L' alpinismo e il rischio

Area di discussione su argomenti di montagna in generale.

L' alpinismo e il rischio

Messaggioda Roberto » gio nov 10, 2011 12:50 pm

Alcuni di noi hanno una necessità particolare: abituati come siamo ad una vita "certificata" sentiamo il bisogno di viverla davvero questa vita. Un mezzo per sentirsi vivi è avvertire la nostra vulnerabilità. Conquistare ogni volta l' apparente piacere di essere "scampati".
L' alpinismo è appunto una di quelle attività in cui senti il pericolo ma al momento stesso hai i mezzi, fisici e tecnici, per mantenere tutto sotto relativo controllo. A volte hai davvero paura e comprendi che un errore sarebbe fatale.
E' nel nostro DNA. Gli antenati viveno nelle grotte e non sapevano se ci sarebbe stato un domani, se una belva o un accidente avrebbe interrotto la loro vita. Ogni giorno era una sfida, un' avventura. Noi non siamo che cambiati esteriormente, dentro sentiamo ancora quasta paura atavica del domani, solo apparentemente nascosta dalla "vita certificata" che facciamo tutti i giorni. Poi si muore lo stesso in anticipo sulla tabella di marcia, ma è sempre un' imprevisto, una buca dietro la curva. Arriva che non te lo aspettavi.
L' alpinismo no, sei li e sotto di te c' è il vuoto, pronto a prenderti. Oppure la bufera, o la valanga, o il fulmine. Sei vulnerabile.
Per questo alcuni di noi fanno alpinismo. Quello "vero", quello in cui sai che non puoi sbagliare. Non deve essere difficile o estremo, solo darti questa emozione. Non occorre il grado, serve la sensazione.
E poi sbagli, a me è capitato più volte. Ma non per questo resti a casa, continui a sbagliare, perché hai il bisogno di sentirti vivo.
Quante volte sono andato anche se sapevo che poi arrivava il brutto tempo? Ho ragionato sulla mia velocità e mi ha detto bene. Poi, fuori, mentre diluviava, non pensavo al rischio scampato, ma alla via fatta in velocità. Incoscienza? Forse anche, ma anche alpinismo fatto di scommesse, alpinismo fatto di vita da vivere fino all' ultiomo secondo, ma da vivere forte, senza certificati.
L' alpinismo resta una scommessa e se è fatto con le carte truccate è un po meno alpinismo.
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Messaggioda PIEDENERO » gio nov 10, 2011 13:00 pm

finalmente qualcuno ha aperto un' altro topic ...(modifica:un topic sul quale parlare di rischio che non sia quello relativo alla morte dei due francesi sul bianco)
bravo roberto :smt023
Ultima modifica di PIEDENERO il gio nov 10, 2011 17:07 pm, modificato 2 volte in totale.
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Messaggioda sergio-ex63-ora36 » gio nov 10, 2011 13:08 pm

l'importante è che ognuno sia consapevole di quello che fa
(e non solo in alpinismo)

magari anche del fatto che in certe situazioni non ti vengano ad aiutare...

detto questo per me non è difficile accettare che altri si prendano rischi differenti da quelli che prenderei io...

a volte mi sembra che in giro ci sia un grande egocentrismo...si misura tutto su se stessi... :roll:

un po' di libertà...altrimenti che uomini e donne saremmo...
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Messaggioda Pié » gio nov 10, 2011 14:29 pm

Per me alpinismo vuol dire mettersi in gioco. Prendere continuamente delle decisioni ed esser consapevoli che ciascuna di esse porta a delle conseguenze di cui si è totalmente responsabili. è la totale libertà di fare delle scelte ed assumersi la responsabilità di esse.

