Vivaldi ha scritto:Ad ogni modo, invece di continuare a passare in rassegna le mie letture... non salta fuori qualche elemento in più su questo Gervasutti? E' vero chre la sua unica caduta gli è stata fatale?
tieni presente che la caduta fatale è avvenuta durante la risalita della doppia
incastrata, detto questo ti quoto un pezzo raccontato con simpatica ironia da Renato Chabod sul tentativo allo sperone Croz:
La scalata prosegue ma, raggiunto un tratto di roccia liscia che crea non pochi problemi anche al Fortissimo, il robusto Lambert (che, da buon occidentalista, è privo di pedule...) chiede di formare un'unica cordata: «Se lei è salito come secondo - spiega a Renato - io salirò come terzo, mi butti giù una corda e non se ne parli più». Così «slegati tu, che poi mi slego io, manda giù la corda e fa' salire il terzo, poi arriva anche il quarto (cioè, la quarta), e siccome il Fortissimo ed io abbiamo bisogno delle nostre due corde perché sopra c'è un altro passo ardito e loro due scoprono che hanno una corda di riserva nel sacco e bisogna srotolarla e poi legarsi ancora», improvvisamente, dopo tanto trafficare, «le nuvole, che hanno felicemente concluso la loro adunata generale, si decidono a far qualcosa nel nostro interesse e scatenano una di quelle grandinate che, se queste placche fossero coltivate a grano, il raccolto sarebbe ormai irrimediabilmente perduto». La situazione dell'eterogeneo quartetto non è delle più brillanti e, con Lambert e la signorina bloccati in un canale a ricevere addosso «una tal quantità di grandine che - afferma Chabod - non so come facciano a star su, prescindendo da qualsivoglia considerazione altruistica ed umanitaria, sta il fatto che io sono legato a loro e, se partissero, non saprei come fare a tenerli tutti e due (la corda scivola sullo spuntone rotondo e bagnato...), per cui credo che me ne andrei via anch'io e rimarrebbero a tenerci su tutti e tre un chiodo solo ed il Fortissimo che, per quanto fortissimo, se parte il chiodo parte anche lui e buona notte...». Per fortuna la tempesta si placa ma la parete, ora, appare in condizioni decisamente proibitive, avvolta dalla nebbia, e gli abiti dei nostri alpinisti - che comunque riprendono la scalata - sono ormai una crosta di ghiaccio.
In seguito, giunto alla nicchia del nevaio superiore, il Fortissimo crede opportuno «fare l'inventario del materiale chiodistico» e richiede i propri preziosi ferri alla Boulaz, che avrebbe dovuto toglierli: «Ne mancano parecchi, che la signorina dice di non aver potuto levare, e il nostro bilancio è piuttosto magro, dieci chiodi e nove moschettoni». Chabod si rivolge allora al compagno svizzero: «Spero che voi ne avrete, no?» e questi, con autentica soddisfazione, «esibisce tre chiodi di dimensioni spropositate, mostruosi, che avranno forse rappresentato l'ultimo grido della tecnica nel 1885, ma che oggi ci farebbero morir dal ridere, se non fosse che in questo momento non ne abbiamo molta voglia». L'alpinista valdostano chiede allora qualche moschettone e «Lambert stavolta estrae dal suo sacco, emozionante contrasto, tre affarini piccoli piccoli e sottili, che sollevano la mia giusta indignazione e gli dico che di quella roba lì, noi due, al massimo potremmo servircene per attaccarci la catena dell'orologio».
Giunge la sera e,
dopo un volo di una decina di metri, assolutamente imprevisto, del grande Gervasutti (che comunque «è proprio fortissimo in tutto, anche nei voli, ed è caduto così bene che non deve essersi fatto un gran male», andando «a finire proprio in una specie di cunetta, utilizzando accortamente quella parte del corpo umano che è la meno sensibile agli urti violenti»), la comitiva decide di bivaccare e, mentre Lambert e la propria cliente riescono a trovare una piccola ma confortevole nicchia nel camino che, trasformandosi in canale ghiacciato, sale fino alla forcella dello sperone, i poveri Renato e Giusto sono costretti a starsene appollaiati, uno in piedi e l'altro seduto, alternandosi ogni mezz'ora, su di un blocco incastrato. La notte purtroppo è gelida e Chabod non può fare a meno di esprimere al compagno la propria ?indignazione?: «Senti Giusto - dice - io ti pagherò due bottiglie invece di una, perché mi hai deciso a venire, ma tu me ne pagherai almeno una per questa notte da cani, te l'avevo detto io che il sacco da bivacco era meglio lasciarlo a casa e prendere roba di lana, tanta lana, un sacco pieno di lana... che freddo, porca miseria!».
