la depressione del malato immaginario = 149 morti

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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda giudirel » sab apr 04, 2015 14:31 pm

undertaker777 ha scritto:perchè per voi non è un lurido verme bastardo fdp come per me, semplice


Preferivo prima.
I depressi non sono malati immaginari.
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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda undertaker777 » sab apr 04, 2015 15:10 pm

per me quello più che depresso era un lurido bastardo dentro, ed ha fatto quello che fa' un infame assassino, non un depresso
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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda FarEast » sab apr 04, 2015 15:24 pm

undertaker777 ha scritto:per me quello più che depresso era un lurido bastardo dentro, ed ha fatto quello che fa' un infame assassino, non un depresso



...porta pazienza ma non si capisce dove tu voglia arrivare.

Il tipo era (probabilmente) ANCHE depresso.

Fermo restando che per parlare di questi argomenti ci vorrebbe un professionista, dubito seriamente un depresso faccia ammazzare tutte quelle persone. Aveva problemi ben più seri di una depressione.

Se tutti i depressi agissero così ci sarebbero migliaia di morti ogni giorno. Cosa che non accade.
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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » dom apr 05, 2015 8:29 am

giudirel ha scritto:
tacchinosfavillantdgloria ha scritto:Oggi su Repubblica c'è un articolo, secondo me bello, sull'argomento (a firma Gabriele Romagnoli).

Cito alcuni stralci:

"400 medici si tolgono la vita ogni anno negli Stati uniti, 35 impiegati di France telecom non hanno retto alla modifica dei ritmi di lavoro...banchieri di wall street hanno reagito alla crisi buttandosi dal tetto dei grattacieli di cui il giorno prima si sentivano padroni, migliaia di uomini e donne a un ritmo crescente si ammazzano: +60% negli ultimi 45 anni è la stima dell'OMS (...) esiste una correlazione fra capitalismo e malattie mentali, tra neoliberismo e suicidio: si diffondono di pari passo. Necessità di competere, ansia da prestazione, solitudine digitale, smaterializzazione dei beni e degli affetti, sono le principali ma non uniche componenti che hanno fatto salire nel pianeta la febbre dell'infelicità".

Aggiungo che se uno va a vedere le statistiche di uso di antidepressivi negli Stati uniti - il paese più ricco e "avanzato" del pianeta - si fa un'idea della direzione verso cui stiamo andando.

Giornalistici saluti
TSdG


E' vero che il trend di suicidi è in aumento negli USA contrariamente che in Italia, dove crisi o non crisi (e direi crisi eccome) è invece in contrazione.
Ma se uno va a vedere i dati si nota che il tasso di suicidio è doppio nelle campagne di quanto non sia nelle città, quindi si tratta di contadinacci e non di banchieri di Wall Street o personaggi stressati dal capitalismo rampante. Di primo acchito si direbbero più annoiati a morte, come ogni conoscitore anche solo superficiale del middle east può immaginare. E la cosa è aggravata dalla sostanziale mancanza di un servizio sanitario gratuito e ben funzionante in grado di riacciuffarti nel caso che sia possibile.
Il fattore che pare assolutamente determinante nell'alto numero di suicidi americani è la facile disponibilità di armi da fuoco.
Infatti secondo una statistica chi prova a suicidarsi utilizzando droghe ci riesce nel 2% dei casi, mentre chi lo fa con un'arma da fuoco ha successo nell'86% dei casi.
Ed in effetti negli USA rurali più di metà delle persone ha un'arma in casa, mentre nelle demoniache città flagellate dal capitalismo tanto cattivo solo il 25% nei centri urbani ed un po' di più nelle periferie.

Quindi l'articolo di Romagnoli secondo me non è bello ma è la solita accozzaglia poco approfondita e a tesi precostituita.
Repubblica fa quasi rimpiangere il Misfatto Quotidiano da quanto è piena di roba scritta coi piedi.
Anzi.
Forse no in effetti.
:P :P :P :P :P :P :P :P :P :P :P :P :P :P


Nella tua approfondita analisi socioepidemiologica, si direbbe che tu parta dal presupposto che gli agricoltori americani siano al sicuro dagli effetti negativi del "capitalismo rampante". Io, nella mia ingenuità, pensavo il contrario: che le multinazionali dell'agroalimentare, le speculazioni sui prodotti agricoli eccetera avessero un impatto, eccome, sulla vita di queste persone.

