Enzolino ha scritto:Gigi64 ha scritto: Leggendo quanto scrivi su RWW e avendo sentito anche altri che lo hanno letto ma che precedentemente avevano trattato gli argomenti del libro in modo più esteso, penso che questa opera di Ilgner sia una sorta di "guida rapida" all'uso di molti meccanismi comportamentali e di approccio mentale che possono essere d'aiuto nel superamento delle tipiche barriere psicologiche che si pongono nell'arrampicata.
Poi quanto applichiamo in una determinata esperienza per rendere la nostra azione più efficace può essere applicato in altre situazioni anche in altri contesti della nostra vita, e anche su questo ho trovato RWW molto interessante.
Mi interessa molto quanto citi (e che appunto non viene trattato in RWW) riguardo all'imagery, dopo aver letto i tuoi precedenti post ho pensato alla cosa, io sono una persona molto curiosa e come te mi piace molto leggere e sperimentare, però in situazioni (per me) limite di scalata (parlo sempre dell'andare da primo) faccio fatica anche solo a immaginarmi "felice" mentre scalo, cioè, mi piace molto arrampicare, mi piace mettermi alla prova e migliorare me stesso, ma nei momenti che forzo i miei limiti provo più una sensazione di controllo del disagio e della paura piuttosto che una gioia, gioia che invece provo quando la scalata è decisamente alla mia portata, non so se ti ho reso l'idea...
Certo che se riuscissi a trasferire anche minimamente quanto provo quando sono entro i miei limiti a quando li forzo, beh, il disagio e la paura diminuirebbero, ma quando mi alzo sopra all'ultimo spit moschettonato e quanto trovo sopra è molto incerto per le mie capacità, mi è molto difficile vedermi felice, probabilmente dovrei superare di più la paura della caduta...
Sono d'accordo con quanto dici.
Penso anche che la paura puo' essere un ottimo meccanismo di difesa.
Il punto e' che puo' anche innescare dei meccanismi contro producenti quando, di fronte al rischio, ci blocca, inibisce il movimento e di conseguenza aumenta la probabilita' che si verifichi una caduta.
Allora bisogna pensarci prima di essere di fronte alla situazione. E l'uso della visualizzazione e del rilassamento sono, secondo me, degli ottimi espedienti.
Riguardo l'
imagery, ad esempio, pensiamo a quanto ha scritto Raven:
riguarda ogni cosa che mi trovo davanti quando sono legata ad una corda e devo salire. e inizio a pensare ...........adesso succederà qualcosa che io non riesco a vedere e mi farò male........... il trening mi aiuta a concentrarmi e a reagire ma basta un treverso di tre passi, uno strapiombo che mi impedisce di vedere bene, un sassolino che cade o anche solo il rumore che il cuore riprende a saltare sù e giù per la gola....... insomma ricordo a malapena la sensazione di libertà profonda che mi dava legarmi ad una corda, quell'entrare in una dimensione sospesa dove pensiero e movimento si fondevano l'uno nell'altro. ora sono uno contro l'altro. e metterli d'accordo è più faticoso che scalare.
solo lamemoria di quello che ho preso e trovato scalando mi fa continuare a provare, ma ogni volta la vittoria è solo quella di aver tenuto a bada la paura, non quella di aver ritrovato l'antica sintonia,l'antica anima animale.........
Il ricordo di un'esperienza negativa, inevitabilmente ha asciato una traccia profonda nel suo inconscio, il quale si nutre di immagini ed emozioni.
Di conseguenza se ancora viene alimentato da pensieri negativi, e' inevitabile che ne conseguino paura, panico, eccetera.
Allora l'anidoto e' alimentare il proprio inconscio con pensieri positivi e a questo contribuiscono anche nuove esperienze positive, salite facili in ambienti solari, eccetera.
Riguardo il panico, mi ha colpito l'esperienza di Alain Robert, il quale soffre di vertigini.
Il punto e' che la vertigine deriva dal tentativo di controllare volontariamente l'equilibrio da parte della mente cosciente, quando in realta' dovrebbe essere un meccanismo inconscio automatico.
A causa di disfunzioni dell'equilibrio, quando questo controllo volontario si manifesta si crea un conflitto conscio-inconscio e ne deriva capogiro e, appunto, vertigini.
Lui e' riuscito a continuare ad arrampicare in freesolo, superando il controllo volontario conscio del suo equilibrio.

