ren ha scritto:Se apri una rivista di arrampicata la visibilità ce l'hanno quasi solo le falesie e quasi niente le gare
ti do' ragione : salvo casi assurdi (la rivista che arriva a casa ai soci cai-come me-, che riporta due o tre pagine di risultati delle gare e poi "salta" su alpinismo, escursionismo e arrampicate di difficoltà difficilmente superiore al 6b, meglio se protette in modo tradizionale) , salvo casi assurdi dicevo le riviste le gare se le cagano pochetto confronto ai report fotografici e alla cronaca delle realizzazioni in falesia o sui blocchi.
Le gare di ghiaccio sono relativamente nuove, per cui per ora "tirano" un po' di più...ma secondo me tra non molto l'interesse scemerà anche per quelle.
Mi sembra un punto di partenza che dovrebbe stimolare la riflessione, prima ancora dell'azione.
Immagino innanzitutto e do' per scontato che una rivista commerciale cerchi di cogliere il potenziale interesse dei lettori e di assecondarlo, questo non voglio discuterlo : il mercato e la concorrenza *dovrebbero* assicurare questo comportamento.
Ora, se le gare sono poco coperte è perchè interessano a pochi, e se interessano a pochi, perchè? Perchè le foto e i racconti di posti esotici e le due righe su chi ha salito questo o quel tiro interessano di più?
Io la vedo così : lo spirito competitivo fa parte del nostro sport, come di tutte le attività umane.
Solo che la competizione "ovvia", in arrampicata sportiva, non è la competizione diretta tra atleta e atleta.
E' quella tra l'atleta e sè stesso (il proprio limite), tra l'altleta e la condizione umana (il limite umano : il tiro o il blocco più duro mai salito), tra l'atleta e il limite naturale (la roccia povera di appigli. Inciso, le competizioni hanno generato l'epoca del bricolaggio selvaggio, ora finita e giustamente condannata. Che le gare stiano pagando anche questo?).
Il lettore vuol sapere quante persone al mondo fanno l'8c e il 9a non tanto perchè gli interessi sapere chi è il più forte tra i "big" (eccezion fatta per i ragazzini di 15 anni), ma perchè vuole sapere dov'è il limite, dove finisce l'uomo come lo conosciamo e dove inizia una sorta di super-uomo, o di super-arrampicatore, se vuoi. (magari, senza nietzsche, sarebbe stato diverso)
Aggiungi che una gara di arrampicata non ha e non avrà mai, per quanto ben tracciata e per quanto bravi i contendenti, l'intrinseco contenuto spettacolare ed epico di uno sport di squadra, di certe competizioni atletiche (tipo i 100 metri, dove a dire il vero la misura del limite c'è...il record mondiale), degli sport di fatica (le tappe alpine dei giri di ciclismo, la maratona).
Io me ne sto volentieri con una birra sul divano a vedere il Milan, piuttosto che Roger Federer a wimbledon o una gara di motociclismo. Sebbene a calcio ci giochi pochissimo, il tennis l'abbia abbandonato da tempo e una moto vera non ce l'ho mai avuta. Faccio fatica a immaginare mio nonno o mio padre o un mio amico che facciano lo stesso godendosi il rock master su eurosport, se anche lo trasmettessero.
E poi, a tanti praticanti banalmente il discorso competitivo non interessa in alcun modo e in alcuna salsa. Gli interessa solo evadere un po', farsi un viaggio arrampicatorio sulla carta, progettare eccitati la prossima uscita domenicale piuttosto che il prossimo ponte o la vacanza arrampicatoria "della vita". A questi qui la rivista deve vendere dei sogni; ma che razza di sogno sarebbe una tappa di coppa del mondo di boulder???
tutta sta tiritera, del tutto personale sia chiaro, per giungere ad una conclusione, ancora più personale : le gare sono un'ottima scusa per portare l'arrampicata nelle piazze e per aumentare il volume dei praticanti (e con esso il giro d'affari legato al settore). Ma riconoscere loro un ruolo non subordinato alla pratica "outdoor", se non addirittura un ruolo conflittuale beh...mi pare una crociata priva di respiro, di veduta d'insieme.
nb per non essere frainteso. Uno che mi dicesse "a me piacciono le gare, mi piace la plastica e di roccia vera ne faccio poca (es. interviste di Flavio Crespi)" non merita affatto parole di biasimo. Così come non mi sogno di criticare quei due tizi che nel posto dove mi allenavo facevano trave, pan-gullich e scalata senza piedi come fossero uno sport a sè stante, e non un allenamento, con entusiasmo fanciullesco direi.
Se invece uno si lamenta che le gare hanno meno visibilità della falesia, facendo un ragionamento generale, m'indispettisco un po' e mi sento in dovere di controbattere.