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Mi sveglio e guardo la piccola sveglia appoggiata sullo zaino, sono le 3 e 45, in anticipo sulla suoneria. Ho dormito ai Prati di Tivo nel cassone del mio pik-up indiano. Mi carico dello zaino e mi avvio con la mia solita fretta, come se avessi paura di arrivare dopo il suono della campanella. Come mia abitudine cammino ed ascolto la radio con le cuffiette, c? è un giornalista che parla di ?Formidabili quegli anni?, un libro di Mario Capanna. Formidabili davvero quegli anni, almeno per me che all? epoca ero un ragazzo.
Era il 1968 e frequentavo il primo anno del Liceo Artistico, finalmente uscivo dal guscio familiare e per me tutto era da scoprire, iniziavo a diventare adulto. Erano quelli gli anni delle lotte studentesche, delle rivendicazioni sindacali, della partecipazione, del coinvolgimento. Sentivamo fortissimo il desiderio di farci sentire, di essere padroni del nostro futuro ed eravamo pieni di speranze, di voglia di cambiare. Con i compagni scendevamo in piazza per protestare, ed anche se qualche volta il motivo non ci era ben chiaro, l? emozione di sentirci protagonisti superava ogni incertezza, davvero ci sembrava di prendere parte a qualcosa di grande. In corteo, per le strade della città, urlavamo i nostri slogan: ?Lotta dura senza paura!?; "Viva Lenin, viva Marx, viva MaoTzeDong!"; ?E? l? ora, è l? ora, potere a chi lavora!?; ?El pueblo unido jamás será vencido!? e un giorno decidemmo che la campanella non sarebbe stata più un obbligo, l? avremmo suonata noi, perché la scuola era prima di tutto nostra.
Fu un periodo di entusiasmo e grandi aspettative, l? arrivo di un vento di rinnovamento che sembrava voler spazzare via un mondo superato e vecchio. Un vento che lentamente ed inesorabilmente si sarebbe fermato in pochi anni, infranto contro il frangivento del terrorismo e delle stragi di stato. Il disinteresse avrebbe preso il posto della partecipazione, gli ideali e le utopie sarebbero stati sostituiti dall? omologazione. Qualcuno di noi sparì senza preavviso per finire in carcere come ?fiancheggiatore?, altri cercarono in un ago quello che la vita non poteva dargli, la maggior parte gettò via la catana e l? eskimo per indossare giacca e cravatta.
Quegli incredibili anni ora sono storia passata, i ragazzi di un tempo sono irriconoscibili, non tanto per i capelli diventati bianchi, quanto perché perfettamente redenti da quella voglia di rivoluzione sociale. Molti non pensano più con la propria testa, hanno bisogni e interessi indotti dalla televisione e dalla pubblicità, non partecipano a niente se non al corteo strombazzante che festeggia una vittoria al campionato di calcio.
Se i ragazzi di allora hanno rinnegato l? ?immaginazione al potere?, i giovani di oggi non sanno immaginare proprio niente. Non scendono nelle piazze se non per passeggiare e preferiscono gremire i centri commerciali più che i centri sociali. Vanno ancora a scuola ma non sanno che farsene di quell? ora di assemblea e della rappresentanza degli studenti, per le quali lottammo tanti anni fa. Tutto quell? entusiasmo si è spento definitivamente e ai reduci è restata solo la malinconica sensazione di aver preso parte ad un? occasione perduta, che poteva essere soltanto persa. Volevamo collettivizzare, fondare delle comuni e siamo finiti tutti chiusi dentro le nostre vite fatte di piccoli egoismi, di isolamento in mezzo alla moltitudine. Abbiamo perso e non mi resta che arrendermi: mi dichiaro prigioniero politico!
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