Motivazioni per affrontare il rischio

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Messaggioda germana » gio mar 15, 2007 17:48 pm

quilodicoequilonego ha scritto:
germana ha scritto:
quilodicoequilonego ha scritto:ci sono vie bellissime, che se fossero sicure, non avrebbero motivo di esistere

Questo mi sembra eccessivo.
Se fossero sicure sarebbero qualcosa di completamente diverso da ciò che sono :wink:


non so se riesco a spiegarmi, non è facile

se una via sale senza una bella linea, ma trova l'unica soluzione salibile tra una schifezza di friabile, marcio, ecc., non la ripete "nessuno", o meglio solo quei pochi che si sentono preparati a farlo (non i migliori ma solo quelli che hanno un'abilità diversa, forse anche più pazienza)

se questa via marcia la spittassero 1x2, oltre a non esserci più alcuna soddisfazione a salirla, sicuramente qualche falesista attirato dagli spit riuscirebbe a farsi male... credo che sarebbe definita "senza senso"


Ho capito :)
Però penso che se la linea è effettivamente bella, lo rimarrebbe anche dopo la spittatura... anche se la ripetizione non ti darebbe più quelle sensazioni intense...

Non mi fraintendere, non sono favorevole a spittare le vie aperte in altro modo :roll:
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Messaggioda gug » gio mar 15, 2007 17:58 pm

Tema interessante: me lo leggerò con calma.
"montagne che varcai, dopo varcate, sì grande spazio d'in su voi non pare"

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Messaggioda Fokozzone » gio mar 15, 2007 18:19 pm

alberto60 ha scritto: Il rischio fine a se stesso non lo condivido . Non andrei mai a fare un seracco sapendo che può cadermi adosso da un momento all'altro senza che io ci possa fare nulla.

Però l'alpinismo senza rischio , un rischio calcolato , non è alpinismo.

Ecco, su questa affermazione vorrei fare un distinguo. Nel senso che il rischio (calcolato, aumentato, diminuito, controllato....) può essere inteso in due modi: la gravità delle conseguenze o la probabilità che succeda un evento spiacevole. Ballare il tip-tap sulla linea gialla in metropolitana dischiude un rischio letale, ma le probabilità che si realizzi un evento negativo restano bassissime. Arrampicare in falesia un grado sopra il proprio massimo, ha un rischio elevatissimo sulla probabilità dell' evento, ma un rischio bassissimo sulla gravità delle conseguenze. Ora il secondo caso lo chiamo impegno psicologico (so che non mi farò niente, ma ho lo stesso paura di cadere) nel primo caso l' impegno lo chiamerei piuttosto "responsabilità" (se cado non mi faccio un danno psicologico, ma mi ammazzo fisicamente). Ora se mi assumo la responsabilità di condurre in salvo la mia vita, vorrei almeno che i fattori di successo fossero sotto il mio controllo. Quando ad esempio il boscacci fece "lucido da scarpe" (VII di aderenza slegato) si prese le sue responsabilità su una roccia perfetta che non tradiva. Quando comino precipitò insieme al seracco della poire, purtroppo pagò con la vita il fatto che al seracco non gliene fregasse niente di quanto era bravo lui.

Insomma il rischio calcolato c' è se il prodotto dei due fattori (gravità*probabilità) è ragionevolmente basso e se il rischio è prevalentemente soggettivo (basato sulle mie capacità) piuttosto che oggettivo (basato su alea ambientale). Altrimenti non parlerei più di calcolo, ma di speranze razionalizzate.

alberto60 ha scritto:Inoltre non bisogna intendere il rischio solo nel senso di farsi male di rimetterci la pelle. Ma anche di non riuscire a salire un itinerario cioè mettere in conto la rinuncia . Non dare per scontato il risultato, la vittoria a tutti i costi.

Se non siamo prepararti, allenati a sufficienza , se non troviamo il percorso, possiamo sempre rinunciare per poi ritornare.

Se invece tutto è preconfezionato che gusto c'è ? solo quello della gestualità?

