Francia, Italia, Spagna: i conservatori a volte ritornano...

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Messaggioda HappyFra » gio giu 23, 2005 9:13 am

HappyFra ha scritto:
yo ha scritto:
Carlo78 ha scritto:Sempre + difficile rispondere.

Bisogna leggere bene. E replicare sulle parole effettivamente scritte dall'altro, senza mettergli in bocca parole mai dette.
Altrimenti è un'anarchia senza senso, e io mi vedo giustificato a rispondere a qualsiasi cosa con:
"Speriamo che il Milan non si prenda Gilardino".

Ho detto che:
E' gia stata dimostrata la non totale correttezza nella proposizione
"Cogito ergo sum"

Ovvero del concetto che "Sono ciò che penso".

"non totale correttezza" non vuol dire totale inesattezza o infondatezza.


"Cogito ergo sum" tradotto significa "penso quindi sono"
Non mi cimento sulla fondatezza o meno di questo concetto, è per questo che ho lanciato la sfida, mi sembra una cosa difficile da confutare e questo è alla base di molti ragionamenti di molti studiosi, della scienza e della Chiesa.


Il tema è complesso e tocca alle radici un paio dei problemi fondamentali della filosofia occidentale, per cui non ho certo la pretesa di risolverlo con un post di quattro righe.
Smarcato il problema della paternità della frase, rimangono i possibili punti deboli, e te ne cito solo due.
Il primo è che non risolve l'irrisolvibile problema del solispismo, ovvero l'ipotesi filosofica che tutto il reale sia il sogno di un'unica mente sognante. Ammettiamo per un attimo che tutto ciò che sta succedendo sia un mio sogno; in questo caso io sto sognando anche il "cogito ergo sum", quindi, propriamente, non sto pensando, ma sognando di pensare. In questo caso l'essenza dell'io che verrebbe dimostrato risulterebbe fallace.
L'ipotesi solipsista è affascinante, inconfutabile e non particolarmente attrattiva, ma spesso utile per le riduzioni all'assordo che permette di raggiungere, almeno per chi apprezza la speculazione pura.
Il secondo punto debole, molto più interessante ma anche molto più complesso, che il "cogito ergo sum" in realtà, partendo dall'utilizzo di un verbo posto in prima persona postula quando pretende di dimostrare. Un modo più corretto di esprimersi potrebbe dunque essere: "si pensa, dunque qualcosa esiste". Esiste il pensiero, ma questo implica necessariamente l'esistenza di un io pensante? Il quesito è molto, molto complesso e richiede qualche riflessione non banale, altrimenti la tentazione di rigettarlo come un inutile sofisma può essere forte.
L'esistenza del pensiero è sufficente a dimostrare l'esistenza oggettiva di un io pensante indipendente? La risposta è tutt'altro che scontata...


Rileggendo quanto ho scritto ieri mi sono accorto di essere stato un po' troppo tecnico e forse anche confuso. Nell'illusione che a qualcuno possa interessare, provo a spiegarmi meglio.
Fok scriveva in un post precedente di essere un realista (in senso filosofico), ovvero di credere all'esistenza oggettiva dei fenomeni a prescindere dall'osservatore (odio mettere in bocca alla gente parole che non ha detto; Fok, se in questo caso l'ho fatto te ne chiedo scusa e ti prego di correggermi). Secondo questa visione, il reale è composto da fenomeni indipendenti che interagiscono mantenendo una propria continuità oggettiva coerente con l'idea che sta alla base del "cogito ergo sum" cartesiano. Ovvero: anche se posso dubitare di tutto, alla fine sono conscio dell'esistenza del mio pensiero, per cui deve esistere un io pensante e da lì riparto a costruire un mondo di fenomeni oggettivamente esistenti.
Ora, a mio modo di vedere l'errore di questa posizione è il confondere il concetto di "esistenza" con quello di "esistenza oggettiva e indipendente". Mi spiego meglio: esiste il pensiero, okay? Come esiste un onda, o un filo di brezza. Un onda esiste in modo oggettivo e indipendente? O è una parte più o meno arbitraria di un continuo che distinguiamo ed individuiamo per scopi "funzionali" e che poi può essere riassobita nel continuum stesso? L'oceano si muove, l'aria si muove. Questo basta a dire che alla base di questo movimento ci sono onde o brezze oggettivamente esistenti?
Prendiamo il più semplice degli oggetti comuni, come un tavolo. Esso ci appare come solido, oggettivo, capace di esistere a prescindere dal fatto che ci sia qualcuno che lo guarda o meno, giusto? Quindi dotato di un'esistenza intrinseca e di una propria "essenza".
Bene, adesso prendiamo una sega e tagliamo via due centimetri di gambe. Il nostro tavolo non è cambiato molto. Ripetiamo l'operazione, e poi facciamolo di nuovo. Ad un certo punto saremo costretti a riconoscere che quello che avremo davanti non sarà più un tavolo ma qualcosa d'altro. Dove è andata a finire l'essenza intrinseca del tavolo? Sparita con l'ultimo centimetro di gambe che ho tagliato? Allora l'essenza del tavolo sta in quei quattro cilindretti di legno? Non ha molto senso, no?
Le "essenze" dovrebbero essere cose serie, non possono sparire e riapparire a casaccio! Se c'era prima, da qualche parte deve essere andata, altrimenti... forse significa che non è sparita perché non c'era mai stata! :!: :!: :!:

Ergo: i fenomeni non hanno esistenza oggettiva.
Ogni problema complesso ammette almeno una soluzione semplice. Sbagliata.


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Messaggioda Buzz » gio giu 23, 2005 9:42 am

miiiiiii :D :D :D :D

happyfrà... ma non ti viene il mal di pancia a pensare questi pensieri ?

;-)


che pretendi dal povero renè? doveva far quadrare il dubbio (la scienza) con dio (se no lo inchiappettavano)

la fisica delle particelle ha già tagliato le gambe al cogito ergo sum ovvero alle "esistenze oggettive" ... non ti ci mettere pure te :-D
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Messaggioda smaz » gio giu 23, 2005 10:13 am

HappyFra ha scritto:Ergo: i fenomeni non hanno esistenza oggettiva.


