MODIFICA DELL'ART. 138 DELLA COSTITUZIONE

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MODIFICA DELL'ART. 138 DELLA COSTITUZIONE

Messaggioda PIEDENERO » lun lug 29, 2013 11:17 am

questa storia non mi piace per niente.

vogliono modificare questo articolo per poter poi mettere mano alla costituzione:
-perchè? a che scopo?
-come si permettono? in base a quale mandato?, per la maggior parte si tratta di nominati che fanno parte di una coalizione di larghe intese che pochi italiani vogliono!!!
-c'è l' avvallo del pres. della repubblica che dovrebbe invece essere il custode della costituzione.

le dichiarazioni di Epifani e Boccia sono scandalose, le potete reperire in rete.

il silenzio dei media è imbarazzante e dimostra quanto siano al servizio e parte della casta, a meno che io non abbia travisato tutto, ma dubito.

se riuscite, informatevi e informate, nell'interesse di tutti.
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Messaggioda coniglio » lun lug 29, 2013 11:22 am

Il metodo (sbagliato) della riforma. Note critiche al d.d.l. cost. n. 813 Sen di Alessandro Pace


1. Se si parte dall?idea secondo cui la previsione di uno speciale procedimento di revisione costituisce la conferma, ma non il fondamento, della rigidità costituzionale [1] ? la cui causa va piuttosto individuata nella superiorità della costituzione stessa su tutti gli atti che compongono l?ordinamento, così come formalizzata in uno o più documenti ufficiali [2] -, la disciplina del procedimento per la revisione di una costituzione scritta e rigida non può che spettare alla costituzione stessa, esplicando, tale procedimento, la funzione di garantirne la rigidità [3] sotto un triplice aspetto.
In primo luogo la previsione di un procedimento speciale (aggravato) di revisione evita la fragilità politica delle costituzioni scritte che altrimenti sarebbero assolutamente immodificabili [4], e quindi potrebbero essere modificate solo con la violenza [5]. In secondo luogo la previsione di un procedimento speciale garantisce la relativa stabilità delle preesistenti regole scritte della costituzione [6]. Infine il procedimento aggravato non esclude, ma solo limita, il principio rousseauiano che ogni generazione deve essere in grado di affrontare tutte le decisioni fondamentali richieste dalle circostanze del tempo [7] (che però nelle costituzioni del secondo dopoguerra non di rado incontra limiti assoluti in nome di valori che si assumono eterni o comunque politicamente insopprimibili [8]).
L?individuazione del «punto di equilibrio tra quanto, del ?vecchio?, deve comunque essere conservato (le norme assolutamente irrivedibili) e la disponibilità, più o meno ampia, all?apertura verso il ?nuovo?» [9] spetta quindi, in esclusiva, alla Costituzione. Sostenere il contrario ? e cioè che la scelta tra le infinite variabili di tempo, di contenuto e di procedimento spetti alle stesse leggi di revisione -, significherebbe che ?norme supreme? nel nostro ordinamento sono le leggi di revisione [10] e non la Costituzione.
2. Di qui talune conseguenze d?ordine strutturale.
a) La prima conseguenza è l?inderogabilità delle norme sulla revisione. Una cosa infatti è la deroga di una norma (sostanziale o procedimentale), altra cosa è la deroga se riferita al procedimento di revisione costituzionale. Nel primo caso la deroga opera come un?eccezione alla regola [11]: esplica cioè conseguenze su una determinata fattispecie a favore o contro uno o più soggetti. Nel caso del procedimento di revisione costituzionale la deroga puntuale (o, come suole dirsi, una tantum) esplica invece indirettamente effetti permanenti per tutti i cittadini, attuali e futuri. Pertanto il rapporto eccezione-regola qui non spiega alcun rilievo. Le norme sulla revisione costituzionale sono fonti ?sulla? produzione normativa condizionanti il modo di formazione (e quindi il contenuto stesso) delle fonti ?di? produzione, e cioè le eventuali future norme sulla forma di governo, sul numero dei parlamentari, sul bicameralismo, sui rapporti Stato-Regioni ecc. che a loro volta avranno una portata generale e che, ciò nonostante, verrebbero approvate secondo una procedura contrastante con quella prevista dall?art. 138.
