Riporto un interessante articolo di RENZO M. GROSSELLI apparso oggi sul giornale.... a voi le conclusioni....
Il più grande rocciatore di tutti i tempi. Punto e basta. Poco altro da dire di sua maestà grandissima, Cesare Maestri. Si mettano tranquilli i nani. E le ballerine. O se continueranno a naneggiare e danzare lo facciano con maggiore leggerezza. Campiglio, il comfort dello Suisse e l'ospitalità di Emilio Cirillo, con Mario Pojer e le sue bollicine. È stanco l'anarchico delle Dolomiti, 76 anni già fatti ma un fisico che ancora regge bene. È l'animo che a tratti vacilla ma poi si riprende. Con grinta. Con lui Birillo, il barboncino. «Ero a Creta e tre persone mi stavano guardando da tempo. Quando si avvicinarono ero pronto a firmare l'autografo. Mi chiesero, invece, se ero il padrone di Birillo, che avevano conosciuto a Campiglio». Davanti a noi un mito, intatto. Ferito ma non travolto. «Quando morì papà, Rolly Marchi scrisse: "È morto Tony Maestri, di professione Tony Maestri". Era nato a Mezzolombardo papà, barbiere come il nonno all'inizio. Un grande irredentista. Nella prima guerra mondiale combatté nella Legione Trentina a fianco di Cesare Battisti e prese anche qualche medaglia». Eccola la grinta anarchica, la forza ribelle, lo sguardo fiero di Cesare. Non si flette mai. Papà Tony, l'attore «Papà aveva una strana passione per il teatro e finita la guerra andò a Torino che al tempo era la capitale italiana del cinema muto». Là conobbe mamma Rosa Botti, di Ferrara, benestante e attrice. Si innamorarono, si sposarono e misero in piedi una compagnia teatrale viaggiante. Tony recitava, curava la regia. Nel 1924 nacque Anna, poi grande attrice e quella sera Tony Maestri salì sul palco e avvisò: «Niente spettacolo oggi signori, manca l'attrice protagonista». Nel 1929 nacque un bambino e il patriota italiano Tony Maestri lo chiamò Cesare Fabio Damiano, come i tre martiri della prima guerra mondiale. Tony si mise a lavorare per la Legione Trentina, come propagandista: «Parlava e vendeva libri su Battisti e l'irredentismo». La mamma di Cesare morì a soli 33 anni (prima era nato anche Giancarlo, a sua volta buon attore che, come doppiatore, in tempi recenti avrebbe dato la voce italiana a Brando, Connery e Redford). I Maestri abitavano ormai a Trento, ai casoni di S. Giuseppe, rione popolarissimo. « No ste nar a zugàr coi spiazaròi dei casoni » diceva la gente per bene. Si commuove Cesarone: «Papà Tony fu un amico. Era un agnostico coerente. Quando stava per morire un frate amico gli disse: "Tony, è il momento". "Mai fatto male a nessuno, mai ucciso nessuno. L'unica ròba che i poderìa encolparme l'è de avérghe ciavà la spósa a qualche amico "». Non si accostò ai sacramenti. Coerente. E Cesare: « La Ana 'nvéze l'è cascada, al'ultimo l'ha volèst el funeral religioso ». È uno coerente Cesare Maestri, uno che non si è mai fatto mettere sotto dalle convenzioni. Dillo Cesare, dillo per favore. «Un uomo dovrebbe vivere come ha vissuto». Come hai incontrato la montagna? «Nella mia vita la montagna entra per caso. Ho vissuto la seconda guerra mondiale da rapinatore, tedeschi di preferenza. Portavo via ròba da magnàr . Poi i ragazzi grandi dei casoni, il Mongera e Roberto Moggio (ndr, l'inventore della Marcialonga) iniziarono a darmi delle commissioni. Già che rubavo in caserma avrei potuto portar via per loro degli pneumatici, un carburatore, poi... In ultima analisi, col mio business la guerra l'ho fatta perdere anch'io ai tedeschi». Lo chiamavano anche Pietro Micca perché tutto quello che poteva fare dei botti, lui lo faceva scoppiare. « Févo saltar tut! ». E qui la confessione. «Un giorno avevo una bomba a mano. C'era un ponte sull'Adigetto, tirai l'ordigno e andò giù tutto». E si guarda in giro Cesare Maestri, che qualcuno non lo arresti oggi. «Quando è scoppiata la pace non sapevo più cosa fare. Tony (ndr, suo padre) mi mandò a Roma dalla Anna. Lei disse: «"Dove fa la fame uno, la possono fare anche due". Ma io rimasi solo pochi mesi, non stavo bene là». È sempre stato il Trentino la terra di Cesare. «Tornai a Trento ed aiutai papà alla ricevitoria del Totocalcio, al Bar Sociale. E un giorno venne Gino Pisoni, il più forte alpinista del mondo in libera. Tony, porto tó fiòl a rampegàr . Fummo in Paganella ed ebbi la folgorazione. Quella era la mia vita, era il modo di sviluppare la mia temerarietà. Seppi diventare