Queste dimostrazioni le trovo poco interessanti, il nostro cervello funziona per associazioni e idee, estrapolate e immagazzinta dalle percezioni quotidiane e da idee e immagini trasmesse da altri. Ciò che sopravvive è solo l'idea, l'informazione. Il tavolo sappiamo tutti che è composto da un piano e quattro piedi, è questa l'essenza, lo puoi disegnare, immaginare, costruire o descrivere come hai fatto tu. E' questa l'unica essenza che possiamo immaginare perchè la nostra mente è fatta così, funziona per similitudini così come il nostro linguaggio e il modo di pensare. E' la natura umana, per noi l'esistere di qualcosa è proprio questo, poterlo pensare descriverlo, che importa se non è oggettivo? siamo esseri umani, ragioniamo da esseri umani, non da accelleratori di particelle o entità prive di pensiero e percezione.
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Messaggioda yo » gio giu 23, 2005 10:40 am

Ommamma!
Devo iniziare a darmi alla filosofia della matematica altrimenti inizio a pensare che nemmeno i gay abbiano esistenza oggettiva

Questa è la volta che mi bannate dal forum

A parte la battuta di cattivo gusto ora mi chiedo per quale motivo i cattolici siano scesi in piazza a manifestare contro i diritti dei gay ... ma sono considerati diversi solo perchè non sono menzionati nei testi sacri? Forse che Dio non creò anche loro a propria immaggine e somiglianza?
Allora perchè non trovare una cura o sopprimerli?
Anche Hitler fece lo stesso con gli ebrei ...
A volte mi chiedo se il mondo non si stia preparando ad una bella guerra globale ... mah!
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Messaggioda smaz » gio giu 23, 2005 10:45 am

yo ha scritto:Ommamma!
Devo iniziare a darmi alla filosofia della matematica altrimenti inizio a pensare che nemmeno i gay abbiano esistenza oggettiva

Questa è la volta che mi bannate dal forum

A parte la battuta di cattivo gusto ora mi chiedo per quale motivo i cattolici siano scesi in piazza a manifestare contro i diritti dei gay ... ma sono considerati diversi solo perchè non sono menzionati nei testi sacri? Forse che Dio non creò anche loro a propria immaggine e somiglianza?
Allora perchè non trovare una cura o sopprimerli?
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E l'hai sentito il bossi? Felice perchè i nazionalismi stanno tornando!! e il popolo della lega ad applaudire... :?
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Messaggioda yo » gio giu 23, 2005 11:11 am

smaz ha scritto:
yo ha scritto:Ommamma!
Devo iniziare a darmi alla filosofia della matematica altrimenti inizio a pensare che nemmeno i gay abbiano esistenza oggettiva

Questa è la volta che mi bannate dal forum

A parte la battuta di cattivo gusto ora mi chiedo per quale motivo i cattolici siano scesi in piazza a manifestare contro i diritti dei gay ... ma sono considerati diversi solo perchè non sono menzionati nei testi sacri? Forse che Dio non creò anche loro a propria immaggine e somiglianza?
Allora perchè non trovare una cura o sopprimerli?
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E l'hai sentito il bossi? Felice perchè i nazionalismi stanno tornando!! e il popolo della lega ad applaudire... :?


ma che è un minchione Bossi ( non c'è una faccina di disgusto?)
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Messaggioda yinyang » gio giu 23, 2005 11:25 am

yo ha scritto:Ommamma!
Devo iniziare a darmi alla filosofia della matematica altrimenti inizio a pensare che nemmeno i gay abbiano esistenza oggettiva


eh no! almeno lasciate fuori la matematica da sto bordello! :cry: :lol:
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Messaggioda Fokozzone » gio giu 23, 2005 12:58 pm

HappyFra ha scritto:
Rileggendo quanto ho scritto ieri mi sono accorto di essere stato un po' troppo tecnico e forse anche confuso. Nell'illusione che a qualcuno possa interessare, provo a spiegarmi meglio.
Fok scriveva in un post precedente di essere un realista (in senso filosofico), ovvero di credere all'esistenza oggettiva dei fenomeni a prescindere dall'osservatore (odio mettere in bocca alla gente parole che non ha detto; Fok, se in questo caso l'ho fatto te ne chiedo scusa e ti prego di correggermi). Secondo questa visione, il reale è composto da fenomeni indipendenti che interagiscono mantenendo una propria continuità oggettiva coerente con l'idea che sta alla base del "cogito ergo sum" cartesiano. Ovvero: anche se posso dubitare di tutto, alla fine sono conscio dell'esistenza del mio pensiero, per cui deve esistere un io pensante e da lì riparto a costruire un mondo di fenomeni oggettivamente esistenti.
Ora, a mio modo di vedere l'errore di questa posizione è il confondere il concetto di "esistenza" con quello di "esistenza oggettiva e indipendente". Mi spiego meglio: esiste il pensiero, okay? Come esiste un onda, o un filo di brezza. Un onda esiste in modo oggettivo e indipendente? O è una parte più o meno arbitraria di un continuo che distinguiamo ed individuiamo per scopi "funzionali" e che poi può essere riassobita nel continuum stesso? L'oceano si muove, l'aria si muove. Questo basta a dire che alla base di questo movimento ci sono onde o brezze oggettivamente esistenti?
Prendiamo il più semplice degli oggetti comuni, come un tavolo. Esso ci appare come solido, oggettivo, capace di esistere a prescindere dal fatto che ci sia qualcuno che lo guarda o meno, giusto? Quindi dotato di un'esistenza intrinseca e di una propria "essenza".
Bene, adesso prendiamo una sega e tagliamo via due centimetri di gambe. Il nostro tavolo non è cambiato molto. Ripetiamo l'operazione, e poi facciamolo di nuovo. Ad un certo punto saremo costretti a riconoscere che quello che avremo davanti non sarà più un tavolo ma qualcosa d'altro. Dove è andata a finire l'essenza intrinseca del tavolo? Sparita con l'ultimo centimetro di gambe che ho tagliato? Allora l'essenza del tavolo sta in quei quattro cilindretti di legno? Non ha molto senso, no?
Le "essenze" dovrebbero essere cose serie, non possono sparire e riapparire a casaccio! Se c'era prima, da qualche parte deve essere andata, altrimenti... forse significa che non è sparita perché non c'era mai stata! :!: :!: :!:

Ergo: i fenomeni non hanno esistenza oggettiva.

La posizione realista è stata espressa bene da HF, tuttavia essa non si accorda con il "cogito ergo sum" che riflette una posizione più idealista, ma con il "cognosco ergo sum", che fa riferimento a una realtà esterna che esiste indipendentemente dall' osservatore. Rileggendo il post in cui introducevo questo argomento, si noterà che avevo specificato che "sul piano dell' essere" la realtà è oggettiva.
Il tentativo di controesempio di happyfra, pone una questione lecita, che richiede un approfondimento di spiegazione, ma che si dimostra ampiamente superabile.
Infatti il tavolo in questione, sul piano dell' essere è un pezzo di legno, sagomato e incollato in un certo modo. I suoi confini sono quelli che gli dà la materia. Se noi gli tagliamo le gambe, sarà un pezzo di legno un po' più piccolo, punto. Il tavolo come definizione universale è un ens rationis espresso dal nostro linguaggio, ma non è "quel" tavolo a cui stiamo tagliando le gambe. Pretendere dunque che la modifica sul piano dell' esistente coincida con la modifica dell' essenza dell' oggetto significherebbe che tale essenza è esistente in atto (Platone). Ma il realismo non afferma assolutamente ciò: l' essenza di un oggetto non esiste a priori, bensì è desunta, tramite osservazione dell' oggetto da una mente pensante, ed è un essere in potenza che ha il suo atto unicamente nella mente di una persona (umana o anche divina per chi ci crede).
Aggiungerei, con una nota di teologia, che l' essenza così definita è di competenza umana e non divina, infatti nella genesi si afferma che Dio diede all' uomo il compito di "dare il nome" alle cose e agli animali, dove l' operazione di dare il nome implica il delimitare i confini, ovvero l' identità dell' oggetto nominato, operazione che avviene in forma universale, condizione necessaria al linguaggio. (se il linguaggio non fosse universale ogni singolo oggetto dovrebbe avere il proprio nome e un nome diverso ogni minuto che passa...)