Si possono fare tanti giri di parole, per dire lo stesso concetto. Siamo noi che decidiamo quanto vogliamo metterci in gioco, ma poi dobbiamo saperci assumere le responsabilità delle nostre scelte. è questo per me il succo. ed il perché lo si fa è nelle parole di Boardman: se lo si chiede, non se ne può capire la risposta.
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Messaggioda Pié » gio nov 10, 2011 14:38 pm

La prossima settimana ci sarà un convegno a Bergamo proprio su questo argomento con vari interventi e rivolto a guide, istruttori, soccorritori accademici ecc.. ecc... non so se riuscirò ad andarci perché forse ho un impegno concomitante, ma penso sia molto interessante poter vedere sotto altre prospettive le stesse cose, confrontarsi con esse (un po' tipo la foto di Bonatti della quale ho parlato con Sergio) e sicuramente può dare tanti spunti di ragionamento in più ed un ampliamento di visuali a chi l'alpinismo lo insegna per passione o per mestiere.
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Messaggioda Sbob » gio nov 10, 2011 14:58 pm

Al di la' della quantita' di rischio, secondo me c'e' una differenza tra i rischi necessari e quelli inutili. Salire una via pericolosa comporta per forza di cose dei pericoli, ma per raggiungere quell'obiettivo li dobbiamo accettare. Salire col brutto tempo, oppure con la via non in condizioni e' un rischio generalmente inutile: si puo' sempre tornare dopo. Allo stesso modo, se c'e' qualche tipo di equipaggiamento "di sicurezza" leggero ed efficace mi sembra stupido non volerselo portare, a meno che l'obiettivo non sia proprio salire con un particolare stile.

In altri termini, mi pare molto piu' una pirlata non controllare il nodo prima di salire un monotiro facile che farsi una via impegnativa in freesolo, per quanto la prima cosa comporti infinitamente meno rischi. Semplicemente sono rischi inutili.
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Messaggioda Enzolino » gio nov 10, 2011 15:45 pm

Personalmente amo il rischio ...
Quel tipo di rischio che permette di mettersi in gioco ... di conoscere se stessi piu' in profondita' ed in larghezza ...

Quel tipo di rischio per cui e' necessario uscire dalla propria comfort zone per entrare nella zona di apprendimento, in cui si impara, si cresce ed allo stesso tempo si matura ...

Ma il rischio che ci permette di apprendere, crescere e maturare e' quel tipo di rischio in cui esistono delle zone di sovrapposizione tra le nostre esperienze e le difficolta' che dobbiamo incontrare.
Questo significa essere preparati, ed utilizzare le esperienze precedenti come piattaforma e riferimenti per quelle future.

Questa e' stata una strategia di successo per tutti quei grandi alpinisti che son riusciti ad arrivare a tarda eta' ... parlo di Bonatti, Messner, Cassin, ma anche recenti topclimbers come Alex Huber, Ueli Steck e cosi' via ...

Ora mi chiedo, cosa si puo' imparare dalla caduta in un crepaccio vagando da soli per ghiacciai, da un fulmine durante un temporale, da una valanga quando danno pericolo 3-5 o da una tormenta di cui potevo prevederne la violenza?
Per quanto mi riguarda niente o quasi ... sono rischi, per quato mi riguarda, inutili ... sono rischi che posso comprendere all'inizio dell'attivita' alpinistica in quanto si e' inconsapevoli di cosa puo' succedere ... ma, sempre per quanto mi riguarda, non accetto l'idea di affrontare certi rischi in cui le mie abilita' e conoscenze non son messe in gioco ...

Quando ho iniziato l'alpinismo ero abbastanza incosciente, ho fatto parecchi errori, da cui ho imparato molto ... per fortuna ...
Adesso, pur realizzando scalate piu' impegnative rispetto a dieci anni fa, in cordata, in solitaria o in freesolo, i miei margini di rischio sono decisamente piu' larghi ... e questo perche' e' aumentata la mia preparazione ...
Prima morire poteva far parte del gioco, adesso non lo accetto per le mie responsabilita' di padre ... perche' guardare mio figlio negli occhi e pensare che, da piccolo, non potra' dirmi "papa" e sentire i miei abbracci, i miei baci, le mie carezze e le mie parole, mi fa star male ...
Rischio ancora, ma il mio margine e' piu' ampio ... l'imponderabile c'e' sempre, ma cerco comunque di limitarlo il piu' possibile ...
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Messaggioda Pié » gio nov 10, 2011 15:59 pm

Enzolino ha scritto:...


