E' morto Emanuele Cassarà

Area di discussione su argomenti di montagna in generale.

E' morto Emanuele Cassarà

Messaggioda Zio Vare » sab dic 10, 2005 22:50 pm

http://www.planetmountain.com/home.html ... 89&-search



Alle ore 12,00 di ieri, 8 dicembre, dopo due mesi di lunga lotta tra la vita e la morte, ci ha lasciati Emanuele Cassarà. Nato a Torino nel 1929, Cassarà fu giornalista e scrittore tra i più autorevoli e noti tra quanti si sono dedicati all'alpinismo; un'attività per la quale nutrì un interesse così profondo da sconfinare in autentica passione. Una passione che, nei suoi scritti, è sempre stata sostenuta da una profonda conoscenza del mondo alpinistico unita ad un'analisi, così limpida e anticonformista, da apparire, a volte, quasi spietata.

Con la verve polemica che lo contraddistingueva, Cassarà non fu solo un giornalista che raccontò l'alpinismo: lui se ne fece parte attiva cercando di rappresentarne il lato ?antiretorico? e innovativo. Non a caso, infatti, con Andrea Mellano e Alberto Risso, fu uno dei padri ed ispiratori delle gare di arrampicata. Con loro inventò, e rese possibile, quello storico avvenimento che, nel 1985, con la prima competizione di Bardonecchia, tenne a battesimo il movimento internazionale delle gare di arrampicata e determinò la nascita di questa nuova disciplina sportiva.

Si trattò di un cambiamento epocale per il mondo dell'arrampicata e dell'alpinismo. Una vera ribellione, per certi versi, dagli schemi precostituiti: in un campo di gioco e di confronto leale, infatti, emergeva alla luce del sole quella che per Cassarà era la competitività sommersa dell'alpinismo. Quella stessa competitività negata, nonché mascherata e avviluppata nelle maglie della retorica ideale e romantica della montagna, che spesso (anche se non sempre) rappresentava (e rappresenta) la vera molla alla base delle imprese alpinistiche.

Le gare, allo stesso tempo, abbattevano quei vincoli che volevano l'arrampicata legata esclusivamente al concetto di rischio estremo, in assonanza ad un alpinismo mostrato come un olimpo di eroi, spesso votati alla morte. Va da sé che tale visione ebbe da subito molti detrattori, soprattutto in seno al Club Alpino Italiano, anche se nel tempo questo ?approccio laico all'alpinismo? di Cassarà - come felicemente lo definisce lo storico Pietro Crivellaro - ha contribuito in maniera determinante per un nuovo modo di pensare l'alpinismo stesso.

Con Cassarà se ne va, dunque, una delle voci più importanti, certamente tra le più autorevoli e innovative, tra quanti hanno cercato di raccontare, capire ma anche cambiare l'alpinismo. Per trent'anni Cassarà ha cercato di farlo dalla tribuna privilegiata e particolare, appunto ?laica?, del grande quotidiano sportivo nazionale, Tuttosport. Dal 1965 al 1995, nella rubrica ?Bivacco dell'alpinista?, ha seguito tutta l'evoluzione dell'alpinismo, dalla fine dell'epoca delle ultime imprese sulle Alpi di Walter Bonatti, fino alle imprese himalayane di Reinhold Messner passando per i ?fuochi rivoluzionari? del ?Nuovo mattino?.

La sua è stata un'esperienza unica nell'ambito del giornalismo legato alla montagna, sia per lo stile sia per il supporto ?non specializzato? che la ospitava. Tutti gli scritti apparsi su Tuttosport sono raccolti nel volume ?Un alpinismo irripetibile?, forse l'opera maggiore, firmata da Emanuele Cassarà. Anche se tra gli altri suoi libri vanno senz'altro ricordati: ?La morte del chiodo? (Zanichelli 1983, Nordpress 2002), "Le quattro vite di Reinhold Messner" (Dall'Oglio, 1982) e l'ultimo ?Un balilla partigiano? (CDA & Vivalda, 2004). Da non dimenticare, poi, l'esperienza, dal 1986 al 1989, che vide Cassarà dirigere il FilmFestival della montagna di Trento.

