l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Arrampicata e alpinismo su roccia in montagna

Messaggioda danielegr » dom gen 06, 2008 20:34 pm

kala ha scritto:
Distinguerei comunque due pessime abitudine ben distinte:

- quella di fare i propri bisogni in luoghi non opportuni, la qual cosa mi lascia semplicemente perplesso, per utti i motivi riportati nell'altro forum;

- quella di lasciare ben altri segni del proprio passaggio, siano essi fazzolettini di carta, lattine, bucce, cartacce o quant'altro, abitudine quest'ultima assolutamente deprecabile!!! :evil: :evil:

A tutti quelli che han voglia di recepire io faccio sempre presente che con un sacchettino al seguito in ogni escursione e con un pizzico di buona volontà si può sempre contribuire non già a non sporcare ma anche a ripulire un po' le nostre montagne (e qui mi riferisco ovviamente ai soli rifiuti solidi ;) ).


E queste, secondo me, sono parole sante. E' chiaro che se a uno "gli scappa" non può materialmente marciare per alcune ore per raggiungere un luogo adatto. Può farla in un luogo il più nascosto possibile, ma effettivamente la carta o i fazzolettini li può (li DEVE) mettere nell'apposito sacchettino e portarseli via. Quelli poi che lasciano bucce, cartacce, lattine, bottiglie o altre cose non solo non sono degni, a mio parere, del nome di alpinisti, ma neanche di quello di uomini.
Non ci vuole molta fatica a riportarsi indietro una bottiglia vuota: è molto più civile che lanciarla in basso per vedere che effetto fa rompendosi.
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Messaggioda kala » dom gen 06, 2008 22:19 pm

danielegr ha scritto:E' chiaro che se a uno "gli scappa" non può materialmente marciare per alcune ore per raggiungere un luogo adatto. Può farla in un luogo il più nascosto possibile, ma effettivamente la carta o i fazzolettini li può (li DEVE) mettere nell'apposito sacchettino e portarseli via. Quelli poi che lasciano bucce, cartacce, lattine, bottiglie o altre cose non solo non sono degni, a mio parere, del nome di alpinisti, ma neanche di quello di uomini.
Non ci vuole molta fatica a riportarsi indietro una bottiglia vuota: è molto più civile che lanciarla in basso per vedere che effetto fa rompendosi.


Lo ammetto: non arrivo a tanto. Però ho sempre usato carta igienica, che secondo me è più facilmente e velocemente biodegradabile. Comunque se non fossi così pigro avrei già provato qualcuna di quelle carte igieniche che assicurano essere biodegradabili al 100%, oltre che riciclate al 100% con processi "non nocivi" per la natura. Compriamo ogni istante capi d'abbigliamento e attrezzi supertecnologici, possiamo anche permetterci di spendere un po' di più per una parte di fornitura di carta igienica, che dite? ;)

Per quanto riguarda invece le bucce - in particolare - mi capita spesso di lasciarle in giro, essendo un prodotto decisamente "biologico"; considerando però due fatti: che il tempo di biodegradabilità non è di 5 minuti e che a chiunque fa schifo vedere spazzatura sul proprio cammino, fossero anche prodotti naturali.

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Messaggioda danielegr » lun gen 07, 2008 14:04 pm