Ma allora non è alpinismo.
Perfettamente d' accordo, infatti la rinuncia fa parte dei rischi di bassa gravità. Ma la possibilità di rinuncia è proprio uno dei fattori con cui si valuta la sicurezza di una via.
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Messaggioda alberto60 » gio mar 15, 2007 18:46 pm

per rischio calcolato intendo dire che se decido di fare una cosa molto pericolosa ho comunque la possibilità di controllare la situazione e se mi faccio male è perchè io ho sbagliato e non perchè è un fattore esterno che decide della mia sorte.

Esempio: pur scalando e quindi non avendo paura dell'altezza , quando salgo su un aereo ho sempre un certo timore. Perchè?
Perchè non mi sento padrone della situazione: Perchè se casca l'aereo e ci rimetto la pelle non dipende da un mio errore.

Quindi la scelta del Bosca di salire slegato la condivido.

La scelta di Comino di salire il seracco della Poire l'ammiro ma non la condivido nel senso che io non l'avrei fatta.
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Messaggioda Enzolino » gio mar 15, 2007 19:03 pm

D'accordo sulla "formula"

rischio = probabilita'*gravita'.

Anche se in discipline come il freesolo, dopo pochi metri la funzione gravita' aumenta sino a diventare costante.

Fokozzone ha scritto: Ora se mi assumo la responsabilità di condurre in salvo la mia vita, vorrei almeno che i fattori di successo fossero sotto il mio controllo.
Il gioco qua si risolve sul fattore probabilita'.

Paradossalmente piu' voglio controllare la situazione, quando sono al limite, piu' mi irrigidisco ed aumento la probabilita' che l'incidente si manifesti.
Un po' come il principio d'indeterminazione di Heisenberg.
Piu' controllo la situazione, piu' rischio che essa mi sfugga di mano ...

Allora giocando con la concentrazione, la focalizzazione, l'esperienza, la determinazione, eccetera l'evento rischioso diventa un'opportunita' per conoscere meglio se stessi e, in virtu' di una maggiore sensibilita' acquisita in situazioni estreme, anche penetrare l'ambiente che ci circonda.
Sia esso la montagna, il mare, l'aria, la neve, il ghiaccio, o un percorso in MTB ... :wink:
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Messaggioda misterorange » gio mar 15, 2007 19:30 pm

alberto60 ha scritto:per rischio calcolato intendo dire che se decido di fare una cosa molto pericolosa ho comunque la possibilità di controllare la situazione e se mi faccio male è perchè io ho sbagliato e non perchè è un fattore esterno che decide della mia sorte.

Esempio: pur scalando e quindi non avendo paura dell'altezza , quando salgo su un aereo ho sempre un certo timore. Perchè?
Perchè non mi sento padrone della situazione: Perchè se casca l'aereo e ci rimetto la pelle non dipende da un mio errore.


ma io credo che la situazione in montagna, facendo alpinismo con portezioni veloci sia cmq una questione che non puoi controllare...puoi essere benissimo uno che scala sul sesto e va a fare una presa di quarto ma se ti si rompe un appiglio o un appoggio vieni giù...quindi non sei mai del tutto padrone della situazione come in una qualsiasi cosa che fai nella vita. non per questo ritengo che le vie di montagana vadano spittate al massimo concepisco chi rifà le soste con gli spit ma per il resto della via va bene com'è però non si avrà mai il pieno controllo della situazione secondo me!!!
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Messaggioda quilodicoequilonego » gio mar 15, 2007 19:48 pm

misterorange ha scritto:
alberto60 ha scritto:per rischio calcolato intendo dire che se decido di fare una cosa molto pericolosa ho comunque la possibilità di controllare la situazione e se mi faccio male è perchè io ho sbagliato e non perchè è un fattore esterno che decide della mia sorte.