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Messaggioda HappyFra » gio giu 23, 2005 13:45 pm

Fokozzone ha scritto:
HappyFra ha scritto:
Rileggendo quanto ho scritto ieri mi sono accorto di essere stato un po' troppo tecnico e forse anche confuso. Nell'illusione che a qualcuno possa interessare, provo a spiegarmi meglio.
Fok scriveva in un post precedente di essere un realista (in senso filosofico), ovvero di credere all'esistenza oggettiva dei fenomeni a prescindere dall'osservatore (odio mettere in bocca alla gente parole che non ha detto; Fok, se in questo caso l'ho fatto te ne chiedo scusa e ti prego di correggermi). Secondo questa visione, il reale è composto da fenomeni indipendenti che interagiscono mantenendo una propria continuità oggettiva coerente con l'idea che sta alla base del "cogito ergo sum" cartesiano. Ovvero: anche se posso dubitare di tutto, alla fine sono conscio dell'esistenza del mio pensiero, per cui deve esistere un io pensante e da lì riparto a costruire un mondo di fenomeni oggettivamente esistenti.
Ora, a mio modo di vedere l'errore di questa posizione è il confondere il concetto di "esistenza" con quello di "esistenza oggettiva e indipendente". Mi spiego meglio: esiste il pensiero, okay? Come esiste un onda, o un filo di brezza. Un onda esiste in modo oggettivo e indipendente? O è una parte più o meno arbitraria di un continuo che distinguiamo ed individuiamo per scopi "funzionali" e che poi può essere riassobita nel continuum stesso? L'oceano si muove, l'aria si muove. Questo basta a dire che alla base di questo movimento ci sono onde o brezze oggettivamente esistenti?
Prendiamo il più semplice degli oggetti comuni, come un tavolo. Esso ci appare come solido, oggettivo, capace di esistere a prescindere dal fatto che ci sia qualcuno che lo guarda o meno, giusto? Quindi dotato di un'esistenza intrinseca e di una propria "essenza".
Bene, adesso prendiamo una sega e tagliamo via due centimetri di gambe. Il nostro tavolo non è cambiato molto. Ripetiamo l'operazione, e poi facciamolo di nuovo. Ad un certo punto saremo costretti a riconoscere che quello che avremo davanti non sarà più un tavolo ma qualcosa d'altro. Dove è andata a finire l'essenza intrinseca del tavolo? Sparita con l'ultimo centimetro di gambe che ho tagliato? Allora l'essenza del tavolo sta in quei quattro cilindretti di legno? Non ha molto senso, no?
Le "essenze" dovrebbero essere cose serie, non possono sparire e riapparire a casaccio! Se c'era prima, da qualche parte deve essere andata, altrimenti... forse significa che non è sparita perché non c'era mai stata! :!: :!: :!:

Ergo: i fenomeni non hanno esistenza oggettiva.

La posizione realista è stata espressa bene da HF, tuttavia essa non si accorda con il "cogito ergo sum" che riflette una posizione più idealista, ma con il "cognosco ergo sum", che fa riferimento a una realtà esterna che esiste indipendentemente dall' osservatore. Rileggendo il post in cui introducevo questo argomento, si noterà che avevo specificato che "sul piano dell' essere" la realtà è oggettiva.
Il tentativo di controesempio di happyfra, pone una questione lecita, che richiede un approfondimento di spiegazione, ma che si dimostra ampiamente superabile.
Infatti il tavolo in questione, sul piano dell' essere è un pezzo di legno, sagomato e incollato in un certo modo. I suoi confini sono quelli che gli dà la materia. Se noi gli tagliamo le gambe, sarà un pezzo di legno un po' più piccolo, punto. Il tavolo come definizione universale è un ens rationis espresso dal nostro linguaggio, ma non è "quel" tavolo a cui stiamo tagliando le gambe. Pretendere dunque che la modifica sul piano dell' esistente coincida con la modifica dell' essenza dell' oggetto significherebbe che tale essenza è esistente in atto (Platone). Ma il realismo non afferma assolutamente ciò: l' essenza di un oggetto non esiste a priori, bensì è desunta, tramite osservazione dell' oggetto da una mente pensante, ed è un essere in potenza che ha il suo atto unicamente nella mente di una persona (umana o anche divina per chi ci crede).
Aggiungerei, con una nota di teologia, che l' essenza così definita è di competenza umana e non divina, infatti nella genesi si afferma che Dio diede all' uomo il compito di "dare il nome" alle cose e agli animali, dove l' operazione di dare il nome implica il delimitare i confini, ovvero l' identità dell' oggetto nominato, operazione che avviene in forma universale, condizione necessaria al linguaggio. (se il linguaggio non fosse universale ogni singolo oggetto dovrebbe avere il proprio nome e un nome diverso ogni minuto che passa...)

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Wow... siamo al neoaristotelismo! Sbaglio o dal tuo ragionamento possiamo tranquillamente concludere che l'essenza dell'oggetto esista in funzione di un osservatore che la stabilisce su una base di imputazione di per sé neutra? Ergo, non esiste oggettivamente, ma come convenzione.

By the way, cosa intendi esattamente per essere "un essere in potenza che ha il suo atto unicamente nella mente di una persona"?
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Messaggioda HappyFra » gio giu 23, 2005 13:53 pm

smaz ha scritto:
HappyFra ha scritto:Ergo: i fenomeni non hanno esistenza oggettiva.


Queste dimostrazioni le trovo poco interessanti, il nostro cervello funziona per associazioni e idee, estrapolate e immagazzinta dalle percezioni quotidiane e da idee e immagini trasmesse da altri. Ciò che sopravvive è solo l'idea, l'informazione. Il tavolo sappiamo tutti che è composto da un piano e quattro piedi, è questa l'essenza, lo puoi disegnare, immaginare, costruire o descrivere come hai fatto tu. E' questa l'unica essenza che possiamo immaginare perchè la nostra mente è fatta così, funziona per similitudini così come il nostro linguaggio e il modo di pensare. E' la natura umana, per noi l'esistere di qualcosa è proprio questo, poterlo pensare descriverlo, che importa se non è oggettivo? siamo esseri umani, ragioniamo da esseri umani, non da accelleratori di particelle o entità prive di pensiero e percezione.