Vediamo un po': quali sono le differenze d'abbigliamento di un alpinista anni '60 e di oggi? Quelle di oggi non le conosco se non in minima parte, e quindi mi limito a dire come eravamo vestiti noi quasi mezzo secolo fà Cominciamo dal basso:
- Scarponi: ho già detto da qualche parte che usavamo, anche per arrampicare, scarponi rigidi. La parte da mezza suola alla punta era irrigidita da una lamina metallica. Si usavano gli stessi scariponi per camminare su sentiero, per andare su roccia o su ghiaccio. Sono andato adesso a pesarli (li conservo come un cimelio) Peso Kg. 1,750;
- calzettoni: usavamo quelli di una lana particolare (non ricordo il nome), un po' pungente ma quasi impermeabile. Anche camminando per ore nella neve si riusciva a mantenere il piede asciutto. Qualcuno, vista che quel tipo di lana pungeva un po', preferiva indossare sulla pelle un paio di calzini di cotone;
- pantaloni: qui era un problema. La leggenda diceva che i migliori in assoluto sarebbero stati quelli fatti con il "diagonale delle divise.." di non ricordo più quali ufficiali, forse di Marina. Ovviamente nessuno del nostro gruppo ha mai visto pantaloni fatti in quel modo. Io ne usavo di due tipi: uno in velluto per salite di tipo dolomitico, e un altro di lana per salite che comprendessero neve o ghiaccio.

Mi chiamano a mangiare: il resto un altro momento.
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Messaggioda granparadiso » lun gen 07, 2008 14:19 pm

danielegr ha scritto:Vediamo un po': quali sono le differenze d'abbigliamento di un alpinista anni '60 e di oggi? Quelle di oggi non le conosco se non in minima parte, e quindi mi limito a dire come eravamo vestiti noi quasi mezzo secolo fà Cominciamo dal basso:
- Scarponi: ho già detto da qualche parte che usavamo, anche per arrampicare, scarponi rigidi. La parte da mezza suola alla punta era irrigidita da una lamina metallica. Si usavano gli stessi scariponi per camminare su sentiero, per andare su roccia o su ghiaccio. Sono andato adesso a pesarli (li conservo come un cimelio) Peso Kg. 1,750;
- calzettoni: usavamo quelli di una lana particolare (non ricordo il nome), un po' pungente ma quasi impermeabile. Anche camminando per ore nella neve si riusciva a mantenere il piede asciutto. Qualcuno, vista che quel tipo di lana pungeva un po', preferiva indossare sulla pelle un paio di calzini di cotone;
- pantaloni: qui era un problema. La leggenda diceva che i migliori in assoluto sarebbero stati quelli fatti con il "diagonale delle divise.." di non ricordo più quali ufficiali, forse di Marina. Ovviamente nessuno del nostro gruppo ha mai visto pantaloni fatti in quel modo. Io ne usavo di due tipi: uno in velluto per salite di tipo dolomitico, e un altro di lana per salite che comprendessero neve o ghiaccio.

Mi chiamano a mangiare: il resto un altro momento.



acc......
questo dell'abbigliamento mi interessava :)

vabè
alla prossima puntata

buon pranzo daniè!

:P
babbo....
è....
quindi le montagne tengono su il cielo!

(mio figlio dopo aver visto Bonatti e Messner)

Mitakuye oyasin
*************
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Messaggioda danielegr » lun gen 07, 2008 15:10 pm

