monaco, grazie del tuo intervento, mi chiarisce parecchie cose.
Mi fa piacere che pure tu abbia rilevato il corto circuito della comunicazione in quei tragici giorni, come del resto hanno fatto in molti.
Ti quoto TOTALMENTE sul livello medio di comprensione della lingua da parte di chi legge e commenta, ovunque.
Le motivazioni della sentenza chiariranno la ratio seguita dai giudici, staremo a vedere. Per il momento leggo e cerco di acquisire elementi per farmi un'opinione. Come qui
http://dinicola.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/10/23/laquila-bertolaso-soci-giustizia-e-fatta/comment-page-1/
Per una volta, almeno, la giustizia fa sentire la sua voce, come riferisce l?ottimo Giuseppe Caporale. Non gioisco per le condanne degli ?scienziati? della Commissione grandi rischi. Condannati non per «non aver previsto il terremoto» (come molti giornali, carta straccia, stamattina scrivono a piene mani) , ma per avere assecondato le richieste di quei messaggi ?tranquillizzanti? che l?allora capo della Protezione civile Guido Bertolaso chiedeva e preannunciava a destra e a manca e anche per telefono all?assessore alla Protezione civile della Regione Abruzzo, Daniela Stati.
Su quello che è successo all?Aquila con il terremoto , la ricostruzione e i ritardi non aggiungo di più, non ne ho né voglia né forza. Sul dolore provocato anche da questi solerti scienziati preferisco lasciare la parola al giornalista del ?Centro? Giustino Parisse, a chi le scelleratezze della burocrazia del regime berlusconiano delegata al sisma le ha vissute sulla proria pelle.
GIUSTINO PARISSE:
Ho saputo della sentenza di condanna per i componenti della commissione Grandi Rischi poco dopo le 17 di ieri dal sito internet del mio giornale. Ero nella stanzetta di legno della redazione aquilana del Centro. Solo. Poche ore prima avevo deciso di non andare ad assistere al momento conclusivo del processo. Ho avuto lo stesso rifiuto che ebbi quando non volli vedere i miei due figli senza vita. Per me tutto è finito alle 3.32 del sei aprile del 2009. Quello che è accaduto (e accade) dopo non ha contorni precisi e ne afferro a fatica il senso. Ho pianto anche ieri, in silenzio. Non erano lacrime di soddisfazione.
Era il dolore che esplodeva nello stomaco quasi a togliere il fiato. Ho rivisto attimo per attimo i momenti in cui le macerie si sono portate via i miei ragazzi e quell?urlo «Papà , Papà» è tornato a incidere la carne. Eppure anche di fronte a una condanna tanto dura non riesco a immaginare quegli uomini, che ora potrebbero rischiare il carcere, come gli assassini dei miei figli. Nei mesi scorsi, anche durante il processo, ho stretto la mano ad alcuni di loro e non le ho trovate sporche di sangue. Ho visto uomini fragili forse consapevoli di aver sbagliato e per questo caduti nel vortice di una tragedia che ha finito per travolgere anche loro. No. Non me la sento di gridargli contro la mia rabbia. Quella continuo a gridarla a me stesso. Sono io la causa prima della morte di Domenico e Maria Paola e non me lo perdonerò mai. Certo fra le tante colpe che ho c?è anche quella di essermi fidato della commissione Grandi Rischi credendo a una scienza che in quella riunione del 31 marzo del 2009 rinunciò a essere scienza. Questa è una condanna in un processo di primo grado. Credo di essere facile profeta a ipotizzare che nei vari gradi di giudizio tutto potrebbe sciogliersi come neve al sole. Non sarò io a dolermene. Oggi a fronte di una sentenza presto destinata alla polvere degli archivi, non provo nulla: né soddisfazione, né amarezza, né voglia di vendetta. Quando dentro si ha un dolore così lancinante gli altri sentimenti si inabissano.
Questo processo è stata una sconfitta per tutti. E? lo Stato che ha condannato se stesso. Uno Stato che in quel 31 marzo 2009 aveva rinunciato al suo ruolo: quello di proteggere i cittadini per piegarsi alla volontà della politica che doveva mettere a tacere i disturbatori. E? per questo che quello che si è svolto nel tribunale dell?Aquila non è stato un processo alla scienza. E? stato piuttosto un processo a scienziati che di fronte al volere dei potenti dell?epoca hanno ?staccato? il cervello e obbedito agli ordini. Oggi condannarli al rogo non serve. Io non lo faccio e spero che anche il loro tormento interiore _ che pure non ha nulla a che spartire con chi ha perso tutto _ venga compreso e rispettato. Le sentenze vanno sempre accettate e lo avrei fatto anche in caso di assoluzione. Per me dopo questa condanna che suona obiettivamente molto pesante, non cambia nulla. Ora assisterò a dibattiti senza fine sulla scienza condannata per non aver previsto il terremoto.