Esempio: pur scalando e quindi non avendo paura dell'altezza , quando salgo su un aereo ho sempre un certo timore. Perchè?
Perchè non mi sento padrone della situazione: Perchè se casca l'aereo e ci rimetto la pelle non dipende da un mio errore.


ma io credo che la situazione in montagna, facendo alpinismo con portezioni veloci sia cmq una questione che non puoi controllare...puoi essere benissimo uno che scala sul sesto e va a fare una presa di quarto ma se ti si rompe un appiglio o un appoggio vieni giù...quindi non sei mai del tutto padrone della situazione come in una qualsiasi cosa che fai nella vita. non per questo ritengo che le vie di montagana vadano spittate al massimo concepisco chi rifà le soste con gli spit ma per il resto della via va bene com'è però non si avrà mai il pieno controllo della situazione secondo me!!!


ok, ma tra bianco e nero ci sono molte varietà di grigio, e la stessa cosa tra essere perfettamente al sicuro (falesia) ed essere completamente in balìa degli eventi (io mi calerei subito)

e credo ce ne siamo accorti tutti che spesso, su "certe cose", non basta l'allenamento, ma c'è una bella differenza anche se psicologicamente "sei in giornata" e riesci a dribblare le difficoltà tranquillo e sicuro, o se "era meglio stare a dormire" e non ti fidi di niente

poi se le protezioni veloci sono messe bene, non credo siano così insicure

io sulla stessa via alpinistica, ripercorrendola ho avuto sensazioni opposte (ma la via era nelle identiche condizioni della prima volta), credo solo perchè con la testa non c'ero, o perchè m'ero illuso che avendola fatta una volta non avrei avuto problemi
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Messaggioda alberto60 » gio mar 15, 2007 20:40 pm

misterorange ha scritto:
alberto60 ha scritto:per rischio calcolato intendo dire che se decido di fare una cosa molto pericolosa ho comunque la possibilità di controllare la situazione e se mi faccio male è perchè io ho sbagliato e non perchè è un fattore esterno che decide della mia sorte.

Esempio: pur scalando e quindi non avendo paura dell'altezza , quando salgo su un aereo ho sempre un certo timore. Perchè?
Perchè non mi sento padrone della situazione: Perchè se casca l'aereo e ci rimetto la pelle non dipende da un mio errore.


ma io credo che la situazione in montagna, facendo alpinismo con portezioni veloci sia cmq una questione che non puoi controllare...puoi essere benissimo uno che scala sul sesto e va a fare una presa di quarto ma se ti si rompe un appiglio o un appoggio vieni giù...quindi non sei mai del tutto padrone della situazione come in una qualsiasi cosa che fai nella vita. non per questo ritengo che le vie di montagana vadano spittate al massimo concepisco chi rifà le soste con gli spit ma per il resto della via va bene com'è però non si avrà mai il pieno controllo della situazione secondo me!!!


Ma infatti non ho detto che sono sicuro di tutto. Ho detto che se scelgo di affrontare una cosa rischiosa , scelgo una cosa in cui siano le mie scelte , giuste o sbagliate che siano, a decidere il risultato, e non un evento imponderabile .
Altro caso è fare una cosa in cui non sei mai padrone di quello che potrà succedere.
Esempio:
Gianni Comino quando è andato a tentare il seracco della Poire sapeva benissimo che era una cosa estremamente rischiosa e che non avrebbe potuto fare nulla se in quel momento il seracco sarebbe crollato . Infatti
c'è andato da solo perchè non voleva mettere a rischio anche la vita del suo compagno GianCarlo Grassi e purtroppo quando era quasi fuori il seracco è crollato....

Il crollo del seracco , che ha provocato la morte di Comino, non è dipeso dalle scelte giuste o sbagliate di Comino. E' crollato e basta.

Per quanto riguarda gli spit , non è da questi che dipende la nostra sicurezza ma da noi stessi , dalle nostre scelte. La dimostrazione sta nel fatto che succedono incidenti gravi anche in falesie super spittate ottimamente attrezzate, perchè spesso purtroppo si fanno le cazzate.
Ultima modifica di alberto60 il ven mar 16, 2007 10:24 am, modificato 4 volte in totale.
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Messaggioda Fokozzone » ven mar 16, 2007 9:17 am

Enzolino ha scritto:D'accordo sulla "formula"

rischio = probabilita'*gravita'.

Anche se in discipline come il freesolo, dopo pochi metri la funzione gravita' aumenta sino a diventare costante.

Fokozzone ha scritto: Ora se mi assumo la responsabilità di condurre in salvo la mia vita, vorrei almeno che i fattori di successo fossero sotto il mio controllo.
Il gioco qua si risolve sul fattore probabilita'.