Finito di mangiare: pasta con la catalogna, fettine di maiale con senape e insalata, ammesso che la cosa interessi a qualcuno...
Torniamo all'abbigliamento anni '50/60: avevo dimenticato le ghette. Erano in un materiale simile al nailon, comunque sarebbe stato impermeabile. venivano indossate prima degli scarponi (ma và....) e legato ad di sotto di questi con una fettuccia. In alto, poco più in alto della caviglia, erano tenute a posto da un elastico. A qualcosa certamente servivano, ma le neve, specie la neve marcia, riusciva ad entrare lo stesso e si scioglieva nello scarpone che era una bellezza... In sostanza bisognava stare attenti, ogni tanto fermarsi e svuotare le ghette, se si era su neve marcia o comunque bagnata. Non mi ricordo di aver mai visto nessuno con ghette che riuscissero a tenere per l'intera giornata su ghiacciaio.
Torniamo ai pantaloni: ho detto velluto per dolomite, lana per Occidentali. Certo si potevano bagnare, ma almeno quelli di lana riuscivano a tenere caldo lo stesso. Molti, fra i quali io, avendo in programma gite con tempo freddo o in altitudine aggiungevano le "mutande con le maniche lunghe".
C'è poco da ridere... facevano egregiamente il loro servizio e tenevano ben caldi i muscoli delle gambe. Lo so: erano ridicole, ma non stavamo andando ad una sfilata di moda...
Obbligatorie erano le bretelle: aggeggio ben poco estetico ma che erano le uniche che tenevano a posto tutto l'ambaradan. Meglio quelle larghe, tipo quelle che si vedono indossate nei film western dai sottufficiali americani.
E passiamo alla zona superiore: qui era la fantasia di ognuno che la faceva da padrone. Chi usava la maglietta a mezza manica, chi la canottiera (sempre io, per esempio). Comunque: una addosso e una, magari due, asciutte nello zaino. Poi naturalmente una camicia: io prediligevo quelle di tipo scozzese. Sopra, un bel maglione di lana, meglio se di lana grassa e quindi abbastanza impermeabile. L'ideale sarebbe stato arrampicare in questa tenuta, ma non era possibile: e la giacca a vento? Anche con la giacca a vento c'erano diverse tendenze. Qualcuno preferiva il tipo da infilare dalla testa, mi pare che si chiamasse "Olimpionica", qualche altro quella abbottonata o con la cerniera davanti. Io ero fra questi ultimi ma c'era un motivo pratico: la giacca a vento l'avevo trovata sul ghiacciaio del Ventina (sono sicuro che fosse stata dimenticata da diversi giorni per diversi particolari, qualcuno ci si era seduto sopra per non bagnarsi il sederino con la neve e poi era ripartito lasciandola lì). Era una Colmar, di colore biancastro, la miglior giacca a vento che abbia mai avuto. Dopo tanti anni l'ho dovuta scartare perchè l'attrito sulla spalla provocato dalle corde doppie aveva provocato delle lacerazioni.
E in testa? ma naturalmente un bel cappellino di lana: con pompon o senza, con il fiocco o senza, fatto generalmente dalla mamma.
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Messaggioda Davide62 » lun gen 07, 2008 19:42 pm

Sono sicuramente mooolto più giovane di Daniele 8) , ma comunque abbastanza vecchio per avere anch'io un posto nell'alpinismo d'annata.
La foto mi ritrae in cima al Monte Bianco nel lontano 1978, l'abbigliamento poco si nota, ma sotto il piumino frusto avevo una specie di kway, un maglioncino blu di lana e una camicia di cotone normalissima.
I pantaloni erano la classica salopette al ginocchio, gli scarponi , che non si vedono, un paio qualsiasi ramponabili di cuoio con i calzettoni spessi si lana.
Gli occhiali da sole non li avevo :roll:

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Messaggioda dori » lun gen 07, 2008 19:55 pm

in effetti il discorso abbigliamento fa un po' ridere noi bocia...(in senso buono, ovvio)....
che dobbiamo diventare matti per comprare un paio di scarponi perchè "questo è per il ghiaccio, questo per l'alpinismo, questo per trekking impegnativi...praticamente è un po' più di una pedula..." e balle varie...
che dobbiamo districarci tra il polartec, il hyvent (o come cavolo si scrive) e tutti gli altri materiali super innovativi.....
che a volte vedo dei miei coetanei che alla prima falesia che vedono son già lì, tutti bardati di abbigliamento della E9, north face, patagonia...poi robe nemmeno troppo tecniche...che però fan mooolto figo....
forse siete stati più fortunati (anche se, indubbiamente, avete patito un po' di più il freddo)...

