HappyFra ha scritto:yo ha scritto:Carlo78 ha scritto:Sempre + difficile rispondere.
Bisogna leggere bene. E replicare sulle parole effettivamente scritte dall'altro, senza mettergli in bocca parole mai dette.
Altrimenti è un'anarchia senza senso, e io mi vedo giustificato a rispondere a qualsiasi cosa con:
"Speriamo che il Milan non si prenda Gilardino".
Ho detto che:
E' gia stata dimostrata la non totale correttezza nella proposizione
"Cogito ergo sum"
Ovvero del concetto che "Sono ciò che penso".
"non totale correttezza" non vuol dire totale inesattezza o infondatezza.
"Cogito ergo sum" tradotto significa "penso quindi sono"
Non mi cimento sulla fondatezza o meno di questo concetto, è per questo che ho lanciato la sfida, mi sembra una cosa difficile da confutare e questo è alla base di molti ragionamenti di molti studiosi, della scienza e della Chiesa.
Il tema è complesso e tocca alle radici un paio dei problemi fondamentali della filosofia occidentale, per cui non ho certo la pretesa di risolverlo con un post di quattro righe.
Smarcato il problema della paternità della frase, rimangono i possibili punti deboli, e te ne cito solo due.
Il primo è che non risolve l'irrisolvibile problema del solispismo, ovvero l'ipotesi filosofica che tutto il reale sia il sogno di un'unica mente sognante. Ammettiamo per un attimo che tutto ciò che sta succedendo sia un mio sogno; in questo caso io sto sognando anche il "cogito ergo sum", quindi, propriamente, non sto pensando, ma sognando di pensare. In questo caso l'essenza dell'io che verrebbe dimostrato risulterebbe fallace.
L'ipotesi solipsista è affascinante, inconfutabile e non particolarmente attrattiva, ma spesso utile per le riduzioni all'assordo che permette di raggiungere, almeno per chi apprezza la speculazione pura.
Il secondo punto debole, molto più interessante ma anche molto più complesso, che il "cogito ergo sum" in realtà, partendo dall'utilizzo di un verbo posto in prima persona postula quando pretende di dimostrare. Un modo più corretto di esprimersi potrebbe dunque essere: "si pensa, dunque qualcosa esiste". Esiste il pensiero, ma questo implica necessariamente l'esistenza di un io pensante? Il quesito è molto, molto complesso e richiede qualche riflessione non banale, altrimenti la tentazione di rigettarlo come un inutile sofisma può essere forte.
L'esistenza del pensiero è sufficente a dimostrare l'esistenza oggettiva di un io pensante indipendente? La risposta è tutt'altro che scontata...
Rileggendo quanto ho scritto ieri mi sono accorto di essere stato un po' troppo tecnico e forse anche confuso. Nell'illusione che a qualcuno possa interessare, provo a spiegarmi meglio.
Fok scriveva in un post precedente di essere un realista (in senso filosofico), ovvero di credere all'esistenza oggettiva dei fenomeni a prescindere dall'osservatore (odio mettere in bocca alla gente parole che non ha detto; Fok, se in questo caso l'ho fatto te ne chiedo scusa e ti prego di correggermi). Secondo questa visione, il reale è composto da fenomeni indipendenti che interagiscono mantenendo una propria continuità oggettiva coerente con l'idea che sta alla base del "cogito ergo sum" cartesiano. Ovvero: anche se posso dubitare di tutto, alla fine sono conscio dell'esistenza del mio pensiero, per cui deve esistere un io pensante e da lì riparto a costruire un mondo di fenomeni oggettivamente esistenti.
Ora, a mio modo di vedere l'errore di questa posizione è il confondere il concetto di "esistenza" con quello di "esistenza oggettiva e indipendente". Mi spiego meglio: esiste il pensiero, okay? Come esiste un onda, o un filo di brezza. Un onda esiste in modo oggettivo e indipendente? O è una parte più o meno arbitraria di un continuo che distinguiamo ed individuiamo per scopi "funzionali" e che poi può essere riassobita nel continuum stesso? L'oceano si muove, l'aria si muove. Questo basta a dire che alla base di questo movimento ci sono onde o brezze oggettivamente esistenti?
Prendiamo il più semplice degli oggetti comuni, come un tavolo. Esso ci appare come solido, oggettivo, capace di esistere a prescindere dal fatto che ci sia qualcuno che lo guarda o meno, giusto? Quindi dotato di un'esistenza intrinseca e di una propria "essenza".
Bene, adesso prendiamo una sega e tagliamo via due centimetri di gambe. Il nostro tavolo non è cambiato molto. Ripetiamo l'operazione, e poi facciamolo di nuovo. Ad un certo punto saremo costretti a riconoscere che quello che avremo davanti non sarà più un tavolo ma qualcosa d'altro. Dove è andata a finire l'essenza intrinseca del tavolo? Sparita con l'ultimo centimetro di gambe che ho tagliato? Allora l'essenza del tavolo sta in quei quattro cilindretti di legno? Non ha molto senso, no?
Le "essenze" dovrebbero essere cose serie, non possono sparire e riapparire a casaccio! Se c'era prima, da qualche parte deve essere andata, altrimenti... forse significa che non è sparita perché non c'era mai stata!



Ergo: i fenomeni non hanno esistenza oggettiva.