PIERRE MAZEAUD: «L'alpinismo è un metodo, è la possibilità di scalare le montagne. Se si considera l'evoluzione dal di fuori, è chiaro che non vi può essere un periodo più bello dell'altro. Stabilito dunque che non esiste un'età d'oro dell'alpinismo, ma semplicemente la scoperta della montagna, non vi sembra che un ragazzo nel portare a termine una prima ascensione oggi, possa riprovare le stesse emozioni di un Cassin quando vinse la Cima Ovest di Lavaredo?».
SYLVAIN JOUTY: «Nel 1880 alcuni trovavano già che niente era più come prima, che le Alpi erano esaurite, che lo sport alpino era traviato. Bisogna evitare di cadere nel tranello di dire che ciò che all'epoca erano fantasmi oggi è realtà. Ma non bisogna neppure dire che si tratta ancora di fantasmi. Bisogna piuttosto vedere che l'alpinismo avanza di sconfitta in sconfitta: ogni prima significa, per chi viene dopo, lo sbriciolamento di un patrimonio».
FAUSTO DE STEFANI: «L'alpinismo è uno specchio della società. Per cui, se la società è malata, l'alpinismo non può non essere malato. Il fiato metropolitano è giunto sulle grandi montagne e anche lassù, ora, più che l'essere conta l'avere: l'esperienza rigenerante ha ceduto il posto al desiderio di possesso. Occorre tornare alla lentezza».
MAURIZIO GIORDANI: «L'evoluzione dell'alpinismo sta nell'uomo, non nei materiali. Ma riusciamo, oggi, a fare a meno della tecnologia? E ne vale la pena? Le risposte stanno in ciò che cerchiamo. Se l'obiettivo è un'esperienza gratificante per noi stessi non serve barare. Se invece puntiamo ai grandi titoli sui mass media allora è diverso: occorre ?sparare? montagne famose, gradi alti e tempi ridotti. Credo sarebbe opportuno fare un passo indietro e riscoprire nell'alpinismo quella cultura, filosofia e poesia che, con un atteggiamento più romantico, sarebbero molto più visibili».
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