Proprio quest'anno Emanuele Cassarà, nella piemontese Bardonecchia e nella trentina Arco, aveva partecipato ai festeggiamenti per il ventesimo anniversario di quelle prime gare di arrampicata che lo avevano visto protagonista. Proprio a Bardonecchia di questi vent'anni aveva regalato ai presenti un'analisi profonda, serena, come sempre lucidissima. E, proprio a Bardonecchia, Marco Ballerini, uno degli arrampicatori simbolo di quella stagione ?rivoluzionaria? e ?ribelle? ha definito Cassarà e Mellano: ?I veri ribelli di quella storica stagione dell'arrampicata?. Sì, con Cassarà se n'è andato un vero e indomabile ribelle, uno spirito libero del pensiero.

di Vinicio Stefanello
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Re: E' morto Emanuele Cassarà

Messaggioda lucasignorelli » dom dic 11, 2005 0:50 am

Zio Vare ha scritto:http://www.planetmountain.com/home.html?-database=Mnetnews&-layout=scheda&-response=%2fNews%2fDetail1.html&-recordID=34989&-search





Si trattò di un cambiamento epocale per il mondo dell'arrampicata e dell'alpinismo. Una vera ribellione, per certi versi, dagli schemi precostituiti: in un campo di gioco e di confronto leale, infatti, emergeva alla luce del sole quella che per Cassarà era la competitività sommersa dell'alpinismo. Quella stessa competitività negata, nonché mascherata e avviluppata nelle maglie della retorica ideale e romantica della montagna, che spesso (anche se non sempre) rappresentava (e rappresenta) la vera molla alla base delle imprese alpinistiche.


Perchè non chiamare le cose con il nome, e invece di invocare improbabili ribellioni e ribellismi non dire che Cassarà (pace all'anima sua) semplicemente volevano riportare nei ranghi di comune attività sportiva quella che invece era un'anomalia - che quello fu un atto di normalizzazione di un'attività che di normale (fortunatamente, a mio parere) aveva ben poco. Nonostante tutto il risultato non è stato quello voluto (cioè rendere l'alpinismo palesemente competitivo), ma ha contribuito a creare una comune attività atletica parallela e indipendente (l'arrampicata sportiva) che ora ha il suo mondo e le sue regole e la sua indipendente dignità. A me Cassarà ha sempre dato l'impressione di essere uno che sentiva la mancanza di un CONI dell'Alpinismo - altro che ribellione!

Quanto al Nuovo Mattino, chi ha visto in anteprima il documentario "Cannabis Rock" (che narra attraverso le vie più importanti di quell'epoca la storia di quella stagione, e dovrebbe uscire in primavera) mi dice che durante l'intervista Cassarà abbia espresso giudizi piuttosto ingenerosi e (sentendoli di seconda mano) completamente campati per aria su Motti e C. La mia impressione è che 'sta "retorica dell'antiretorica" sia diventata una lagna insopportabile e antistorica, e questa mia sensazione è stata veramente pesantissima durante la presentazione fatta da Crivellaro dell'ultimo libro di Camanni ("Mal Di Montagna") alla Libreria Della Montagna di Torino il 1 dicembre scorso, dove la cosa che mi ha salvato da un attacco di nervi è stato il vin brulè di Maurizio (e la quiche di Laura, e la crostata di Marianna!)

Ma tutte 'ste zavorre, tutta 'sta necessità di voler spiegare, quantificare, regolarizzare, demitizzare l'andare in montagna e l'arrampicare... ce la toglieremo mai di torno?
Ultima modifica di lucasignorelli il mar dic 13, 2005 15:07 pm, modificato 1 volta in totale.
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Messaggioda julius » dom dic 11, 2005 9:55 am

.....
Eppure è proprio dell'uomo (intelligente) cercare di dare spiegazioni, porsi delle domande, avere tanti dubbi e poche certezze....
Non le pare signor...Signorelli ?
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Messaggioda lucasignorelli » dom dic 11, 2005 12:09 pm

julius ha scritto:.....
Eppure è proprio dell'uomo (intelligente) cercare di dare spiegazioni, porsi delle domande, avere tanti dubbi e poche certezze....
Non le pare signor...Signorelli ?


Nessuno discute intelligenza e farsi domande - il problema è, come scrisse memorabilmente Georges Livanos in "Al Di La della Verticale" che se rompi un giocattolo per vedere com'è fatto, dopo funziona meno meno bene. Il giocattolo ad un certo punto è stato (forse inevitabilmente) rotto, ma in un certo ambiente - sopratutto torinese - si continua a pretendere che il giocattolo rotto sia e rotto debba rimanere...

Fuor di metafora - la mia impressione è che si sia continua pedissequamente a fare una specie di equazione "alpinismo non competitivo = alpinismo irrazionale" e poi "alpinismo irrazionale = fascismo". Il che poteva essere magari giustificabile negli anni '60 - dopo tutto culturalmente "alpinismo" in Italia allora voleva dire Walter Bonatti e tutta la sua retorica - ma adesso siamo nel 2005. La realtà è che ci sono aspetti irrazionali e "oscuri" dell'alpinismo che sono imprescindibili dall'attività. Puoi tentare di spiegarli, ma non puoi rimuoverli, altrimenti rendi l'esperienza alpinistica indistinguibile da, che so, il salto in alto.