Paradossalmente piu' voglio controllare la situazione, quando sono al limite, piu' mi irrigidisco ed aumento la probabilita' che l'incidente si manifesti.
Un po' come il principio d'indeterminazione di Heisenberg.
Piu' controllo la situazione, piu' rischio che essa mi sfugga di mano ...

Allora giocando con la concentrazione, la focalizzazione, l'esperienza, la determinazione, eccetera l'evento rischioso diventa un'opportunita' per conoscere meglio se stessi e, in virtu' di una maggiore sensibilita' acquisita in situazioni estreme, anche penetrare l'ambiente che ci circonda.
Sia esso la montagna, il mare, l'aria, la neve, il ghiaccio, o un percorso in MTB ... :wink:

Sì, Enzo, quello che mi interessava di questo topic, era mettere in luce quali sono le motivazioni positive per cui affrontare il rischio in montagna. E capire se quando affrontiamo il rischio stiamo inseguendo quelle motivazioni o non siamo schiavi di altri meccanismi.
Certo la tua posizione ("è un valore positivo anche inseguire il rischio fine a sè stesso") è un po' paradossale, anche se l' hai motivata bene. L' unica obiezione che ti faccio è che a quel punto l' arrampicata e l' ambiente diventano secondari.
Con le tue stesse motivazioni, più altre di carattere sociale ("la nostra società iperprotettiva e preconfezionata ci sottrae gli ambiti dell' avventura della scoperta e dei sentimenti dell' uomo che conquista l' ambiente ostile") era stato fondato il "dangerous sport club" in cui i soci affrontavano attività pericolose, come cenare nel cratere di un vulcano in attività, fare le corse in discesa su strade di montagna nei carrelli del supermercato e anche scalare (senza nessuna preparazione e allenamento) una parete di sesto grado. Come vedi ai fini del rischio un' attività valeva l' altra.
Io mi permetto di aggiungere un' altra causa di "bisogno di rischio": l' incapacità di tanti di rischiare e fare scelte senza ritorno nella vita quotidiana. Il matrimonio, ora che c' è il divorzio è una scelta reversibile, il lavoro spesso si risolve nella ricerca di un posto che garantisca per legge la sussistenza (senza rischiare nulla se si lavora male) etc etc.
A volte l' adrenalina diventa un surrogato della capacità di scelta che caratterizza la virilità. (ovviamente non parlo di te).

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Messaggioda alberto60 » ven mar 16, 2007 9:43 am

"dangerous sport club"

Senza offesa per nessuno ma chi si iscrive a qesto club ha evidenti problemi esistenziali, è un annoiato perenne che non sa come divertirsi e cerca in cose assurde il proprio appagamento.

Un' altro giochetto che potrei suggerire è quello di darsi delle martellate sulle dita e godere quando uno non si coglie.

Se c'è chi per mettersi alla prova fa queste cose non c'è poi da scandalizzarsi se si arriva anche a cose ben oltre la ricerca del rischio , tipo la violenza .
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Messaggioda quilodicoequilonego » ven mar 16, 2007 9:50 am

fokozzone, invece di sparare tante caxxate in una volta sola, prova 1 volta a fare una via dove devi affidarti alle tue capacità, e non solo seguire una fila di fix e le soste a catena

probabilmente non ne farai altre dopo, perchè non fa' per te, ma almeno ti rendi conto di cosa vuol dire, senza inventarti tante stronzate senza un reale significato

e se l'ammalato fossi tu, che non ti fidi di te stesso ? E' meglio che vai dallo psicologo, lui ti può aiutare :D
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Messaggioda Roberto » ven mar 16, 2007 10:34 am

Secondo me è da sfatare 'sta storia dell' adrenalina, che in realtà si sente solo quando ti accade qualcosa di traumatico, come un volo improvviso, un appiglio che si rompe, un chiodo che esce .... ma non esiste proprio mentre si è impegnati, tutti concentrati nella scalata, per la difficoltà o per la pericolosità.
Ho fatto delle scalate in cui la strizza era mia compagna di arrampicata, ma di adrenalina neppure l' ombra!
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Messaggioda Enzolino » ven mar 16, 2007 10:51 am