Non sono assolutamente d'accordo (ovviamente) con la tua affermazione di partenza. Una visione ontologica del reale che accetta la mancanza di esistenza intrinseca dei fenomeni ha delle enormi implicazioni sul piano etico, e in particolare trascina una assunzione di responsabilità per ciò che ci accade e per ciò che proviamo. Anche se intellettualmente forse ne siamo più o meno consci, tutti noi siamo, a vari livelli, condizionati a vedere il mondo come composto da entità esistenti in modo oggettivo e indipendente. Se invece siamo capaci di ricostruire una corretta gerarchia cognitiva e di valore e di assumercene la responsabilità... allora cambia tutto, ma proprio tutto!
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Messaggioda HappyFra » gio giu 23, 2005 13:58 pm

smaz ha scritto:
HappyFra ha scritto:Ergo: i fenomeni non hanno esistenza oggettiva.


Queste dimostrazioni le trovo poco interessanti, il nostro cervello funziona per associazioni e idee, estrapolate e immagazzinta dalle percezioni quotidiane e da idee e immagini trasmesse da altri. Ciò che sopravvive è solo l'idea, l'informazione. Il tavolo sappiamo tutti che è composto da un piano e quattro piedi, è questa l'essenza, lo puoi disegnare, immaginare, costruire o descrivere come hai fatto tu. E' questa l'unica essenza che possiamo immaginare perchè la nostra mente è fatta così, funziona per similitudini così come il nostro linguaggio e il modo di pensare. E' la natura umana, per noi l'esistere di qualcosa è proprio questo, poterlo pensare descriverlo, che importa se non è oggettivo? siamo esseri umani, ragioniamo da esseri umani, non da accelleratori di particelle o entità prive di pensiero e percezione.


Non sono assolutamente d'accordo (ovviamente) con la tua affermazione di partenza. Una visione ontologica del reale che accetta la mancanza di esistenza intrinseca dei fenomeni ha delle enormi implicazioni sul piano etico, e in particolare trascina una assunzione di responsabilità per ciò che ci accade e per ciò che proviamo. Anche se intellettualmente forse ne siamo più o meno consci, tutti noi siamo, a vari livelli, condizionati a vedere il mondo come composto da entità esistenti in modo oggettivo e indipendente. Se invece siamo capaci di ricostruire una corretta gerarchia cognitiva e di valore e di assumercene la responsabilità... allora cambia tutto, ma proprio tutto!
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Messaggioda Fokozzone » gio giu 23, 2005 18:13 pm

HappyFra ha scritto:

Wow... siamo al neoaristotelismo! Sbaglio o dal tuo ragionamento possiamo tranquillamente concludere che l'essenza dell'oggetto esista in funzione di un osservatore che la stabilisce su una base di imputazione di per sé neutra? Ergo, non esiste oggettivamente, ma come convenzione.

By the way, cosa intendi esattamente per essere "un essere in potenza che ha il suo atto unicamente nella mente di una persona"?

Diciamo scuola aristotelico-tomista, mai cessata e in costante progresso di ricerca in molti atenei e scuole di pensiero, quindi senza tanti "neo".

Ciò che esiste è l' oggetto, l' essere è sempre in atto. Gli "esseri in potenza" hanno un qualche elemento di esistenza in atto (col nulla non si fa nulla, in questo aveva ragione Parmenide) e una possibilità di esistenza, che per ora non si dà. Ora un' "essenza" sarebbe lo spettro di caratteristiche che un dato ente può assumere, ma qui sta l' inghippo perché noi ragioniamo per categorie, mentre gli enti esistono individualmente. Il fatto che la nostra intelligenza e il nostro linguaggio raggruppi gli enti in categorie definendoli in modo il più possibile universale, fà sì che l' "essenza" di un ente sia un' esigenza conoscitiva, ma che non viene a priori rispetto all' esistenza dell' ente (quest' ultimo è il pensiero di Platone, che non è "realista"). Esemplificando c' è Zeta la formica, che è Z (ciò che è) ed è una formica, cioè una definizione generale che gli dò io. Ora, secondo la definizione (universale per necessità di linguaggio) la formica dovrebbe essere fatta in un certo modo, cioè dovrebbe naturalmente costituirsi come ente con certe caratteristiche, questo perché me lo ha detto l' osservazione su cui io ho operato un processo di induzione. Se Z viene esposta a dei raggi cosmici e si modifica in Z1, l' oggettività del suo essere è Z1 e a me resta il problema di come chiamarla (formica o elefante). Se dunque l' essere di un ente travalica il novero di possibilità che gli avevo assegnato (che chiamo essenza), -in fondo lo stesso tuo esempio del tavolo- il problema è del linguaggio che vuole classificarlo, non dell' ente.
Che poi questa identificazione/delimitazione degli enti sia "convenzione" o adeguamento dell' intelletto alla cosa e in quali termini lo sia, occorrerà scoprirlo con un ulteriore approfondimento.
Ma comincio a sudare :oops:

Fokozzone
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Messaggioda HappyFra » gio giu 23, 2005 18:44 pm

Fokozzone ha scritto:
HappyFra ha scritto:

Wow... siamo al neoaristotelismo! Sbaglio o dal tuo ragionamento possiamo tranquillamente concludere che l'essenza dell'oggetto esista in funzione di un osservatore che la stabilisce su una base di imputazione di per sé neutra? Ergo, non esiste oggettivamente, ma come convenzione.

By the way, cosa intendi esattamente per essere "un essere in potenza che ha il suo atto unicamente nella mente di una persona"?

Diciamo scuola aristotelico-tomista, mai cessata e in costante progresso di ricerca in molti atenei e scuole di pensiero, quindi senza tanti "neo".

Ciò che esiste è l' oggetto, l' essere è sempre in atto. Gli "esseri in potenza" hanno un qualche elemento di esistenza in atto (col nulla non si fa nulla, in questo aveva ragione Parmenide) e una possibilità di esistenza, che per ora non si dà. Ora un' "essenza" sarebbe lo spettro di caratteristiche che un dato ente può assumere, ma qui sta l' inghippo perché noi ragioniamo per categorie, mentre gli enti esistono individualmente. Il fatto che la nostra intelligenza e il nostro linguaggio raggruppi gli enti in categorie definendoli in modo il più possibile universale, fà sì che l' "essenza" di un ente sia un' esigenza conoscitiva, ma che non viene a priori rispetto all' esistenza dell' ente (quest' ultimo è il pensiero di Platone, che non è "realista"). Esemplificando c' è Zeta la formica, che è Z (ciò che è) ed è una formica, cioè una definizione generale che gli dò io. Ora, secondo la definizione (universale per necessità di linguaggio) la formica dovrebbe essere fatta in un certo modo, cioè dovrebbe naturalmente costituirsi come ente con certe caratteristiche, questo perché me lo ha detto l' osservazione su cui io ho operato un processo di induzione. Se Z viene esposta a dei raggi cosmici e si modifica in Z1, l' oggettività del suo essere è Z1 e a me resta il problema di come chiamarla (formica o elefante). Se dunque l' essere di un ente travalica il novero di possibilità che gli avevo assegnato (che chiamo essenza), -in fondo lo stesso tuo esempio del tavolo- il problema è del linguaggio che vuole classificarlo, non dell' ente.
Che poi questa identificazione/delimitazione degli enti sia "convenzione" o adeguamento dell' intelletto alla cosa e in quali termini lo sia, occorrerà scoprirlo con un ulteriore approfondimento.
Ma comincio a sudare :oops:

Fokozzone


Non te la compro (ovviamente :wink: )!!!

