un'altra bella stangata...

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Messaggioda El Rojo » ven set 14, 2012 9:21 am

Krugman: la crisi è solo una scusa per colpire i poveri


«Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione». Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, e aveva ragione. Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l?ha?), tagliare le spese quando l?economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione. Allora come mai la Gran Bretagna sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare? Al contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo britannico può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi. Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed eliminando centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico, invece di aspettare che l?economia recuperi?

La cattiva metafora ? che avrete sicuramente ascoltato molte volte ? equipara i problemi di debito di un?economia nazionale, a quelli di una famiglia individuale. La storia, pressappoco è questa: una famiglia che ha fatto troppi debiti deve stringere la cinghia e, allo stesso modo, se la Gran Bretagna ha accumulato troppi debiti ? cosa che ha fatto, anche se per la maggior parte si tratta di debito privato e non pubblico ? dovrebbe fare altrettanto! Cosa c?è di sbagliato in questo paragone? La risposta è che un?economia non è come una famiglia indebitata. Il nostro debito è composto in maggioranza di soldi che ci dobbiamo l?un l?altro; cosa ancora più importante: il nostro reddito viene principalmente dal venderci cose a vicenda. La tua spesa è il mio introito, e la mia spesa è il tuo introito. E allora cosa succede quando tutti, simultaneamente, diminuiscono le proprie spese nel tentativo di pagare il debito? La risposta è che il reddito di tutti cala ? il mio perché tu spendi meno, il tuo perché io spendo meno. E mentre il nostro reddito cala, il nostro problema di debito peggiora, non migliora.

Questo meccanismo non è di recente comprensione. Il grande economista americano Irving Fisher spiegò già tutto nel lontano 1933, e descrisse sommariamente quello che lui chiamava ?deflazione da debito? con lo slogan: ?Più i debitori pagano, più aumenta il debito?. Gli eventi recenti, e soprattutto la spirale di morte da austerity in Europa, illustrano drammaticamente la veridicità del pensiero di Fisher. Questa storia ha una morale ben chiara: quando il settore privato sta cercando disperatamente di diminuire il debito, il settore pubblico dovrebbe fare l?opposto, spendendo proprio quando il settore privato non vuole, o non può. Per carità, una volta che l?economia avrà recuperato si dovrà sicuramente pensare al pareggio di bilancio, ma non ora. Il momento giusto per l?austerity è il boom, non la depressione.

Come ho già detto, non si tratta di una novità. Allora come mai così tanti politici insistono con misure di austerity durante la depressione? E come mai non cambiano piani, anche se l?esperienza diretta conferma le lezioni di teoria e della storia? Beh, qui è dove le cose si fanno interessanti. Infatti, quando gli ?austeri? vengono pressati sulla fallacità della loro metafora, quasi sempre ripiegano su asserzioni del tipo: «Ma è essenziale ridurre la grandezza dello Stato». Queste asserzioni spesso vengono accompagnate da affermazioni che la crisi stessa dimostra il bisogno di ridurre il settore pubblico. Ciò e manifestamente falso. Basta guardare la lista delle nazioni che stanno affrontando meglio la crisi. In cima alla lista troviamo nazioni con grandissimi settori pubblici, come la Svezia e l?Austria.

Invece, se guardiamo alle nazioni così ammirate dai conservatori prima della crisi, troveremo che George Osborne, ministro dello scacchiere britannico e principale architetto delle attuali politiche economiche inglesi, descriveva l?Irlanda come «un fulgido esempio del possibile». Allo stesso modo l?istituto Cato (think tank libertario americano) tesseva le lodi del basso livello di tassazione in Islanda, sperando che le altre nazioni industriali «imparino dal successo islandese». Dunque, la corsa all?austerity in Gran Bretagna, in realtà non ha nulla a che vedere col debito e con il deficit; si tratta dell?uso del panico da deficit come scusa per smantellare i programmi sociali. Naturalmente, la stessa cosa sta succedendo negli Stati Uniti.

In tutta onestà occorre ammettere che i conservatori inglesi non sono gretti come le loro controparti americane. Non ragliano contro i mali del deficit nello stesso respiro con cui chiedono enormi tagli alle tasse dei ricchi (anche se il governo Cameron ha tagliato l?aliquota più alta in maniera significativa). E generalmente sembrano meno determinati della destra americana ad aiutare i ricchi ed a punire i poveri. Comunque, la direzione delle loro politiche è la stessa, e fondamentalmente mentono alla stessa maniera con i loro richiami all?austerity. Ora, la grande domanda è se il fallimento evidente delle politiche di austerità porterà alla formulazione di un ?piano B?. Forse. La mia previsione è che se anche venissero annunciati piani di rilancio, si tratterà per lo più di aria fritta. Poiché il recupero dell?economia non è mai stato l?obiettivo; la spinta all?austerity è per usare la crisi, non per risolverla. E lo è tutt?ora.