Fokozzone ha scritto: Sì, Enzo, quello che mi interessava di questo topic, era mettere in luce quali sono le motivazioni positive per cui affrontare il rischio in montagna. E capire se quando affrontiamo il rischio stiamo inseguendo quelle motivazioni o non siamo schiavi di altri meccanismi.
Certo la tua posizione ("è un valore positivo anche inseguire il rischio fine a sè stesso") è un po' paradossale, anche se l' hai motivata bene. L' unica obiezione che ti faccio è che a quel punto l' arrampicata e l' ambiente diventano secondari.
Con le tue stesse motivazioni, più altre di carattere sociale ("la nostra società iperprotettiva e preconfezionata ci sottrae gli ambiti dell' avventura della scoperta e dei sentimenti dell' uomo che conquista l' ambiente ostile") era stato fondato il "dangerous sport club" in cui i soci affrontavano attività pericolose, come cenare nel cratere di un vulcano in attività, fare le corse in discesa su strade di montagna nei carrelli del supermercato e anche scalare (senza nessuna preparazione e allenamento) una parete di sesto grado. Come vedi ai fini del rischio un' attività valeva l' altra.
Io mi permetto di aggiungere un' altra causa di "bisogno di rischio": l' incapacità di tanti di rischiare e fare scelte senza ritorno nella vita quotidiana. Il matrimonio, ora che c' è il divorzio è una scelta reversibile, il lavoro spesso si risolve nella ricerca di un posto che garantisca per legge la sussistenza (senza rischiare nulla se si lavora male) etc etc.
A volte l' adrenalina diventa un surrogato della capacità di scelta che caratterizza la virilità. (ovviamente non parlo di te).
Per quanto riguarda la prima frase in grassetto c'e' una parte di verita' ed una parte di falsita'. Io, ad esempio, amo non solo la roccia, ma anche il mare per cui ero appassionato di apnea, amo andare nei fiumi col canotto su rapide o cascate, ed una volta me la son vista brutta, molto brutta, amo la speleologia, ecc. Tuttavia, ho scelto di incanalare le mie energie in una disciplina che riflette meglio, attraverso la verticalita', il mio modo di essere. Anni fa incanalavo la voglia di rischio attraverso la quotidianita' con la MTB, ma anche nei rapporti personali. E qua tocchi un tema estremamente interessante su cui tornero'.
Ma cio' che hanno in comune le varie discipline e' che, attraverso il rischio, le nostre percezioni vengono ipersensibilizzante e ci permettono di vivere delle "aperture" che, come delle calamite, ci spingono a ripetere una certa esperienza altre volte. Su questo aspetto, credo che sia illuminante la teoria di Csikszentmihalyi sul "flow". Questa teoria supera il paradigma dell'ego come riferimento, ed afferma che anni di evoluzione hanno strutturato l'io in modo da permettergli piacevoli esperienze di "flow" comune a tante discipline inclusi i vari sport o l'arte. Lui descrive e spiega anche il perche' di discipline come l'arrampicata o altre attivita' rischiose, o addirittura certe esperienze religiose.
Da questo punto di vista, dunque, il paradigma "rischio voluto = fuga o valvola di sfogo da frustrazione", se generalizzato, rischia di essere obsoleto o inadeguato.
Sul secondo aspetto in grassetto, ahime', mi e' capitato di dire altre volte una cosa del genere. Soprattutto quando ho sentito chi metteva gli alpinisti sul piedistallo rispetto alla "massa". Ovvero, mi e' capitato di vedere gente (me incluso) che, pur rischiando in arrampicata o alpinismo, non era in grado di mettersi in gioco nelle scelte che esulavano dalla verticale. O addirittura ci sono coloro che cercano di ritagliarsi attraverso l'arrampicata/alpinismo quell'autostima che non sono in grado di ottenere nel quotidiano ... e qua mi viene in mente il famoso scritto di Motti ... ma credo che questo punto non riguardi solo i climber ma un po' tutti coloro che si dedicano a varie discipline. E non voglio dire ne' che e' un male ne' un bene, ma semplicemente un'osservazione/interpretazione di cio' che vedo ed anche di cio' che ho vissuto.
Per il resto, se smetto di arrampicare, incanalo la voglia di rischio e sfida nel quotidiano attraverso la trasgressione o la voglia di "rivoluzione", ed in questo senso, per me, il roschio in montagna rappresenta anche, ma non solo, una valvola di sfogo.