per me siete un po' degli eroi... :wink:
sappiamo di arrampicare per esistere, per conservare la nostra anima, per vedere come siamo fatti, per cercare il senso della vita, per restare, ancora, con i piedi per terra e la testa tra le nuvole.
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Messaggioda leuzz » lun gen 07, 2008 21:09 pm

dori ha scritto:in effetti il discorso abbigliamento fa un po' ridere noi bocia...(in senso buono, ovvio)....
che dobbiamo diventare matti per comprare un paio di scarponi perchè "questo è per il ghiaccio, questo per l'alpinismo, questo per trekking impegnativi...praticamente è un po' più di una pedula..." e balle varie...
che dobbiamo districarci tra il polartec, il hyvent (o come cavolo si scrive) e tutti gli altri materiali super innovativi.....
che a volte vedo dei miei coetanei che alla prima falesia che vedono son già lì, tutti bardati di abbigliamento della E9, north face, patagonia...poi robe nemmeno troppo tecniche...che però fan mooolto figo....
forse siete stati più fortunati (anche se, indubbiamente, avete patito un po' di più il freddo)...

per me siete un po' degli eroi... :wink:


quoto in pieno...
ormai il rapporto con la montagna, con la roccia e il ghiaccio, la vera motivazione per cui a volte ci mettiamo in gioco va piano piano a perdersi e leggere questi racconti fa rivivere emozioni che vanno ben al di là della semplice performance...

grazie daniele per ricordarci con quanto rispetto e umiltà dobbiamo affrontare certe sfide.
Se mantieni la calma mentre tutti intorno a te hanno perso la testa, probabilmente non hai capito qual è il problema! (Woody Allen)
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Messaggioda n!z4th » lun gen 07, 2008 23:19 pm

danielegr ha scritto:
n!z4th ha scritto:
si andava ad arrampicare[Al tartaglione]


dove :?: 8O :wink:


Beh, intorno c'è tutta una corona di montagne: i nomi non me li ricordo più ma, per esempio mi viene in mente una gita su uno spigolo abbastanza vicino al rifugio***. Certamente c'è il Torrione Porro, la Punta Kennedy...
Hai voglia ad arrampicare in zona... Gli approcci non sono comodissimi ma l'ambiente è favoloso.

*** L'ho trovata! E' la Cima di Valbona. Salita non eccessivamente impegnativa ma di ambiente stupendo. Un po' lunghetta, se ricordo bene.


grazie :wink:
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Messaggioda kala » mar gen 08, 2008 0:12 am

Io ho fatto tempo - ma ero piccolino :oops: - a vestire pantaloni di velluto a coste, maglia di lana, camicia di flanella e cappello tirolese; in seguito sempre jeans, camicia di flanella, scarponi di cuoio: sempre andati più che bene!! ;)
Ora che invecchiando (si fa per dire) con tutte 'ste diavolerie moderne me la posso tirare un po' vesto intimo in poliestere supertecnico, giacca in GoreTex, pantaloni in cordura elasticizzata... però gli scarponi son sempre quelli di cuoio, anche se di peso fan 1350g... :mrgreen:
Ed in bosco un bel pantalone militare, una maglietta, una camicia in tinta e via, tranquillo e felice anche senza tanti capi di vestiario strani.

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Messaggioda danielegr » mer gen 09, 2008 15:13 pm

Mi riferisco al post di Dori: non dipingeteci come dei purissimi eroi tutti presi dal sacro Amore per la Natura, perchè non lo eravamo. Anche noi, se li avessimo avuti a disposizione, avremmo comperato il "poliestere supertecnico, giacca in GoreTex, pantaloni in cordura elasticizzata" (l'ho copiato pari pari dal post di Kala, perchè io non so bene cosa siano...).
Però non li avevamo e ci arrangiavamo con quello che c'era, facendo quello che il nostro materiale ci consentiva di fare.
Per esempio: su questo forum sento parlare di spit, rinvii, e altre diavolerie simili: non so cosa siano. Noi usavamo i chiodi marca Cassin, in ferro dolce: ne ho ancora uno dei più piccoli - li chiamavamo i "ciudin de stremizzi", cioè i chiodi che si mettevano e che poichè penetravano poco nella fessura, ci lasciavano la paura che non tenessero (stremizzi=paura). L'ho pesato adesso sono 80 grammi. Un chiodo di quelli normali sarà stato almeno un etto e mezzo. I moschettoni, anche quelli marca Cassin - ricordo che costavano 200 lire l'uno - erano anche loro in ferro e, così a occhio, avranno avuto un peso fra i 150 e i 200 grammi. In una salita appena appena impegnativa vuoi non portarti dietro almeno 7/8 moschettoni e una decina di chiodi? Fate un po' voi il conto del peso...
E' vero, incominciavano ad apparire i primi moschettoni in duralluminio molto leggeri, ma noi non li usavamo. Perchè? Ma perchè costavano 800-1000 lire ciascuno e perchè le voci che correvano indicavano una minor resistenza rispetto a quelli in ferro.
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Messaggioda dori » gio gen 10, 2008 12:10 pm

