Partiamo verso le 8 dai pressi della diga del Vajont, a quota 820. E? una mattina afosa e la cappa di caldo e umidità che subito ci aggredisce appena entrati nella ripida faggeta, costituisce l?habitat ideale per nuvole d?insetti d?ogni tipo, zanzare in primis. Nel salire la ripida china sudiamo dunque molto, rossi in faccia con le palpebre grondanti come quelle di lacrimanti madonne.

La faggeta iniziale
Abbiamo dimenticato a casa quasi tutto ciò che ci sarebbe stato necessario, mentre in compenso siamo ben sovraccarichi (io almeno) di fardelli inutili, come spesso mi succede.
Ben presto l?accorto kala, dotatosi previdentemente di braghe chiare, nota scorrazzare numerosi per le medesime i temuti puntolini neri. Buttando lì la falsa ipotesi che possa trattarsi di piccoli ragni innocui, non riesco con questa patetica invenzione a distoglierlo dall?ossessione di fermarsi per liberarsene ogni pochi passi. Io invece indosso braghe scure per cui anche se non fossi quell?orbo che sono non potrei scorgervi alcunché di brulicante, quindi rimuovo il problema e me ne sbatto, godendomi però in compenso e pienamente le zanzare che mi assalgono soprattutto ogni volta che il prudente kala mi costringe a sostare per assistere alla sua puntigliosa ricerca.

Una bella e larga cengia lungo la salita
Così procedendo, dopo 800 metri di salita giungiamo al misero ricovero di casera Vasel posto sopra un ripiano prativo.

Il ricovero di casera Vasel
Da qui procedendo dopo breve sosta, riprendiamo nel rado bosco fino al termine degli alberi. Quindi solo pietre e mughi ci attendono.

Al termine degli alberi
La traccia è segnata da ometti e vecchi segni rossi nemmeno tanto radi. Alcune lingue di neve accumulatasi nei canali testimoniano ancora le copiose nevicate della ormai passata bizzarra primavera.

Ultime lingue di neve nei canali

Lungo il pendio che sale alla forcella tra le nostre due cime
Avvistiamo Cima Mora, però scartiamo sulla destra per toccare prima la nascosta cima del Toc a m. 1921.

Alla forcella, ecco cima Mora. Alto sullo sfondo il Col Nudo con davanti le basse Cime di Pino

Ennesima ispezione zecche sulla cima Toc
Là in fondo, in basso oltre il Piave e in direzione del Maè, si direbbe stia infuriando una battaglia di fucilieri impazziti. Ipotizziamo un poligono militare di tiro in piena attività, ma non potremo mai verificare la correttezza di tale ipotesi, anche se altre non ce ne vengono in mente.

In basso il laghetto della val Gallina
Dopo breve sosta ridiscendiamo alla forcella tra le nostre due cime e risaliamo a Cima Mora, a m.1938, la più alta del massiccio.

Dalla Cima Mora la cima minore del Becol di Toc. Dietro ecco il Borgà e il Duranno
È ora di pranzo e un po? si mangia, ma soprattutto si finiscono i liquidi. Sono disidratato e scorgendo laggiù nel fondo, ai piedi delle Cime di Pino, l?amena Casera Ditta, inutilmente sogno di trovarmi con le gambe sotto un suo tavolo con davanti a un buon litro di rosso fresco, rugiadoso e grondante. Alle spalle della Ditta il Col Nudo mi sfida e mi ricorda che anni fa lo mancai. Ma non finisce qui, penso, e sono certo che prima o poi ci rivedremo.
Dall?altra parte dell?invisibile e residuale laghetto del Vajont ecco i prati inclinati e calcinati dal sole del Borgà, del Salta e del Piave. Dietro ad essi l?immancabile Duranno. E dalla parte zoldana ecco il Bosconero, la Rocchetta Alta, il Sasso di Toanella, mirabili architetture azzurrine nel sogno di una lontananza che ne esalta la maestà.

Le meravigliose architetture zoldane
Dopo una mezz'ora di sosta in vetta prendiamo a scendere ripercorrendo i nostri passi e proseguendo infine in cerca di un?osteria dove estinguere la nostra sete. A Erto scopriamo che c?è chi quel giorno se l?è passata peggio di noi, che bene o male siamo saliti e discesi per un versante nord. Incontriamo infatti due poveracci stravolti e brasati dal sole che, senza nemmeno riuscire a piangere tanto sono prosciugati, confessano di essere appena discesi dal Borgà in piena canicola. Ce lo gridano da lontano nella via deserta del paese, calcinata al sole delle 2 come in un western classico, con esternazione disperata e incontenibile, lasciandoci alquanto perplessi. Ma capiamo bene che il sole fa brutti scherzi e così invece di commentare ?chissenefrega? annuiamo comprensivi.
E poi tutto finisce naturalmente al bar con una radler (per chi non guida) e una limonata (per l?altro).
Ma? e le zecche? Dopo le doverose ispezioni corporali (consumate ciascuno a casa propria) scopriamo con sollievo che nessuna di esse è riuscita a radicarsi nelle nostre zone umide. Pare che una soltanto sia riuscita ad insinuarsi nella mia biancheria, dove trovò una morte orrenda in una rovente lavatrice. Venne ritrovata il giorno dopo priva di vita, con le zampette rattrappite, tra le fibre di un mio calzino steso al sole ad asciugare.