La seguente mia recensione contiene parecchi spoiler sul contenuto del documentario "Cannabis Rock - Gli Arrampicatori Che Vissero Il Nuovo Mattino". Se non amate questo genere di anticipazioni, siete stati avvertiti!!
"Cannabis Rock - Gli Arrampicatori che Vissero Il Nuovo Mattino", diretto da Franco Fornaris - Prodotto da Zenit Arti Visive - distribuito su DVD da Fandango e disponibile nelle librerie specializzate (www.fandango.it)
L?esperienza del ?Circo Volante?, il gruppo di arrampicatori torinesi che 30 anni fa si raccolse attorno alla figura carismatica di Giampiero Motti e al suo ?Nuovo Mattino?, rimane per molti versi un mistero, al di la delle appropriazioni più o meno indebite che questo o quell?arrampicatore sportivo (o alpinista) ha fatto degli elementi più appariscenti di quell?esperienza. Fu, come sostiene Enrico Camanni, il segnale di (som)movimenti dopo dei quali ?niente fu come prima?, e che (al di là le intenzioni dei suoi protagonisti), diede il via a tutta la rivoluzione del gesto esasperato e dell?arrampicata protetta? Oppure fu una disperata rivolta contro il futuro, una generosa ribellione alla morte dell?anima arrampicatoria, che nel 1975 era ancora di là da venire ma in qualche modo già nell?aria?
Franco Fornaris pende decisamente per la seconda interpretazione, e non ne ha fatto mistero un mese fa al Cinema Massimo di Torino (sede storica del Torino FilmFestival, per voi che abitate altrove) dove
?Cannabis Rock - Gli Arrampicatori Che Vissero Il Nuovo Mattino?, il suo documentario sull?epopea del ?Circo Volante? e del Nuovo Mattino è stata presentata ufficialmente ad un vero e proprio ?parterre des rois?, denso di nomi famosi della scena del Nord Ovest, oltre ad alcuni protagonisti del documentario stesso. Franco (che del regista ha faccia, linguaggio, manierismi e vestiario) ha espresso il concetto con molta semplicità (e quindi bene) parlando però di chewing-gum ?Una volta i chewing-gum facevano le bolle. Adesso profumano l?alito, sono senza zucchero, puliscono i denti? ma non fanno più le bolle. Beh, le bolle erano un?altra cosa?.
Sembrerebbe una boutade nostalgica, ma nel documentario di nostalgia ce ne è sorprendentemente poca. In parte perché i protagonisti della narrazione non sembrano, e di certo non si sentono, degli ?ex?. C?è, anche nelle parole dei più pacati, un senso di ricordo divertito (ma non distaccato) di quegli anni e di quell?esperienza, tutto sommato vista con serenità. E? sintomatico come Roberto Bonelli (che fu in un certo senso ?l?eroe non cantato? di quegli anni, un fortissimo arrampicatore che scelse deliberatamente l?oscurità mediatica) si lamenti non di quanto è successo, ma di quello che NON successe ? in pratica, di come il ?Circo Volante? non trasferì mai il suo potenziale arrampicatorio e la sua dissacrazione dalle strutture di bassa quota all?alta montagna (se non più tardi e indirettamente tramite la figura di Giancarlo Grassi) ?Perché la vetta, la montagna, sono cose importanti?, conclude Bonelli. Parole che sembrano contraddire l?intera filosofia del Nuovo Mattino e di Giampiero Motti ? almeno com?è stata tramandata finora. Non è l?unica delle interessanti contraddizioni del film.