La metto in un'altro modo - l'alpinismo puoi certo tentare di spiegarlo, perchè nò, ma poi lo devi vivere, e viverlo in un certo modo perche certe emozioni siano in qualche modo presenti. E' un'attività imprescindibile dall'azione, e da un'azione individuale, personale, irrazionale. "Se non ci sei stato, non puoi capire" - come dicono negli States.

Questo dovrebbe anche spiegarti perchè parlavo di Cassarà e non di Mellano. Al di la della mia grande simpatia personale nei suoi confronti (ma per questo mi era simpatico pure Cassarà), il curriculum personale di Mellano parla chiaro - le grandi vie le ha aperte, un certo modo di intendere la grande esperienza alpinistica lo ha vissuto in prima persona, e questo, in un certo modo, rende le sue posizioni su arrampicata sporti e C. (che sono sicuro, neppure lui ritiene "una ribellione") molto, ma molto più autorevoli.

Continuo ad essere convinto che certe "elaborazioni" siano tipiche di un certo ambiente torinese - appena mi sposto un po più in la (Trentino, Valle D'Aosta, ma anche solo Alpi Cozie!) trovo che l'ambiente sia (giustamente) più legato alla realtà delle azioni piuttosto che a qualsisi elucubrazione...
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Messaggioda NormalMan » dom dic 11, 2005 19:03 pm

come si usa dire...neanche il tempo di diventare freddo...
che il coccodrillo tenda a celebrare oltre il dovuto chi non è più tra noi è da mettere in conto...no?
penso che Cassarà sia stato per certi versi una voce fuori dal coro che ha contribuito nel suo piccolo, nel bene e nel male, all'evoluzione dell'alpinismo nelle forme che (ci piacciano o no) ci ritroviamo oggi.

dire che chi non ha avuto esperienze alpinistiche di un certo tipo sia meno legittimato a parlare è un assunto che pensavo (e speravo) fosse ormai dimenticato...invece...

l'ambiente torinese è fatto di chi vive di miti del passato e di chi (in nome di non so quale legittimazione divina) contesta ai primi il loro atteggiamento, ritenendosi il solo detentore dell'illuminazione del Nuovo Mattino...so solo che siete insopportabili...
Parlando e piangendo appese la giacca al muro
poi chiese una birra mettendosi al sicuro
«Questa è una valle di lacrime, acqua che non annega»
poi disse «Ho perso Maria, Maria che mi voleva»
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Messaggioda lucasignorelli » dom dic 11, 2005 20:44 pm

NormalMan ha scritto:come si usa dire...neanche il tempo di diventare freddo...
che il coccodrillo tenda a celebrare oltre il dovuto chi non è più tra noi è da mettere in conto...no?
penso che Cassarà sia stato per certi versi una voce fuori dal coro che ha contribuito nel suo piccolo, nel bene e nel male, all'evoluzione dell'alpinismo nelle forme che (ci piacciano o no) ci ritroviamo oggi.


Il mio problema non è Cassarà ovviamente (la cui morte mi dispiace, prima di tutto perchè prematura e dolorosa, ma soprattutto perchè "La Morte Del Chiodo" l'ho letto pure io, e di libri così intelligenti sulla "scena" non se ne scrivono più). Il mio problema è questa idea è che la sua fosse una "voce fuori dal coro", e che la nascita dell'arrampicata sportiva una ribellione. Forse fuori dal piccolissimo coro degli alpinisti, ma in realtà ben dentro il coro del normale mondo sportivo. Ll'arrampicata sportiva non è stato un atto di ribellione, ma un atto di normalizzazione. Questo non vuol dire sia stato sbagliato o altro (e comunque ai ragione tu, l'evoluzione non si può negare - il tempo non torna indietro), ma da qui a dargli connotati romantici di lotta e di rivolta contro chissà quale ordine costituto, questo lo trovo veramente sbagliato (e sono abbastanza certo che Mellano non vede le cose in questa maniera - per lui le gare sono state una possibilità nuova, non una picconatura)

NormalMan ha scritto:dire che chi non ha avuto esperienze alpinistiche di un certo tipo sia meno legittimato a parlare è un assunto che pensavo (e speravo) fosse ormai dimenticato...invece...


Meno legittimato no (altrimenti io e te che ci stiamo a parlare qui?), ma negare che l'alpinismo sia un'esperienza che non può essere vissuta se non in prima persona, e che alla fine dei conti siano molto più importanti le esperienze che hai fatto sul campo, e non le parole, mi sembra sbagliato.

NormalMan ha scritto:l'ambiente torinese è fatto di chi vive di miti del passato e di chi (in nome di non so quale legittimazione divina) contesta ai primi il loro atteggiamento, ritenendosi il solo detentore dell'illuminazione del Nuovo Mattino...so solo che siete insopportabili...