http://www.libreidee.org/2012/09/krugma ... -i-poveri/
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Messaggioda El Rojo » ven set 14, 2012 18:45 pm

"Foxconn, condizioni di lavoro disumane"
La denuncia di un giornalista infiltrato

TAI YUAN (Cina) - Una fucina di progresso. La fabbrica dei sogni, delle meraviglie. La Foxconn International Holdings, la più grande multinazionale in fatto di componenti elettronici, con un giro d'affari da circa 60 miliardi di dollari e più di 1 milione e 200 mila dipendenti, è il colosso taiwanese dove nascono e vengono assemblati tutti gli esemplari del marchio di Steve Jobs, dagli iPad agli iPhone, fino alla neonata versione 5 del famoso smartphone. Ma dal 2009 la Foxconn è stata spesso tristemente citata sulle pagine di cronaca a causa di una serie di suicidi che hanno coinvolto i suoi dipendenti, stressati dall'iperlavoro e dalle cattive condizioni di vita. A ulteriore testimonianza dello scandalo, arriva il reportage di un giornalista cinese dello Shanghai Evening Post: fingendosi un operaio è entrato nella fabbrica di Tai Yuan, nella provincia cinese dello Shanxi, e ha pubblicato un diario della sua esperienza. Dieci giorni da "incubo" fra notti insonni, mobbing, scarafaggi e disumani tour de force nel polo tecnologico d'avanguardia.

Condizioni igieniche al limite. Per il lancio del suo ultimo "gioiello" l'azienda informatica statunitense di Cupertino ha richiesto di elevare al massimo il grado di efficienza dei suoi poli di produzione per arrivare a immettere sul mercato una media di 57 milioni di iPhone 5 all'anno. Una cifra considerevole. Che richiede qualche sacrificio ai lavoratori. Ma il coraggioso giornalista ha potuto constatare da vicino l'esatto significato che il termine 'sacrificio' assume all'interno della sede cinese della Foxconn. "La prima notte nel dormitorio è stato un incubo", si legge nel reportage. "Il dormitorio intero puzza di spazzatura: un misto di odore di immondizia, sudore, sporco. Fuori da ogni stanza ci sono accatastati rifiuti non buttati". E ancora: "Quando ho aperto il mio armadio, ho visto sgusciare fuori scarafaggi e le lenzuola che vengono distribuite ad ogni nuovo lavoratore sono sporche e piene di cenere".

Il training prima di iniziare. Prima di partire con la produzione vera e propria il giornalista ha dovuto fare qualche giorno di rodaggio. "Il giorno dopo la firma del contratto, in cui si fa molta attenzione ai doveri dei lavoratori e meno ai suoi diritti, ci hanno riunito in una sala e siamo stati informati della storia della società Foxconn, delle politiche e delle misure di sicurezza", scrive il reporter cinese. "Potrebbe non piacervi il modo in cui verrete trattati - avrebbe detto un istruttore - Ma vi assicuro che è per il vostro bene". Qualcuno avrebbe anche chiesto delucidazioni sulla vicenda dei suicidi. Gli incaricati della gestione del personale "non hanno evitato l'argomento" scrive il reporter, "ma lo hanno liquidato in poche parole". "Qualcuno ha detto che le condizioni cattive di vita e di lavoro sarebbero responsabili dell'alto tasso di suicidi all'interno della fabbrica", racconta ancora nel diario. "Ho notato che tutte le finestre del dormitorio hanno grate metalliche che fanno sentire i dipendenti in prigione".

Il giorno del debutto. Finalmente il giorno dell'ingresso nella fase produttiva. Dopo i giorni di apprendistato il giornalista arriva alle macchine. "Abbiamo raggiunto l'ingresso del piano di produzione. Se il metal detector alla porta d'ingresso trova il lavoratore in possesso di qualsiasi materiale metallico, come la fibbia della cintura, orecchini, macchine fotografiche, telefoni cellulari, lettori mp3, l'allarme suona e viene licenziato sul posto". È quanto accaduto ad un dipendente che portava con sé un cavo di ricarica Usb. E una volta a lavoro non ci si può fermare, neanche per un minuto: "Un nuovo lavoratore che sedeva di fronte a me era esausto e si è fermato per qualche minuto", ha raccontato il giornalista. "La vigilanza lo ha notato e lo ha punito chiedendogli di stare in un angolo per 10 minuti, come a scuola". Il giornalista ha lavorato initerrottamente tutta la notte, fino alle 6 di mattina. Secondo i suoi calcoli, i lavoratori di Foxconn devono marchiare 5 dispositivi - la parte posteriore - al minuto. Si parla di 3mila ogni 10 ore di lavoro. "Ciascuna linea di produzione può arrivare a produrre 36mila parti in mezza giornata - scrive il reporter cinese - è spaventoso". E al termine della giornata lavorativa di 10 ore un supervisore avrebbe detto: "Chi vuole restare a lavorare fino alle 5 del mattino? Siamo tutti qui per fare soldi! Lavoriamo più sodo! Dovete sentirvi onorati di partecipare alla produzione di un oggetto così prezioso come l'iPhone 5!". Ma il compenso totale per due ore supplementari di lavoro sarebbe di soli 27 yuan, poco più di 2 euro.


