Il 7 marzo, di buon mattino, arranca ed impreca tra i rovi
alla base della parete est di Rocca Pendice. Come per il
Baffelan, e qui si capisce quell’”arguto” affibbiatogli da
Berti, egli comprende che il punto più accessibile della
parete è il camino che sta alla base, quasi al centro della
stessa.
Naturalmente con lui c’è Maria, e sono sue le orecchie
delicate che debbono sorbirsi moccoli ed improperi che
il nostro elargisce a più non posso mentre si inerpica tra
rovi, muschio ed erbe di ogni tipo.
Ma il camino è vinto e così, piantato un bel chiodo, ci
si cala alla base con l’intento di tornare al più presto e
vincere.
La settimana dopo ai due coniugi si sono uniti il solito
Berti e lo studente Mariano Rossi. La giornata non è un
granché. Minaccia pioggia, e tra una casa e l’altra i quattro
iniziano ad arrampicare nel primo pomeriggio.
Ma poco importa, sono giovani, hanno entusiasmo da
vendere, e quel diavolo scatenato di Carugati ha già salito
il camino iniziale.
Se le difficoltà sono queste saremo in cima prima di
sera”.
Le ultime parole famose, perché la sera, anzi la notte,
arriva veloce, e quello che li aspetta è un duro bivacco,
bagnati ed infreddoliti, perché intanto è sopraggiunta la
pioggia.
Li ha fermati uno strapiombo insuperabile e adesso non
c’è che aspettare l’alba.
Intanto però gli amici hanno allertato i valligiani e così il
mattino dopo nasce la prima sezione padovana del Soccorso
Alpino. Capogruppo è Beppe, il contadino che abita
tra i ruderi del vecchio castello di vetta. È lui che guida
altri volonterosi lungo la via della gola e della forcelletta
sud con una lunga traversata tra i cespugli. Conosce quei
luoghi come le sue tasche, ed in men che non si dica i
quattro malcapitati sono tratti in salvo.
I soccorritori non hanno seguito nessun corso particolare
di recupero, ma sono dotati di braccia robuste, e le corde
non mancano.
I “quattro matti” vengono rifocillati, forse vien fatto bere
loro del buon vino caldo, sicuramente li si invita a desistere.
La donna poi… Proprio non riescono a capacitarsi. Una
così bella signora conciata come uno spaventapasseri. I
capelli pieni di foglie e pagliuzze, il viso incrostato di fango,
le mani tagliuzzate e piene di spine, i vestiti laceri e
sbrindellati. Ma le signore di città non sono sempre belle
ed eleganti?
Il buon senso non alberga nella mente degli alpinisti, ma
la furbizia sì. Così una settimana dopo Carugati e Berti si
calano a corda doppia dalla cima e raggiungono il luogo
del bivacco. Studiano la parete ed individuano il percorso
da seguire.
Finalmente il 28 marzo 1909 si effettua il tentativo decisivo.
Questa volta il tempo è ottimo e si è fatta provvista di
chiodi e cunei di legno.
Come al solito Gino è in testa, coadiuvato da Berti che lo
assicura dal basso e gli passa il materiale. Poi segue Maria
che viene aiutata sia dall’alto che da sotto, dove chiude la
cordata il buon Mariano Rossi.
Da una lettera scritta anni dopo da Berti al socio Rinaldi
si evince che la preoccupazione maggiore di Toni non era
tanto raggiungere la vetta ma evitare “di farsi legare e
condurre al manicomio per pazzi”.
Immaginiamo così che la banda dei quattro, appena calcata
la cima, abbia raccolto in fretta e furia le corde e gli
zaini e poi si sia data alla fuga a gambe levate. È facile
supporre che il buon Beppe avesse cambiato mestiere. Da
soccorritore si è ora trasformato in infermiere del Nesocomio
di via dei Colli, e sulla strada di Teolo è parcheggiata
una carrozzella a più posti guardata da robusti contadini
pronti a caricare i matti per portarli nel luogo a loro più
consono.
bello f**a...