Comunque posto quest'articoletto dal sito di "le scienze", spero che non sia troppo al di sotto dei tuoi esigenti standard : :wink:

Le nazioni e gli Stati degli Stati Uniti più "felici" hanno il tasso di suicidi più elevato. Questo paradosso è stato rilevato da una ricerca condotta da studiosi dell'Università di Warwick, in Gran Bretagna, dello Hamilton College di New York e dalla Federal Reserve Bank of San Francisco, che lo illustrano in un articolo (Dark Contrasts: The Paradox of High Rates of Suicide in Happy Places) in via di pubblicazione sulla rivista Journal of Economic Behavior & Organization.

L'enigmatica osservazione che le regioni apparentemente "più felici" abbiano un tasso di suicidi elevato era stata fatta inizialmente in singole realtà nazionali, e segnatamente in Danimarca. La nuova ricerca ha potuto rilevare che uno schema analogo si riscontra anche in altre nazioni, fra cui Canada, Stati Uniti, Islanda, Irlanda e Svizzera.

Il particolare interesse della parte della ricerca condotta negli Stati Uniti, osservano gli studiosi, è che nei diversi Stati degli USA il retroterra culturale, le istituzioni nazionali, il linguaggio e la religione sono relativamente costanti in ciascuno Stato, consentendo di studiare regioni con una popolazione più omogenea rispetto a quanto non si possa fare esaminando un gruppo di nazioni a livello globale.

Dallo studio è nuovamente risultato che gli Stati in cui la popolazione è in genere più soddisfatta della propria vita hanno tassi di suicidio più elevati di quelli in cui il livello di soddisfazione è più basso. Così, i dati grezzi indicano che lo Utah, che ha il massimo livello di soddisfazione, è il nono Stato per tasso di suicidi, mentre New York che si colloca al 45° posto per soddisfazione della vita ha il tasso di suicidi più basso del paese.

Ponderando i dati per età, sesso, razza, educazione, reddito, condizione lavorativa e stato sociale, la correlazione è risultata comunque altrettanto se non addirittura più forte: Le Hawaii, al secondo posto per soddisfazione della vita, hanno il quinto più elevato tasso di suicidi, mentre il New Jersey, al 47° posto per soddisfazione della vita, è anche al 47° posto per tasso di suicidi.

"Le persone insoddisfatte in un luogo felice probabilmente si sentono ancor più bistrattate dalla vita", osserva Andrew Oswald, dell'Università di Warwick. "Questo contrasto può così aumentare il rischio di suicidio. Se le persone sono soggette a oscillazioni di umore, i momenti di abbattimento della vita possono apparire più tollerabili in un ambiente in cui anche altri esseri umani sono infelici." (gg)

Questo studio, dal mio punto di vista, potrebbe corroborare l'ipotesi che un'ideologia (quella neoliberista) che ha coniato uno slogan come il thatcheriano "la società non esiste", incoraggiando la competitività esasperata, mentre corrode i legami di solidarietà, abbia qualcosa a che fare con la crescente infelicità cui si riferisce Romagnoli.

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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda VECCHIO » dom apr 05, 2015 9:07 am

"Bisogna avere molto coraggio per suicidarsi, ma è un atto molto vigliacco, non si ha il coraggio di vivere."

Il dato inconfutabile è la certezza che tutto muore, nascere è molto più improbabile.
Quindi suicidarsi è un atto banale ?

Ogni cultura e religione dà risposte differenti alla vita e alla morte e le risposte si evolvono anche nei secoli.
Il fatto che in una vita di 70 anni si vedano e succedano alcune cose vuol solo significare che sono caratteristiche di quella vita.
Poi se uno più o meno esperto vuol farne delle regole eterne o trarne delle verità allora dipende solo dalla dimensione della sua ignoranza.
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Scalare con gli esperti del cai... son sempre dei grossi guai...... questa mi piace
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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » dom apr 05, 2015 10:01 am

Un conto è se affrontiamo la questione in un'ottica sociologica, epidemiologica, o clinica; altro è se ci poniamo da un punto di vista psicologico.

