Sentirsi lasciati a se stessi, senza aiuto, senza scampo, vestiti soltanto della propria forza e della propria debolezza, senza altro che sè a cui chiedere, e portarsi innanzi di roccia in roccia, di appiglio in appiglio, inflessibilmente, per ore, e il senso dell'altezza e del pericolo imminente, inebriante, e il senso della solitudine solitudine solare, il senso di indicibile liberazione e di respiro cosmico alla fine, all'attingere delle vette, quando la lotta è vinta, l'affanno è domato e si schiudono orizzonti voraginosi di centinaia di chilometri - tutto più in basso di noi - in ciò vi è veramente una catarsi, uno svegliarsi un rinascere in qualcosa di trascendente, di divino. (J. Evola)
Cari amici, cosa ne pensate del rapporto tra spiritualità e montagna? Nella vostra esperienza, nell'andare in montagna, trovate un senso di sacro, una trasformazione interiore, un contatto con qualcosa di trascendente, oppure è più uno sport?