Sicuramente io non mi sento illuminato da un bel tubo di niente, prima di tutto perchè - per motivi anagrafici e di residenza - il Nuovo Mattino non l'ho vissuto manco di striscio, ma anche perchè non è che io abbia tutta questa nostalgia per quei tempi, ne ho tutto questo entusiasmo per tante cose dette e scritte in quel periodo. Ma non sono neanche tanto innamorato verso i miti del passato, perchè uno dei rischi che corri ad approfondire la storia dell'alpinismo, perfino al mio livello dilettantesco, è quello di scoprire che tanti miti proprio miti non erano (no, non sto parlando di Maestri)

Continuo a pensarla così - il meglio espresso dal mondo alpinistico torinese negli ultimi 50 anni sono stati Giancarlo Grassi e Ugo Manera, i quali hanno fatto, secondo me più e forse meglio di tutti gli altri, quello che devono fare gli alpinisti, cioè scalare ed esplorare, e l'hanno fatto principalmente per loro stessi.
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Messaggioda Maurizio » lun dic 12, 2005 7:45 am

...vorrei offrire un appoggio alle argomentazioni di Luca, con le quali mi sento sostanzialmente allineato...ma vorrei anche, da torinese che ha vissuto in prima persona quegli anni di "presunta" rivoluzione...ed avendo conosciuto Grassi, Manera, Mellano e compagnia bella, avendo talvolta la fortuna anche di arrampicare insieme a loro...e anche Cassarà, il quale inspiegabilmente per me aveva una predilizione (non sono mai riuscito a spiegarmene le ragioni, dato che io ho sempre scritto e pensato come Luca Signorelli)...mi permetto di ricordare che, nei primi anni 80 le parole di Cassarà erano per noi alpinisti un vero insulto. Forse è emblematico il fatto che pure Grassi aprì un passaggio di boulder e gli diede il nome di "Cassarà non potrà mai capire...", proprio perchè se c'era un uomo scrittore che sentivamo distante anni luce da noi era proprio Cassarà. I suoi interventi su Tuttosport erano oltremodo urtanti...ma nonostante ciò anche io lessi La morte del chiodo e dovetti convenire che era un libro illuminante. Credo dunque che la ribellione sia da intendere in questo senso, ribellione verso la mentalità dominante dell'ambiente torinese di quegli anni...e non ribellione in senso assoluto, che mi pare non ci sia proprio...altrimenti dobbiamo riscrivere il Nuovo Mattino al contrario e capovolgere la storia!

Le considerazioni che fa Luca sull'ambiente torinese sono molto interessanti e secondo me andrebbero approfondite. Io sono un torinese emigrato, per cui ho avuto la possibilità di vedere quel che c'è fuori, di vedere le cose dal di fuori...che secondo il mio modesto parere è una cosa importante, se si vuole valutare con obiettività. L'ambiente della capitale subalpina è sempre stato chiuso e provinciale e secondo me continua ad esserlo. Quando si parla di giornalismo, poi, diviene anche un po' smaccatamente (e dichiaratamente) snob. Conosco, ed ho conosciuto, tutte le grandi penne torinesi, compreso Mila, e da quasi tutti è l'impressione che ne ho ricavato. Quando non ho sentito con le mie orecchie deridere ciò che si scriveva a Milano, Parma, Trento e Padova...non parliamo poi di Roma...
E mi stupisce ancor oggi l'incapacità dell'ambiente torinese di rinnovarsi, di aprirsi ai cambiamenti degli ultimi anni. Ho scritto e ribadisco che per me Marzio Nardi è stato colui che più ha fatto per l'arrampicata negli ultimi anni 15 anni a Torino, ma non è un'alpinista... E infatti, a mio vedere, in campo alpinistico la situazione è assai stagnante e non mi sorprende che Luca si fermi a Manera, nelle sue citazioni...
Vorrei quindi sapere se Luca ha una sspiegazione a cotanta stasi anche se, francamente, nelle alpi cozie la situazione non mi sembra migliore...

ciao

Maurizio
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Messaggioda Enzolino » lun dic 12, 2005 11:46 am