Il dirigere la nostra mente in un senso o in un altro è sicuramente un argomento complesso Enzolino!
Mi ha incuriosito il tuo riferimento ad Alain Robert, a volte, e per certi caratteri, l'avere uno o più problemi che ti limitano funziona da incentivo anzichè da disincentivo per fare cose al di sopra della norma, prendi ad esempio il mio amico Oliviero Bellinzani, alpinista e climber disabile, cosa riesce a fare senza una gamba...
Ma lo vedo anche nel mio piccolo, mi sarei messo ad arrampicare o a fare altre cose che richiamano certi rischi se non avessi sofferto di attacchi di panico in passato?
Forse sì e forse no, chissà...
Comunque, su quanto dici sto elaborando alcune strategie, ad esempio ho notato che per l'immagine mentale dell'arrampicata e dei suo rischi percepiti è importante una volta per l'altra, ovvero, se l'ultima volta abbiamo scalato bene, divertendoci e provando poca paura, o una paura ragionevole, la volta dopo saremo più carichi e meno timorosi.
Sei (e siete, la cosa non è rivolta solo ad Enzolino) d'accordo su questo?
Per questo motivo mi strutturo l'uscita nell'affrontare le difficoltà su di una linea che si potrebbe vedere come una parabola, parto sul facile per un riscaldamento fisico, nervoso e psicologico, mi porto gradatamente sulle mie massime difficoltà, spendo le mie energie, quando mi accorgo che sto per finire "la benzina" (a livello di giornata, non di singolo tiro) o per questioni di tempo la giornata sta per finire, mi riporto sul facile.
In pratica, l'ultimo tiro lo spendo su di una difficoltà che posso fare agevolmente, possibilmente un tiro che è per me molto divertente, e rigorosamente da primo!
Perchè questo?
Perchè ci lascia un ricordo di una scalata molto sciolta, bella e divertente, nonostante siamo stanchi, e la volta successiva ripartiremo con questa traccia mnemonica molto positiva e le sue piacevoli sensazioni dentro di noi.
In poche parole: "si finisce come si inizia" (più o meno...

).
La cosa peggiore è da ultra-stanchi fare magari un tiro che è al nostro limite ma che avevamo già fatto e non riuscire a chiuderlo perchè siamo appunto troppo stanchi, per quanto la prendiamo sportivamente e ragionando sul fatto che siamo troppo brasati per farlo, ci lascia dentro una sensazione di insuccesso non positiva, e se la volta dopo saremo in una giornata di particolare tensione, questa traccia negativa andrà ad aggiungersi agli altri elementi (psicologici e mentali) negativi...
Poi ho scoperto un'altra cosa su cui mi piacerebbe sentire un tuo parere, ad esempio sulla paura di cadere, se è questa la cosa più limitante spesso molti dicono che bisogna cercare di non pensarci, però ho notato che quando hai una paura, o riesci a distrarti al punto di non pensarci veramente, oppure più cerchi di non pensarci e... più ci pensi!!!
Così a me che piace sperimentare ho appunto... fatto un esperimento!
Anzichè cercare di non pensare alla caduta, ho iniziato a concentrarmi su quella, a pensarci in continuazione volontariamente, però attenzione, usando l'
imagery in quel contesto, ovvero richiamando le cadute che ho fatto e che sono state senza conseguenze, quasi divertenti... (adrenaliniche ma divertenti)
Quando dovevo partire guardavo il tiro, vedendo dei punti belli verticali, con delle pance o leggermente strapiombanti, mi immaginavo di cadere lì, ma di cadere piacevolmente, senza farmi male, beh, sai che più ci pensavo e... meno ci pensavo?!
Poi manco a farlo apposta nel passaggio chiave di un tiro ho cannato al linea di salita e mi sono trovato in un punto morto, sono sceso un po per ridurre la caduta, ho avvertito la mia socia e... mi sono lasciato andare, mi sono trovato un paio di metri o poco più sotto, non una gran caduta, ma sempre una caduta con lo spit sotto ai piedi (giusto giusto appena sotto!).
Quando ti lasci andare senti un qualcosa nello stomaco, come un vuoto, non è solo la paura del farti male, è... un lasciare una certezza e affidarti non a te stesso ma a qualcosa di esterno, e su una cosa che è potenzialmente pericolosa per la tua incolumità e che perciò senti particolarmente...
Però ha il suo aspetto piacevole, questo è da tenere come ricordo per le volte successive, ovviamente usandolo con intelligenza, non andrò a pensare di cadere senza conseguenze mettendomi ad arrampicare sopra ai miei limiti e in un punto in cui la caduta è pericolosa, quella è incoscienza e stupidità, che non c'entra con quanto stiamo discutendo!
Per finire, riassumendo quest'ultima parte, la chiave è di concentrare la propria strategia psicologica sull'elemento che fa paura e non sulle altre cose complementari, è inutile che penso di scalare felice se la paura della caduta è particolarmente forte dentro di me, devo concentrarmi su ciò che mi fa paura, appunto la caduta.
Così prima dello scalare penserò alla caduta, immaginandola senza conseguenze e divertente (c'è gente che paga fior di soldi per buttarsi con un elastico nel vuoto!!!

), quest'immagine mi sbloccherà anche i pensieri per immaginarmi ad arrampicare felice e sciolto anche nei punti di maggior difficoltà, cercando di fare viceversa, ovvero pensare ad arrampicare felice presupponendo che così vedrò in modo meno negativo anche un'eventuale caduta, la cosa non funzionerà!