danielegr ha scritto:Mi riferisco al post di Dori: non dipingeteci come dei purissimi eroi tutti presi dal sacro Amore per la Natura, perchè non lo eravamo. Anche noi, se li avessimo avuti a disposizione, avremmo comperato il "poliestere supertecnico, giacca in GoreTex, pantaloni in cordura elasticizzata" (l'ho copiato pari pari dal post di Kala, perchè io non so bene cosa siano...).

ovvio che li avreste usati anche voi i nuovi materiali...mica sarete dei sadici?? :lol: :lol:
comunque probabilmente per te era normale andare in montagna con i "chiodini" e con gli stessi scarponi per qualsiasi terreno...perchè quello era il materiale, quindi "o mangi la minestra o salti dalla finestra" :D però a me fa effetto pensarlo...
come magari ad un ragazzo di 13 anni può fare effetto pensare che io abbia avuto il cellulare oltre i 18 anni....
sono i tempi che cambiano ed è inevitabile...però l'alpinismo come lo facevate voi, per me ha un fascino incredibile...forse perchè io non riuscirei a fare certe cose nemmeno con un super equipaggiamento, quindi pensare che tu hai fatto di tutto con equipaggiamenti (passami il termine) "approssimativi" per i nostri canoni...ha un che di romantico...
poi ovvio, per voi era la normalità...ma spesso ci si dimentica che la normalità è la cosa più speciale che esista....
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Messaggioda piobis » gio gen 10, 2008 15:47 pm

Molto interessante questo argomento! Io non sono così "vissuta" però ho ancora nell'armadio della montagna sia i pantaloni a costine di velluto che la camicia a quadretti di flanella... (e dopo aver letto tutti questi post me ne vergogno un po' perchè mi fanno sentire una matusa! :oops: ).
Però anche se tutto quello che porta il progresso (vedi goretex e nuovi materiali sintetici super resistenti e traspiranti e blabla...) può fare comodo e aiutare, non è che sia obbligatorio, no?! E soprattutto credo che non sia il goretex che fa l'alpinista! Tanto per riadattare un vecchio detto... intendo dire che se uno sa arrampicare bene va su anche con gli scarponi senza fare troppo lo snob!
E mi sa che io la mia bella canottierina di lana non la mollerò mai!!! :-)
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Messaggioda danielegr » sab gen 12, 2008 16:10 pm