Non sono di Torino, non ho vissuto il Nuovo Mattino ne' l'alpinismo eroico.
Da alpinista di una generazione successiva al Nuovo Mattino mi sembra di vedere attraverso la letteratura verticale, diversi periodi e punti di vista che si susseguono uno dopo l'altro o uno contro l'altro, in una dinamica dialettica.
Credo che la mitizzazione dell'alpinismo sino agli anni '70 sia innegabile.
Altrettanto innegabile penso che sia stato lo sforzo di smitizzare l'alpinismo eroico dando all'ascensione una prospettiva piu' leggera e meno pomposa. Mi pare che questo sia cio' che ha fatto il Nuovo Mattino. E facendo cosi' sicuramente, anche attraverso atteggiamenti o articoli trasgressivi, ha urtato la sensibilita' di chi credeva nei valori dell'alpinismo eroico.
E poi c'e' stato chi ha voluto dare un'altra chiave di lettura dell'esperienza verticale, la competitivita', probabilmente oltraggiando chi vede nell'alpinismo solo gratuita' o altri valori ascetici. Questo mi sembra di leggere tra le righe del libro "la morte del chiodo" di Cassara'. Ed in questo senso anche a me piace per la sua intelligenza al di la' del fatto se son d'accordo o meno con quello che ha scritto. Cosi' come mi e' piaciuto la "Storia dell'alpinismo" di Motti.
Il rischio e' ovviamente quello di ricondurre l'alpinismo ad un solo valore dominante, ma credo che sia importante ascoltare tutte le voci del coro, anche quelle meno piacevoli. Poi bisogna vedere se tali voci hanno un connotato rivoluzionario o no.

"Rivoluzione: mutamento improvviso e profondo che comporta la rottura di un modello precedente e il sorgere di un nuovo modello".
A me pare che Cassara' volesse rendere manifesta una delle motivazioni latenti che caratterizzano l'alpinismo: la competizione. Ed in base a questo paradigma re-indirizzarlo verso un nuovo modello possibile: la preparazione fisica e psicologica, stimolata dalle competizioni sportive. Insomma, a me pare che lui volesse mettere in discussione un modello prestabilito di alpinismo per far sorgere un nuovo modello basato sulla competitivita'. E se ci guardiamo intorno, questo e' quello che succede molto spesso. Insomma, mi sembra che, ci piaccia o no, l'atteggiamento di Cassara' e' stato ribelle e rivoluzionario. Se poi la sua ribellione e rivoluzionarieta' appaiono a loro volta retorici, questo e' un'altro discorso.

Ciao :wink:

Lorenzo
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Messaggioda lucasignorelli » mer dic 14, 2005 22:02 pm

Maurizio ha scritto:...vorrei offrire un appoggio alle argomentazioni di Luca,
Vorrei quindi sapere se Luca ha una sspiegazione a cotanta stasi anche se, francamente, nelle alpi cozie la situazione non mi sembra migliore...



Avessi una risposta sarei ricco e famoso, perchè avrei trovato il sistema di superare l'impasse in questione, e ci avrei già scritto tre libri. Ovviamente non ce l'ho. La lettura che hai dato è assolutamente corretta - Marzio e il BSide sono l'unica vera grande novità che Torino abbia espresso in questi ultimi anni (Fabrizio Droetto è un grande atleta, ma non un innovazione). E Marzio fa bouldering, non alpinismo. Il resto secondo me lo hai definito molto bene in "Passaggio" - la stasi è soprattutto il credere che tutto sia stato detto.

Paradossalmente ha ragione NormalMan - l'ambiente sembra diviso fra feroci tradizionalisti e altrettanto feroci nemici di qualsiasi cosa che puzzi anche solo lontanamente di "alpinismo", e la "scena" paga questa ideologizzazione forzata, invece di arrampicare ci si scanna. Questa è l'unica città in cui trovi gente che VERAMENTE crede ancora che lo spit un'affermazione di libertà e trasgressione (e non semplicemente un attrezzo), e che se vai a fare una classica sul Bianco solo con i nut e i friends sicuramente Hitler resuscita e conquista l'Europa. Oppure il contrario - lo spit è il male assoluto, l'alpinismo è morto, etc. Insomma, i soliti sterili dibattiti che non portano a niente.

Ad essere onesto, penso di essere in debito con te per un'illuminazione. Sono convinto che il tuo "Rock Paradise" sia l'unica "vera" storia mai scritta sull'arrampicata torinese moderna... perchè (al di la delle belle note storiche) è una storia di vie, una storia di azione... ed è una storia di possibilità aperte, di cose ancora da dire. Ma - e qui sta il paradosso e l'illuminazione - la cosa che mi ha colpito e fatto prudere le mani (in senso positivo) non sono state le descrizioni dei "soliti" posti storici (Caporal, Sergent etc) ma le zone meno conosciute - Parete Delle Ombre, Cresta dei Prosces, le pareti in quota con tre ore di avvicinamento e la roccia magari non pazzesca, ma in aree estetiche con ambienti solitari e tosti. Perchè hai ancora la sensazione di poter andare li ed inventarti qualcosa - e se poi nessuno la ripeterà, che importa? Dobbiamo sempre fare tutto per gli altri?