http://www.repubblica.it/tecnologia/201 ... -42475778/
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Messaggioda El Rojo » sab set 15, 2012 21:22 pm

[youtube]http://www.youtube.com/v/3RPDDKfm8UE&feature=relmfu[/youtube]
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Messaggioda El Rojo » lun set 17, 2012 22:55 pm

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Messaggioda El Rojo » mar set 18, 2012 19:54 pm

?Mi smo ono sto stvaramo?

Viaggio a Kragujevac, dove il Lingotto si gioca il futuro

Li vedi sfilare a fine turno sull'unico ponte che collega la fabbrica alla città. Polo bianca, pantaloni grigi, facce serie. Giovani in stragrande maggioranza, tanti ragazzi che dimostrano vent'anni o poco più. Alle loro spalle, sulla parete dello stabilimento, incombe una scritta a caratteri cubitali, visibile a centinaia di metri di distanza: ?Mi smo ono sto stvaramo?. Che vuol dire, tradotto dal serbo: ?Noi siamo quello che facciamo?. E loro fanno, eccome se fanno. Gli operai dello stabilimento Fiat di Kragujevac, 140 chilometri a sud di Belgrado, stanno in fabbrica dieci ore al giorno, per quattro giorni la settimana. Quaranta ore in tutto, con altre otto di straordinario, che da queste parti, almeno per adesso, è diventato una faticosa consuetudine. Non basta. Perché il caporeparto, spesso e volentieri, chiede di lavorare un giorno in più, giusto qualche ora per fissare un pezzo mal riuscito o per dare una sistemata alle macchine. Un'extra pagato? Magari. Tutto gratis. ?Ma come si fa a dire di no al capo, che è anche un amico? ?, taglia corto un operaio, uno dei pochi che accettano di scambiare qualche parola.

È vero, alla Fiat di Kragujevac non si usa dire di no. Perché in Serbia un lavoratore su quattro proprio non riesce a trovare un posto. E allora, con la disoccupazione al 25 per cento, l'inflazione al 10 e le casse dello Stato ormai allo stremo, la scritta sui muri della fabbrica (Noi siamo quello che facciamo) finisce per diventare un monito anche per chi sta fuori. Voi non siete niente perché non fate niente. E chi sta dentro la fabbrica non vuole certo tornare quello che era prima, una nullità, uno dei tanti che si arrangiano con il lavoro nero. Meglio chinare la testa, allora. Ubbidire ai capi e tacere con gli estranei.
VANNO COSÌ le cose a Kragujevac, Serbia profonda, la nuova frontiera della Fiat predicata e realizzata da Sergio Marchionne. Stipendi da 300-350 euro al mese, turni di lavoro massacranti, straordinari pagati solo in parte. Prendere o lasciare. Ma un'alternativa, un'alternativa vera, nessuno sa dove trovarla. E allora bisogna prendere, bisogna accettare l'offerta targata Italia. Anzi, targata Fiat Automobiles Serbia, in sigla Fas, la società controllata al 66,6 per cento da Torino e per il resto dal governo di Belgrado. A Kragujevac lavorano circa 2.000 dipendenti: 1.700 operai, il resto sono dirigenti e amministrativi.

Lo stabilimento funziona a pieno regime solo da qualche settimana, ad oltre quattro anni di distanza dall'accordo che nel 2008 consegnò (gratis) a Marchionne fabbrica e terreni dove sorgeva la Zastava, storica azienda motoristica che fin dal 1954, ai tempi della Jugoslavia di Tito, ha prodotto auto su licenza della casa di Torino. Esce da qui la 500L, l'unico modello davvero nuovo che i manager del Lingotto sono riusciti a mettere sul mercato nel 2012. ?Almeno 30 mila vetture entro la fine dell'anno?, questi gli obiettivi di produzione dichiarati dai vertici della Fiat per l'impianto di Kragujevac. Obiettivi quantomeno ambiziosi. Anche perché le auto, dopo averle fabbricate bisognerebbe pure venderle. E di questi tempi, un po' in tutta Europa, le aziende del settore fanno una gran fatica a convincere i potenziali clienti.