Quello che secondo me è fondamentale è imparare dagli errori degli altri (e soprattutto dai propri), ma valutarli con l'umiltà di chi sa che non è più bravo, che noi stessi siamo esposti ad errori di valutazione e che chissà quante volte abbiamo sbagliato e ci è andata bene per, sostanzialmente, culo.

Anni fa mi ricordo che Rampik aveva scritto su go-mountain una serie di considerazioni, delle quali la frase che più mi era rimasta impressa era questa (cito a memoria): la differenza tra un "che pirla si è attaccato a quella candela instabile" ed un "che bravo ha salito quella candela delicata" può esser molto sottile..
Se vuole aggiunger qualcosa lui...
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Messaggioda marcov » gio nov 10, 2011 16:10 pm

bello, pero' manca la sviolinata di sottofondo...
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Re: L' alpinismo e il rischio

Messaggioda nuvolarossa » gio nov 10, 2011 16:13 pm

Roberto ha scritto:Alcuni di noi hanno una necessità particolare: abituati come siamo ad una vita "certificata" sentiamo il bisogno di viverla davvero questa vita. Un mezzo per sentirsi vivi è avvertire la nostra vulnerabilità. Conquistare ogni volta l' apparente piacere di essere "scampati".
L' alpinismo è appunto una di quelle attività in cui senti il pericolo ma al momento stesso hai i mezzi, fisici e tecnici, per mantenere tutto sotto relativo controllo. A volte hai davvero paura e comprendi che un errore sarebbe fatale.
E' nel nostro DNA. Gli antenati viveno nelle grotte e non sapevano se ci sarebbe stato un domani, se una belva o un accidente avrebbe interrotto la loro vita. Ogni giorno era una sfida, un' avventura. Noi non siamo che cambiati esteriormente, dentro sentiamo ancora quasta paura atavica del domani, solo apparentemente nascosta dalla "vita certificata" che facciamo tutti i giorni. Poi si muore lo stesso in anticipo sulla tabella di marcia, ma è sempre un' imprevisto, una buca dietro la curva. Arriva che non te lo aspettavi.
L' alpinismo no, sei li e sotto di te c' è il vuoto, pronto a prenderti. Oppure la bufera, o la valanga, o il fulmine. Sei vulnerabile.
Per questo alcuni di noi fanno alpinismo. Quello "vero", quello in cui sai che non puoi sbagliare. Non deve essere difficile o estremo, solo darti questa emozione. Non occorre il grado, serve la sensazione.
E poi sbagli, a me è capitato più volte. Ma non per questo resti a casa, continui a sbagliare, perché hai il bisogno di sentirti vivo.
Quante volte sono andato anche se sapevo che poi arrivava il brutto tempo? Ho ragionato sulla mia velocità e mi ha detto bene. Poi, fuori, mentre diluviava, non pensavo al rischio scampato, ma alla via fatta in velocità. Incoscienza? Forse anche, ma anche alpinismo fatto di scommesse, alpinismo fatto di vita da vivere fino all' ultiomo secondo, ma da vivere forte, senza certificati.
L' alpinismo resta una scommessa e se è fatto con le carte truccate è un po meno alpinismo.



:smt038 :smt038 :smt038 :smt038

Grazie Roberto, di cuore!

Solo una cosa.
Io penso di non avere una "tabella di marcia", penso di non avere tempo a disposizione. La morte è sempre al fianco dell'essere umano, e tu non sai quando arriva.

Sono convinto che l'arroganza che porta a pensare il contrario abbia come conseguenza l'essere schiavi della paura, schiavi di quel falso concetto di "sicurezza" che oggi si vuole imporre a tutti e a tutto, in qualunque ambito.

Non c'è nulla di più fastidioso che vedersi ricordare come si potrebbe essere, e non si è.
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Messaggioda Pié » gio nov 10, 2011 16:44 pm

marcov ha scritto:bello, pero' manca la sviolinata di sottofondo...


:-({|= :wink:

nessuna sviolinata, tra l'altro sono anche stonato come una campana. è solo un promemoria secondo me molto vero, da tenere a mente quando si "decide".
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Messaggioda nuvolarossa » gio nov 10, 2011 16:44 pm

La tragedia sul Bianco
due morti da non giudicare

di ENRICO CAMANNI

Ogni alpinista convive con un incubo: essere anticipato dalla perturbazione. Partire con la montagna amica e cadere nel gorgo della bufera.