Nel "sud" devo dire che apprezzo molto quello che ha fatto - sta facendo Michelin. Mi sembra di capire che ci sia un certo giro che sta crescendo attorno a quell'area (guarda caso, zone meno "sportive" e grado-centriche), ma forse mi sto sbagliando (di sicuro tu ne sai di più)
Ultima modifica di lucasignorelli il mer dic 14, 2005 22:38 pm, modificato 1 volta in totale.
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Messaggioda lucasignorelli » mer dic 14, 2005 22:24 pm

Enzolino ha scritto:Credo che la mitizzazione dell'alpinismo sino agli anni '70 sia innegabile.
Altrettanto innegabile penso che sia stato lo sforzo di smitizzare l'alpinismo eroico dando all'ascensione una prospettiva piu' leggera e meno pomposa.


Il problema è che mi sto andando a rivedere quello che una volta era definito "pesante" e "pomposo", e mi accorgo che in realtà erano visioni figlie del loro tempo e di un certo mondo (se non molto in anticipo sui tempi, vedi "Scalate Nelle Alpi" di Gervasutti) e anche quello che in seguito è diventato "moderno" ha finito per essere inevitabilmente legato ad un ciclo temporale finito, e diventare a sua volta vecchio.

D'altra parte, però, secondo me ha pure ragione Mellano quando, con molta tranquillità, sostiene che negli anni '70 sull'alpinismo si sono dette un sacco di stupidaggini.

La "Storia Dell'Alpinismo" di Motti è una gran bel libro, ma è più interessante come viaggio nella visione personale dell'autore che come libro di storia. Molte delle analisi di Motti hanno poco a che vedere con la realtà - vedasi il succitato Gervasutti, che non era certo il personaggio dipinto da Motti. Quello che emerge è un'ansia incredibile e sicuramente molto nevrotica di dare un senso a tutto, di giustificare l'ingiustificabile. Ripeto, secondo me è un libro di Motti su Motti, e come tale va letto.

"La Morte Del Chiodo" è, al contrario, un libro estremamente lucido (è difficile scrivere lucidamente di alpinismo, e questo secondo me depone a favore di Cassarà). Emerge il ritratto di un'autore ironico, intelligentissimo, molto garbato, ma che - temo di dover ragione a Grassi - semplicemente non voleva e non poteva capire. E' come se io cominciassi a scrivere di calcio (sport che non mi piace per niente) - magari potrei anche scrivere qualcosa di molto buono e acuto, ma rimane il fatto che a me il calcio non piace. A Cassarà l'alpinismo (secondo me - mi piacerebbe sentire Mellano a proposito) in realtà non piaceva, lo trovava un'anomalia fastidiosa, una bizzarria antistorica. L'invenzione delle gare mi è sempre sembrato il suo sistema di mettere le cose "a posto", di riportare l'intera faccenda ad una "sana" (e normale) competizione. Peccato che (IMHO) l'alpinismo non possa essere né sano né normale - altrimenti che senso ha?



Enzolino ha scritto:"Rivoluzione: mutamento improvviso e profondo che comporta la rottura di un modello precedente e il sorgere di un nuovo modello".


Secondo me confondi rivoluzione e ribellione. I due termini non sono intercambiabili - una rivoluzione può esserlo in senso reazionario, di restaurazione di un ordine. Una ribellione è qualcosa di diverso. Inoltre, vorrei farti notare come il termine "ribelle" abbia adesso una connotazione normalmente positiva - "ribellarsi è giusto", è quasi un'assioma - il termine viene spesso usato a sproposito per dare una connotazione romantica a qualcosa che spesso non ce l'ha.
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Messaggioda andreag » mer dic 14, 2005 22:31 pm

solo per dire che è veramente piacevole e interessante leggere quello che scrive Luca e come lo scrive.
Fa dubitare della sua affermazione che nell'ambiente torinese non vi sia nessuno in grado di dire qualcosa di positivo.
Forse Luca dovresti scrivere di più, mi pare che di cose da dire tu ne abbia parecchie.....
:wink:

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Messaggioda Maurizio » mer dic 14, 2005 23:17 pm