coraggioso, l'uomo che vince le paure. Da povero aspirante delinquente sono diventato un alpinista». Cesare, lascia stare i nani. Lascia stare le ballerine. Dicci che tipo di alpinista eri. «Il più innovativo e fantasioso alpinista della storia. La bravura non è portare a termine un'impresa ma immaginarsela. Per viver ho fat fadiga . Vivevo a Molveno, una stanza. Alle 4 del mattino andavo su al Pedrotti con 30 chili sulle spalle. Mi davano un minestrone e qualche lira. Poi scalavo. Nel solo primo anno ho scalato più io che un medio alpinista in una vita. Il secondo anno mi sono detto: te devi rampegàr da sól . Allora mi allenavo così: 50 metri con una mano, 50 con l'altra, poi alternando i piedi». Ma il segreto che lo avrebbe trasformato nel più grande rocciatore mai esistito era un altro: «Percorrevo in discesa lo stesso tragitto della salita, realizzando in questo una massima di Preuss. Rampegavo en zó . Per me era facile, forse perché sono tozzo e brevilineo. Poi avevo una enorme fiducia nei miei mezzi. Sono stato il primo alpinista al mondo a fare il sesto grado in discesa, senza corse e chiodi». Cosa provavi Cesare? «Godevo profondamente ad arrampicare da solo. Nel mio godometro arrampicare era 50, farlo da solo lo faceva andare fuori scala». Vari trentini hanno cercato di massacrarti, Cesare. Che ne pensi di loro? «Sono profondamente orgoglioso di essere trentino. Sono bella gente, onesta. Per fortuna i sociologi gli hanno riscaldato un po' il culo... ma il giudizio è ottimo». Perché scalare? «Attraverso l'arrampicata mi sono riscattato, inserito nella società». Il primo botto? «La prima solitaria della Sud-Ovest della Marmolada, sesto grado superiore. Solo, nevicava. Arrivai e alla sera al Sociale i fratelli Pedrotti vinsero il Filmfestival col mio film sul 6° grado». Il Cerro Torre non te lo chiediamo, Cesare. «Il mio rimorso è essere andato in Patagonia per dimostrare qualcosa, sono profondamente avvilito di aver affrontato la montagna in quel modo». La seconda volta col compressore. «Mi ha rotto i coglioni, se non c'era era meglio. Ma io ero innovativo. Volevo dimostrare che non c'erano montagne impossibili ma solo uomini che non sanno scalarle. Il compressore pesava 180 chili, lo tiravamo su e lo adoperavamo poco. Oggi hanno un trapanino da un chilo e mezzo, bucano e su... A me ruppero i coglioni ma avevo anticipato tutti di 30 anni». Cesare, le donne. «Ora il pericolo è che mi dicano di sì. Allora non era così». Quando è stata l'ultima volta in chiesa? «Alla prima comunione». E l'ultima volta in montagna? «Tre giorni fa, con le ciaspole sullo Spinale». C'è una donna oggi, nelle vita di Cesare Maestri: «Quando nel 1995 fui operato dal tumore, ero intubato e venne a trovarmi mia nipote Carlotta, 9 anni. Mia moglie poi gli chiese come aveva trovato il nonno. "Senza problemi, papà sapeva la strada"». E quando parla di Carlotta, Cesare vive. Ancora vive e gli brillano gli occhi. Stai con lui Carlotta. Fallo anche per noi. Potremmo stupirvi. Parlarvi di 3.500 salite e discese, della via Soldà-Conforto sulla Marmolada, di Africa, Argentina. Di libri. O del tentativo a 70 anni e passa sul Shisha Pangam. Vi racconteremo, invece, di un uomo, che la sua vita l'ha presa tra i denti e l'ha portata avanti a strappi forti. Volendole bene. E onorandola. E che ora ha Carlotta. «Non voglio morire sulla montagna» La montagna della tua morte Cesare? «La affronterò benissimo. Ho avuto una vita importante, tanta gente che mi vuole bene. Se mi diranno che sarà alle 17, chiederò che sia alle 17.30: per salutare Carlotta, suo padre e sua madre, gli amici». Dove vorresti morire Cesare? «In qualsiasi posto, anche al cesso. Ma non in montagna. Là ho vissuto, là non vorrei morire». Cristo, Cesare! Cesare Maestri non abbiamo parlato dei nani. «I nani sono importanti perché c'è stata Biancaneve». Vai semente trentina. Vai nella vita finché l'ossigeno ti darà il coraggio anarchico di respirare duro. Vai Cesare, Cesare Maestri vai sulle tue Dolomiti. Noi sappiamo che hai portato il Trentino tanto in alto che non ci sono più paragoni. Non mollare ora Cesare, non lasciarti andare: che sei per noi come quel lampo che porta il tuono. E, dopo, quello scrosciare liberatorio di piogge. Grande Cesare Maestri. Il migliore di tutti.
Tratto dalla versione on-line de "L'Adige" (Pagina 37) del 24/12/2005
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