Ieri ho ripetuto da capocordata la prima via di roccia che ho fatto in montagna col corso CAI cinque anni fa. E' stata una piccola grande soddisfazione. La prima volta quelle sinistre e severe pareti, quegli orridi precipizi su cui dovevo precariamente arrancare mi avevano letteralmente terrorizzato. Mi ricordo che durante quella scalata non dissi nulla a nessuno di tutta quella mia paura, me ne stavo taciturno ed apparentemente calmo, facevo quello che mi indicavano gli istuttori e scambiavo solo poche parole con i compagni di corso, nessuno poteva immaginare che me la stavo facendo sotto, non per il rischio, che con quei bravi istruttori poteva dirsi insesitente ma perchè tutta quell'aria sotto i piedi in un ambiente così inusuale ed ostile all'essere umano andava solleticare dentro di me una paura atavica e profonda: quella del vuoto.
Da piccolino uno dei mei incubi ricorrenti era quello di cadere e precipitare in qualche burrone. Un episodio della mia infanzia mi è rimasto molto impresso. Era una gita con mio padre sul Monte Maggio, potevo avere si e no 5 anni, un bel pomeriggio di sole, correvo e giocherellavo in un prato, c'era parecchia gente in giro, probabilmente una di quelle feste o commemorazioni di vetta, ad un certo punto mi avvicino spensierato al bordo del tappeto verde ed appare sotto di me il dirupo di mille metri che sovrasta la valle sottostante. Restai a bocca aperta, il mio umore cambiò, scappai e non volli più avvicinarmi a quell'immane abisso.
Ieri a ripercorrere la via era diverso, ora con il vuoto e l'arrampicata c'e più confidenza. Cinque anni fa stavo incantato ad ammirare ed un po' ad invidiare quell'istruttore impavido, perfettamente a suo agio tra quelle impervie crode e ora, ieri, la davanti ci stavo io. Era con me il buon e affidabile Tullio, ma la salita era la mia, tacitamente già d'accordo che le lunghezze ingaggiose sarebbero state per me. Non che la paura sia sparita, le mie capacità sono modeste, e quando l'ultima protezione si fa lontana devo controllare che la consapevolezza del rischio non si trasformi in inutile e pericoloso panico. Ma arrampicare non è solo questo, anzi. Oltre alla bellezza del gesto in se, arrampicare è come entrare in una dimensione diversa, straordinaria, non valgono piu le noiose regole del quotidiano ma contano veramente le nostre energie, la nostra mente, il nostro se. La parete da scalare non è il nemico o l'ostacolo da superare ma l'ambiente naturale con cui entrare in simbiosi, la roccia ti regala la gioia di scoprire di poter salire.... l'emozione di una lunga fessura che ti apre la porta del cielo.
nubi fosche in grignetta


2 tiro normale cinquantenario


1 tiro spigolo

uscita vetta cecilia