Ecco perché non si trova un analista disposto a scommettere sull'immediato mirabolante successo della versione large della 500, una monovolume che dovrà conquistare spazio in un segmento di mercato già presidiato da rivali come la Citroën C3 Picasso, la Opel Meriva e la Hyundai ix20. Anche ai più ottimisti tra i tifosi di Torino sembra improbabile che la 500L sia sufficiente, da sola, a garantire la sopravvivenza del modernissimo stabilimento di Kragujevac. "Siamo in grado di produrre tra 120 mila e 180 mila auto l'anno, tutto dipende dalla domanda di mercato", ha dichiarato il numero uno di Fiat Serbia, Antonio Cesare Ferrara, in una recente intervista all'agenzia di stampa Tanjug. Già, tutto dipende dal mercato. Anche Marchionne se la cavava così quando raccontava dei 20 miliardi di investimenti del fantomatico piano "Fabbrica Italia". Poi s'è visto com'è andata a finire. Parole al vento.
IN SERBIA, invece, fonti del governo di Belgrado e anche del gruppo italiano nei mesi scorsi hanno accreditato l'ipotesi che Kragujevac possa arrivare a produrre oltre 200 mila auto l'anno. Tante, tantissime, se si pensa che quest'anno i quattro impianti italiani della Fiat non arriveranno, messi insieme, a 500 mila vetture, con la storica fabbrica di Mirafiori (quasi) ferma a quota 50 mila, forse anche meno. La domanda, a questo punto, è la seguente. Perché mai Marchionne dovrebbe accontentarsi di far viaggiare a mezzo servizio uno stabilimento nuovo di zecca, moderno ed efficiente a poche centinaia di chilometri dalla frontiera italiana? E per di più con tanto di manodopera qualificata e con un costo del lavoro pari a meno di un quinto rispetto a quello degli operai del Belpaese?

Le possibili risposte sono due. La prima: la 500L si rivela un clamoroso successo planetario, travolge le dirette concorrenti sul mercato e arriva a sfiorare i livelli di vendita delle best seller del gruppo, Punto e Panda. Tutto è possibile, certo, ma al momento un boom di queste dimensioni sembra davvero improbabile. Ipotesi numero due: la 500 in versione large serve giusto per il rodaggio della fabbrica serba. Il bello (si fa per dire) viene dopo. Quando Marchionne, accantonato una volta per tutte il bluff di Fabbrica Italia, annuncerà nuovi tagli negli stabilimenti italiani. Colpa del crollo delle vendite, si dirà, che rende insostenibili i costi di produzione nella Penisola. L'alternativa? Eccola: si chiama Kragujevac. Da queste parti la Fiat ha già accumulato due anni di ritardo rispetto ai piani di partenza e non può più permettersi battute a vuoto. Il governo serbo, da parte sua, ha fatto ponti d'oro all'investitore straniero. Ha regalato terreni e stabilimento (peraltro ridotto quasi in macerie dai bombardamenti della Nato del 1999), ha istituito una zona franca, ha garantito esenzioni fiscali e contributive, ha investito decine di milioni di euro nel progetto promettendo, in aggiunta, nuove strade e ferrovie. Solo che nel frattempo Belgrado ha finito i soldi e pure il governo è cambiato. Con le elezioni del maggio scorso ha perso il posto Boris Tadic, il presidente che insieme al ministro dell'economia Mladjan Dinkic, era stato il principale sponsor di Marchionne. Adesso comandano Tomislav Nikolic (presidente) e Ivica Dacic (primo ministro), due vecchie volpi della politica locale, nazionalisti un tempo vicini a Slobodan Milosevic. Così a Belgrado non si parla quasi più di entrare nella Ue e la stella polare del nuovo governo è Vladimir Putin, che si è affrettato a promettere appoggio politico e, soprattutto, soldi a palate.

ANCHE MARCHIONNE è stato costretto a fare i conti con la coppia Nikolic-Dacic. Il piatto piange. Il capo della Fiat reclamava 90 milioni cash a suo tempo promessi da Belgrado. Nessuno scontro. L'accordo è arrivato a tempo di record. Il governo si impegnato a pagare in due rate. La prima, 50 milioni, entro la fine dell'anno. Il resto nel 2013. Marchionne, che ha incontrato Nikolic a Kragujevac il 4 settembre scorso, a quanto pare si fida. O finge di farlo. Del resto il capo del Lingotto sa bene che i serbi a questo punto non possono tirarsi indietro. La perdita dei posti di lavoro promessi dalla Fiat sarebbe una catastrofe politica per il nuovo esecutivo. Marchionne, grande pokerista, ancora una volta può giocare le carte migliori. E a Belgrado non c'è neppure bisogno di bluffare. Il piano "Fabbrica Serbia" ormai è realtà.
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Messaggioda El Rojo » mer set 19, 2012 10:12 am

Ancora sull' ALCOA..

