Leggo un pò in ritardo questo topic. Per mè rimarrà un posto molto particolare, tanto che qualche anno fà scrissi proprio un racconto basato sulla mia esperienza di quei posti. Per chi ha voglia di leggere ...
La stavamo pianificando da tanto tempo, la salita (o meglio la discesa) della galleria dei Lagazuoi, ma o per altro programmi o perchè da Canazei è un pò lontana l'avevamo sempre rimandata.
Stamattina, appena svegli e vista anche la bella giornata partiamo. Previdentemente quest'anno avevo anche portato la mia acetilene da speleo e un casco in più con la frontale, quasi come sprone a partire.
Dopo aver sopportato con diligenza le eguali raccomandazioni, lui di sua moglie (nonchè mia madre) e io di mia madre e mia moglie (dose doppia ma tanto ho le spalle larghe) buttiamo tutto in macchina e partiamo.
Aggredisco quasi con impazienza i tornanti del Pordoi per poi ridiscendere ad Arabba e quindi la risalita fino al Passo dei Lagazuoi. Arriviamo e come delle furie ci catapultiamo fuori verso la biglietteria quasi come se fosse l'ultima corsa, poi ci guardiamo in faccia e con una risata capiamo che tanto non ci corre dietro nessuno. Mentre saliamo in funivia guardiamo la parete cercando di capire dove si sviluppa l'intinerario, soprattutto cercando quegli sfoghi verso l'esterno di cui ho letto in vari documenti.
A casa ho un libro di storia per ragazzi (regali della prima comunione) che tratta anche della prima guerra modiale ed in particolare del fronte a 3000 mt che si creò in queste zone. La storia della galleria costruita dai soldati per far esplodere la postazione austriaca sulla cima dei Lagazuoi (con annessa fotografia dell''esplosione) l'ho letta tante volte da perderci il conto, ripromettendomi sempre di andarla a vedere.
Oggi sto per mantenere la promsssa che mi facevo ogni volta che guardavo quella fotografia. Con un leggero scossone la cabina arriva a destinazione e insieme ad un gruppetto di americani scendiamo per dirigerci verso il rifugio. Un caffè è d'obbligo dato che con la furia che avevamo quasi non abbiamo fatto colazione stamattina. La giornata è bellissima, il panorama è bello da mozzare il fiato. Un pò di neve settembrina fa brillare le cime come quarzi, se potessi ne staccherei un pezzo da portarmi a casa in collezione. Il mio vulcanico genitore con uno scossone mi toglie dalla contemplazione e capisco che il momento di tuffarci nel buio è arrivato. Prendiamo il sentiero che porta all'imbocco della galleria ove arriviamo in pochi minuti. Fuori l'attrezzatura, do a lui il casco con la frontale elettrica e comincio a preparare l'acetilene. I gesti sono oramai talmente abitudinari che potrei farli ad occhi chiusi, affinati da anni di discese in grotta e miniera alla ricerca di emozioni nelle prime e minerali nelle seconde.
L'odore dell'acetilene che comincia a sprigionarsi mi fa sentire a mio agio, indosso il casco, sistemo lo zaino, i guanti e poi l'abituale schiocco dell'accensione della fiamma.
Mentre facciamo tutto ciò , un altro gruppo di gitanti ci sorpassa per scendere, armati di torce a mano e senza casco. Ci guardano con mal celata ironia, e con un sorrisetto a mezza bocca. Capisco perfettamente cosa pensano, e mi scappa da ridere se penso cosa potrebbero pensare se sapessero che nello zaino ho pure una mezza corda, due imbraghi, cordini e moschettoni. Ovviamente per questa gita sono del tutto inutili, ma così mi tengo in allenamento e poi, non si sa mai.