Un po? di storia: Motti era istruttore della Scuola di Alpinismo ?Gervasutti? di Torino, un istituzione prestigiosa ma, allo stesso tempo, un pilastro dell?ortodossia alpinistica. A seguito di una crisi personale profonda, nel 1972 scrisse un articolo per la Rivista Mensile del CAI intitolato ?I Falliti?, nel quale, in un flusso di coscienza allo stesso tempo lucido e naif, attaccava l?esperienza dell?alpinismo classico come alienante e masochista, tesa ossessivamente verso la vetta e il ?risultato?, imbevuta di uno spirito eroico che Motti denunciava come disumano. I ?falliti? dell?articolo erano gli alpinisti stessi, che, presi dalla loro ossessione, si dimenticavano delle cose belle e importanti della vita (o meglio, di quello che Motti riteneva bello e importante).
Prevedibilmente, l?articolo scatenò un putiferio, come mai nessun altro scritto italiano di montagna prima (e dopo) di allora. Riletto oggi, ?I Falliti? appare per quello che era veramente: non un?analisi dell?alpinismo del 1972 (assai più complesso e variegato di quanto Motti scriveva), bensì uno specchio del tormento e della nevrosi di Motti stesso. Uomo d?intelligenza e cultura incredibili, e di classe arrampicatoria superiore, per tutta la vita non riuscì a venire a capo di una serie di problemi personali che, nel 1983, lo spinsero a togliersi la vita. E? altresì interessante notare come il ritratto proposto dai ?Falliti?, cioè quello di una congrega di nevrotici ossessionati dalla ?performance? a tutti i costi, in una corsa alla difficoltà divorziata da qualsiasi contesto culturale o estetico sia, molto ben adattabile a tanti ?forzati del gesto? che popolano le pagine delle riviste arrampicatorie odierne.
La pietra lanciata da Motti scosse le acque abbastanza da far emergere un gruppo assai variegato e fluido di giovani talenti, che, con ambizioni e motivazioni diverse, si riconoscevano nell?invito ad esplorare frontiere diverse dell?arrampicare, ed erano di certo insofferenti all?atmosfera asfissiante e stantia dei CAI e della ?Gerva? di allora (?un misto fra la ginnastica e la sacrestia? come ricorda Andrea Gobetti). Si è parlato di ?68 del gesto, ma il ?Circo Volante? fu più vicino allo spirito del ?77 (ed in un certo senso a quello che fu poi lo spirito del punk), una ribellione permanente contro gli schemi precostituiti dell?alpinismo, un tentativo di ?riprendersi la vita? della parete e di autogestire l?avventura arrampicatoria lontani da schemi imposti. Nomi come Giancarlo Grassi, Danilo Galante, Max Demichela, Andrea Gobetti, Roberto Bonelli, Paolo Lenzi (e tanti altri) si lanciarono, armati delle nuove (e allora controverse!) scarpette di arrampicata, all?assalto delle strutture di bassa quota delle Alpi Nord Occidentali, soprattutto quelle della Valle Dell?Orco, alzando di colpo (in parallelo ai gruppi ?cugini? della Val di Mello e dell?Emilia Romagna) il livello tecnico di arrampicata italiana (ed europea!) e, in un modo nell?altro, lasciando un segno che non sarà cancellato tanto presto. ?Cannabis Rock? racconta la loro storia.
Una storia, com?è naturale, fatta soprattutto di scalate. Il documentario è, più o meno, diviso in due segmenti, che si sovrappongono in modo asimmetrico. Nel primo, più ?descrittivo?, i sopravvissuti (oltre a Motti, anche Grassi e Galante non sono più con noi) parlano di tutto quel che fu il ?Circo Volante? fra il 1973 e il 1975, spesso direttamente dal fondo (o sopra) qualcuna delle vie che fecero l?epopea di quei giorni. Demichela, un personaggio simpatico e sornione, sale (in un artif molto ?anni ?70?) quella ?Cannabis Rock? al Sergent (Valle Dell?Orco) che da il nome al film (?Un messaggio di rottura con? lo spigolo Bonatti!?). Bonelli affronta di nuovo, dopo trent?anni, la vicina ?Fessura Della Disperazione? (una salita all?epoca di eccezionale pericolosità) concludendo in modo lapidario: ?Dovevo essere proprio picio (i.e. scemo) a salire ?sta roba senza protezioni?. E Ugo Manera, che non fece parte del ?Circo Volante? ma fu grande amico di Motti, ripete la ?Via Del Sole Nascente? al Caporal. In mezzo ci sono tanti discorsi su cosa furono quegli anni ? il mito californiano, le scarpette, i (pessimi) rapporti con l?establishment alpinistico torinese, le piccole e grandi trasgressioni, le liti (qualche volta violente, vedi l?episodio del ?pintun?!) e l?amicizia. In sottofondo, musica d?epoca ? o che dell?epoca riprende lo stile - e citazioni colte da quelli che furono gli ispiratori letterari del Nuovo Mattino.