Per cominciare:
<<Ora un' "essenza" sarebbe lo spettro di caratteristiche che un dato ente può assumere>>
Ovvero, dato un certo oggetto che si può trasformare o può essere visto in svariati modi, la sua essenza è l'insieme di tutti questi modi?
Mi sembra drammaticamente debole. Partiamo dalla base: ti piace questa definizione?

"Essenza = 1 (filos.) ciò per cui una cosa è quello che è; la natura di un ente, ciò che gli appartiene necessariamente, non in modo accidentale "

Quindi, secondo il tuo ragionamento, l'essenza, ovvero la natura intrinseca di un fenomeno sarebbe l'insieme di tutte le sue (spero mi riconoscerai infinite) manifestazioni potenziali? Che significato, quale semantica ha una tale definizione di essenza? Senza offesa, ma mi sembra solo un gioco di parole per risolvere (apparentemente) il problema della causa e del divenire. Estendo il concetto di essenza fino a comprendere il tutto. Il problema è che un concetto è fatto per connotare e denotare; un concetto che comprende il tutto è ovviamente inutile.

Un ulteriore punto molto interessante è che il modo in cui suddividiamo il reale è pure arbitrario. Ti faccio un esempio: hai mai letto un libro che si chiama "Il senso di Smilla per la neve"? Nel caso tu non l'abbia fatto te lo consiglio. La protagonista è una groenlandese, e nel libro viene fuori (info che poi ho controllato da altre fonti) che gli eskimesi dividono la neve in una ventina di diverse categorie, assegnando nomi e valori diversi per ciascuna. Quindi, la simpatica distesa bianca che per noi è un oggetto uniforme e insignificante, per loro sono venti, trenta o cento enti diversi. Che cavolo di essenza indipendente hanno questi enti? Una o trina?
Un altro esempio che forse ci può suonare a tutti più familiare: un appiglio ha un essenza? è un fenomeno che esiste? Che esiste oggettivamente? Se a nessuno fosse mai venuto in mente di mettersi a scalare le montagne avrebbe senso dire che un appiglio esiste? Che fine fa la sua essenza, quindi? Di più: se passi sotto ad una falesia con un amico che non scala, vedete cose diverse, enti diversi, fenomeni diversi, e entrambe le visioni sono cognitivamente legittime. Come è conciliabile questo con l'idea che gli oggetti esistono di per sé, indipendentemente dagli osservatori?

<<Se Z viene esposta a dei raggi cosmici e si modifica in Z1, l' oggettività del suo essere è Z1 e a me resta il problema di come chiamarla >>
Tornando al punto di cui sopra... queste essenze che si modificano così facilmente sono un po' sospette, no? Se esisteva un'oggettività di Z, dove è andata? E l'oggettiva essenza Z1 da dove è arrivata? Dai raggi cosmici?
Ogni problema complesso ammette almeno una soluzione semplice. Sbagliata.


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Messaggioda il.bruno » gio giu 23, 2005 19:37 pm

Scusate se un ingegnere si intromette, ma se io prendo un tavolo e gli taglio le gambe gradualmente, alla fine, dicevamo, non è più un tavolo.
Io non ho difficoltà a dire che la sua essenza è cambiata, in seguito ad un fatto sufficientemente potente per mutarne le caratteristiche. Poi si tratta di definire che cos'è l'idea di tavolo. Se corrisponde ad un oggetto sotto al quale da seduto infilo le gambe, posso dire che la sua essenza è cambiata nel momento in cui le mie gambe da seduto non ci passano più. A seguito del fatto del taglio a fettine delle gambe. No? Ho scritto una scemata?
Altra cosa:
Un altro esempio che forse ci può suonare a tutti più familiare: un appiglio ha un essenza? è un fenomeno che esiste? Che esiste oggettivamente? Se a nessuno fosse mai venuto in mente di mettersi a scalare le montagne avrebbe senso dire che un appiglio esiste? Che fine fa la sua essenza, quindi? Di più: se passi sotto ad una falesia con un amico che non scala, vedete cose diverse, enti diversi, fenomeni diversi, e entrambe le visioni sono cognitivamente legittime. Come è conciliabile questo con l'idea che gli oggetti esistono di per sé, indipendentemente dagli osservatori

Questo a mio giudizio indica che la conoscenza è il frutto dell'incontro tra l'oggetto e il soggetto conoscitore, ed è influenzata da entrambi i fattori in gioco. Se si pronunciano due giudizi diversi, non è detto che si tratti di due oggetti diversi, puù anche essere che si tratti di due osservatori diversi (con una capacità conoscitiva diversamente sviluppata).
C'è il tuo oggetto: la falesia. Ci sono due osservatori: un climber e un geologo. Per il climber quella roccia si "popola" di linee, di appoggi, di appigli, fessure, per il geologo è un ammasso roccioso derivante da una sedimentazione avvenuta nel paleozoico.
Ma se il climber è anche geologo, coglie entrambi gli aspetti della stessa roccia! O no?
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Messaggioda HappyFra » ven giu 24, 2005 9:22 am

il.bruno ha scritto:Scusate se un ingegnere si intromette, ma se io prendo un tavolo e gli taglio le gambe gradualmente, alla fine, dicevamo, non è più un tavolo.
Io non ho difficoltà a dire che la sua essenza è cambiata, in seguito ad un fatto sufficientemente potente per mutarne le caratteristiche. Poi si tratta di definire che cos'è l'idea di tavolo. Se corrisponde ad un oggetto sotto al quale da seduto infilo le gambe, posso dire che la sua essenza è cambiata nel momento in cui le mie gambe da seduto non ci passano più. A seguito del fatto del taglio a fettine delle gambe. No? Ho scritto una scemata?
Altra cosa:
Un altro esempio che forse ci può suonare a tutti più familiare: un appiglio ha un essenza? è un fenomeno che esiste? Che esiste oggettivamente? Se a nessuno fosse mai venuto in mente di mettersi a scalare le montagne avrebbe senso dire che un appiglio esiste? Che fine fa la sua essenza, quindi? Di più: se passi sotto ad una falesia con un amico che non scala, vedete cose diverse, enti diversi, fenomeni diversi, e entrambe le visioni sono cognitivamente legittime. Come è conciliabile questo con l'idea che gli oggetti esistono di per sé, indipendentemente dagli osservatori

Questo a mio giudizio indica che la conoscenza è il frutto dell'incontro tra l'oggetto e il soggetto conoscitore, ed è influenzata da entrambi i fattori in gioco. Se si pronunciano due giudizi diversi, non è detto che si tratti di due oggetti diversi, puù anche essere che si tratti di due osservatori diversi (con una capacità conoscitiva diversamente sviluppata).
C'è il tuo oggetto: la falesia. Ci sono due osservatori: un climber e un geologo. Per il climber quella roccia si "popola" di linee, di appoggi, di appigli, fessure, per il geologo è un ammasso roccioso derivante da una sedimentazione avvenuta nel paleozoico.
Ma se il climber è anche geologo, coglie entrambi gli aspetti della stessa roccia! O no?