Ciao :wink:

Lorenzo
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Messaggioda il.bruno » ven mar 16, 2007 11:03 am

Io arrampico male e troppo poco, comunque nel mio piccolo mi sento di dire la mia.
Lo scorso autunno ho fatto un paio di vie sul versante occidentale del Monte San Martino, a poche centinaia di metri di distanza dallo sperone della tragedia che ha ispirato il topic (dalla quale anche per questo mi sono sentito un po' coinvolto), su terreno credo molto simile.
In estate faccio molto volentieri vie normali, o poco più che normali, in Dolomiti ed altrove, arrivando quando è tanto al IV, ma su terreno a volte un po' sfasciato.
Quello che mi spinge a fare questo piuttosto che ad andare ad arrampicare sempre in falesia o su vie più difficili, ma ripulite ed attrezzate a prova di bomba, è il desiderio di andare in posti "fuori dalle pista battute", su cime dove magari qualcuno sale solo una volta ogni qualche anno, dove si sente il silenzio, dove c'è da cercarsi la via con una descrizione, magari di Castiglioni, e che quando ci sali non la ritrovi...
In tutto ciò i rischi sono:
- la roccia a volte è cattiva;
- anche con roccia buona, il detrito è spesso presente e, appena può, cade;
- nel fatto che le protezioni se e quando ci sono, non sono "certificate";
- ci si può perdere cacciandosi in posti più complicati;
ecc. ecc.

Come minimizzare il rischio?
L'esperienza su questi terreni aiuta, l'attenzione e lo studio di com'è fatta la montagna su cui si sale anche, ma una certa "alea" è ineliminabile. Cerco di compensarla con la riduzione della difficoltà tecnica su cui mi cimento su questi terreni.
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Messaggioda gug » lun mar 19, 2007 15:20 pm

Roberto ha scritto:Infatti la più grande soddisfazione alpinistica che ho avuto è stata una salita su roccia pessima, dove il rischio era evidente, tangibile.
Certo, la soddisfazione è sempre dopo, se ripenso a certi momenti della scalata mi viene un brivido e di sicuro non ci tornerei (e poi perché dovrei, la via l' ho fatta), ma la sensazione che abbiamo avuto all' usita, fuori dalle difficoltà e dal rischio, resta indimenticabile.
Non era esultanza, felicità, era solo consapevolezza di avercela fatta, di essere stati capaci di affrontare una parete del genere, il poter dire "io sono stato capace!"
Non è ricerca del rischio e basta, è alpinismo!


Però credo che sia diverso l'arrampicare su roccia instabile e altri tipi di pericoli oggettivi, completamente indipendenti dalla nostra abilità e controllo.
La roccia marcia è un pericolo oggettivo, ma "border line", dato che su di esso possiamo influire con la nostra eventuale capacità di movimento e di giudizio ed è proprio questo gioco sottile che credo ti abbia attratto sulla Nord del Camicia.
Altri tipi di pericoli oggettivi, come quello di Comino, sono totalmente indipendenti da noi e lì effettivamente vale l'interrogativo di Fokozzone, dato che la scelta alpinistica più sensata sarebbe solo quella di mantenersi alla larga il più possibile: forse esistono "devianze" anche in alpinismo?
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Messaggioda Roberto » lun mar 19, 2007 15:38 pm

gug ha scritto:Però credo che sia diverso l'arrampicare su roccia instabile e altri tipi di pericoli oggettivi, completamente indipendenti dalla nostra abilità e controllo.
La roccia marcia è un pericolo oggettivo, ma "border line", dato che su di esso possiamo influire con la nostra eventuale capacità di movimento e di giudizio ed è proprio questo gioco sottile che credo ti abbia attratto sulla Nord del Camicia.
Altri tipi di pericoli oggettivi, come quello di Comino, sono totalmente indipendenti da noi e lì effettivamente vale l'interrogativo di Fokozzone, dato che la scelta alpinistica più sensata sarebbe solo quella di mantenersi alla larga il più possibile: forse esistono "devianze" anche in alpinismo?
Hai perfettamente ragione, in quei casi più che alpinismo diventa una roulette russa.
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Messaggioda alter-ego » lun mar 19, 2007 16:02 pm