Tutti i film veramente degni di essere visti vivono di eccesso, e ?Cannabis Rock? non fa eccezione. In questa prima parte, a tener banco (su posizioni totalmente opposte) sono due personalità singolari: Da una parte sta Emanuele Cassarà, giornalista di ?Tuttosport? e scrittore di cose alpinistiche recentemente scomparso. Nell?economia del film, avrebbe dovuto dare voce a chi il ?Circo Volante? lo vedeva da fuori. Invece, diventa di gran lunga la nota più stonata del film. Svaniti nel nulla l?intelligenza e la verve del giornalista e dello scrittore, rimangono solo una spocchia, un?arroganza e (paradossalmente) un conservatorismo terrificanti: sottolineati da serie di giudizi ingenerosi e in qualche punto assolutamente sbagliati (?Motti ha mandato a morire tanti ragazzi?, frase che pare abbia fatto insorgere Manera). Paradossalmente, Cassarà viene ricordato come l?uomo che ha sostenuto Andrea Mellano (qui usato troppo poco) nell?organizzazione delle storiche gare di Bardonecchia ?85, e quindi qualcuno che, in un certo modo, avrebbe dovuto apprezzare lo sforzo innovatore di Motti & C. Al contrario, ne sembra disprezzare i tratti idealistici (al di là di una compassione di maniera), e arriva al punto di lodare Bonelli per il suo rifiutarsi alla stampa, sottintendendo che il resto della congrega era fondamentalmente composto di frustrati alla ricerca di notorietà.
Antitetico a Cassarà, e immerso in una nuvola di fumo (vedere per credere) sta Andrea Gobetti, ex direttore di ?Roc?, documentarista, speleologo, scrittore e pazzo furioso . Il commento di mia figlia al suo apparire è stato ?Ammazza quanto fuma questo?, e temo che il pubblico non specializzato ricorderà ?Cannabis Rock? più che altro per le Rizla di Gobetti e per il suo infinito quoziente di citabilità. Il mio preferito fra i tanti aneddoti che Andrea letteralmente ?mette in scena? è il racconto di come lui e Demichela abbiano fatto la ?semifinale per il peggior scalatore del Circo Volante? sulla ?Gervasutti di sinistra? alla Parete Dei Militi (?la famosa Gervasutti-De Rege!? tuona Andrea con un accento piemontese che potrebbe scardinare il tricorno a Gianduia), e della rissa che ne nacque quando i due dovettero decidere chi era Gervasutti e chi De Rege. Divertente, divertentissimo, fin troppo, al punto che la follia Gobettiana minaccia veramente di strabordare e soffocare il resto del film (e non potrebbe essere altrimenti!).