Beh Luca, forse non è così tragica come la descrivi, o almeno Torino non è l'unica città a soffrire di questa "impasse". Io ho vissuto gli anni dopo il NM, c'era molto fermento, poi sono partito ed ho visto le cose dal di fuori...forse sono cascato in una sorta di Nuovo Mattino parallelo alla Robinson Crusoe, forse non ho capito che il mondo stava cambiando ed ho fermato il mio orologio. Ma sarà così grave? Però come dicevamo prima non ho visto e non vedo nelle gare un qualche cosa di innovativo ma mi sembra, da pareri che sto sentendo, che anche ex campioni del mondo la pensano come me... e a mio parere è necessario essere ex per poter dire certe cose. Quello della competizione esplicita e' un binario diverso, ma chi continua a correre sull'altro si rende conto che a Torino il treno si è fermato ad una qualche stazione...inspiegabile con la tradizione che ha questa città! Con Rock Paradise ho provato a parlare di alpinismo moderno sotto la prospettiva di uno che fa e ama i posti di cui scrive, certo diversa da quella di un giornalista "esterno" come Cassarà o altri, comunque bravi, direttori di riviste torinesi che ben conosci. Se mi hai seguito nelle pieghe della rete (mi prendono sempre in giro perchè sto qui a scrivere) conosci le polemiche che ne sono nate a riguardo, prima con la mia lettera alla Rivista Mensile a proposito di un articolo di Roberto Mantovani sull'alpinismo morente, poi quando scrissi su Go-mountain che Trombetta era forse la novità più piacevole dell'alpinismo torinese...un casino, s'incazzarono i valdostani, pensa te! Ma l'alpinismo valdostano è una realtà ben differente, come tu sai bene, e non lo conosco altrettanto bene che quello della mia città. Mi accusarono anche di arrampicare solo con 60enni, oggi la cosa mi fa sorridere...almeno la mia provocazione avesse colto nel segno e fosse servita a qualcosa! Poi ho provato a dire altre cose che non andavano, come per Rocca Sbarua, il Vallone di Sea. Mi sono preso dello sceriffo...è una parte scomoda la mia, ma si deve sempre stare zitti...perchè in fondo l'arrampicata e l'alpinismo sono un passatempo? Buona parte dell'ambiente alpinistico torinese la pensa come me, solo che pochi hanno voglia di esporsi. Il torinese appare un po' viziato dall'etica alla francese, e cioè prende la montagna come un'immenso parco giochi dove fare MBike, ferrata, arrampicata, rafting, parapendio e chi più ne ha più ne metta...e quindi alla domenica tutti a prendere la tangenziale verso la val di susa, e nessuno ha voglia di trovar lungo, perchè dopo una settimana di lavoro ci mancherebbe altro... Anche i 60 enni di cui si parlava prima si sono normalizzati, ma loro non lo sono nell'animo, loro la vita l'hanno vissuta veramente ed effettivamente da dieci anni a questa parte per me sono un grande esempio...perchè ahimè, non ne trovo di migliori. Per cui ora "giocano" a fare le vie plaisir, come gioca Michelin, ma non è stessa cosa di tutta quella gente che vedi ammassata sulle placche del Rivero alla domenica. Fatico a ritrovare quella passione, quel sacro furore... vabbè quasi patologico...che ritrovi in tutte le figure carismatiche degli anni 80, da Berhault a Grassi passando per tutti gli altri roccia-dipendenti o malati di montagna, che dir si voglia...compreso il Michelin che va a spazzolare la Via degli Strapiombi al Bourcet perchè sia in ordine quando arriveranno i ripetitori. E non è proprio la stessa cosa di essere dei "falliti" alla Motti...comunque per me sempre meglio che essere l'evoluzione dei picnicari, quelli che vedevi fare merenda nei prati di Corso Allamano a Pasquetta... Il mio è solo un punto di vista, però terribilmente di parte!

ciao

Maurizio
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Messaggioda Enzolino » gio dic 15, 2005 10:14 am

Anche io trovo molto interessanti le cose scritte da Luca e da Maurizio, e leggendo loro mi rendo conto di quanti fili invisibili si muovono tra regioni, fazioni e ideologie anche nel campo verticale.

lucasignorelli ha scritto:
Enzolino ha scritto:"Rivoluzione: mutamento improvviso e profondo che comporta la rottura di un modello precedente e il sorgere di un nuovo modello".

Secondo me confondi rivoluzione e ribellione. I due termini non sono intercambiabili - una rivoluzione può esserlo in senso reazionario, di restaurazione di un ordine. Una ribellione è qualcosa di diverso. Inoltre, vorrei farti notare come il termine "ribelle" abbia adesso una connotazione normalmente positiva - "ribellarsi è giusto", è quasi un'assioma - il termine viene spesso usato a sproposito per dare una connotazione romantica a qualcosa che spesso non ce l'ha.

Cassara' non lo conosco quasi per niente, quindi magari hai ragione tu. Pero' da quello che ho letto mi e' parso di capire che lui cerchi proprio di sostituire il modello precedente di alpinismo, alimentato da valori eroici, con un modello che ha come paradigma di base la competizione, assumendo quindi connotati sportivi. Questa e' la mia impressione.

Al di la' di quello che pensa Cassara', la dimensione competitiva nel mondo verticale, sia vissuta attraverso le gare, le competizioni o le imprese, mi sembra evidente ed ovvia. Almeno per quello che i media spesso vogliono farci credere. Perche' comunque son sicuro che esistono climber che realizzano belle cose nell'anonimato, ma anche alpinisti, come ad esempio Salvaterra, che comunicano esperienze verticali significative apparentemente scevre da connotati competitivi.