Sono piuttosto d'accordo.
<<Questo a mio giudizio indica che la conoscenza è il frutto dell'incontro tra l'oggetto e il soggetto conoscitore, ed è influenzata da entrambi i fattori in gioco>> significa esattamente che gli oggetti non hanno un'essenza oggettiva intrinseca. Ergo: conoscenza, valutazioni, connotazioni... dipendono tanto dal conoscente quanto dal conosciuto.
A mio modo di vedere, poi si può fare qualche passaggio in più analizzando i rispettivi ruoli, ma per questo adesso non ho tempo...
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Messaggioda il.bruno » ven giu 24, 2005 9:40 am

Preciso che io sostengo che è la conoscenza ad essere sia oggettiva sia soggettiva. L'oggetto (ed anche il soggetto) sono a priori. Altrimenti non sarebbe possibile un'unità nella conoscenza della roccia da parte del climber e del geologo, che invece si palesa nel momento in cui il climber studia geologia e di quella stessa roccia chiarifica l'origine.
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Messaggioda HappyFra » ven giu 24, 2005 10:08 am

il.bruno ha scritto:Preciso che io sostengo che è la conoscenza ad essere sia oggettiva sia soggettiva. L'oggetto (ed anche il soggetto) sono a priori. Altrimenti non sarebbe possibile un'unità nella conoscenza della roccia da parte del climber e del geologo, che invece si palesa nel momento in cui il climber studia geologia e di quella stessa roccia chiarifica l'origine.


E qui, temo, ti infili in una brutta contraddizione, perché se la conoscenza è oggettiva e soggettiva nello stesso tempo, e oggetto e soggetto esistono a priori non puoi più spiegare il divenire dei fenomeni, il fatto che senza arrampicatori gli appigli non esistono, il sorgere della conoscenza... ovvero, il tutto! :D :D :D

Sorry, sono andato un po' veloce, ma spero che rileggendo i post precedenti miei e di Fok il tutto sia comprensibile.
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Messaggioda Fokozzone » ven giu 24, 2005 14:07 pm

HappyFra ha scritto:
Fokozzone ha scritto:
HappyFra ha scritto:

Wow... siamo al neoaristotelismo! Sbaglio o dal tuo ragionamento possiamo tranquillamente concludere che l'essenza dell'oggetto esista in funzione di un osservatore che la stabilisce su una base di imputazione di per sé neutra? Ergo, non esiste oggettivamente, ma come convenzione.

By the way, cosa intendi esattamente per essere "un essere in potenza che ha il suo atto unicamente nella mente di una persona"?

Diciamo scuola aristotelico-tomista, mai cessata e in costante progresso di ricerca in molti atenei e scuole di pensiero, quindi senza tanti "neo".

Ciò che esiste è l' oggetto, l' essere è sempre in atto. Gli "esseri in potenza" hanno un qualche elemento di esistenza in atto (col nulla non si fa nulla, in questo aveva ragione Parmenide) e una possibilità di esistenza, che per ora non si dà. Ora un' "essenza" sarebbe lo spettro di caratteristiche che un dato ente può assumere, ma qui sta l' inghippo perché noi ragioniamo per categorie, mentre gli enti esistono individualmente. Il fatto che la nostra intelligenza e il nostro linguaggio raggruppi gli enti in categorie definendoli in modo il più possibile universale, fà sì che l' "essenza" di un ente sia un' esigenza conoscitiva, ma che non viene a priori rispetto all' esistenza dell' ente (quest' ultimo è il pensiero di Platone, che non è "realista"). Esemplificando c' è Zeta la formica, che è Z (ciò che è) ed è una formica, cioè una definizione generale che gli dò io. Ora, secondo la definizione (universale per necessità di linguaggio) la formica dovrebbe essere fatta in un certo modo, cioè dovrebbe naturalmente costituirsi come ente con certe caratteristiche, questo perché me lo ha detto l' osservazione su cui io ho operato un processo di induzione. Se Z viene esposta a dei raggi cosmici e si modifica in Z1, l' oggettività del suo essere è Z1 e a me resta il problema di come chiamarla (formica o elefante). Se dunque l' essere di un ente travalica il novero di possibilità che gli avevo assegnato (che chiamo essenza), -in fondo lo stesso tuo esempio del tavolo- il problema è del linguaggio che vuole classificarlo, non dell' ente.
Che poi questa identificazione/delimitazione degli enti sia "convenzione" o adeguamento dell' intelletto alla cosa e in quali termini lo sia, occorrerà scoprirlo con un ulteriore approfondimento.
Ma comincio a sudare :oops:

Fokozzone


Non te la compro (ovviamente :wink: )!!!

Per cominciare:
<<Ora un' "essenza" sarebbe lo spettro di caratteristiche che un dato ente può assumere>>
Ovvero, dato un certo oggetto che si può trasformare o può essere visto in svariati modi, la sua essenza è l'insieme di tutti questi modi?
Mi sembra drammaticamente debole. Partiamo dalla base: ti piace questa definizione?

[b]"Essenza = 1 (filos.) ciò per cui una cosa è quello che è; la natura di un ente, ciò che gli appartiene necessariamente, non in modo accidentale "[/b]
Quindi, secondo il tuo ragionamento, l'essenza, ovvero la natura intrinseca di un fenomeno sarebbe l'insieme di tutte le sue (spero mi riconoscerai infinite) manifestazioni potenziali? Che significato, quale semantica ha una tale definizione di essenza? Senza offesa, ma mi sembra solo un gioco di parole per risolvere (apparentemente) il problema della causa e del divenire. Estendo il concetto di essenza fino a comprendere il tutto. Il problema è che un concetto è fatto per connotare e denotare; un concetto che comprende il tutto è ovviamente inutile.