Io sono fra quelli che ha sollecitato l?avvio dell?indagine con un esposto. L?ho fatto perché volevo che quella vicenda (la riunione della Grandi Rischi) venisse scandagliata e approfondita in un?aula di tribunale: oggi, 2012, basta leggere i comunicati della Protezione civile per scorgere persino un eccesso di zelo come quando pochi giorni fa su Roma era stato previsto il diluvio universale. Ma è meglio così. Quando si tratta di fenomeni della natura soprattutto quelli che non sono prevedibili con certezza meglio allarmare che rassicurare. Se fosse accaduto anche all?Aquila che so, avrei passato qualche notte all?addiaccio ma la vita dei miei figli non si sarebbe fermata per sempre. Ho visto che nella sentenza si parla di risarcimenti. Sin dal primo momento ho detto che per la morte dei miei figli non voglio nemmeno un euro. Ci sarebbe un solo modo per essere risarcito per ciò che è accaduto: avere la possibilità di abbracciare di nuovo i miei ragazzi. E? successo una settimana fa. Sognavo. Poi mi sono svegliato.?
E qui:
http://ilvasodipandora.blogautore.espresso.repubblica.it/
I giudici de L?Aquila hanno condannato i membri della Commissione grandi rischi a sei anni per omicidio colposo: hanno sottovalutato i segni del sisma.E infuria la polemica. ?L?Espresso? ha raccontato ben benino già all?inizio del processo di cosa si discuteva a L?Aquila in un articolo di Nicola Nosengo, e a quello rimando per i dettagli e per le reazioni della grande stampa scientifica internazionale all?affaire. Ora, a processo di primo grado concluso, tiriamo le fila. Io penso che questo shock sia utile a tutti. Non perché, come hanno scritto molti, l?imputata è la scienza e la sentenza ne rivela la fallacia. Ma per tre motivi precisi.
1. Imputata non è affatto la scienza. Imputati sono sette professori che hanno prestato i loro nomi e i loro curricula alla propaganda del governo Berlusconi. La sentenza è su di loro e sul fatto che non hanno preso sufficientemente sul serio il loro compito. I giudici dicono che hanno sottovalutato il pericolo. Oggi Enzo Boschi, allora presidente dell?Istituto Nazionale di Geofisica, dice ai giornali: «il verbale mi inchioda ma io non so neanche chi lo abbia scritto». Perché è chiaro a tutti che i prof hanno dato un?occhiata veloce alle carte scientifiche che il supercommissario Bertolaso gli ha messo sotto il naso e le hanno avvallate. Ovvio che il colpevole dei colpevoli è Bertolaso che aveva il problema di rassicurare, rassicurare, rassicurare. In puro stile berlusconiano: tutto va bene madama la marchesa. La crisi non c?è, i poveri neanche, gli italiani vanno al mare e in barca? e a L?Aquila non può succedere nulla. I professori sapevano, invece, che la scienza non prevede dichiarazioni apodittiche, che nulla è mai certo e che la probabilità è una mignotta birichina. Invece che scodinzolare davanti a Bertolaso avevano il dovere (e il diritto) di far valere le ragioni della scienza.
2. Probabilità: il rebus sta tutto dentro questa parola. Nessuno poteva essere certo del terremoto, e con i dati a loro disposizione forse sarebbe stato grottesco evacuare la città. Così come è apparso grottesco l?allarme a Roma la settimana scorsa per quattro gocce di pioggia. Ma è la scienza, baby; e tu non ci puoi fare niente. La certezza non esiste. E allora i sette Soloni avevano il dovere di prendere Bertolaso per le palle e obbligarlo a pensare a un piano efficace, come fa la Protezione Civile nei paesi civili. Magari non avrebbero evitato ogni tragedia, ma avrebbero forse potuto evitarne tante. Sottoscrivere le facezie del guitto è stato criminale. Mi auguro però che questa sentenza ridesti tutti da un sonno premoderno: la certezza non è tra le cose che gli scienziati possono garantire, quello lo fanno i preti, i maghi, i politici. La scienza vive di probabilità, ma il bello è che con la scienza della probabilità si possono costruire teorie affidabili e piani di emergenza per le popolazioni.
3. Perché lo hanno fatto? E qui veniamo a una nota dolentissima: io credo per vanità. Perché sedere in una commissione così importante è prioritario rispetto a farlo con decoro. Meglio rischiare di sottoscrivere una cazzata criminale che rischiare di essere fatti fuori perché non si dà ragione al capo (ancora un gioco di probabilità?). Purtroppo spesso le commissioni vivono di questa regola umiliante. Così persone di valore come Franco Barberi escono da questa storia col curriculum infangato, ed è un peccato. Non era meglio, professore, restarsene a Pisa a fare conferenze e guardare i nipoti? Ah, le commissioni: una poltrona, un incarico a Roma, una possibilità di parlare coi giornali e, per alcuni (certo non per persone del calibro di Barberi) la possibilità di fare qualche soldino. Che tristezza! Io ho una concezione alta della scienza, e mi illudo che capirci di cose così importanti come i movimenti della terra sia ben più gratificante che sedere a Roma a reggere la coda a uno come Bertolaso.