Il giorno successivo - quando mancano ormai non più di novanta metri alla cresta e Lambert è impegnatissimo in un passaggio particolarmente ostico mentre gli altri sono fermi dietro di lui in malinconica contemplazione - l'incrollabile Gervasutti sta già pensando ad un eventuale secondo bivacco, ma Chabod reagisce prontamente secondo il proprio stile: «Senti, Fortissimo, io sento che usciremo, ti garantisco che usciremo, perché ne abbiamo proprio bisogno e qui sopra ci deve essere una specie di cengia... e se non si può torniamo indietro, ma io non resto qui a fare segnalazioni con la candela. Ma non parliamone più, caro Giusto, cerchiamo per ora di uscire, ma vorrei vederti con la tua candela a fare le segnalazioni, seduto su quello spuntone lì che è più aguzzo del campanile di Entrèves e se credi di poterci stare su una notte ti sbagli di grosso!». Intanto Lambert, che «sta arrancando disperatamente e ad un certo punto ricorre anche ad un lancio, gettando abilmente la corda su uno spuntoncino e poi issandosi di peso», ottiene la piena approvazione del buon Renato: «Quell'uomo non avrà portato pedule, chiodi e moschettoni, ma indubbiamente il mio cuore di vecchio occidentalista palpita commosso quando vedo una simile manovra di puro stile classico e soprattutto quando sento i chiodi degli scarponi (lo stesso Gervasutti avrebbe utilizzato per la prima volta scarpe con suole di gomma, da lui definite ?una novità che in breve tempo avrebbe rivoluzionato completamente tutta la tecnica delle scalate nelle Alpi occidentali?, solo l'anno successivo, in occasione della prima ascensione della parete Nord-Ovest dell'Ailefroide, ndr) che grattano rabbiosamente il granito... bravo Lambert!».
A trenta metri dalla vetta il Fortissimo torna in testa e dopo un ultimo, delicato tratto roccioso, il gruppo di intrepidi scalatori giunge sulla sommità della sconvolta parete. Ma tutto è diverso da come Chabod l'aveva immaginato: altro che «arrivo lirico, tramonto radioso, il Fortissimo ed io, soli, i vittoriosi... Non siamo i primi, e quindi addio gioia ed abbraccio, ecc., ecc., ma soprattutto è il pomeriggio di una giornata orribile, non vediamo nemmeno la punta Whymper, avvolti come siamo nella nebbia. C'è però una certa qual soddisfazione, ed è quella di esser riusciti ad uscir fuori, perché la pelle resta pur sempre una cosa importante e quando si ha la precisa sensazione di averla cavata da un brutto impiccio ci si sente piuttosto ringalluzziti...».
Durante la discesa accade un piccolo imprevisto, con il povero Giusto che «fila come un diretto verso il ?sottostante burrone?, schiena alla roccia e gambe per aria, in perfetta posizione aerodinamica» e con il fido amico che, per fortuna, riesce a trattenerlo, osservando che «rompersi il collo sui Rochers Whymper, dopo aver salito la Nord, sarebbe stato ?poco dignitoso?, e che non bisogna mai fare lo spiritoso e saltellare sulle creste facili, perché talvolta succede di inciampare nella piccozza e di partire in volata». Inoltre «il metodo di assicurazione ?aggrappati a quel blocco e tieni duro!? può dare ottimi risultati, anche nell'epoca dell'assicurazione a forbice e altre simili diavolerie». Al rifugio il morale è basso, ma non tanto da impedire ai nostri personaggi di brindare con una poderosa tazza di acqua calda e zucchero alla salute della valorosa signorina Loulou che, nel 1952, avrebbe salito in prima femminile anche lo sperone Walker.