Vedi per esempio Camus, nel "mito di Sisifo " (da un articolo di Giuseppe Savarino):

L’incipit è stilisticamente fulminante: il solo vero problema filosofico è il suicidio, cioè “giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta” (pag.7). Tutto il resto viene dopo.
E’ un gioco mortale, avverte, perché “cominciare a pensare è cominciare ad essere minati” (pag.8); un gioco che “conduce dalla lucidità di fronte all’esistenza all’evasione fuori della luce”.
Tra negare un senso alla vita e dichiarare che non valga la pena di vivere tuttavia non c’è una vera e propria alternativa. Capita spesso infatti che chi si suicida abbia una opinione sicura sul senso della vita.
In questo divorzio tra l’uomo e la vita c’è ciò che Camus chiama il senso dell’assurdo, “il confronto dell’uomo con la propria oscurità”.
Il suicidio è un’ammissione: “uccidersi è confessare: confessare che si è superati dalla vita o che non la si è compresa” (pag. 9).

Oppure Seneca:

"Placet? Vive. Non placet? Licet eo reverso, unde venisti"

(Dove si vede il diverso atteggiamento degli "antichi" rispetto alla condanna del suicidio, dominante nella civiltà cristiana).

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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda giudirel » dom apr 05, 2015 12:07 pm

tacchinosfavillantdgloria ha scritto:"Le persone insoddisfatte in un luogo felice probabilmente si sentono ancor più bistrattate dalla vita", osserva Andrew Oswald, dell'Università di Warwick. "Questo contrasto può così aumentare il rischio di suicidio. Se le persone sono soggette a oscillazioni di umore, i momenti di abbattimento della vita possono apparire più tollerabili in un ambiente in cui anche altri esseri umani sono infelici." (gg)


Non capisco.
Il luogo felice sarebbe il ventre del leviatano capitalista? Mi sembra curioso che tu sostenga una cosa simile... 8O 8O 8O 8O 8O
Io non credo affatto che la provincia amerikana sia un luogo felice: monotonia del paesaggio, clima di merda, arretratezza culturale, estremo isolamento ed esasperante provincialismo sono un mix ambientale devastante.

tacchinosfavillantdgloria ha scritto:Questo studio, dal mio punto di vista, potrebbe corroborare l'ipotesi che un'ideologia (quella neoliberista) che ha coniato uno slogan come il thatcheriano "la società non esiste", incoraggiando la competitività esasperata, mentre corrode i legami di solidarietà, abbia qualcosa a che fare con la crescente infelicità cui si riferisce Romagnoli.
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Se ho ben capito quello che vuoi dire (apparentemente, mi consenta, è contradditorio) sostieni che in un ambiente fortemente competitivo chi perde la competizione si trova in una condizione psicologica particolarmente svantaggiata e che la competizione medesima è quindi causa di suicidio.
Sinceramente non mi pare che questa affermazione abbia reali riscontri: come dicevamo a Cuba ci si suicida come negli Stati Uniti, e tutto sommato faccio fatica ad immaginare che l'ambiente delle metropoli sia meno competitivo di quello delle campagne.

Più ragionevoli quindi, mi paiono come motivi per il suicidio quelli che elencavo come caratteristici della provincia amerikana uniti alla buona possibilità di mettere in atto il proprio proposito offerta dalla facile reperibilità delle armi da fuoco.

Che il neoliberismo abbia deteriorato la struttura solidaristica della società probabilmente è vero, quello che non è vero è che questo abbia avuto un'influenza sui suicidi che paiono essere legati ad altri fattori. Per essere banali in guerra (e durante le rivoluzioni aggiungerei) non si suicida nessuno. Quindi l'articolo che tu hai citato all'inizio continua a sembrarmi una bambanata.

Cartesiani sfankuli! :D :D :D :D
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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » dom apr 05, 2015 15:37 pm

Allora.

Premetto, per quel che può interessare 8) , che a me Renato Cartesio sta discretamente sui maroni.

Poi,

Le classifiche per frequenza di suicidi su base nazionale (facilmente consultabili su vari siti) sono talmente "controintuitive" e di difficile interpretazione, da poter essere "tirate per la giacchetta" a sostegno di tesi anche opposte.

Più interessante secondo me è l'incremento - questo sì abbastanza indiscutibile - della frequenza di diagnosi di depressione negli ultimi decenni. Anche questo dato potrebbe avere diverse spiegazioni (una maggior sensibilità diagnostica dei clinici, un minore stigma sociale eccetera): ma mi sembra difficilmente controvertibile l'influenza del contesto socioeconomico, e in particolare delle dinamiche "neoliberiste" di cui sopra (la letteratura sull'argomento è piuttosto vasta, per chi fosse interessato).