Un intermezzo sciistico: con il mio collega e amico, Alfredo, compagno di diverse arrampicate e di tante sciate ci prendiamo qualche giorno di ferie a decidiamo di fare un giro con gli sci in Val Formazza, sarà stato il Marzo del 1956 o 1957. Alfredo mi dice: ho dei parenti a vicino a Domodossola, la prima sera possiamo fermarci da loro e poi il giorno dopo partiamo decisi per il nostro giro. Mi sembra una buona idea e partiamo. Né io né Alfredo pensammo però alle conseguenze: andare in un paesino nel quale ci sono diversi parenti... Bisogna visitarli tutti, e da ognuno accettare il bicchiere (o i bicchieri) di vino e il salame ?fatto proprio da noi... sentirà come è buono!?. Alla fine del giro eravamo tutti e due piuttosto sull'alticcio (io ero decisamente partito, ciucco tradito...). La mattina dopo, naturalmente, non ci svegliamo in tempo per prendere la prima corriera, e, dopo aver salutato ancora tutto il parentado (con altra mangiata e libagione, altrimenti si offendevano...) finalmente riusciamo a prendere la corriera che ci doveva portare alla base di partenza. Meta: la casa Edison alla diga del Vannino. Non saprei dire se eravamo male informati o se ancora eravamo sbronzi, ma in effetti siamo scesi alla fermata prima di quella giusta: a Valdo anziché a Ponte Formazza (non giuro sui nomi: li ho ricostruiti cercandoli sulla cartina).
Risultato: l'ora era tarda, intorno alle dodici e quindi la neve marcia, la salita era molto più ripida e noi avevamo i postumi della sbronza. C'è da meravigliarsi se a tarda sera non eravamo ancora arrivati? Quando incominciava a fare buio per nostra fortuna troviamo un rudere, credo che fosse un riparo per le bestie e lì ci prepariamo per passare la notte. La porta non si chiudeva e la neve arrivava dentro per almeno un metro, ma c'era un rialzo, forse destinato a ricevere il fieno sul quale si poteva passare la notte. E lì ci siamo messi, preparandoci con il fornellino Meta qualcosa di caldo. Non è stata certamente una notte di autentico riposo, ma comunque eravamo almeno al riparo. Al mattino successivo, finalmente riusciamo ad arrivare alla casa Edison (a quel tempo l'Enel non esisteva ancora) festosamente accolti dai custodi della casa, felici di vedere finalmente qualche faccia nuova. Dopo un giorno e una notte di riposo ripartiamo, sci ai piedi, sperando di trovare altrettanta disponibilità nelle altre case Edison. Però questa volta (e giustamente, direi) non ci hanno voluto ospitare; hanno detto: in montagna di notte non si caccia via nessuno, ma adesso è giorno è ci sono ancora parecchie ore di luce, potete benissimo andare avanti fino al Rifugio del Cai Maria e Luisa. E così abbiamo fatto. Non racconterò delle gite che abbiamo fatto avendo base a quel rifugio, perchè sarebbero banali, e poi perchè non me le ricordo bene. Ricordo solo l'ambiente stupendo, meraviglioso ed entusiasmante che c'era. Mi interessava (spero che interessi almeno un pochino anche a voi) raccontare del mio primo e unico ?bivacco? (beh, chiamiamolo così, anche se lo so che stiamo esagerando) in montagna, e anche sottolineare quanto a volte lo sbevazzare un bicchiere di vino in più (comunque erano parecchi di più di uno: ve lo garantisco...) possa influire nel corso di una salita.
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Messaggioda danielegr » mer gen 16, 2008 20:32 pm

