sociali di queste coppie non è certo quello di
offrire loro un "piccolo matrimonio" (secondo l'incisiva e
ironica definizione del Card. Ruini), come è appunto il
PACS, che non risolverebbe alcuna delle difficoltà in
questione, ma quello di attivare quelle iniziative sociali a
favore della famiglia, che oltre tutto sarebbero doverose
già in base al dettato della nostra Costituzione.
Cosa resta dunque delle istanze sociali, che
giustificherebbero l'introduzione in Italia del PACS? Sembra
nulla di nulla. A meno che non si voglia vedere dietro la
richiesta del PACS una richiesta profondamente diversa,
quella di una prima forma di riconoscimento legale delle
coppie omosessuali, che dovrebbe aprire la strada, in tempi
ora come ora imprevedibili, ma che per alcuni dovrebbero
essere brevi, ad una compiuta equiparazione al matrimonio
tout court del matrimonio omosessuale. Che le cose stiano
proprio così è fuor di dubbio, per le esplicite
dichiarazioni fatte dai principali rappresentanti del
movimento degli omosessuali e dai loro simpatizzanti.
L'onestà intellettuale vorrebbe allora che di questo e
solo di questo si parlasse: se cioè abbia una sua coerenza
giuridica l'allargare l'istituto matrimoniale alle coppie
omosessuali. Ma di fatto questo discorso viene
sistematicamente eluso (pur venendo continuamente, ma
indirettamente richiamato), perché nessuno è in grado di
dare argomenti consistenti per dimostrare la necessità di
alterare in modo così plateale e radicale quella struttura
eterosessuale del matrimonio, che appartiene a tutte le
culture e a tutta la storia da noi conosciuta.
È noto che ciò a cui aspirano le coppie omosessuali
(peraltro nemmeno tutte, anzi solo una piccola parte di
esse) è, prima ancora che il riconoscimento di diritti
economici e sociali, un riconoscimento simbolico del loro
rapporto. Ma il diritto non esiste per offrire
riconoscimenti simbolici, bensì per dare risposte pubbliche
ad esigenze sociali, che superano la mera dimensione privata
dell'esistenza. Perché ad es. il diritto dà un
riconoscimento pubblico al matrimonio e non all'amicizia?
Perché l'amicizia, che pure attiva un vincolo, che può
essere in alcuni casi esistenzialmente ancora più
significativo di quello coniugale, non ha rilievo sociale,
ma esclusivamente personale. Il matrimonio invece, fondando
la famiglia, e garantendo l'ordine delle generazioni, ha un
rilievo sociale del tutto caratteristico, che ne giustifica
la giuridicizzazione.
La coppia omosessuale non crea famiglia: lo impedisce la
sua costitutiva sterilità. Come superare questa difficoltà,
se non potenziando il carattere mimetico della coppia
omosessuale rispetto a quella eterosessuale? Di qui, la
pretesa, confusa, ma dotata di una certa qual coerenza, di
ammettere le coppie omosessuali (e in specie quelle
"sposate") all'adozione. Poco importa che la psicologia
dell'età evolutiva insista nel sottolineare quanto sia
rilevante l'esigenza per i bambini di possedere una doppia
figura genitoriale, maschile e femminile: di fronte
all'ideologia, anche le argomentazioni della scienza vengono
messe da parte.
Siamo tutti testimoni che si è aperta una partita
decisiva, inimmaginabile fino a qualche decennio fa, che ha
per oggetto la famiglia e attraverso la famiglia la stessa
identità umana. La famiglia chiede di essere difesa; ma per
difenderla non c'è bisogno di argomenti teologici o
religiosi; bastano comuni argomenti umani, perché ciò che la
famiglia tutela e promuove è innanzi tutto il bene umano.
Chi ritiene che sia giunto il tempo per ripensare in modo
assolutamente radicale la realtà della famiglia ha l'onere
di provare fino in fondo le sue tesi eversive e di non darle
per evidenti; ha il dovere di entrare in un dialogo serrato
con chi è di diverso avviso; e soprattutto deve saper e
voler rinunciare alle scorciatoie delle provocazioni e delle
manifestazioni di piazza, che ben poco aiuto possono dare al
confronto e al progresso delle idee. Sarebbe preoccupante se
nell'Italia di oggi non ci fosse più uno spazio per un tale
stile dialogico.