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Ne è passato di tempo da quando gli operai avevano di fronte il padrone delle ferriere. Lo ignorano però i politici e sindacalisti che trattano la vicenda Alcoa solo come vertenza di lavoro, tacendo sulla reale identità della controparte. Che cos?è l?Aluminum Company of America? Nata nel 1888 a Pittsburgh, è oggi leader mondiale nell?estrazione e raffinazione della bauxite e nella fabbricazione di alluminio e prodotti derivati. Gli Stati uniti hanno però poca bauxite, i cui giacimenti si concentrano in Sudamerica, Africa, Russia, Cina, Sud-Est asiatico e Australia. L?Alcoa ha quindi sempre cercato di accaparrarsi la materia prima, ovunque e comunque. La sua storia è perciò intessuta con quella dell?imperialismo Usa.

Non a caso, dopo il colpo di stato orchestrato dalla Cia in Indonesia nel 1965, con il massacro di oltre un milione di persone, fu l?Alcoa a ottenere dal dittatore Suharto la più grossa fetta della bauxite indonesiana. Fu ancora l?Alcoa che, dopo il colpo di stato organizzato dalla Cia in Cile nel 1973, riottenne da Pinochet il controllo della bauxite, nazionalizzata da Allende. Non è neppure un caso che il presidente del Paraguay, l?ex vescovo Fernando Lugo, che voleva nazionalizzare le miniere di bauxite dell?Alcoa, sia stato destituito lo scorso giugno con un golpe bianco organizzato dalla Cia. Il potere dell?Alcoa, che possiede oltre 200 impianti in 31 paesi di tutti i continenti, va ben oltre l?attività industriale. Come emerso da Wikileaks, dietro l?Alcoa ci sono le più forti oligarchie finanziarie Usa, dalla Citicorp alla Goldman Sachs (di cui Monti è stato consulente internazionale).

C?è il complesso militare-industriale: l?Alcoa Defense, il cui fatturato è in forte crescita, fabbrica speciali leghe di alluminio per missili, droni, blindati, navi e aerei da guerra. Per i caccia F-35 produce elementi strutturali di primaria importanza (trasversali alla fusoliera in corrispondenza delle ali e interni alle ali). In tale quadro di poteri forti è maturata la decisione strategica dell?Alcoa, dovuta a ragioni non solo economiche ma politico-militari: quella di realizzare in Arabia Saudita il più grande ed economico impianto integrato per la produzione di alluminio. Nel maxi impianto, che entrerà in funzione l?anno prossimo con energia e manodopera (soprattutto immigrata) a basso costo, sarà trasferita anche la produzione Alcoa di Portovesme e forse di Fusina.

Si conclude così l?operazione varata e perfezionata dai governi Dini, Prodi e D?Alema. Nel 1996 l?Italia cedette all?Alcoa il gruppo Alumix a partecipazione statale, base dell?industria nazionale dell?alluminio, quindi le fornì tramite l?Enel energia elettrica a prezzi fortemente scontati. Tale agevolazione, concessa tramite rimborsi anche dai successivi governi (Amato, Prodi e Berlusconi), è stata pagata dagli utenti italiani con un aggravio delle bollette per miliardi di euro, finiti nelle casse dell?Alcoa. Spremuto il limone, l?Alcoa se ne va. Lasciandosi alle spalle non solo lavoratori sul lastrico, ma danni ambientali e sanitari provocati da emissioni chimiche e rifiuti di lavorazione, che richiedono altri esborsi di denaro pubblico. Non tutto è perduto però: l?alluminio Alcoa tornerà in Italia. Dentro gli F-35, che ci costeranno altri miliardi di euro.



Fonte: www.ilmanifesto.it
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Messaggioda El Rojo » gio set 20, 2012 18:04 pm

Di nuovo AlCOA...

In Brasile, l'elettricità ha i costi più alti tra le economie emergenti, di gran lunga superiori rispetto a Cina, India e Russia. Per le industrie che producono alluminio, come l'Alcoa, l'energia rappresenta il 40% dei costi sostenuti.


Così, il CEO di Alcoa in Brasile, lo scorso maggio, ha dichiarato che non si può andare avanti così e che la compagnia stava considerando di uscire dal mercato brasiliano con il conseguente stop della produzione e dei posti di lavoro. Proprio come è successo qui da noi.

Il Presidente Dilma Rousseff è corsa subito ai ripari. E cosa ha fatto? Ha pagato l'elettricità all'Alcoa coi soldi dei contribuenti? Ha aumentato le bollette dei malcapitati utenti? Ha supplicato in ginocchio i produttori di alluminio? Ha messo tutti in cassa integrazione e buonanotte? Niente affatto: ha dichiarato che le compagnie elettriche devono abbassare immediatamente i prezzi del 28% a tutte le imprese, altrimenti non verrà loro rinnovata la concessione nel 2017.