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PS buona pasqua a tutti comunque, cartesiani e non.

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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » dom apr 05, 2015 15:39 pm

tacchinosfavillantdgloria ha scritto:Un conto è se affrontiamo la questione in un'ottica sociologica, epidemiologica, o clinica; altro è se ci poniamo da un punto di vista psicologico.

Vedi per esempio Camus, nel "mito di Sisifo " (da un articolo di Giuseppe Savarino):

L’incipit è stilisticamente fulminante: il solo vero problema filosofico è il suicidio, cioè “giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta” (pag.7). Tutto il resto viene dopo.
E’ un gioco mortale, avverte, perché “cominciare a pensare è cominciare ad essere minati” (pag.8); un gioco che “conduce dalla lucidità di fronte all’esistenza all’evasione fuori della luce”.
Tra negare un senso alla vita e dichiarare che non valga la pena di vivere tuttavia non c’è una vera e propria alternativa. Capita spesso infatti che chi si suicida abbia una opinione sicura sul senso della vita.
In questo divorzio tra l’uomo e la vita c’è ciò che Camus chiama il senso dell’assurdo, “il confronto dell’uomo con la propria oscurità”.
Il suicidio è un’ammissione: “uccidersi è confessare: confessare che si è superati dalla vita o che non la si è compresa” (pag. 9).

Oppure Seneca:

"Placet? Vive. Non placet? Licet eo reverso, unde venisti"

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Errata corrige: Seneca dice "reverti" NON reverso :oops:

Il correttore automatico ha un bias climber oriented? :P 8) :lol:

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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda giudirel » dom apr 05, 2015 16:47 pm

tacchinosfavillantdgloria ha scritto:Le classifiche per frequenza di suicidi su base nazionale (facilmente consultabili su vari siti) sono talmente "controintuitive" e di difficile interpretazione, da poter essere "tirate per la giacchetta" a sostegno di tesi anche opposte.


Ecco.
Allora lasciamole stare.
Esattamente come dicevo.

tacchinosfavillantdgloria ha scritto:Più interessante secondo me è l'incremento - questo sì abbastanza indiscutibile - della frequenza di diagnosi di depressione negli ultimi decenni. Anche questo dato potrebbe avere diverse spiegazioni (una maggior sensibilità diagnostica dei clinici, un minore stigma sociale eccetera): ma mi sembra difficilmente controvertibile l'influenza del contesto socioeconomico, e in particolare delle dinamiche "neoliberiste" di cui sopra (la letteratura sull'argomento è piuttosto vasta, per chi fosse interessato).


Anche qui sulla base delle stime, che però sono assai meno accurate ed attendibili (io penso zero), parrebbe esattamente il contrario.
http://www.giornalettismo.com/archives/1208041/la-mappa-del-mondo-con-i-tassi-di-depressione/

Immagine

Ma se uno lo ha deciso a priori perchè gli sembra giusto che sia così si può trovare una correlazione fra qualsiasi cosa.
Basta non rappresentarla come una funzione cartesiana ma affidarsi ad un più compiacente è troppo ggggiusto per non essere vero che ha l'indiscusso vantaggio di darci sempre ragione.
Non è un caso che questa sia la patria di Benedetto Croce. :( :( :( :( :( :( :( :(

Dai Tacchino.
Lasciam perdere pure questa che è meglio.
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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » dom apr 05, 2015 21:28 pm

Dunque.

È un po' di tempo che ciaccoliamo sul forum, e ho capito da un pezzo che è totalmente inutile mettere la discussione su un piano razionale, nel grande teatro del mondo ognuno recita le sue particine e tu qui hai deciso di fare il bastian contrario a prescindere. Va benissimo, s'intende, se ti diverti così (oltretutto si vivacizza un po' il forum, così non dicono più che "è morto..." :P ).

A beneficio della collettività, comunque, posto uno stralcio di articolo da "medicographia", così diamo qualche informazione un po' fondata.