gug ha scritto:
Roberto ha scritto:Infatti la più grande soddisfazione alpinistica che ho avuto è stata una salita su roccia pessima, dove il rischio era evidente, tangibile.
Certo, la soddisfazione è sempre dopo, se ripenso a certi momenti della scalata mi viene un brivido e di sicuro non ci tornerei (e poi perché dovrei, la via l' ho fatta), ma la sensazione che abbiamo avuto all' usita, fuori dalle difficoltà e dal rischio, resta indimenticabile.
Non era esultanza, felicità, era solo consapevolezza di avercela fatta, di essere stati capaci di affrontare una parete del genere, il poter dire "io sono stato capace!"
Non è ricerca del rischio e basta, è alpinismo!


Però credo che sia diverso l'arrampicare su roccia instabile e altri tipi di pericoli oggettivi, completamente indipendenti dalla nostra abilità e controllo.
La roccia marcia è un pericolo oggettivo, ma "border line", dato che su di esso possiamo influire con la nostra eventuale capacità di movimento e di giudizio ed è proprio questo gioco sottile che credo ti abbia attratto sulla Nord del Camicia.
Altri tipi di pericoli oggettivi, come quello di Comino, sono totalmente indipendenti da noi e lì effettivamente vale l'interrogativo di Fokozzone, dato che la scelta alpinistica più sensata sarebbe solo quella di mantenersi alla larga il più possibile: forse esistono "devianze" anche in alpinismo?


gug, quoto la tua intuizione. L'idea che mi sono fatto è che la scelta di Comino è stata una sorta di "devianza" e pertanto non andrebbe citata ad esempio. Per esempio Huber nelle sue solitarie ha dimostrato un approccio "scientifico" in modo, si fa per dire, da circoscrivere il rischio entro certi limiti ma altri, come quell'altro austriaco di cui ora mi sfugge il nome, sono andati molto più alla garibaldina. Spararsi on sight la Cassin slegato non mi sembra una scelta tanto consapevole...ma il confine ovviamente è labile. In ogni caso occorre tenere conto che la pazzia spaventa ma nello stesso tempo affascina l'uomo e quindi in un certo senso è normale che siamo condannati a subire il fascino della pazzia come forma suprema e irrazionale di genialità... uhm :roll:
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Messaggioda Enzolino » lun mar 19, 2007 16:43 pm

alter-ego ha scritto: gug, quoto la tua intuizione. L'idea che mi sono fatto è che la scelta di Comino è stata una sorta di "devianza" e pertanto non andrebbe citata ad esempio. Per esempio Huber nelle sue solitarie ha dimostrato un approccio "scientifico" in modo, si fa per dire, da circoscrivere il rischio entro certi limiti ma altri, come quell'altro austriaco di cui ora mi sfugge il nome, sono andati molto più alla garibaldina. Spararsi on sight la Cassin slegato non mi sembra una scelta tanto consapevole...ma il confine ovviamente è labile. In ogni caso occorre tenere conto che la pazzia spaventa ma nello stesso tempo affascina l'uomo e quindi in un certo senso è normale che siamo condannati a subire il fascino della pazzia come forma suprema e irrazionale di genialità... uhm :roll:
... alcune espressioni toccano e fanno vibrare certe corde dell'irrazionale in maniera pericolosa ... devo evitare di leggerti ... :? :roll: :wink:
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Messaggioda Roberto » lun mar 19, 2007 16:47 pm

Enzolino ha scritto: ... alcune espressioni toccano e fanno vibrare certe corde dell'irrazionale in maniera pericolosa ... devo evitare di leggerti ... :? :roll: :wink:
Enzolì, tu vibri con molta facilità :wink:
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Messaggioda alter-ego » lun mar 19, 2007 17:20 pm

Roberto ha scritto:
Enzolino ha scritto: ... alcune espressioni toccano e fanno vibrare certe corde dell'irrazionale in maniera pericolosa ... devo evitare di leggerti ... :? :roll: :wink:
Enzolì, tu vibri con molta facilità :wink:


dev'essersi comprato anche lui questo "anello del piacere" di cui parlano tutti :roll: :roll: chi lo fa, la Camp? :? :?:
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