Un ulteriore punto molto interessante è che il modo in cui suddividiamo il reale è pure arbitrario. Ti faccio un esempio: hai mai letto un libro che si chiama "Il senso di Smilla per la neve"? Nel caso tu non l'abbia fatto te lo consiglio. La protagonista è una groenlandese, e nel libro viene fuori (info che poi ho controllato da altre fonti) che gli eskimesi dividono la neve in una ventina di diverse categorie, assegnando nomi e valori diversi per ciascuna. Quindi, la simpatica distesa bianca che per noi è un oggetto uniforme e insignificante, per loro sono venti, trenta o cento enti diversi. Che cavolo di essenza indipendente hanno questi enti? Una o trina?
Un altro esempio che forse ci può suonare a tutti più familiare: un appiglio ha un essenza? è un fenomeno che esiste? Che esiste oggettivamente? Se a nessuno fosse mai venuto in mente di mettersi a scalare le montagne avrebbe senso dire che un appiglio esiste? Che fine fa la sua essenza, quindi? Di più: se passi sotto ad una falesia con un amico che non scala, vedete cose diverse, enti diversi, fenomeni diversi, e entrambe le visioni sono cognitivamente legittime. Come è conciliabile questo con l'idea che gli oggetti esistono di per sé, indipendentemente dagli osservatori?

<<Se Z viene esposta a dei raggi cosmici e si modifica in Z1, l' oggettività del suo essere è Z1 e a me resta il problema di come chiamarla >>
Tornando al punto di cui sopra... queste essenze che si modificano così facilmente sono un po' sospette, no? Se esisteva un'oggettività di Z, dove è andata? E l'oggettiva essenza Z1 da dove è arrivata? Dai raggi cosmici?

Non concordo per niente con la definizione di essenza proposta, non solo ma l' oggettività che prospetto è quella del singolo ente esistente non della categoria universale (che esiste solo come pensiero). Quanto all' "arbitrarietà" che io preferisco chiamare "creatività" con cui suddividiamo il reale è esattamente una delle ragioni che ho illustrato nel prospettare l' essenza come proprietà del linguaggio.
Continui a criticare una prospettiva platonica (che io non condivido e non ho riferito) per cui l' oggettività sarebbe la corrispondenza a un infallibile modello ideale (idea o essenza). Per me oggettività è ammissione dell' essere dell'oggetto, che pone il problema del suo significato, ovvero delle sue proprietà e relazioni con altri oggetti. Il fatto che gli antichi dessero per scontata l' identità degli enti e si domandassero come potessero divenire, non significa che fosse la prospettiva migliore. Alla luce delle più fini osservazuioni della natura di cui disponiamo oggi, trovo più produttivo ammettere il divenire e chiedersi in quali termini gli enti possano dire di mantenere la propria identità. Nel caso degli oggetti semplici e inanimati, l' identità è affare dell' uomo che osserva. Via via che si articolano e si animano assumono maggiori elementi vincolanti di confine. Quando si arriva all' uomo scatta evidentemente una categoria: tu sei happyfra da bambino, da adulto, non ti sogneresti per il fatto ad es di aver compiuto 45 anni di considerarti happyginz. E se ti tagliano una gamba, o anche due non smetti di essere happyfra, mentre il tavolo nelle stesse condizioni avrebbe seri problemi :wink: .
Non è esattamente aristotele, lo so, sto illustrando la mia sintesi del realismo, ma stiamo filosofando insieme e io propongo soluzioni, sempre meglio che negare soluzioni a priori (pensiero debole o semplice debolezza di pensiero?).

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Messaggioda Buzz » ven giu 24, 2005 14:39 pm

Fokozzone ha scritto:... tu sei happyfra da bambino, da adulto, non ti sogneresti per il fatto ad es di aver compiuto 45 anni di considerarti happyginz. E se ti tagliano una gamba, o anche due non smetti di essere happyfra...


e se gli tagliano la barba? :roll:

fokozzone, se ad un tavolo tagli le gambe smette di essere un tavolo e diventa un piano;
se ad un uomo tagli la testa smette di essere uomo e diventa un cadavere, e, pian piano, polvere.

il concetto di "tavolo" o di "uomo" sempre concetto è (nel senso letterale di "concezione del pensiero", ovvero di essenza, ovvero di "idea" platonica, ma non già come diceva platone, preesistente, bensì "data" per consuetudine.
Si tratta di codici e di metalinguaggi.

I climber hanno codici e metalinguaggi diversi dai geologi e quindi "recepiscono" la roccia in modo diverso. Per il climber la percezione dell'esistente è diversa da quella del geologo. Tuttavia l'esistente esiste di per sè. Cambia la percezione che l'osservatore può avere di esso.

I nostri occhi non percepiscono l'ultravioletto, o l'infrarosso.
Le nostre orecchie non percepiscono gli ultrasuoni.

Per secoli non abbiamo nemmeno sospettato l'esistenza di altro fuori da ciò che i nostri sensi percepivano. Ora sappiamo che ci sono suoni che non udiamo, colori che non vediamo.
Ma il fatto di non percepirli non significa che non esistessero di per se.

La macchina umana è limitata. E' un grave errore metodologico mettere l'uomo al centro del sistema come osservatore e speculare su se stessi in relazione all'altro da sè.

Ogni oggetto, anche l'uomo, è infinitamente mutevole, e dobbiamo avere coscienza che mai potremo coglierne essenza.

Essa è inconoscibile perchè non è determinabile un istante in cui l'insieme di relazioni caotiche che la legano al sistema di riferimento, multidimensionali nel tempo e nello spazio, potrà essere perfettamente descrivibile.
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Messaggioda HappyFra » ven giu 24, 2005 15:07 pm

Fokozzone ha scritto:
HappyFra ha scritto:
Fokozzone ha scritto:
HappyFra ha scritto:

Wow... siamo al neoaristotelismo! Sbaglio o dal tuo ragionamento possiamo tranquillamente concludere che l'essenza dell'oggetto esista in funzione di un osservatore che la stabilisce su una base di imputazione di per sé neutra? Ergo, non esiste oggettivamente, ma come convenzione.

By the way, cosa intendi esattamente per essere "un essere in potenza che ha il suo atto unicamente nella mente di una persona"?

Diciamo scuola aristotelico-tomista, mai cessata e in costante progresso di ricerca in molti atenei e scuole di pensiero, quindi senza tanti "neo".

Ciò che esiste è l' oggetto, l' essere è sempre in atto. Gli "esseri in potenza" hanno un qualche elemento di esistenza in atto (col nulla non si fa nulla, in questo aveva ragione Parmenide) e una possibilità di esistenza, che per ora non si dà. Ora un' "essenza" sarebbe lo spettro di caratteristiche che un dato ente può assumere, ma qui sta l' inghippo perché noi ragioniamo per categorie, mentre gli enti esistono individualmente. Il fatto che la nostra intelligenza e il nostro linguaggio raggruppi gli enti in categorie definendoli in modo il più possibile universale, fà sì che l' "essenza" di un ente sia un' esigenza conoscitiva, ma che non viene a priori rispetto all' esistenza dell' ente (quest' ultimo è il pensiero di Platone, che non è "realista"). Esemplificando c' è Zeta la formica, che è Z (ciò che è) ed è una formica, cioè una definizione generale che gli dò io. Ora, secondo la definizione (universale per necessità di linguaggio) la formica dovrebbe essere fatta in un certo modo, cioè dovrebbe naturalmente costituirsi come ente con certe caratteristiche, questo perché me lo ha detto l' osservazione su cui io ho operato un processo di induzione. Se Z viene esposta a dei raggi cosmici e si modifica in Z1, l' oggettività del suo essere è Z1 e a me resta il problema di come chiamarla (formica o elefante). Se dunque l' essere di un ente travalica il novero di possibilità che gli avevo assegnato (che chiamo essenza), -in fondo lo stesso tuo esempio del tavolo- il problema è del linguaggio che vuole classificarlo, non dell' ente.
Che poi questa identificazione/delimitazione degli enti sia "convenzione" o adeguamento dell' intelletto alla cosa e in quali termini lo sia, occorrerà scoprirlo con un ulteriore approfondimento.
Ma comincio a sudare :oops:

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Non te la compro (ovviamente :wink: )!!!