Age cohort effects: are depression rates increasing?
Given the topic “the timing of depression,” it is almost inevitable that finally one should address the controversial question of whether depression rates are increasing. Examination of the epidemiological evidence leaves little doubt: almost invariably across studies, using a range of different methods, higher overall rates of depression have been documented over time as well as successively younger birth cohorts. Particularly increasing rates in the young have been found, which are associated with a shift forward to younger ages in each successively younger age group. Furthermore, despite proportionally lower rates for the elderly, there is also evidence from recent studies that rates of depression in the elderly are higher compared with those of the 1980s. Thus, why question this trend? At the core of this continued controversy is the question of whether this constitutes a “true” increase, that is, have people in communities around the world “really” become more frequently depressed than 2-3 decades ago? This is almost a philosophical question, because we deal with a theoretical construct measured with imperfect assessment instruments, in studies that are necessarily imperfect as well. Because our understanding of depression, the defining criteria, and our assessment instruments have changed, as has probably the awareness and perception of depression in society, it seems impossible to give a definite answer. Admittedly the meaning of the increasing rates and the cohort effects remain not well understood, and there are other valid concerns that range from methodological concerns regarding the reliability and validity of diagnostic criteria and assessment tools used in the studies, to design and statistical issues inherent in time trend analyses, to speculations about the artifactual nature of such findings, for example with regard to the role of recall failure, response biases, and willingness to report depressive symptoms. However, most of these issues have directly or indirectly been addressed,5,25,113 revealing that none of these factors alone or in combination is able to explain the increase and the cohort effects.

Furthermore, the demonstration of increasing rates is consistent with a broad range of external indicators, such as increased rates of depression in mental health care and primary care institutions, substantially higher rates of children and adolescents receiving treatment, increased rates of suicide attempts, and substantially increasing disability burden due to depression.14 Assuming that such cohort effects and increases exist, there are tremendous implications for the future. For example, the higher rates and the shift to an earlier age of onset in younger birth cohorts can be expected to be associated with an increasing risk for recurrent episodes and increasingly longer and chronic episodes over the lifespan. In addition, given the continued increase in life expectancy in most countries, one can anticipate a continued high—and even increasing—global societal burden, and a substantial challenge for the mental health field. _



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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda giudirel » lun apr 06, 2015 6:46 am

Takkains, continuo a non capire.
L'articolo è essenzialmente molto cauto nel sostenere che la depressione tende ad essere più diffusa nella popolazione umana in generale, anche al netto delle differenze dei criteri di diagnosi ed altri effetti che potrebbero averla parzialmente mascherata in passato.
Molto interessante.
Makkekkazzocentra?

Da qui ad affermare che la depressione è una conseguenza dell'ambiente iper competitivo delle attuali declinazioni del capitalismo iper liberista ci manca un bel pezzo.
Anche se esistesse (e mi pare che non esista) una correlazione significativa tra competitività indotta dal sistema e i tassi di depressione non sarebbe poi così automatico il discorso.
Molto rozzamente si potrebbe argomentare che la depressione è un male del benessere (che invece è probabile), e che tutto sommato il capitalismo induce il medesimo.
Io non ho intenzione di perdere tempo a farlo, perchè poco mi interessa, ma dopo tanto divagare continua a sembrarmi che la tesi sostenuta dall'articolista di Repubblica sia una sciatteria giornalistica di quelle che la gente vuol leggere ma non abbia niente a vedere con la realtà.
Devesserechesondikoccio.
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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » lun apr 06, 2015 13:25 pm

Manfatti ho citato quest'ultimo articolo, solo per corroborare l'ipotesi di un aumento dei casi diagnosticati di depressione.

Rispetto al nesso causale col capitalismo neoliberista, ovviamente è molto difficile da "dimostrare" in modo "scientifico" (peraltro sullo status epistemologico della psichiatria si potrebbe discutere a lungo). Qui entrano in gioco considerazioni di altro tipo (sociologiche, politiche, se vogliamo ideologiche): non scientifiche in senso stretto, ma non per questo necessariamente false o inutili per interpretare il fenomeno.

Cito comunque questo articoletto, dando per scontato i caveat di cui sopra:

Selfish capitalism is making us ill

Mat Little interviews psychologist and writer Oliver James about his book, The Selfish Capitalist
June 2008

Oliver James is bemused by flat-screen TVs, or at least the unerring willingness of his fellow citizens to part with around £1,000 in order to adorn their living rooms with one. 'It's like the emperor's new clothes, why doesn't everyone just say, what's the point of this thing, it's no better than my old TV, the old TV has just as good a picture?' he asks incredulously.