In questa nuova storia credo che non ci siano particolari differenze fra i miei tempi e quelli attuali. I fulmini non hanno una collocazione temporale, quando arrivano, soprattutto in montagna, fanno veramente paura. Che poi sia il 1958 o il 2008, non vedo differenze. La mia prima esperienza in quel campo avvenne proprio nel 1958 o giù di lì. Io e Roberto, il mio compagno di cordata alla Parravicini, la scuola della quale avevamo appena frequentato il corso, andammo per qualche giorno in Val Masino (o meglio in Val Porcellizzo), al Rifugio Gianetti. E' inutile che stia a raccontare la bellezza del posto: chi c'è già stato la conosce già, per chi non c'è ancora andato non sono certo le mie parole quelle che possono descrivere la corona di monti intorno; solo un consiglio: andateci al più presto possibile perché ne vale veramente la pena.
Arrivammo al rifugio decisi a sfruttare al meglio le giornate che avevamo, ma il giorno dopo il tempo non era dei migliori. Un po' di nuvole, niente di preoccupante: il custode ci sconsigliò salite impegnative, appunto perché il tempo non prometteva bene. Potete salire la cresta del Pizzo Porcellizzo, ci disse, vedete, quello lì dietro ai Denti della Vecchia. Il tempo dovrebbe tenere per il tempo della salita, e poi la discesa non presenta difficoltà, anche se dovesse piovere.
Partiamo, e in effetti la salita si svolge senza particolari problemi. Roccia buona, media difficoltà. Però siamo appena a metà salita e quelle nuvole nere che si stanno addensando, non mi piacciono proprio... In men che non si dica, questione di sette o otto minuti, non di più, da quelle nuvole nere incomincia a venire giù acqua a catinelle. Beh, pazienza, anche se bagnata la roccia non presenta difficoltà particolari, e poi siamo quasi arrivati alla cresta... dai che anche se ci bagnamo un po' non è un problema.
Appena arrivati alla cresta si scatena un temporale di quelli coi fiocchi. Eravamo già belli fradici, adesso anche un temporale... Non ho mai sentito tuoni così potenti, segno che i fulmini cadevano vicinissimi. Sentivamo la ferraglia sfrigolare, sentivo i capelli che in concomitanza con la caduta dei fulmini si alzavano sotto il cappellino di lana dandomi delle sensazioni stranissime... e poco gradevoli. Vedevo intorno a Roberto tutto un alone azzurrognolo, e lui diceva che lo vedeva intorno a me. Ho avuto veramente paura.
Abbiamo riunito tutta la ferraglia in uno zaino che abbiamo calato lungo la parete e abbiamo cercato un po' di riparo in un anfratto. L'inferno ( cioè i fulmini) non è durato molto, direi a occhio circa un quarto d'ora. Poi finalmente la pace: niente più fulmini ma solo acqua, e tanta... Quindi completiamo la salita, mancava pochissimo, e iniziamo la facile discesa. Vorremmo slegarci, ma la corda di canapa fradicia non è dello stesso parere e siamo costretti a arrivare al rifugio ancora legati, fra le sghignazzate del Fiorelli, il custode.
Alcuni anni dopo ebbi un altro ?incontro ravvicinato? con il fulmine. Avevamo fatto la Segantini, in Grigna, con tempo buono e un bel sole. All'ultimo tiro, quello che sbuca della Cermenati a una ventina di metri dalla meta, succede il finimondo: anche qui acqua a non finire, comunque arrivo alla fine e faccio salire anche i compagni. Ci sleghiamo e mentre sto raccogliendo la corda, fradicia naturalmente, arriva un fulmine sulla vetta della Grigna, immagino alla croce di vetta. L'acqua che scorreva a fiumi deve aver fatto da conduttore e io mi sono preso una bella scossa, ma bella forte...
Ovviamente abbiamo mollato corda e quant'altro e giù di corsa per la Cermenati. Anche qui il temporale è durato pochi minuti, passati i quali siamo risaliti a riprenderci la nostra roba.
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Messaggioda kala » gio gen 17, 2008 11:09 am

danielegr ha scritto:...


8O 8O 8O


Ok, ora ci manca la grandine o la neve fuori stagione.. Racconta, racconta, che ti stiamo sempre a sentire.. :mrgreen:

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Messaggioda danielegr » dom gen 20, 2008 11:52 am

Prendo spunto da questo post:
[url]http://www.forum.planetmountain.com/phpBB2/viewtopic.php?t=32471&highlight=
[/url]