Questa prima parte soffre la mancanza di più spazio per i protagonisti scomparsi, soprattutto Giancarlo Grassi, forse la figura più interessante uscita da quella stagione, almeno dal punto di vista creativo (e che qui viene a malapena citato, pare complice lo scarso supporto che Fornaris ha avuto dalla famiglia di Giancarlo). Tutto sommato è una parte divertente e interessante, ma per chi non abbia almeno un?infarinatura sulla storia dell?arrampicata nel Nord Ovest, certi passaggi risultano incomprensibili. L?uso improprio di Cassarà come ?voce antagonista? rispetto a quella dei protagonisti del Nuovo Mattino crea uno sbilanciamento a volte veramente duro da digerire ? meglio sarebbe stato lasciare più spazio ad Andrea Mellano, che sicuramente condivide molto di quanto detto da Cassarà, ma lo avrebbe potuto affermare con maggiore autorevolezza. E Gobetti che recita Gobetti è divertente, ma in un certo senso è ?solo? un film nel film.
Fosse tutto qui, ?Cannabis Rock? sarebbe un documentario carino, ma non memorabile. Il lavoro di Fornaris decolla veramente nella seconda parte, che è imperniata sul centro emozionale del documentario - la narrazione da parte di Laura Galante della morte del fratello Danilo, ucciso da un?improvvisa tempesta di neve il 4 maggio 1975, scendendo dal Grand Mantì, vicino a Grenoble, dopo aver scalato la via della Rampa in compagnia di Giancarlo Grassi. Il ?Nuovo Mattino? non fu mai un club o un movimento omogeneo, ma un insieme molto variegato di amici legati dalla passione per l?arrampicata ? la morte di Danilo per molti versi fu la fine di questo insieme.
Su questo episodio ?Cannabis Rock? poteva fallire miseramente ed invece, improbabilmente riesce . Laura (che nel 75 aveva 12 anni) racconta il giorno della morte del fratello maggiore come se fosse una storia di spettri, o un brutto sogno ? il modo forse più vero con cui tendiamo a ricordare un grosso trauma. E? tutto molto semplice e molto diretto, e perfino le immagini dei vecchi filmini che mostrano Danilo e Laura che giocano da piccoli non crea l?effetto manipolatorio di tante scene analoghe viste nei programmi della ?tv del dolore?.
A contorno ci sono due sequenze, in qualche modo iconiche, che riassumono molto bene il senso più profondo di ?Cannabis Rock?. La prima vede Adriano Trombetta impegnato sulla via dei Nani Verdi a Foresto ? una linea resa leggendaria dalla prima ?quasi libera? di Patrick Berhault nel 1980, episodio che ebbe una risonanza immensa nella neonata scena dell?arrampicata sportiva italiana. E? una sequenza di fisicità brutale, quasi robotica - Adriano sale veramente con l?efficienza di una macchina da guerra., quasi senza emozione. In un certo modo, è il paradigma visivo di quello che è molta arrampicata odierna ?, volenti o nolenti, figlia di quel ?Nuovo Mattino?.
In completo contrasto, in chiusura vediamo un arrampicatore anonimo (ma il naso è inconfondibile?) dal volto indefinito e mai inquadrato chiaramente, prepararsi per salire una via, armato di un paio di vecchie EB e una fascia nei capelli. La via è ?Itaca nel Sole? al Caporal, e il climber sale le placche letteralmente in un mare di luce, che lo trasfigura e lo scolora. La macchina da presa si ferma sui dettagli ? dita che cercano appigli, piedi delicatamente sistemati sugli appoggi. Il gesto dell?arrampicata è ripulito di qualsiasi significato competitivo, di qualsiasi considerazione sulla difficoltà e il grado ? è, semplicemente, il gesto di qualcuno (o qualcosa) che si fa strada a fatica in un oceano di roccia. Il dialogo di sottofondo è tratto da un libro di uno scritto di Motti (Fornaris fortunatamente ci evita la banalità di Daumal e del ?Monte Analogo?), e la scritta che per un attimo si vede in sovraimpressione è ?Zero The Hero?, titolo di uno degli ultimi e più controversi scritti del ?Principe?. Anche qui, ?Cannabis Rock? riesce miracolosamente a cavalcare il confine fra il sublime e lo pseudo-filosofico con rara intelligenza ? o forse, sarebbe meglio dire, con ancor più rara follia.