Né si dica che si tratterebbe di una ?rottura? dell?art. 138 Cost. in forza di una legge costituzionale. Quanto fin qui argomentato dimostra infatti che il d.d.l. cost. n. 813 non può essere considerato norma di deroga in quanto l?approvazione delle leggi costituzioni ?figlie?, grazie al procedimento derogatorio previsto dalla legge costituzionale ?madre?, produrrebbe effetti ?permanenti? e ?generali? sul nostro sistema costituzionale. E quindi, quand?anche si ammettesse ? del che personalmente dubito [12] ? che il nostro ordinamento costituzionale contempli la possibilità delle leggi costituzionali ?in deroga o in rottura?, il d.d.l. cost. n. 813 non sarebbe qualificabile come una legge costituzionale ?in deroga o in rottura? in quanto le leggi costituzionali ?in deroga o in rottura? sono tutt?al più ammissibili solo se ?provvisorie?, ?temporanee? e ?puntuali? [13]. Il che non è il caso del d.d.l. cost. n. 813, così come non lo era la legge cost. n. 1 del 1997 [14].
D?altra parte, quand?anche si volesse ammettere che le leggi costituzionali ?in rottura? non siano ?anche in deroga?, e quindi potrebbero spiegare effetti duraturi nel nostro ordinamento [15], deve recisamente obiettarsi a chi sostiene questa tesi che il d.d.l. cost. n. 813 non determinerebbe affatto, come invece si soggiunge ex adverso, una «circoscritta frattura dell?armonia della Costituzione, di contenuta lesione della sua unità» [16]. A tal fine è infatti sufficiente riflettere sull?entità delle conseguenze che si produrrebbero sul nostro ordinamento se venissero approvate le leggi costituzionali ?figlie?, in particolare la modifica della forma di governo in semipresidenziale, a seguito di un procedimento di revisione non rispondente all?art. 138 Cost.
Siamo quindi in presenza di un uso illegittimo del potere di revisione. E sul punto non occorre aggiungere altro [17].
b) La seconda conseguenza è che le norme sulla revisione possono bensì essere modificate ma ad una condizione. Essendo il procedimento di revisione ?strumentale? e ?servente? della rigidità della Costituzione, la relativa modifica non deve pregiudicare la rigidità rendendo più facile l?iter di eventuali modifiche costituzionali. Questo però non significa che ogni maggiore irrigidimento sia comunque legittimo. Bisogna infatti previamente verificare se vi siano dei contro-limiti all?ulteriore irrigidimento [18]. Così è, ad esempio, nel nostro ordinamento costituzionale che riconosce e proclama la sovranità popolare, per cui alzare eccessivamente l?asticella dei limiti della revisione significherebbe limitare il contro-limite derivante dal principio rousseauiano sopra ricordato, secondo il quale ogni generazione dovrebbe poter decidere del proprio destino [19].
c) In terzo luogo, le revisioni ?totali? ? alle quali vanno equiparate le modifiche costituzionali dal contenuto disomogeneo ? in tanto sono ammissibili in quanto siano specificamente previste in Costituzione [20]. Qualora il procedimento di revisione non distingua le revisioni ?totali? da quelle ?puntuali?, la possibilità delle prime dovrebbe essere esclusa in via di principio in quanto essa costituirebbe esercizio surrettizio di potere costituente (come tale inammissibile, per definizione) [21]. Ne consegue che un ordinamento potrebbe bensì prevedere positivamente una revisione per così dire ?totale? a due condizioni: 1) che siano previsti determinati limiti [22] incompatibili, come tali, con il ?vero? potere costituente [23]; 2) che la procedura per tale revisione ?totale? sia positivamente differenziata in maniera netta da quella della revisione ?puntuale?. Contro le revisioni ?totali?, ove non esplicitamente previste in Costituzione (come appunto nella nostra Costituzione), vi è comunque l?ostacolo della carente omogeneità e specificità della legge di revisione (v. sub d).
d) In quarto luogo, laddove, come nella Costituzione italiana, esista la giuridica possibilità che la legge di revisione sia soggetta all?approvazione da parte del popolo, essa, per rispettarne la sovranità, deve essere formulata in maniera tale da non coercire in un senso o nell?altro la volontà dei cittadini. Conseguentemente il testo delle leggi di revisione, almeno nel nostro ordinamento, deve essere chiaro, omogeneo nonché specifico [24]. Quando la sola omogeneità potrebbe nascondere la differenza delle tematiche sottoposte al referendum confermativo.
e) Infine le revisioni costituzionali devono imporre sempre tempi di riflessione adeguati all?importanza delle decisioni da assumere. Infatti «ogni revisione costituzionale costituisce un intervento, un?operazione su un organismo vivente ed essa dovrebbe essere attuata solo con grande tutela e con estrema parsimonia». [25] In tal senso si espresse appunto l?on. Perassi nell?illustrare, in Assemblea costituente, il suo emendamento poi pressoché integralmente recepito nel vigente art. 138 [26].