(©L'Osservatore Romano - 14 Gennaio 2006)
vai a cagare te e l'osservatore romano
un convivente
da Fokozzone » mar gen 17, 2006 8:58 am
zeo saverio ha scritto: vai a cagare te e l'osservatore romano [/size]
un convivente
da gomo » mar gen 17, 2006 10:33 am
da Fokozzone » mer gen 18, 2006 14:27 pm
gomo ha scritto:Non voglio suscitare polemiche.
Qualcuno mi puo' aiutare a capire la differenza fra un matrimonio civile ed un PACS (per le coppie eterosessuali)?
A me sembra che siano entrambi contratti liberamente stipulati fra due persone al fine di regolamentare la convivenza (ad es. per proteggere le persone, per consentire la pensione di reversibilita' e cosi' via).
Grazie
da zeo saverio » mer gen 18, 2006 17:00 pm
Fokozzone ha scritto:zeo saverio ha scritto: vai a cagare te e l'osservatore romano [/size]
un convivente
Sei convivente? E allora chi meglio di te potrebbe spiegare l' eventuale bisogno che hai dei pacs?
Fammi sapere.
Se però inizi il tuo discorso con "a me non me ne frega niente, ma c' è qualcuno che..." allora dai ragione al d' Agostino.
Intanto gli hai già dato ragione sul fatto che non porti ragionamenti ma grida scomposte: "vai a cagare" non è un argomento...
Fokozzone
da il.bruno » mer gen 18, 2006 17:13 pm
i giuristi ben sanno che
praticamente tutti quei diritti al cui riconoscimento
aspirano i partner di una unione di fatto possono essere
attivati tramite il diritto volontario e senza alcuna
necessità di introdurre nel codice nuovi istituti. Il
testamento, ad es., esiste proprio per far sì che si possa
trasmettere il proprio patrimonio a chi non avendo vincoli
legali e/o familiari col testatore sarebbe escluso dalla
successione legittima. La locazione della casa di comune
residenza può essere stipulata congiuntamente dai due
partner, in modo tale che al momento della morte dell'uno
essa possa, senza alcuna difficoltà, proseguire a carico
dell'altro. Non è vero, in altre parole, che ai conviventi
vengano negati specifici diritti civili: la differenza
rispetto al matrimonio sta semplicemente qui, che quei
diritti che la legge riconosce automaticamente alla coppia
che contrae matrimonio (assieme a corrispondente numero di
doveri) nel caso delle convivenze devono essere, per dir
così, attivati dai conviventi stessi. Il che, oltre tutto, è
particolarmente coerente col principio, tipicamente moderno,
dell'autonomia della persona, un principio che viene
costantemente rivendicato ed elogiato dalla cultura c.d.
"laica" e che non si vede perché, solo nel caso delle
convivenze, debba essere messo da parte.
da gug » mer gen 18, 2006 18:52 pm
il.bruno ha scritto:... scusa ma... di quali diritti stai parlando?
Del diritto a convivere? Tu convivi, quindi evidentemente il diritto a convivere esiste, non è minato e nessuno te lo toglie.
Il diritto ad avere un'eredità per il convivente?Fai testamento (non costa niente, basta un foglio di carta leggibile con la firma)
Il diritto per il convivente di mantenere la residenza nel momento della morte del convivente "proprietario" o "affittuario"?Co-intestate la proprietà o l'affitto.
ecc. ecc.
Come del resto dice meglio di me quel bellissimo e ragionevolissimo articolo:i giuristi ben sanno che
praticamente tutti quei diritti al cui riconoscimento
aspirano i partner di una unione di fatto possono essere
attivati tramite il diritto volontario e senza alcuna
necessità di introdurre nel codice nuovi istituti. Il
testamento, ad es., esiste proprio per far sì che si possa
trasmettere il proprio patrimonio a chi non avendo vincoli
legali e/o familiari col testatore sarebbe escluso dalla
successione legittima. La locazione della casa di comune
residenza può essere stipulata congiuntamente dai due
partner, in modo tale che al momento della morte dell'uno
essa possa, senza alcuna difficoltà, proseguire a carico
dell'altro. Non è vero, in altre parole, che ai conviventi
vengano negati specifici diritti civili: la differenza
rispetto al matrimonio sta semplicemente qui, che quei
diritti che la legge riconosce automaticamente alla coppia
che contrae matrimonio (assieme a corrispondente numero di
doveri) nel caso delle convivenze devono essere, per dir
così, attivati dai conviventi stessi. Il che, oltre tutto, è
particolarmente coerente col principio, tipicamente moderno,
dell'autonomia della persona, un principio che viene
costantemente rivendicato ed elogiato dalla cultura c.d.