Bloomberg, che racconta la vicenda, riporta che l'annuncio è stato accolto dalle facce stupefatte e pietrificate degli specialisti del settore e dei manager delle compagnie elettriche. Non stentiamo a crederlo. Si sono beccati anche un crollo azionario, per soprammercato.

La signora Presidente del Brasile è una donna, e non vorrei usare il solito commento un po' volgare nel paragonarla a quei pavidi impotenti dei nostri politici, sempre inginocchiati davanti agli interessi degli azionisti invece che a quelli del Paese. Al commento ci siete arrivati da soli.


http://petrolio.blogosfere.it/2012/09/a ... asile.html
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Messaggioda El Rojo » sab set 29, 2012 11:11 am

[youtube]http://www.youtube.com/v/xC3WiEIKeoM[/youtube]

ieri...

[youtube]http://www.youtube.com/v/n4oheL13ABU[/youtube]
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Messaggioda giorgiolx » sab set 29, 2012 11:42 am

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vado a uccidere il frigorifero che mi sta fissando

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Messaggioda El Rojo » gio ott 04, 2012 12:29 pm

[youtube]http://www.youtube.com/v/Ma2MDvVLKuQ&feature=player_embedded#![/youtube]
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Messaggioda MarcoS » gio ott 04, 2012 17:11 pm

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Messaggioda Freespirit » gio ott 04, 2012 20:07 pm

El Rojo ha scritto:

Fonte: www.ilmanifesto.it


una fonte pluralista e non di parte :cry:
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Messaggioda Sbob » gio ott 04, 2012 22:31 pm

Freespirit ha scritto:
El Rojo ha scritto:

Fonte: www.ilmanifesto.it


una fonte pluralista e non di parte :cry:

Sei uno di quelli che credono alle fonti "neutre" o "pluraliste"?

Non esiste nessun giornale o rete televisiva pluralista. Ognuno ha un suo proprietario con dei suoi interessi, e un direttore con delle sue idee. Le sole differenze sono tra i giornali seri che riportano fatti veri e quelli che se li inventano di sana pianta (tipo un certo giornale il cui direttore rischia il carcere), e tra i giornali che dichiarano il loro orientamento politico e quelli che fingono di essere neutrali.
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Messaggioda El Rojo » lun ott 15, 2012 9:52 am

15 0ttobre 1987..

Thomas Isidor Sankara e la rivoluzione burkinabè

Thomas Sankara:
?Occorre rivelare che può esserci serenità per i nostri popoli soltanto se giriamo radicalmente le spalle a tutti i modelli che hanno provato a venderci durante questi 20 anni. Non può esserci per noi sviluppo al di fuori di questa rottura?.

Non è l'affermazione di un teorico, ma di un vero capo di stato. Un presidente che conosceva e affrontava di petto i problemi della sua terra.
L'Alto Volta, che con lui prenderà il nome di Burkina Faso: " il paese degli uomini che dicono la verità", era uno dei più poveri al mondo.
Con Sankara lo sviluppo ha portato il bilancio del paese, in deficit di 1 miliardo nel 1983, a un attivo di 2 miliardi nel 1985.
La convinzione che lo ispirava era semplice e chiara:
"La felicità a partire dagli ultimi"

La prassi economica consisteva in molti "NO" al mondo ricco e il perseguimento dello sviluppo secondo un modello alimentare e un modo di vivere basati su quanto offriva il paese e sulla produzione locale.

-riso bianco di importazione? No, miglio locale, più nutriente e dà occupazione: lo produciamo noi
-mele di importazione? No, manghi, più nutrienti e danno occupazione: li produciamo noi
-vestiti d'importazione? No ai "costumi" stranieri. Fasò danfanì, il costume tradizionale, dà occupazione: tessuto, tinto e confezionato da noi

La sovranità alimentare era il suo primo obiettivo raggiunto in meno di quattro anni.
"Due pasti e dieci litri di acqua al giorno per tutti " dà la misura delle condizioni dell'Alto Volta quando Sankara arrrivò alla Presidenza sull'onda di una rivolta popolare che lo liberò dagli arresti domiciliari in cui lo teneva il regime militare al potere.

-Il debito: No alla doppia morale.
Come si fa a parlare di aiuti, e accettarli da quegli stessi paesi che, per una via evidente, inviano ciboe per altre più nascoste inviano armi per uccidere? Quegli stessi stati che impongono all'Africa come modello di sviluppo la perpetua mendicità.

-Gli aiuti del FMI: No agli aiuti dall'estero.
Il finanziamento di una superstrada che colleghi il Nord e il Sud del paese non serve al Burkina Faso, che ha il diritto di decidere e scegliere, conoscendo quello che serve: una ferrovia che percorra il paese.