3. Il d.d.l. cost. n. 813 intitolato Istituzione del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali, presentato dal Presidente del Consiglio e dai Ministri per le riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento, comunicato alla Presidenza del Senato il 10 giugno 2013 e attualmente in discussione in sede referente, si ricollega alle leggi costituzionali n. 1 del 1993 e n. 1 del 1997 [27] entrambe fortemente criticate in dottrina.
Ancorché, come dirò subito, il Governo ha evitato, col d.d.l. cost. n. 813, molti degli errori che inficiavano quelle leggi costituzionali, ha invece reiterato la più grave delle violazioni costituzionali. Ancora una volta è stata infatti «prevista una procedura una tantum, in deroga e non in modifica permanente del testo costituzionale» [28].
È invece positivo che al citato Comitato parlamentare per le riforme siano stati attribuiti solo poteri referenti, e non redigenti come quelli pensati [29] per la c.d. Convenzione [30]; che ogni progetto di legge costituzionale dovrà essere omogeneo e autonomo dal punto di vista del contenuto; che il referendum confermativo non sia previsto come ?necessario?; che il referendum confermativo sulle leggi costituzionali modificative della Costituzione possa essere richiesto anche qualora nella seconda deliberazione esse siano state approvate con la maggioranza dei due terzi dei componenti (art. 5) [31].
3
Le perplessità che solleva il d.d.l. cost. n. 813 si risolvono quindi esclusivamente nella violazione dell?art. 138 e sono le seguenti.
In primo luogo, e come già si è detto, è stata prevista per la terza volta una procedura straordinaria manifestamente derogatoria dell?art. 138 la cui contraddittorietà al 138 disvela lo sviamento di potere di cui il d.d.l. cost. n. 813 è viziato. Se infatti si è ritenuto, anche questa volta, di non proporre la modifica dell?art. 138, ciò vuol dire che il proponente (il Governo) riteneva l?art. 138 tuttora rispondente alle sue finalità istituzionali (quelle, cioè, di adeguare la Costituzione alle mutate esigenze storiche, sociali e politiche). Ma se questa era l?opinione del Governo, che bisogno c?era di derogarlo tanto più che la procedura del d.d.l. cost. n. 813 è più macchinosa di quella prevista dal 138? Il motivo è evidente: la procedura dell?art. 138 viene elusa al fine di poter modificare surrettiziamente la Costituzione con un procedimento speciale che, pur concretizzandosi in una pluralità di autonomi progetti di legge costituzionale, ha una portata fortemente modificativa del nostro ordinamento determinata dall?interdipendenza dei vari progetti di legge (v. infra in fine).
In secondo luogo, il d.d.l. cost. n. 813 ? che assume la veste di legge costituzionale ?madre? nella quale sarà disciplinato l?iter procedimentale delle singole leggi costituzionali di riforma (le ?figlie?) ? solleva perplessità per il fatto che il procedimento speciale di revisione sembrerebbe ?guidato? dal Governo. Ed in effetti i proponenti del d.d.l. cost. n. 813 sono stati (come nel precedente d.d.l. cost. Berlusconi del 2005) il Presidente del Consiglio e i Ministri delle Riforme e dei Rapporti col Parlamento, laddove era ben noto che la revisione della Costituzione esula, per definizione, dall?indirizzo politico di maggioranza. Ma non basta. Per la prima volta, che io sappia, il Governo, e non il Parlamento, è coadiuvato da un comitato di esperti «con funzione consultiva». Quanto alla procedura di approvazione delle leggi costituzionali ?figlie?, altrettante perplessità suscita l?inusitato regime ?privilegiato? del Governo per la presentazione degli emendamenti che viene equiparato ai poteri spettanti allo stesso Comitato (presentazione possibile fino a quarantotto ore, anziché cinque giorni, prima dell?inizio della seduta in cui è prevista la votazione degli articoli e degli emendamenti l?esame degli articoli o degli emendamenti: art. 3 comma 3).
In terzo luogo, quanto alla composizione, il Comitato parlamentare per le riforme sarà costituito da venti deputati e da venti senatori, ma a tal fine non si prescrive ? come si sarebbe dovuto ? che esso debba rispecchiare la complessiva consistenza numerica dei gruppi (così l?art. 72 comma 4 Cost.). Contraddittoriamente si richiede invece, nel contempo, anche il rispetto del numero di voti conseguiti dalle liste e dalle coalizioni di liste ad essi riconducibili (oltre alla «presenza di almeno un rappresentante per ciascun Gruppo e di un rappresentante per le minoranze linguistiche») (art. 1 comma 2).