Pero', la dimensione competitiva non si puo' ignorare. Anzi, l'ambizione puo' essere un ottimo mezzo per migliorare l'arrampicata e l'alpinismo. L'importante, secondo me, e' che non ne diventi l'unico motore. Le gare e lo sport-arrampicata di sicuro non hanno nulla di inovativo. Come non lo hanno le gare di atletica, ginnastica, e tutti gli altri sport. Ma a volte il bello e' anche fare le stesse cose con rinnovata passione ed entusiasmo, riscoprendo la novita' nel ripetersi. Questa puo' essere la ragione di chi ama le gare. E secondo me bisogna riflettere sul perche', le competizioni indirette sulla roccia, sono decisamente piu' popolari rispetto alle gare effettive sulla plastica.

Ciao :wink:

Lorenzo
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Messaggioda lucasignorelli » gio dic 15, 2005 23:28 pm

andreag ha scritto:solo per dire che è veramente piacevole e interessante leggere quello che scrive Luca e come lo scrive.
Fa dubitare della sua affermazione che nell'ambiente torinese non vi sia nessuno in grado di dire qualcosa di positivo.
Forse Luca dovresti scrivere di più, mi pare che di cose da dire tu ne abbia parecchie.....
:wink:

Andrea


Ti ringrazio moltissimo Andrea, ma devo dire che in realtà penso di fare già abbastanza danni con il poco che scrivo (e poi se scrivo non ho tempo per arrampicare ;)!
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Messaggioda lucasignorelli » gio dic 15, 2005 23:46 pm

Maurizio ha scritto:poi quando scrissi su Go-mountain che Trombetta era forse la novità più piacevole dell'alpinismo torinese...un casino, s'incazzarono i valdostani, pensa te! Ma l'alpinismo valdostano è una realtà ben differente, come tu sai bene, e non lo conosco altrettanto bene che quello della mia città.


L'alpinismo valdostano è fatto moltissimo di preminenza delle guide, di forte orgoglio e di una grande gelosia del proprio "terreno di gioco" - e di una tendenza a farsi enormemente i fatti propri e tollerare poco le "intrusioni" esterne, anche quelle con le migliori intenzioni. Io sono cresciuto, alpinisticamente e non, in quel di Courmayeur, e devo dire che certe "manie" le ho nel sangue anche se non sono nato li. Moooontaaaagnes vaaaaaaldooootaaaaineeeeeeess... (etc etc etc).

Maurizio ha scritto: Mi accusarono anche di arrampicare solo con 60enni, oggi la cosa mi fa sorridere...almeno la mia provocazione avesse colto nel segno e fosse servita a qualcosa! Poi ho provato a dire altre cose che non andavano, come per Rocca Sbarua, il Vallone di Sea. Mi sono preso dello sceriffo...è una parte scomoda la mia, ma si deve sempre stare zitti...perchè in fondo l'arrampicata e l'alpinismo sono un passatempo?


Sulla faccenda dei 60enni non sei l'unico, un paio di settimane fa un amico (che è anche guida) mi ha confessato che ultimamente preferisce andare ad arrampicare con Manera & C anche solo perchè non hanno niente da dimostrare, e con loro ci si diverte...

Sbarua è diventata un male necessario, tipo l'area attrezzata da picnic di Cafasse. Almeno tira via dai posti pericolosi la gente che potrebbe combinare pasticci.

Sea... aono stato su prima che nevicasse, ed è un posto ogni volta più bello e misterioso, anche solo per ciabattare sul sentiero. Blatto e C. stanno facendo un bel lavoro di recupero delle vie di Grassi, ma è recupero, non evoluzione. E non sono convinto che la via scelta da Trombetta sia quella giusta. Boh, vedremo.

Maurizio ha scritto: Buona parte dell'ambiente alpinistico torinese la pensa come me, solo che pochi hanno voglia di esporsi. Il torinese appare un po' viziato dall'etica alla francese, e cioè prende la montagna come un'immenso parco giochi dove fare MBike, ferrata, arrampicata, rafting, parapendio e chi più ne ha più ne metta...e quindi alla domenica tutti a prendere la tangenziale verso la val di susa, e nessuno ha voglia di trovar lungo, perchè dopo una settimana di lavoro ci mancherebbe altro...


Le cose interessanti spesso vengono però proprio dall'ambiente di quelli con solo i weekend a disposizione - stasera alla Libreria c'era la presentazione di un libro di discese "dal Monviso al Gran Paradiso" che ha finito per interessare pure me che non scio, tanto era l'entusiasmo degli autori (e di Maurizio).
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Messaggioda fedeneg » sab dic 17, 2005 15:02 pm

:idea: Ragazzi, complimenti, ma per favore continuate a scrivere, approfondite, è un argomento interessantissimo, siete meglio di qualsiasi rivista di settore!!! :idea:
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