Te lo sogni la notte quel fronte di nuvole grigie che si affaccia all?orizzonte e ti prende alle spalle, tu che scappi e lui che corre sempre più veloce, finché ti raggiunge e t?inghiotte. Come l?onda che bracca il navigante. Non è la fatalistica attesa delle perturbazioni di una volta, quando la meteorologia era scienza vaga e inattendibile, e si affrontava la montagna con lo spirito di chi, per forza di cose, era disposto a subire i capricci del tempo. No, è la spietata precisione delle nostre perturbazioni, oggi che le previsioni non sbagliano quasi più e puoi conoscere l?ora precisa in cui arriveranno le nebbie e scenderà il primo fiocco di neve, oggi che se sei veloce puoi far fesso anche il cattivo tempo a patto di non sbagliare, di non fermarti, di non voltarti indietro.

La guida francese Olivier Sourzac era forte e determinata, molto esperta, forse un po? troppo sicura di sé. Olivier arrampicava con una cliente che conosceva molto bene: Charlotte De Metz. Insieme avevano fatto le vie più difficili del Monte Bianco. Erano già stati anche sulla parete Nord delle Grandes Jorasses, che è tetra, difficile e meravigliosa, e offre agli alpinisti bravi una specie di accesso facilitato: il Linceul, lenzuolo in italiano. Immaginate un fazzoletto di neve e ghiaccio appiccicato alle verticali della grande Nord, ma senza roccia, senza strapiombi, così liscio e regolare che con le piccozze di oggi si può salire leggeri, anche molto veloci, raggiungendo la vetta delle Jorasses in meno di una giornata. Un giorno era il tempo che aveva messo in conto Olivier, senza dubbi evidentemente: così potevano uscire prima della tempesta e scendere in serata al rifugio Boccalatte, sul versante italiano. Scalare leggeri ed evitare il bivacco sulla montagna: quello era il piano.

Ora sarebbe facile scrivere che Sourzac si sbagliava perché su una grande parete è sempre possibile fare tardi, basta un imprevisto, un piccolo incidente, un cedimento fisico, e se sta arrivando una bassa pressione così organizzata come quella che ha alluvionato la Liguria e mezza Italia bisognerebbe tenersi un buon margine per poter scappare o tornare indietro. Sarebbe facile ma ingeneroso, perché non abbiamo diritto di giudicare chi ha perso la propria vita senza risparmiarsi. Nonostante sia stata una specie di «morte in diretta» non sapremo mai che cosa sia successo sul candido Lenzuolo, che quando sono partiti dal ghiacciaio doveva sembrare un velo da sposa che scintillava sotto il sole d?autunno e dopo poche ore si è trasformato in un sudario senza speranza. Non sapremo mai perché abbiano fatto tardi e perché si siano lasciati braccare dalla perturbazione, sappiamo solo che sono arrivati in cima in un?alba che non è mai diventata giorno.

I soccorritori che ieri hanno raccolto le salme dei francesi sotto uno spuntone di roccia splendidamente ricamato dal gelo sulla via normale delle Grandes Jorasses, raccontano di quanto la morte appaia come l?esito più paradossale, prima ancora che crudele, per chi salga in una mattina di sole su una montagna splendente di luce e neve fresca. Bellezza e tragedia si toccano e misteriosamente convivono: non si può dire nient?altro. Chi ha provato la confusione della nebbia, del vento e dell?angoscia in alta montagna può vagamente immaginare la ragione di certe scelte estreme, di certi abbandoni, ma solo i protagonisti potrebbero raccontare. Per bravo ed esperto che sia, quando un alpinista viene inghiottito dalla bufera entra in una realtà separata, fatta di bisogni e reazioni elementari o di sentimenti inesprimibili. Il freddo e la debilitazione dell?organismo allontanano gradualmente le persone dalla vita e si entra piano in un mondo a parte. I pensieri si dissociano dal corpo, il tempo perde il suo valore e anche la paura svanisce in un limbo senza dolore, bianco come la neve che sta attorno.

