da arteriolupin » mer lug 28, 2010 19:35 pm
Piccola precisazione, ad uso di chi avesse avuto la peraltro ottima idea di leggere solo sueprifcialmente le mie verbose, rutilanti e spesso inutili righe:
non ho fatto alcun parallelo tra la caccia, la pesca e l'alpinismo. Ho, invece, consciamente posto in parallelo le attitudini di colui che definiamo uomo o persona ad "ingrandire" il peso delle proprie azioni, ludiche o passionali che siano. Avrei anche potuto riportare i racconti tipici dei machos nostrani, pronti a spergiurare di essersi fatti la tale, la tal'altra e l'altra biondona quando queste, in realtà, non ha nemmeno preso in considerazione la possibilità di dar loro un bacio, manco sulla guancia.
Tornando alla definizione del superomismo ampliato dal senso del pericolo controllato, potremmo a quesot punto (e forse dovremmo) far eun parallelo con latri sport ed attività che prevedano possibli situazioni di "pericolo controllato", che ne so, parapendio, bunjee jumping, rafting, parkour...
Esistono troppe sottocategorie nelle pratiche citate, così come nel mondo dell'alpinismo e della montagna, nonché di quella figlia diretta di questi che è l'arrampicata sportiva, ormai non sempre necessariamente legata al mondo della montagna ma solo a quello del verticale e dello strapiombo, magari indoor e su plastica.
Le variabili sono troppe, bisognerebbe stare a sottilizzare quale sia il vero "pericolo"; ovvero, per esempio: è più pericolso fare un volo con l'ultima protezione a otto metri sotto le chiappe o ci si caga in mano di più a percorrere un viaz con terzo grado a iosa e senza possibilità alcuna di piazzare una benché minima portezione?
Ampliando questa serie di concetti ed esaminandoli a fondo, vdremo che, di nuovo, il concetto di "pericolo" sarà nebuloso tanto quanto il concetto di "alpinismo", visto che ognuno dei praticanti vuole dare ad uno ed all'altro termine la definizione giusta.
Ergo... L'alpinismo, l'andar per monti è sicuramente una di quelle discipline che, ponendo il singolo "in sfida" (con sé stesso prima che con l'ambiente), prevede - anche se non necessariamente - una capacità intrispettiva maggiore, più completa e, volendo, una etica molto ferrea. In cambiom, garantisce una fornitura di adrenalina garantita per ogni sessione di pratica, dando a chi la pratica e ne trae profitto per l'animo la possibilità di aumentar ele porprie sensazioni e dil proprio graod di "autoincensazione" nonché quella tensione all'intendibile rappresentato dal desiderio - così ben epsresso meglio di me poco sopra - di passar eoltre l'unico vero limite che conosciamo, quello della caducità e della mortalità
L'immortalità momentanea dell'alpinista è, probabilemnte, racchiusa in questo suo combattere la mortalità, affrontandola a viso aperto aumentando il rischio, con l'unica di prospettiva di poter vivere un attimo da immortale, un breve segmento di eternità.
Parlare di segmento di eternità è come parlare di parte dell'infinito e, probabilmente, chi accetta di andare a rishciare per provare quelle sensazioni, più o meno consicamente sa che non potrà mai aspirare a percorrere l'intera retta, in quanto infinita. Sa, però, di poter andare a conoscere la stessa fissandone lo sviluppo in un momento definito, quello del suo andare incontro al pericolo controllato, facendo di un segmento la proiezione del tuttto. Quell'unico segmento conoscibile che, ripetendosi nell amemoria e nel pensiero dell'alpinist,a gli fornità il materiale per poter credere di essere stato per un solo attimo consciamente illuso di aver toccato l'immortalità e tutt ele sensazioni ad essa connesse.
In breve: l'Alpinista ha sete di conoscenza, ha voglia di vedere e nulla lo attrae di più dellinconoscibile, di ciò che comunemente viene chiamato limite. Che poi sia il limite umano o solo quello proprio del singolo, poco cambia.
Bene, mi sono annoiato da solo e mi mando a fanculo da solo.
Buone Montagne, a chi è riuscito a leggermi fino in fondo.
...Se tuti i bechi gavesse un lampion... Gesummaria che iluminasiòn!
Canto popolare veneto