"laica" e che non si vede perché, solo nel caso delle
convivenze, debba essere messo da parte.
s ha scritto:Fokozzone ha scritto:Altro ragionamento contro le grida scomposte.
Poco importa che la psicologia
dell'età evolutiva insista nel sottolineare quanto sia
rilevante l'esigenza per i bambini di possedere una doppia
figura genitoriale, maschile e femminile: di fronte
all'ideologia, anche le argomentazioni della scienza vengono
messe da parte.
mi limito solo a segnalare questo, e cioè che quello che il tizio qui afferma non credo sia poi così palese, né per il senso comune, né per la scienza.
E' sicuramente materia "sensibile" anche per il mio senso comune, ma tutt'altro che scontata.
da Jocondor » mer gen 18, 2006 19:58 pm
da Silvio » mer gen 18, 2006 20:00 pm
Jocondor ha scritto:Art. 15 (Diritti successori)
1. Nella successione legittima, di cui al Libro II del Codice civile, i diritti spettanti al coniuge sono estesi al contraente legato al defunto da un patto civile di solidarietà iscritto.
Art. 16 (Diritto al lavoro)
1. Nel caso in cui l?appartenenza ad un nucleo familiare sia titolo di preferenza per l?inserimento in graduatorie occupazionali o per l?inserimento in categorie privilegiare di disoccupati, a parità di condizioni tali diritti sono estesi anche ai contraenti un patto civile di solidarietà iscritto nel registro dello stato civile. 2. Nel caso in cui lo stato coniugale sia titolo di preferenza nello svolgimento di un pubblico concorso, la stessa preferenza è riconosciuta ai contraenti un patto civile di solidarietà iscritto nel registro dello stato civile.
Art. 17 (Disciplina fiscale e previdenziale)
1. La disciplina fiscale e previdenziale, particolarmente le agevolazioni fiscali, le sovvenzioni, gli assegni di sostentamento previsti dalle norme nazionali, regionali o comunali, che derivano dall?appartenenza di un soggetto ad un determinato nucleo familiare, nonché dallo stato di coniuge sono estese di diritto alle persone legate da un patto civile di solidarietà iscritto nel registro dello stato civile che sia stato stipulato da almeno due anni.
Sezione III - Scioglimento del patto civile di solidarietà
Art.18 (Scioglimento del Patto civile di solidarietà)
1. Il patto civile di solidarietà si scioglie nel caso di morte di uno dei contraenti ovvero nel caso in cui una delle parti contragga matrimonio. 2. Ciascun contraente ha diritto di sciogliere il patto civile di solidarietà mediante atto scritto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario. Il patto si scioglie trascorsi tre mesi dalla notifica. 3. L?ufficiale dello stato civile annota l?avvenuto scioglimento del patto: a) in caso di morte o susseguente matrimonio su richiesta di chiunque ne abbia interesse. b) in caso di scioglimento per mutuo consenso su richiesta congiunta delle parti. c) in caso di volontà unilaterale di scioglimento del patto su richiesta della parte che ha effettuato la notifica di cui al precedente comma. 4. Sono fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede sorti prima della annotazione di cui al comma precedente.
Art. 19 (Effetti personali dello scioglimento)
1. In caso di scioglimento del patto civile di solidarietà, i contraenti possono rivolgersi al giudice al fine di ottenere l?affidamento dei figli minori comuni a entrambi e la determinazione di un assegno quale contributo per il loro mantenimento a carico del genitore non affidatario, secondo quanto previsto dall?articolo 155 del codice civile. 2. L?abitazione della casa familiare spetta di preferenza alla parte cui vengono affidati i figli comuni ai contraenti. 3. Il giudice ad istanza di parte può imporre al contraente tenuto a contribuire al mantenimento dei figli di prestare idonea garanzia reale o personale qualora sussista il pericolo che egli possa sottrarsi all?adempimento degli obblighi di cui all?articolo 155 del codice civile. 4. Si applicano altresì i commi quinto, sesto e settimo dell?articolo 156 del codice civile.
Art. 20 (Effetti patrimoniali dello scioglimento)
1. Con il patto civile di solidarietà i contraenti possono regolare le conseguenze economiche dello scioglimento del patto. 2. In ogni caso, qualora una delle parti versi nelle condizioni previste dall?articolo 438, primo comma, del codice civile, l?altra parte è tenuta a prestare gli alimenti, fino al termine di due anni dallo scioglimento del patto. L?obbligo di prestare gli alimenti cessa comunque nel momento il cui l?avente diritto contrae matrimonio o un nuovo patto civile di solidarietà.