Ai miei tempi le pelli di foca non si incollavano: si usavano due sistemi. Il primo, il più semplice, consisteva semplicemente nell'uso di fettucce. La pelle di foca aveva all'inizio un anello, che si agganciava alla punta ricurva dello sci, in coda una fettuccia più lunga che si tirava fino all'attacco dello sci. In mezzo un paio di fettucce che abbracciavano lo sci stesso. E' logico che così facendo ci fossero dei problemi quando si andava a mezza costa: le lamine dello sci non riuscivano a fare sufficiente presa perchè le fettucce, quelle in mezzo, diminuivano la loro presa. Inoltre la tenuta non era mai perfetta: succedeva talvolta che ci si dovesse fermare e risistemare le pelli perchè durante la marcia si spostavano. In particolare succedeva che si fermasse della neve fra lo sci e la pelle formando una specie di cunetta molto fastidiosa.
C'era anche un altro sistema, più efficiente, mi pare che si chiamasse "Trima": il davanti e il di dietro erano molto simili al sistema delle fettucce, la differenza stava tutta nel "mezzo". In sostanza, sulle pelli erano cuciti dei "binari" che andavano a incastrarsi in apposite scanalature metalliche.
Queste ultime (bisognava necessariamente bucare lo sci) venivano incastrate nella scanalatura longitudinale che c'è sotto allo sci stesso.
Così anche a mezza costa le lamine avevano una buona tenuta e la pelle di foca riusciva a mantenere meglio la sua posizione per tutta la salita.
L'inconveniente era che la scanalatura dello sci veniva in parte "riempita" da quei binarietti metallici che vi venivano incastrati, e quindi la manovrabilità dello sci in neve fresca ne risentiva. Inoltre dispiaceva bucare lo sci anche perchè, essendo in legno, l'umidità che inevitabilmente stagnava all'interno del buco, favoriva una precoce morte dello sci stesso.[code][/code]
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Messaggioda danielegr » dom gen 20, 2008 16:48 pm

Forse prima non sono stato troppo chiaro: vediamo se con una foto mi spiego meglio:





(non vi spaventate per il casino: in cantina non si può pretendere di più...)
Quella più vicina è quella con le "fettucce", o meglio, con dei cinghietti in cuoio, l'altra è quella cha ha montati i "trima", che però quasi certamente non si chiamano così.

Immagine

Oh, finalmente ce l'ho fatta a caricare la foto!!
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Messaggioda kala » dom gen 20, 2008 18:47 pm

danielegr ha scritto:Oh, finalmente ce l'ho fatta a caricare la foto!!


Non male per un matusalemmix! :twisted: :twisted:

:D

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Messaggioda danielegr » lun gen 21, 2008 11:31 am

Mentre ieri cercavo le pelli di foca per fotografarle, mi sono capitati in mano questi due strani cosi:


Immagine

Ammetto che in un primo momento non riuscivo a ricordare a cosa diavolo servissero, poi, finalmente il mio neurone ha ricominciato a funzionare.
Nei primi tempi gli sci che si usavano avevano attacchi fissi chiamati Kandahar: formati essenzialmente da una ganascia davanti, nella quale veniva infilato lo scarpone e da un cordino in acciaio, a molla, che catturava il tallone. Il cordino passava attraverso delle guide fissate sui lati dello sci, sotto al posto occupato dallo scarpone. Si garantiva così una buona tenuta del tallone se il cordino si fosse fatto passare in tutte le guide, mentre c'era la possibilità di farlo passare solo nella guida anteriore per permettere il libero movimento del tallone. Quando però sono apparsi i primi attacchi di sicurezza è sparita la ganascia anteriore. Quindi si poneva il dilemma: attacchi di sicurezza che però non avrebbero permesso il movimento del tallone, e quindi inutilizzabili per scialpinismo, oppure i vecchi Kandahar, rinunciando però agli attacchi di sicurezza e quindi aumentando di parecchio il rischio di fratture?
Quelle piastrine che ho fotografato riuscivano (non sempre benissimo, per la verità) a permettere di usare lo stesso sci sia per discesa sia per scialpinismo. Venivano incastrate nel posto che avrebbero occupato le vecchie ganasce Kandahar per la salita, e, logicamente, tolte per la discesa
Non ho detto che quel tipo di attacchi non prevedeva la talloniera che oggi è in uso: la tenuta era garantita dal cordino a molla che veniva tirato mediante una leva posta anteriormente rispetto all'attacco di sicurezza.
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