Così raccontano quelli che sono sopravvissuti.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9416
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Messaggioda Enzolino » gio nov 10, 2011 16:47 pm

Pié ha scritto:
Enzolino ha scritto:...


Quello che secondo me è fondamentale è imparare dagli errori degli altri (e soprattutto dai propri), ma valutarli con l'umiltà di chi sa che non è più bravo, che noi stessi siamo esposti ad errori di valutazione e che chissà quante volte abbiamo sbagliato e ci è andata bene per, sostanzialmente, culo.

Anni fa mi ricordo che Rampik aveva scritto su go-mountain una serie di considerazioni, delle quali la frase che più mi era rimasta impressa era questa (cito a memoria): la differenza tra un "che pirla si è attaccato a quella candela instabile" ed un "che bravo ha salito quella candela delicata" può esser molto sottile..
Se vuole aggiunger qualcosa lui...
Rampik secondo me ha ragione ...
Esistono situazioni in cui scalare diventa una roulette russa ...
Mi viene in mente un tragico video (First Ascent) di tre alpinisti che decisero di rinunciare all'ascensione perche' la probabilita' di successo o tragedia era del 50 % ... e filmarono questa scelta ... quando andarono a recuperare il materiale, fatalmente, la valanga li uccise, lasciando intatta la telecamera. Purtroppo avevano valutato bene i rischi, ma gli e' andata male ...

Al di la' del discorso ghiaccio e neve, personalmente mi e' andata di culo parecchie volte ... per questo non mi va di giudicare le scelte altrui ... ed anche perche' detesto le critiche di coloro che negano il rischio come valore. Coloro per cui tutto deve essere certificato e assicurato. Io, al contrario, credo che il rischio sia un valore.

Vedo il rischio come una barriera dietro la quale c'e' un tesoro ... lo stesso tesoro che ci fa tornare in montagna o sulle pareti ... ma il tesoro lo si puo' godere meglio se si torna al di qua della barriera ...

Allo stesso tempo il rischio, per me, e' un valore solo quando permette di metterci in gioco e di crescere, e non quando dipende dal caso o da variabili che non possiamo controllare (fulmini, crepacci, valanghe, etc).
Numerose volte mi son ritirato, ma altrettante volte son tornato piu' preparato per realizzare la mia idea o il mio sogno ... le montagne son sempre la' ... nessuno le ruba ...
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Messaggioda VinciFR » gio nov 10, 2011 16:53 pm

per quanto mi riguarda è un discorso un pò complesso!

purtroppo sin dalla nascita ho sempre avuto problemi di cuore e malgrado viva circondato dalle stupende Dolomiti Fassane, poco lontano dalle Odle e dall'Alta Badia ecc.. il richiamo della montagna, volente o nolente era sempre rimasto assopito da questo problema fisico. Si va bè, facevo sempre qualche piccola gita ma tutto senza pretese e mai sopra i 1800m. Nel 2007 ho fatto l'ultima (e spero definitiva) operazione che posso dire che mi abbia cambiato la vita!

Finalmente ho potuto avvicinarmi come volevo io alla montagna e viverla sempre più pienamente in tutti i suoi aspetti! In soli 3/4 anni ho già fatto molte più cose che magari una persona "sana" manco ci pensa di farle!
Ho già salito vari oltre 3000m, amo fare delle belle e impegnative ciaspolate in inverno come amo altrettanto fare dei stupendi trekking in estate, affiancati dalle ferrate e da qualche arrampicata!

Ovvio, in montagna il rischio c'è e bisogna stare attenti, ma nel mio caso ho già rischiato seriamente la pelle (e ovviam non lo dico per vantarmi) svariate volte senza far nulla, quindi preferisco godermi appieno la vita e rimandare il destino a quello che sarà! :wink:
Ultima modifica di VinciFR il gio nov 10, 2011 16:57 pm, modificato 1 volta in totale.
"Non ho abbastanza talento per correre e sorridere allo stesso tempo" cit. E.Zatopek
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Messaggioda Enzolino » gio nov 10, 2011 16:56 pm

Giudicare o non giudicare?

Per me, stabilire dei principi assoluti su questo punto, mi sembra una cazzata ...