L'importanza di questi programmi non era solamente un progresso delle condizioni di vita, era la conservazione di una visione propria, la possibilità di procedere dai bisogni immediati e basilari ai bisogni superiori senza abbandonare la propria cultura. La difesa di sè diventava arricchimento del mondo, in contrasto con l'appiattimento della globalizzazione su pochi modelli imposti, sul consumismo in particolare, e, col tempo, avrebbe favorito la creatività delle idee e dell'arte.
[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=6LO1R14_gN0&feature=youtu.be]
«Per l'imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. La dominazione culturale è la più flessibile, la più efficace, la meno costosa. Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità. »

http://www.youtube.com/watch?v=KmXj3slm ... ure=colike
1987
In uno storico discorso alla conferenza panafricana di Addis Abeba, Sankara si rivolge all'Occidente
«Ci avete sempre preso tutto, non vi dobbiamo niente: lasciateci in pace, e proviamo a vivere insieme, in modo Burkina 1dignitoso e autonomo».
Chiese la cancellazione del debito, aggiungendo: vi andava bene quando guadagnavate, ora chiedete il rimborso? Signori, avete giocato al casinò e avete perso, ecco tutto e la vita continua?
Invece per lui la vita non è continuata, ma lo aveva predetto
«Se il Burkina Faso resterà solo nella richiesta di cancellazione del debito, io l?anno prossimo non sarò più qui a questa conferenza»
L'eroismo è avere piena coscienza del rischio a cui si va incontro e, ciononostante, andare avanti.
Thomas Sankara venne ucciso il 15 ottobre 1987. Mandanti mai accertati: nessuna indagine è stata condotta. I promotori della petizione per chiedere giustizia puntarono il dito su Parigi. Diretto beneficiario fu il successore Blaise Compaoré, uomo della Francia tuttora in carica.
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Messaggioda PIEDENERO » lun ott 15, 2012 16:39 pm

El Rojo ha scritto:15 0ttobre 1987..

Chiese la cancellazione del debito, aggiungendo: vi andava bene quando guadagnavate, ora chiedete il rimborso? Signori, avete giocato al casinò e avete perso, ecco tutto e la vita continua?

se lo facessero grecia, spagna, portogallo....italia....
cosa potrebbe accadere?
questa cosa incomincia a piacermi 8)
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Messaggioda El Rojo » lun ott 15, 2012 17:21 pm

PIEDENERO ha scritto:
El Rojo ha scritto:15 0ttobre 1987..

Chiese la cancellazione del debito, aggiungendo: vi andava bene quando guadagnavate, ora chiedete il rimborso? Signori, avete giocato al casinò e avete perso, ecco tutto e la vita continua?

se lo facessero grecia, spagna, portogallo....italia....
cosa potrebbe accadere?


Non lo faranno.
Ecco perché:

- Le banche di quasi tutti i Paesi dell?Eurozona dipendono oggi ormai interamente dagli esborsi della BCE di Draghi (i LTRO) per sopravvivere, dato che sono tutte tecnicamente fallite da un pezzo, per svariati motivi, fra cui la loro indecente passata scelleratezza. Questo dà a Draghi un potere immenso oggi in Eurozona. Ma si faccia attenzione per capire meglio quanto dirò sotto: quando la BCE concede finanziamenti alle banche (LTRO appunto), pretende in cambio delle contropartite chiamate assets. Se no i soldi non arrivano. Non è vero che la BCE concede miliardi alle banche a gratis, deve sempre avere contropartite. Ora, è ovvio che se la BCE giudica quelle contropartite inadeguate e le rifiuta, la banca rimane a secco. Ok?

Bene. La BCE si è di recente dotata di un pezzo di legislazione interna che si chiama Struttura di Controllo del Rischio, che dà il potere alla Banca diretta da Draghi di giudicare qualsiasi contropartita bancaria (gli assets) inaccettabile, a sua esclusiva discrezione. Ecco cosa accadrà all?Italia:

La Troika (come già il Fondo Monetario sta facendo in queste ore) insisterà che l?Italia si affidi d?urgenza ai fondi salva Stati EFSF e MES. Monti farà la scenetta del ?No! Non ne abbiamo bisogno?. Draghi manderà alle maggiori banche italiane una circolare dove si legge che ?in virtù di quanto sancito dalla Struttura di Controllo del Rischio, ahimè, gli asset in contropartita che le banche italiane ci offrono per i finanziamenti dalla BCE sono divenuti inaccettabilii. Ergo, no soldi?. La banche si attaccheranno disperate al telefono e in 5 minuti Monti saprà che l?intero sistema bancario Italiano è a un passo dal crollo in stile 1929, cioè l?apocalisse economica e il panico per le strade. Al sesto minuto Monti farà sapere alla stampa che l?Italia ha accettato l?aiuto dei fondi salva Stati. Saremo servi, impotenti, delegittimati, senza più una sovranità neppure di facciata come oggi.