Like a patient's giveaway nervous habit, James, the clinical psychologist who first put Britain on the Couch 12 years ago, seizes upon British consumers' clamour for plasma TVs as the as the sign of a deeper social neurosis. 'The only way they can sell them is because they're more expensive and people have it in their heads that this is something they've got to have.'

But what really interests him is that consumers in Denmark don't exhibit the same compulsion. 'If you want to sell a flat-screen TV for a grand, well nobody will buy one in Denmark,' he claims. They just wait until the price drops. But Danes, according to James, are far less afflicted by the disease he terms 'selfish capitalism'.

Selfish capitalism sounds like a populist way of describing neo-liberalism. It's characterised, says James, by privatisation, insecure working conditions, the redistribution of taxes from poor to rich and the conviction that the market can meet almost every conceivable human need. So far, so depressingly familiar. But what James adds is the assertion that wherever this system spreads, mental anguish follows.

Stagnating real wages, the growth of short-term, service industry jobs, a workaholic culture, combine with intensified status competition for consumer goods (frequently new and more expensive versions of existing items) and the exaltation of the consumption habits of the rich, to create a toxic cocktail of limited economic means and unrealisable desire. Depression, anxiety, substance abuse and low impulse control ensue.

And you can actually measure it. English-speaking countries, the epicentre of selfish capitalism, exhibit levels of emotional distress twice as high as more sheltered continental Europe. For example, 26 per cent of Americans suffer 'mental distress' each year, according to a World Health Organisation study, compared to eight per cent of Italians. While Australia provides a controlled experiment on its effects. The country deregulated consumer credit and home loans in the mid-90s, sending mortgage costs spiralling. Australians now have three times as many credit cards as Europeans and work the longest hours in the developed world.

Coincidentally, Australia was also the site of two studies measuring levels of emotional distress, in 1997 and 2001. The second study showed that the proportion of people who were severely distressed, to the point of urgently needing treatment, had increased by two-thirds in just four years. Among women it had nearly doubled.

Misery equals economic growth
What James regards as his 'most interesting claim' is that selfish capitalism does not merely leave depression and anxiety in its wake, it also actively works to destroy anything that might improve the well-being of the population 'It is absolutely critical for everybody to go around feeling miserable, filling the emptiness with commodities, dealing with misery by trying to give yourself short-term boosts with hamburgers or drink,' he says.

The system is 'akin to the biological notion of natural selection'. For it to work, we have to be unhappy. Materialism produces anxiety, and anxious people consume more. It loves divorce and separation, he claims. Besides legal fees, each partner has to buy or rent a new home and get a new set of electrical essentials (TV, DVD player) and furniture. Misery equals economic growth.

James' book, The Selfish Capitalist, relentlessly piles on the evidence that the economic model of the last thirty years has created an epidemic of depression. But the ultimate effect, in common with many contemporary critiques of capitalism, is to give the impression of a picture so bleak and a system so powerful as to leave an abiding sense of hopelessness. We have internalised the values of the system, says James, becoming 'marketing characters', to borrow a phrase of the Marxist psychologist Erich Fromm, whose description of 1950s America, The Sane Society, prophesised many of the trends James says have been exported here. 'Service industries have taken over from manufacturing and personality is crucial,' he says. 'It's like a Big Brother show where you are on TV trying to win hundreds of thousands of pounds by performing and pretending to be a certain kind of person. It's a metaphor for the way of life in the English-speaking world, a permanent Big Brother show.'

We may be miserable and in debt, but we are in denial about the source of our distress. Despite James' insistence that the citizens of English-speaking countries have been roundly conned by the economic revolution of Reagan, Thatcher, Clinton and Blair, rebellion doesn't seem to be in the air. A Prozac revolution is hard to imagine.

'It's implicit in my theory that people are going to find it difficult to take this on board,' he concedes. 'But there is a whole other side of people that is totally disgusted by the situation and sick to the back teeth. I'm saying the system contains within it the potential for people to go on strike, though not go on strike literally because that's been made illegal. How will the system change? It will change because people will ultimately reject it and I'm optimistic that somebody will come along and start offering us something much better.'

That something better, in James' eyes, will involve reining back the market through the very methods - public ownership and redistribution of wealth - that were discarded in the '80s and '90s. But it also entails scaling back the intrusion of work into our personal lives and placing a new value on care of children. 'Most of all, I'd put stress on a situation that when two parents have a child - whether they get married is not important - they stay together and the care they proved is child-centred rather than parent-centred or society-centred,' he says. 'That is the foundation of mental health'. He advocates the adoption of the Austrian policy which pays new parents the national average wage so they don't have to go back to work until their child's third birthday.

