http://www.caibolzaneto.net/articoli/an ... azione.php
LA CRISTIANIZZAZIONE DELLE VETTE
Luciano Venzanoi
Quando si raggiunge la cima di un monte, spesso e volentieri meta di gita domenicale, si trova normalmente, quale indicazione della vetta, una croce o una madonnina.
Sappiamo, dalle varie lapidi, che molte di queste croci, ma non tutte, indicano sventure avvenute sul posto in un lontano anno, oppure vi sono state messe a ricordo di un amico scomparso su qualche altra cima, magari più prestigiosa.
Viene di conseguenza da chiedersi il perché delle altre croci che si trovano infisse sui nostri monti, a volte senza nesso apparente neanche con la toponomastica del luogo.
Un po’ è la mania umana di imitare: una cosa piace e si cerca di ripeterla magari migliorandola. Ecco allora che la semplice madonnina diventa una statua vera e propria o la semplice targhetta diventa un’elaborata targa con distintivi e stemmi.
Tutto ciò però spiega solo quota parte di quello che si trova sulle vette. Non è stato sempre così. Fu principalmente la volontà di un papa che diede l’avvio alla proliferazione delle croci e madonnine sulle cime dei monti.
Alla fine del secolo XIX, l’allora Pontefice Leone XIII invitò i popoli ad erigere croci e monumenti a Cristo Redentore sulle vette dei monti per confermare e testimoniare la fede in segno di saluto al secolo XX dalla nascita di Nostro Signore.
Il terreno però era stato preparato prima da una lunga evoluzione di pensiero nei confronti delle montagne, il fatto stesso che queste siano un’espressione di per sé “religiosa” (lassù hanno sempre abitato gli dei, chi vi ascende s’avvicina al cielo e via astraendo) è vissuto serenamente solo nell’epoca moderna, prima il rapporto con le montagne era diverso e noi non dobbiamo cadere nell’errore di pensare che i nostri avi osservassero le montagne con la nostra stessa ottica.
In primo luogo le cime dei monti non erano mai state commercialmente convenienti e raramente venivano raggiunte solo per uso di pascolo. Nella migliore delle ipotesi segnavano il confine tra diverse popolazioni. Erano veramente poco frequentate, per gli antichi erano più importanti i valichi anche come postazioni da difendere in caso di guerra.
Gli alpeggi per l’estivazione del bestiame, situati a un’altitudine elevata, furono cristianizzati solo nel XVI sec. grazie a missioni dei cappuccini, e non prima, praticamente sino ad allora le alte vette e le persone che vi si recavano erano considerate più pagane che cristiane.
Il simbolismo benedettino ebbe in quei secoli la forza di imporre una nuova visione religiosa, si voleva che le abbazie fossero edificate sui monti che rammentano anche la solida “montagna sacramento” degli eremiti e dei monaci o addirittura la teologia di Cristo come roccia. Per questo troviamo detti monasteri nelle vicinanze di tanti passi alpini, era una maniera di operare la carità ad alta quota ai vari pellegrini che vi transitavano.
Fino al Medioevo prevaleva nell’immaginario popolare una visione permeata di orrore verso i monti, luogo dove vivevano draghi, streghe, gnomi e quindi luogo di pericoli per l’anima e per il corpo; addirittura il vescovo e apologeta Bossuet a metà del Seicento quasi “scomunicava” le catene alpine come immagini del disordine e del peccato.
Ricordiamoci che nell’Antico Testamento i luoghi alti erano a volte sede di culti pagani e perciò la Bibbia si scaglia contro certe alture che nella semplice lingua di allora avevano il significato pregnante di luogo del peccato.
Dai Padri della Chiesa ai guru induisti, dal Sinai al Fujiama, le cime sono sempre state una scala fra il mondo e Dio, un luogo di passaggio dalla materia allo spirito. “La virtù è cosa leggera e porta in alto” (Gregorio di Nissa); “L’uomo perfetto muore su una montagna” (Origene); mentre già la Genesi raccomandava: “Non fermarti in pianura”. Ciò rimane fortemente radicato nell’animo degli individui i quali poi agiscono conformemente a quanto viene loro suggerito dal loro inconscio.
E’ con gli umanisti che la considerazione del paesaggio alpino cambia radicalmente di segno: “L’alta montagna è una creazione dell’umanesimo, sia cattolico che protestante”, può sostenere lo studioso Philippe Joutard.
I primi viaggiatori-scrittori tipo Josua Simler (Zurigo 1574) e gli scienziati-filosofi come Leibniz e la sua teoria cosmogonica e orografica diedero il vero inizio alla frequentazione montana sia a scopo di studio in un primo tempo, poi per diletto con l’aumentare del benessere nella fascia borghese.
Col romanticismo e con Nietzsche, invece, il monte diventa terreno in cui l’uomo può sperimentarsi e superarsi: a un passo da certe concezioni eroico-agonistiche dell’alpinismo moderno.
Nelle nostre regioni la religione cattolica popolare trovò espressione in pratiche devozionali che presentavano legami con il paesaggio alpino.
Antichi simboli pagani quali massi erratici e grotte vennero “cristianizzati” da un’apparizione della Vergine o dall’affissione di un crocifisso; si scoprirono sorgenti miracolose; in luoghi sacri (in parte antichi luoghi di culto pagani come all’Acquasanta sopra Voltri) vennero costruite cappelle per pellegrinaggi la cui custodia era affidata a eremiti (come nelle vicinanze della Bocchetta); si allestirono veri e propri “sacri monti” come quello di Varallo.
Queste pratiche devozionali, anche se in apparenza legate a superstizioni piuttosto che a una spiritualità alpina, contribuirono a consolidare le comunità montane. Lo studio delle pratiche religiose cristiane di queste regioni consente di evidenziare alcune tematiche di fondo: la memoria dei defunti, onorata nelle cappelle oltre che, evidentemente, negli ossari e nei cimiteri, e le raffigurazioni di santi molto popolari come Cristoforo e Rocco.
Si può però notare che le alte vette non hanno, se non raramente, il nome di santi. Questo deriva dal fatto di cui scrivevo prima, la cristianizzazione si è fermata ad una certa quota nell’epoca cristiana. E prima?
Chi studia le antiche religioni trova frequenti riferimenti in Liguria al dio Pen (da cui deriverebbero poi i toponimi di Penna, Pennino, Pennello, ecc.) come dio delle vette a cui si sarebbe tributato un culto alpino.
E’ molto difficile dimostrare queste attinenze se non nel fatto che effettivamente tanti monti hanno un nome che inizia con questo prefisso.
Certo, nell’immaginario culturale di tutti i popoli e di ogni epoca sembrerebbe che le scalate facciano inevitabile coppia con l’ascesi; la purezza dell’aria con la trascendenza ma nella realtà alpinistica o escursionistica d’oggi penso siano pochi quelli che vedono l’ascesa ad un monte come un pellegrinaggio.
In ultimo è da ricordare uno scopo più pragmatico dell’uso delle croci sulle vette, queste essendo in alto sono ottimi parafulmini e con ciò possono allontanare il pericolo immediato della folgorazione nei temporali, se l’alpinista accorto ne rimane distante quando il tempo volge al peggio.