In quarto luogo tutta la procedura di esame e di approvazione delle leggi costituzionali ?figlie? è sottoposta ad un «crono-programma» ? così esplicitamente denominato nella relazione illustrativa ? come se si trattasse di una qualsiasi legge ordinaria di particolare urgenza, e non della revisione della Costituzione (si ricordino sul punto le parole pronunciate dall?on. Perassi in Assemblea costituente: v. supra § 2 sub e). Anzi, a conferma dell?idea banalizzatrice del procedimento di revisione costituzionale, il Governo ha addirittura richiesto al Senato, per il d.d.l. cost. n. 813, la procedura prevista dall?art. 77 R.S., con conseguente dimezzamento di tutti i termini di esame nel procedimento di approvazione.
Al «crono-programma» si ispira infatti tutta la tempistica del procedimento di revisione prevista dall?art. 4 commi 1-4: il riferimento ai diciotto mesi per la conclusione dei lavori parlamentari (comma 1); l?obbligo, per il Comitato, di trasmettere «comunque» entro quattro mesi, un progetto di legge fra quelli assegnati «nel testo eventualmente emendato dal Comitato» (una sorta di trasmissione obbligatoria all?esame dell?Assemblea, allo stato dei lavori, del testo ancora non maturo, che si risolve non solo in una deroga al principio dell?esame in commissione previsto dall?art. 72 comma 1 Cost., ma anche in una forma di ?ghigliottina? della fase di esame in seno al Comitato che solleva numerosi dubbi); l?obbligo dell?Assemblea della Camera di concludere l?esame entro i tre mesi successivi e l?obbligo dell?Assemblea del Senato di fare altrettanto (art. 4 comma 3); l?esplicita previsione di un ?potere sostitutivo? di designazione coattiva da parte dei Presidenti di Assemblea, qualora uno o più Gruppi non procedano ?propria sponte? alla designazione dei rappresentanti in seno al Comitato; infine la gravissima diminuzione da tre mesi ad uno dell?intervallo minimo che deve intercorrere tra la prima e la seconda deliberazione ex art. 138 comma 1 Cost. (art. 4 comma 3).
In quinto luogo, è bensì vero che nella relazione si sottolinea che i «progetti di riforma di legge di revisione costituzionale degli articoli di cui ai titoli I, II, III e V della parte seconda della Costituzione, afferenti alle materie della forma di Stato, della forma di Governo e del bicameralismo» (art. 2 comma 1) dovranno avere un contenuto «omogeneo e autonomo dal punto di vista del contenuto e coerente dal punto di vista sistematico» (art. 4 comma 2). Tuttavia, già a prima vista la legge costituzionale di revisione del titolo I non sarà soltanto una perché la riduzione del numero dei parlamentari costituisce un problema autonomo rispetto alla revisione del bicameralismo paritario. A questa prima riflessione, nella stessa logica, se ne aggiunge un?altra che fa ritenere ambiguo e comunque insufficiente limitarsi, nella legge costituzionale ?madre?, a identificare il contenuto delle singole leggi costituzionali con la mera indicazione dei titoli I, II, III e V della parte seconda. D?altra parte la menzione di ?super materie? come la forma di Stato e la forma di Governo certamente non aiuta in questo senso.
Infine l?ulteriore e (forse) più grave perplessità che solleva il d.d.l. cost. n. 813. Il quale, anziché limitarsi a prevedere, nella logica dell?art. 138 Cost., le possibili modifiche al numero dei parlamentari oppure al bicameralismo perfetto oppure quelle da apportare al rapporto Stato-Regioni ecc., attribuisce ad un solo Comitato per le riforme il potere referente contemporaneamente su aree tematiche amplissime (forma di Stato, forma di Governo e bicameralismo oltre a tutto ciò che potrebbe implicarsi dal contenuto dei citati titoli I, II, III e V) col rischio di ritrovarsi un domani, in ragione di accordi interni interpartitici, di fronte ad un?Assemblea con ?pretese? costituenti, disposta quindi a negoziare una modifica costituzionale X con una modifica costituzionale Y, e l?una e l?altra con la riforma dei sistemi elettorali che, nel momento in cui scrivo, sembrerebbe essere divenuto il più importante dei progetti di legge indicati nell?art. 2 comma 1 d.d.l. cost. n. 813. La cui collocazione tra le materie rientranti nelle competenze del Comitato per le riforme costituzionali possiede un significato politico rilevantissimo ancorché distorcente nell?ottica della riforme costituzionali [32].



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Messaggioda PIEDENERO » lun lug 29, 2013 13:54 pm

coniglio ha scritto:
Il metodo (sbagliato) della riforma. Note critiche al d.d.l. cost. n. 813 Sen di Alessandro Pace


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Messaggioda PIEDENERO » mar lug 30, 2013 12:44 pm

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