(DAL SITO DI ARCIGAY)
E adesso vorrei che i fondamentalisti cattolici di questo forum mi spiegassero che cosa mai toglie, a loro ed alla loro sacra famiglia, il fatto che questi diritti siano estesi alle coppie di fatto che ne fanno richiesta.
I guiristi cattolici.
Roba da medioevo.
Sostenitori della teocrazia, pensano che ciò che per loro è peccato, debba anche ssere vietato dallo stato.
La loro legge è la Sharia cattolica; e poi criticano quella islamica.
La sola idea che un parlamento possa discutere di questi argomenti, come nel resto dell'europa, li manda fuori di testa; e giù accuse di laicismo e di zapaterismo.
Non argomenti, no: solo (presunte) offese, solo richiami alla tradizione (la loro, naturalmente), ed alla sacralità (sempre la loro).
Argomenti zero.
Ma voglio informare questi teocratici che l'indagine dell'Eurispes di oggi li condanna: siete una minoranza, perfino tra i cattolici; e la vostra sola speranza è la pecoraggine della nostra classe politica.
da il.bruno » mer gen 18, 2006 20:39 pm
Jocondor ha scritto:Non argomenti, no: solo (presunte) offese, solo richiami alla tradizione (la loro, naturalmente), ed alla sacralità (sempre la loro).
Argomenti zero.
da Jocondor » mer gen 18, 2006 21:54 pm
il.bruno ha scritto:Jocondor ha scritto:Non argomenti, no: solo (presunte) offese, solo richiami alla tradizione (la loro, naturalmente), ed alla sacralità (sempre la loro).
Argomenti zero.
La tua arroganza è sconfinata.
1. fondamentalista dillo a tua nonna, anzi a te stesso, che ti calza molto bene
2. non è che riportando 2 articoli di una proposta di legge si annulli tutto quanto scritto prima nel topic. Se secondo te l'articolo riportato sopra conteneva 0 argomenti, be', o devi andare da un oculista, o devi imparare a leggere, oppure il tuo cervello è bruciato (io opto per la terza, visto anche il commento che hai fatto sui giuristi cattolici, che vien da ridere leggendolo).
3. quello che ha portato 0 argomenti sei tu: il tuo intervento è il testo della proposta, non c'è traccia di una argomentazione che la giustifichi o la spieghi
Entrando faticosamente nel merito del tuo intervento:
- niente di ciò che metti in grassetto, o quasi, è impossibile già oggi mediante testamenti, co-intestazioni ecc. ecc.;
- quello che non c'è lo si potrebbe più semplicemente introdurre senza bisogno di moltiplicare il numero di "stati civili" che uno può avere (libero, coniugato, ora anche pacs-ato);
- qual è la convenienza per la collettività di estendere il diritto alle agevolazioni concesse a chi costruisce una famiglia impegnandosi in un legame duraturo (com'è il matrimonio, anche non religioso, che anche perchè duraturo diventa buon luogo per la crescita delle future generazioni, e per questo di interesse pubblico), a chi invece non si vuole impegnare in questo? Perchè tutti dobbiamo agevolare mediante un riconoscimento pubblico chi non si impegna a costruire qualcosa di duraturo, ma solo un suo legame privato?
Non sto dicendo che uno non possa avere questo suo legame privato: lo si fa di già come e quando si vuole e si riesce, e come dicevo i (pochi) disagi che comporta il fatto che sia privato si possono già oggi evitare semplicemente.
Quindi la proposta alla "sacralità della famiglia" non toglie niente, casomai toglie alla famiglia il privilegio che essa merita per l'interesse di tutti.
Salvo che poi vai a vedere quel che c'è scritto dopo sullo scioglimento e sui figli ed allora ti accorgi che si vuol fare un "piccolo matrimonio", già che c'è con un tempo di "divorzio" comodamente breve, tutto al servizio delle coppie omosessuali e basta (si vede che ormai hanno rinunciato al matrimonio gay in Italia), già nella prospettiva di una futura estensione ad esse dell'adozione. Ed allora tutto torna con il contenuto dell'articolo di cui sopra.
da Fokozzone » gio gen 19, 2006 9:13 am
da Fokozzone » gio gen 19, 2006 9:19 am
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