A Thatcher of the left?
Implicit in James' argument is a rejection of the libertarian individualism that he says the Left peddled, to the ultimate benefit of its free market nemesis, in the '60s and '70s. 'In the English-speaking world, the Left created a gaping hole into which it was possible for Thatcher and Reagan to go,' he says. 'We hadn't thought through the implications of making a shift from a collectivist to an individualist society. Sure, there were a lot of benefits from going from a situation where you are defined by your gender, class and background. In an individualist society, identity is achieved through education and career. We set everyone free in the '60s and '70s and you ended up with an anarchistic, chaotic scenario with technology whizzing along in the background.'

James predicts a Thatcher of the Left, probably a woman, will appear to define our predicament and offer a radical change of direction. That requires, he says, strong leadership. He has contempt for politicians who claim they are responding to voters' wishes. Like an unyielding therapist, he thinks we need to be told what's good for us. 'Politicians should say, 'this is what we think is the right thing to do, this is what we think men, women and children should be like, this is what think education should be for. And we're going to impose this on you. We are going to create laws and you must obey them.'

James doesn't see this as authoritarian. 'It's not authoritarian, it's democracy. People will accuse you of paternalism and patriachalism but I think that what will happen is that you'll get a politician that says the last 30 years have been a disaster and we need to start taxing the rich properly and totally rethink the purpose of education. We need to nationalise the public utilities and take the money back that's been stolen from us and we need to renationalise the railways and create a decent transport network that really works. If somebody came forward and said all that, they'd be voted in with a massive majority.'

Curiously for someone who quotes Marx on false consciousness and revolutionary potential and seems intent on reviving the ghost of socialism, James is being courted by the Conservative party. They consult him on policy. 'Cameron did have a window of opportunity,' he says. 'I was talking to his people and there were people around him would would've genuinely agree with everything I've said.' Cameron, he says, has read The Selfish Capitalist.

He describes Cameron's director of strategy, Steve Hilton as a 'very nice person' unlike New Labour who 'don't get it all'.

So where does James stand himself politically? He confesses to a brief spell in the Labour party in the early 1980s but adds, 'I'm not a political economist, I'm not a political philosopher, I'm not a political administrator, I'm not all at an expert on politics. My instinct is with George Orwell in that he wasn't a member of any political party. I'm deeply, deeply sceptical. I don't think I'd be doing anyone any favours if I was banging a drum and urging people to vote for someone or other. I'm more interested in influence than in power.'

The Selfish Capitalist: Origins of Affluenza is published by Vermilion

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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda PIEDENERO » lun apr 06, 2015 22:48 pm

Ovviamente OT ma interessante

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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda VECCHIO » mar apr 07, 2015 9:01 am

PIEDENERO ha scritto:Ovviamente OT ma interessante

Esclusivo Studio – Boom dei SUICIDI PER CRISI ECONOMICA (di Nicola Ferrigni)


http://scenarieconomici.it/esclusivo-st ... -ferrigni/


MAGARI BASTA MONTARSI MENO LA TESTA e spendere di meno per cercare di "essere" qualcuno........... l'avere non è l'essere
però bisogna apparire e se non si appare si va in crisi: meglio essere pino daniele che Tullio Regge
è un mondo difficile
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Scalare con gli esperti del cai... son sempre dei grossi guai...... questa mi piace
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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda undertaker777 » mar apr 07, 2015 16:42 pm

scusa vecchio, ma questa di Pino Daniele scritto minuscolo apposta non l'ho capita... cos'è che non andava in Pinù :?:


per me è stato un grande, l'altro manco l'avevo mai sentito
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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda MarcoS » mar apr 07, 2015 16:43 pm

...da quello che scrivi e quello che pensi non c'è da stupirsene :mrgreen:
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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda undertaker777 » mar apr 07, 2015 16:48 pm

MarcoS ha scritto:...da quello che scrivi e quello che pensi non c'è da stupirsene :mrgreen:


ha parlà el gènio, ma va' a caghèr va', idiota
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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda MarcoS » mar apr 07, 2015 16:49 pm

Q.E.D.
:mrgreen:
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Re: la depressione del malato immaginario = 149 morti

Messaggioda undertaker777 » mar apr 07, 2015 19:29 pm

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