Ritengo che analizzare gli incidenti quando le emozioni per una perdita sono ancora forti, sia inadeguato.
Ma credo che alla lunga, analizzare gli incidenti, sia necessario. Almeno per coloro che vogliono evitare di fare gli stessi "errori" degli altri.
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Messaggioda marcov » gio nov 10, 2011 17:01 pm

No, parlavo della sbrodolata del gatto-comunista

Pié ha scritto:
marcov ha scritto:bello, pero' manca la sviolinata di sottofondo...


:-({|= :wink:

nessuna sviolinata, tra l'altro sono anche stonato come una campana. è solo un promemoria secondo me molto vero, da tenere a mente quando si "decide".
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Messaggioda nuvolarossa » gio nov 10, 2011 17:10 pm

Enzolino ha scritto:Giudicare o non giudicare?

Per me, stabilire dei principi assoluti su questo punto, mi sembra una cazzata ...

Ritengo che analizzare gli incidenti quando le emozioni per una perdita sono ancora forti, sia inadeguato.
Ma credo che alla lunga, analizzare gli incidenti, sia necessario. Almeno per coloro che vogliono evitare di fare gli stessi "errori" degli altri.


Sì enzolino, d'accordo.
Ma l'analisi va fatta quando hai elementi per farla.
In questo caso non si ha nulla in mano, nè lo si avrà.
E allora, oltre a dire "sapevano che arrivava il brutto, dovevano stare a casa", che puoi dire. Ammesso e non concesso che si possa dire anche quanto sopra, perchè nessuno sa qual è stato il loro processo decisionale, quali i dati che avevano sicuri, conoscenza della via e sua condizione, loro stato di forma, conoscenza della rispettiva attitudine e propensione ad assumersi un rischio calcolato, etc.

E allora veramente tutto si riduce al solito stucchevole bla bla bla di chi non perde occasione di fare il ct.

Non a caso nel thread su UKC non ci sono commenti di questo tipo, ma c'è spazio solo per il dolore, la tristezza e il rispetto.
Parole vuote per alcuni evidentemente, che nel falò delle vanità di internet devono mettere a tutti i costi il loro bastoncino, sempre e comunque.
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Messaggioda Pié » gio nov 10, 2011 17:26 pm

Enzolino ha scritto: Rampik ecc...



non fa una piega per me!

Tra l'altro l'altra sera davanti ad una birra, un mio amico che ha appena tenuto un corso di arrampicata libera, mi diceva che si era soffermato parecchio nel spiegare agli allievi il significato del titolo. Arrampicata libera, libera dalle costrizioni/imposizioni di chi vorrebbe tutto preconfezionato e predefinito, libera di arrampicare in falesie dove la distanza degli spit non sia definita a priori, che da la libertà di decidere quanto mettersi in gioco ecc..
credo che trasmettere questi valori anche in un semplice corso dove si insegna a dei ragazzi ad andare in falesia sia una cosa molto bella, proprio perché ci stiamo muovendo verso una realtà dove si vuole tutto incanalato e delimitato nelle briglie della "sicurezza".
Ed il bello dell'alpinismo è che è esattamente il contrario di questo.

marcov ha scritto: ...


:oops: non volevo rubare la scena al gatto.. mea culpa mea culpa :lol: :lol:
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Messaggioda Sbob » gio nov 10, 2011 17:28 pm

nuvolarossa ha scritto:Parole vuote per alcuni evidentemente, che nel falò delle vanità di internet devono mettere a tutti i costi il loro bastoncino, sempre e comunque.

Compresi quelli che lo fanno stracciandosi le vesti se uno commenta...
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Messaggioda PIEDENERO » gio nov 10, 2011 17:28 pm

Pié ha scritto:
Enzolino ha scritto:...


"che pirla si è attaccato a quella candela instabile" ed un "che bravo ha salito quella candela delicata" può esser molto sottile..
i...

questa è da memorizzare!
però soffre di relativismo, dicendo ai colleghi obesi pantofolari che sarei andato a fare monotiri mi hanno detto ma sei pazzo ma non leggi i giornali! ok qui è ignoranza pura ma comunque calza bene per descrivere la relativa percezione del rischio che abbiamo.
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