Per cominciare:
<<Ora un' "essenza" sarebbe lo spettro di caratteristiche che un dato ente può assumere>>
Ovvero, dato un certo oggetto che si può trasformare o può essere visto in svariati modi, la sua essenza è l'insieme di tutti questi modi?
Mi sembra drammaticamente debole. Partiamo dalla base: ti piace questa definizione?

[b]"Essenza = 1 (filos.) ciò per cui una cosa è quello che è; la natura di un ente, ciò che gli appartiene necessariamente, non in modo accidentale "[/b]
Quindi, secondo il tuo ragionamento, l'essenza, ovvero la natura intrinseca di un fenomeno sarebbe l'insieme di tutte le sue (spero mi riconoscerai infinite) manifestazioni potenziali? Che significato, quale semantica ha una tale definizione di essenza? Senza offesa, ma mi sembra solo un gioco di parole per risolvere (apparentemente) il problema della causa e del divenire. Estendo il concetto di essenza fino a comprendere il tutto. Il problema è che un concetto è fatto per connotare e denotare; un concetto che comprende il tutto è ovviamente inutile.

Un ulteriore punto molto interessante è che il modo in cui suddividiamo il reale è pure arbitrario. Ti faccio un esempio: hai mai letto un libro che si chiama "Il senso di Smilla per la neve"? Nel caso tu non l'abbia fatto te lo consiglio. La protagonista è una groenlandese, e nel libro viene fuori (info che poi ho controllato da altre fonti) che gli eskimesi dividono la neve in una ventina di diverse categorie, assegnando nomi e valori diversi per ciascuna. Quindi, la simpatica distesa bianca che per noi è un oggetto uniforme e insignificante, per loro sono venti, trenta o cento enti diversi. Che cavolo di essenza indipendente hanno questi enti? Una o trina?
Un altro esempio che forse ci può suonare a tutti più familiare: un appiglio ha un essenza? è un fenomeno che esiste? Che esiste oggettivamente? Se a nessuno fosse mai venuto in mente di mettersi a scalare le montagne avrebbe senso dire che un appiglio esiste? Che fine fa la sua essenza, quindi? Di più: se passi sotto ad una falesia con un amico che non scala, vedete cose diverse, enti diversi, fenomeni diversi, e entrambe le visioni sono cognitivamente legittime. Come è conciliabile questo con l'idea che gli oggetti esistono di per sé, indipendentemente dagli osservatori?

<<Se Z viene esposta a dei raggi cosmici e si modifica in Z1, l' oggettività del suo essere è Z1 e a me resta il problema di come chiamarla >>
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Non concordo per niente con la definizione di essenza proposta, non solo ma l' oggettività che prospetto è quella del singolo ente esistente non della categoria universale (che esiste solo come pensiero). Quanto all' "arbitrarietà" che io preferisco chiamare "creatività" con cui suddividiamo il reale è esattamente una delle ragioni che ho illustrato nel prospettare l' essenza come proprietà del linguaggio.
Continui a criticare una prospettiva platonica (che io non condivido e non ho riferito) per cui l' oggettività sarebbe la corrispondenza a un infallibile modello ideale (idea o essenza). Per me oggettività è ammissione dell' essere dell'oggetto, che pone il problema del suo significato, ovvero delle sue proprietà e relazioni con altri oggetti. Il fatto che gli antichi dessero per scontata l' identità degli enti e si domandassero come potessero divenire, non significa che fosse la prospettiva migliore. Alla luce delle più fini osservazuioni della natura di cui disponiamo oggi, trovo più produttivo ammettere il divenire e chiedersi in quali termini gli enti possano dire di mantenere la propria identità. Nel caso degli oggetti semplici e inanimati, l' identità è affare dell' uomo che osserva. Via via che si articolano e si animano assumono maggiori elementi vincolanti di confine. Quando si arriva all' uomo scatta evidentemente una categoria: tu sei happyfra da bambino, da adulto, non ti sogneresti per il fatto ad es di aver compiuto 45 anni di considerarti happyginz. E se ti tagliano una gamba, o anche due non smetti di essere happyfra, mentre il tavolo nelle stesse condizioni avrebbe seri problemi :wink: .
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La definizione di cui sopra arriva sparata dal dizionario Garzanti che, in generale, a me piace e mi sembra accurato. Proponine una alternativa formale che ne parliamo, altrimenti rischiamo di discutere di parole diverse.
Per quanto riguarda l'identità dei fenomeni attraverso il divenire, non sono proprio d'accordo. Tu dici che io sono lo stesso HappyFra a 39 anni di quello che ero a 10 o appena nato? Dove sta questa identità? Il mio corpo è diverso, ovviamente a livello macroscopico, ma anche a livello cellulare, molecolare e via scendendo; ricordo di aver letto da qualche parte (potrebbe essere una cazzata, ma se qualcuno ha dettagli sono interessato) che la materia di cui siamo fisicamente composti statisticamente cambia totalmente nel giro di poco tempo, forse un paio di anni, non sono certo. Se fosse vero, significa che nel mio corpo attuale non c'è un singolo atomo di quelli che lo componevano solo 2 anni fa... affascinante, no?
Ma, ovviamente, anche la mia mente è diversa (per questo ti chiedo di fidarti...): i pensieri e le idee che contiene sono diversi, il modo in cui li processa sono diversi, i sentimenti che provo sono diversi...
Allora, dove sta la continuità essenziale dell'ente? Solo per il fatto di averlo denominato con la stessa definizione? Come abbiamo visto a proposito degli appigli, le definizioni sono convenzionali, e quindi?
Non è un argomento anti-platonico, ho capito bene, spero, i termini della tua posizione, e ha ben poco a che vedere con il pensiero debole, e non credo nemmeno di stare "negando soluzioni a priori". Al contrario, è un pensiero fortissimo, solo che suona un po' diverso da quello a cui siamo abituati e non è nemmeno facilmente raccordabile con filoni precisi della filosofia occidentale, con la parziale eccezione di Schopenauer o un pochino di Nietzche...
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