Cominciamo la discesa, su gradini scavati nel calcare ormai liscio dai tanti turisti che lo hanno percorso, tenendoci al cavo ancorato alla parete della galleria. Guardandoci intorno cerchiamo di intuire lo sviluppo del tracciato, affacciandoci ogni tanto alle aperture che danno sulla parente, probabili scarichi per il materiale durante lo scavo. Mio papà vorrebbe avere venti occhi per guardarsi tutto intorno, cogliere ogni particolare. Mi fa notare vecchi segni di perforatrice, le scalpellate sulla roccia e anche qualche piccola stalattite che ha cominciato a formarsi sulla volta. La galleria prosegue in discesa, a volte ripida, a volte bassa tanto da obbligarci a procedere abbassando il busto. Mentre scendo mi viene da pensare a tutti coloro che hanno lavorato qui. Questo genere di posti, come in special modo le vecchie fabbriche, mi piacciono perchè mi sembra che possano assorbire e rilasciare poi i pensieri, le speranze, gli stati d'animo di coloro che vi hanno lavorato. Intendiamoci, non tutti i luoghi sono così, mi piacciono solamente quelli dove l'uomo ha svolto un'attività magari intensa o creativa e se fosse per me ora mollerei lo zaino e me ne starei seduto, in silenzio e al buio per cercare di carpire qualcosa di queste emozioni. Ma il mio vulcanico genitore ovviamente non ne vuole sapere, si muove come fosse morso da una tarantola: tutte le deviazioni, le finestre o gli sbocchi tramite i quali accede direttamente in parete attirano la sua attenzione e non si ferma trenta secondi. Ad un certo punto sentiamo delle voci davanti a noi e raggiungiamo il gruppetto che ci ha sorpassato all'ingresso; una delle ragazze è seduta a terra con un panno bagnato sulla testa lamentandosi. Ci fermiamo e chiediamo cosa è successo e se possiamo essere di aiuto. Un ragazzo ci dice che in un punto basso della galleria ha dato una zuccata molto forte sulla volta e oltre ad aver rimediato un mal di testa tremendo ha pure un taglio da cui perde sangue.
"Se vuoi ho qualcosa con me, medicine e disinfettante, posso aiutarti. Va bene ?"
La ragazza alza la testa, guarda me e l'atro ragazzo che credo si tratti del fidanzato. Nei suoi occhi si leggono le frasi "ma chi me l'ha fatto fare", "col cavolo che ci ritorno" e "aspetta che esco di qui e poi vedi".
Molto velocemente apro lo zaino, tiro fuori il mio contenitore da regalo di uovo di Pasqua maxi e ne tiro fuori salviette disinfettanti e pastiglie antidolorifiche. In breve la ragazza è sistemata, e mentre il tizio mi ringrazia noto che il sorrisetto iniziale è sparito, mentre mio padre ricomincia a scalpitare.
Riaccendo l'acetilene e giù fino in fondo ove arriviamo dopo poco non senza esserci infilati prima in tutti i buchi e le diramazioni possibili.
Quando usciamo dalla galleria, non soddisfatto della giornata , mio papà mi ricorda che li a fianco c'è la cengia Martini, teatro di epiche battaglie tra Italiani e Austriaci. Non c'era bisogno di ricordarmelo, lo sapevo ma facevo finta di niente. Parte a razzo sul sentiero del ghiaione e sembra un bambino in un negozio di giocattoli; mi fa osservare tutte le postazione, dove stavano gli Italiani e dove gli Austriaci, il lavatoio in cemento che il tempo (spero non qualche vandalo) ha purtroppo spezzato. Il sentiero continua ancora, lui vorrebbe andare avanti, ma l'ora ormai tarda e brutti nuvoloni consigliano il ritorno. Quando incrocio i suoi occhi vedo non la soddisfazione, vedo l'appagamento, il realizzare finalmente un sogno cullato a lungo: fare questa gita con mè. In effetti sono ormai tanti anni che non andiamo più in montagna insieme, colpa mia e del mio carattere che ci ha portato lontano per troppo tempo e negli anni migliori. Adesso, io diventato padre e passati i trenta, ci siamo riavvicinati, parlati poi la montagna ha fatto il resto. Oggi abbiamo concluso il nostro percorso, nelle nostre gallerie personali che ci eravamo scavati incontrandoci e stringendoci idealmente la mano come i minatori nelle foto del secolo scorso quando abbattevano l'ultimo diaframma di una lunga galleria. Oggi mi sono nutrito letteralmente del tuo entusiasmo, della tua voglia di vedere e di conoscere, della tua impazienza. Ci siamo promessi di tornare qui l'anno prossimo a esplorare nuove cenge e i tunnel che oggi non abbiamo avuto il tempo di percorrere. Ma la tua fretta e impazienza, che oggi ti faceva sembrare un ragazzino e soprattutto il tuo cuore , ti hanno spinto in un tunnel nel quale hai voluto e dovuto entrare da solo e spero che alla fine tu abbia trovato la tua felicità. Io sono ancora qui, all'ingresso con la mia fida acetilene e quando verrà il momento anch'io affronterò l'ignoto.
Arrivederci papà.