Fokozzone ha scritto:Io non ce la vedo tutta questa mentalità da falesia in chi fa cascate, non fosse altro perché il luogo è freddo e scomodo. Invece vedo parecchi mangiatori di ghiaccio (alcuni non fanno neppure roccia, o la fanno a livello bassissimo) che pur conoscendo bene l' ambiente e il ghiaccio, si fidano troppo della propria abilità e non valutano a sufficienza i pericoli oggettivi.
Il ghiaccio è abbastanza discontinuo: dà poche avvisaglie, sta lì, poi, senza preavviso si spacca ed è il finimondo.
Poiché le difficoltà soggettive (legate all' abilità dello scalatore) trovano un limite naturale nella conformazione delle cascate, i forti si sono spinti in là, afforntando difficoltà oggettive sempre più elevate (cattiva qualità del ghiaccio, strati sempre più fini, impossibilità di chiodare).
Ora se costoro rischiano la pelle per spingere oltre una ricerca "professionale", non trovo giusto che i resoconti delle loro imprese (che peraltro ammiro, e mi limito ad ammirare sulle riviste) parlino di "impegno psicologico", come se accopparsi fosse un fatto psicologico. Quando Giancarlo Grassi, Comino, o più recentemente Pellizzon e Massimo Farina sono precipitati a terra, attaccati ai pezzi di seracchi o di cascata che crollavano, non sono precipitati con la psiche, ma ahimè, con il corpo.
La leggenda del falesista che va sulla cascata senza capirci niente, l' ho sentita mettere in giro da alcune guide, ma non l' ho mai vista sul campo.
Invece ritrovo nella cultura corrente un' evidente aggiramento dei termini "rischio, pericolo mortale" e un atteggiamento "blasè" degli specialisti, che osano tantissimo, tirano il grado da pazzi e ne parlano come di cose semplici, inducendo in tal modo i ghiacciatori della domenica a ritarare i loro concetti.
Proprio perché capisco quello che fanno, sono pronto a battere le mani a Marlier e a Sertori (cito i due italiani di "tendenza"), ma credo che la descrizione delle loro ascensioni dovrebbe rendere meglio l' idea della posta in gioco e del margine concesso allo scalatore.
Ricordo che un numero della rivista del CAI di qualche anno fa riportò addirittura la cronaca della scalata di una marmitta dei giganti (precariamente) ghiacciata in val d' otro, a cui veniva attribuito il grado 7, in un articolo in cui si proponevano itinerari per i ripetitori, come se qualcuno il venerdì sera potesse telefonare all' amico dire: "ma sì domani andiamo in val d' otro a provare il grado 7".....(la cosa si commenta da sè).
Fokozzone
sono d'accordo con te per tutto il resto
ma sul discorso falesia no.
forse bisognerebbe intendersi sul concetto "falesia" in questo contesto.
credo che nessuno intendesse, non io perlomeno, il vero arrampicatore sportivo
penso che con mentalità da falesia si intendesse quella di coloro che passando per l'arrampicata su plastica e su roccia in falesia, senza avere vera esperienza di montagna, si comprano il materiale e abbastanza tranquilli vanno a fare cascate.
dopotutto una volta che si ha l'abbigliamento e il materiale giusto, molti avvicinamenti sono brevi e assolutamente non pericolosi,
spesso il ghiaccio è monolitico,
si va, si tirano le picche, si avvitano chiodi che entrano come nel burro e si va su che è una bellezza
questo quasi sempre
ma poi ci sono un pò di varianti...
le cascate sono per loro natura colatoi... imbuti...
il ghiaccio a volte non è così
evidentemente insicuro...
l'acqua che scorre sotto a volte non si vede...
ci sono casi in cui non si può fare sosta su ghiaccio e bisognerebbe saperla fare su roccia...
insomma
come diceva qualcuno... le cascate sono alpinismo...
non inganni il fatto che a volte sono brevi e vicino alla strada
per loro natura sono alpinismo
e credo che a volte ci vadano sopra persone che in montagna non hanno fatto nemmeno passeggiate
oppure vie plaisir
io vedo un sacco di gente che fa cascate
non so se d'estate la stessa gente la vedi sulle classiche
ma forse mi sbaglio