Ipotesi? Solo allarmate ipotesi? Per la cronaca: come credete che sia avvenuta la resa di Irlanda (2010) e Spagna (5/2012) agli aiuti dell?EFSF e della Troika rispettivamente? Esattamente come descritto sopra. Né Irlanda né Spagna erano realmente al collasso bancario, vi erano vie d?uscita, ma ahimè non gradite agli speculatori e ai ?rentiers? che controllano i colletti bianchi di BCE e FMI. Ergo, le hanno ricattate e rese schiave.


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Messaggioda PIEDENERO » mar ott 16, 2012 10:50 am

El Rojo ha scritto:
PIEDENERO ha scritto:
El Rojo ha scritto:15 0ttobre 1987..

Chiese la cancellazione del debito, aggiungendo: vi andava bene quando guadagnavate, ora chiedete il rimborso? Signori, avete giocato al casinò e avete perso, ecco tutto e la vita continua?

se lo facessero grecia, spagna, portogallo....italia....
cosa potrebbe accadere?


Non lo faranno.
Ecco perché:

- Le banche di quasi tutti i Paesi dell?Eurozona dipendono oggi ormai interamente dagli esborsi della BCE di Draghi (i LTRO) per sopravvivere, dato che sono tutte tecnicamente fallite da un pezzo, per svariati motivi, fra cui la loro indecente passata scelleratezza. Questo dà a Draghi un potere immenso oggi in Eurozona. Ma si faccia attenzione per capire meglio quanto dirò sotto: quando la BCE concede finanziamenti alle banche (LTRO appunto), pretende in cambio delle contropartite chiamate assets. Se no i soldi non arrivano. Non è vero che la BCE concede miliardi alle banche a gratis, deve sempre avere contropartite. Ora, è ovvio che se la BCE giudica quelle contropartite inadeguate e le rifiuta, la banca rimane a secco. Ok?

Bene. La BCE si è di recente dotata di un pezzo di legislazione interna che si chiama Struttura di Controllo del Rischio, che dà il potere alla Banca diretta da Draghi di giudicare qualsiasi contropartita bancaria (gli assets) inaccettabile, a sua esclusiva discrezione. Ecco cosa accadrà all?Italia:

La Troika (come già il Fondo Monetario sta facendo in queste ore) insisterà che l?Italia si affidi d?urgenza ai fondi salva Stati EFSF e MES. Monti farà la scenetta del ?No! Non ne abbiamo bisogno?. Draghi manderà alle maggiori banche italiane una circolare dove si legge che ?in virtù di quanto sancito dalla Struttura di Controllo del Rischio, ahimè, gli asset in contropartita che le banche italiane ci offrono per i finanziamenti dalla BCE sono divenuti inaccettabilii. Ergo, no soldi?. La banche si attaccheranno disperate al telefono e in 5 minuti Monti saprà che l?intero sistema bancario Italiano è a un passo dal crollo in stile 1929, cioè l?apocalisse economica e il panico per le strade. Al sesto minuto Monti farà sapere alla stampa che l?Italia ha accettato l?aiuto dei fondi salva Stati. Saremo servi, impotenti, delegittimati, senza più una sovranità neppure di facciata come oggi.

Ipotesi? Solo allarmate ipotesi? Per la cronaca: come credete che sia avvenuta la resa di Irlanda (2010) e Spagna (5/2012) agli aiuti dell?EFSF e della Troika rispettivamente? Esattamente come descritto sopra. Né Irlanda né Spagna erano realmente al collasso bancario, vi erano vie d?uscita, ma ahimè non gradite agli speculatori e ai ?rentiers? che controllano i colletti bianchi di BCE e FMI. Ergo, le hanno ricattate e rese schiave.


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meglio, ci prendiamo l' aiuto del fondo salvastati e poi tanti saluti :smt039
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Messaggioda bondagnente » mer ott 17, 2012 12:07 pm

buongiorno
ne ho i coglioni pieni di ste manovre di merda baaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah ma che vadano a cagare
ho letto oggi della nuova manovra che fa il governo, l'ho sempre evitato perchè altrimenti mi viene il vomito....hanno proprio pensato alla famiglia, all'operaio che prende 1200 euro al mese se non meno...ma anche poco più non è che cambi molto :smt078
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Messaggioda Freespirit » mer ott 17, 2012 17:21 pm

chissà dove sono finiti tutti i sindacati, popoli viola e compagni.....tutto fila liscio

non oso immaginare quanti scioperi e piazze se queste pseudo riforme fatte con la scusa della crisi le avesse fatte il governo precedente
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Messaggioda grip » mer ott 17, 2012 17:23 pm

invece de abbassare l'iva per far aumentare le vendite ...la vanno ad alzare de naltro punto....

poi se lamentano se la gente non vuole lo scontrino

Bocconi del caxxo...la cepu han fatto questi
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