Ho trovato due articoli attinenti all'oggetto del topic, secondo me sono una buona lettura (anche per chi, come me, in materia è incompetente e non ha una precisa idea). Copio e incollo qui, con link.
Il ticket serve alla salute. Ma più equo
http://www.lavoce.info/archives/46105/perche-alla-sanita-servono-ticket/Giovanni Fattore
La sostenibilità del sistema sanitario si garantisce trovando forme aggiuntive di finanziamento. Va ripensato il sistema delle compartecipazioni, con un miglior bilanciamento dei ticket su assistenza specialistica, farmaci e ricoveri ospedalieri.
Riformare il sistema delle compartecipazioni
Torna la discussione sui ticket sanitari. E torna la voglia politica di eliminarli anche perché da sempre non sono popolari. Le compartecipazioni alla spesa svolgono un ruolo di moderazione dei consumi per l’assistenza farmaceutica e specialistica. In più, nella situazione attuale in cui a un aumento dei bisogni sanitari non corrisponde la possibilità (o la volontà) di un incremento del finanziamento pubblico, il gettito dei ticket è una importante fonte di copertura della spesa. Se dovesse essere eliminato si avrebbe perciò un aumento della spesa pubblica e, senza recuperi sul fronte dell’efficienza, sarebbe probabile un impoverimento dell’offerta del sistema sanitario pubblico.
Il tema centrale, pertanto, non è eliminare le compartecipazioni, ma come renderle più funzionali ed eque.
Le compartecipazioni riguardano principalmente tre aree (dati 2015): l’assistenza farmaceutica (1,5 miliardi), l’assistenza specialistica e diagnostica extra-ospedaliera (1,35 miliardi) e il ticket sui codici bianchi in pronto soccorso (43 milioni). Si tratta di poco meno di 3 miliardi di euro su un finanziamento pubblico complessivo di circa 113 miliardi. Si tenga anche presente che quasi un miliardo di compartecipazioni alla spesa farmaceutica provengono dal differenziale con il prezzo di riferimento: se medici, pazienti e farmacisti decidessero sempre per l’opzione a prezzo più basso a parità di principio attivo (e di efficacia) si risparmierebbe quasi l’1 per cento della spesa sanitaria pubblica.
Sull’assistenza specialistica i ticket sono quasi al livello dei prezzi dell’offerta privata, di fatto togliendo per queste prestazioni la copertura pubblica ai non esenti.
Si tratta di un sistema disfunzionale, che raccoglie troppe risorse dal comparto ambulatoriale e troppo poche da quello farmaceutico e ospedaliero e che crea, tra l’altro, incentivi al ricovero dei pazienti anche quando non è necessario, proprio per evitare le compartecipazioni. La mia proposta è che anche l’assistenza in ospedale venga sottoposta a una compartecipazione, ad esempio con un contributo alla copertura dei costi alberghieri dell’ordine di circa 10 euro a giorno di degenza. Un tale importo comporterebbe un flusso aggiuntivo di risorse per il Ssn di circa 500 milioni di euro all’anno. Anche sulla spesa farmaceutica potrebbe essere utile introdurre una modesta compartecipazione legata al prezzo oltre che al ticket sulla ricetta.
Rivedere anche il sistema delle esenzioni
Qualsiasi regime di compartecipazioni richiede un sistema di esenzioni in grado di migliorarne il profilo di equità. Anche su questo la situazione italiana è sconfortante. Come in altre aree della nostra spesa sociale, il sistema è principalmente rivolto a tutela degli anziani: per l’agire combinato dell’esenzione per età, reddito e malattie croniche, non pagano quasi mai le compartecipazioni per l’assistenza specialistica e diagnostica extra-ospedaliera. Particolarità tutta italiana è poi il fatto che il sistema cambia da regione a regione sia per le compartecipazioni che per le esenzioni sul ticket per la farmaceutica. È invece auspicabile un regime nazionale e uniforme. I livelli essenziali di assistenza sono nazionali, ma da regione a regione cambia il contributo richiesto ai pazienti per accedere ai servizi e anche questa è una contraddizione.
Un problema fondamentale dell’attuale sistema è che non ci sono limiti: chi è esente non paga niente e chi non è esente può pagare moltissimo. L’Italia non è stata in grado di costruire un sistema nel quale l’esenzione scatti dopo un certo livello di pagamento, che dovrebbe essere diverso in base alle diverse fasce di reddito.
In sintesi, in una situazione così critica per le finanze pubbliche italiane, si deve salvaguardare la tutela della salute anche tramite la raccolta di compartecipazioni alla spesa su una base più ampia, che includa l’assistenza ospedaliera, regimi di compartecipazione più uniformi – se non uguali – tra le regioni, tetti ai ticket per evitare esborsi eccessivi. È poi necessaria una profonda revisione del sistema delle esenzioni, in modo da renderlo più equo tra le fasce di reddito, ma anche tra le generazioni.
Sanità: servizio nazionale, tariffa regionale
http://www.lavoce.info/archives/46085/sistema-sanitario-nazionale-prezzi-regionali/Domenico De Matteis e Giuliano Resce
In Italia i ticket non sono più uno strumento di razionalizzazione della domanda, ma servono per finanziare la spesa sanitaria. In più sono decisi dalle singole regioni, creando una grave disparità di accesso al servizio sanitario nazionale.
La storia dei ticketNegli ultimi due decenni, la compartecipazione per l’assistenza sanitaria (il ticket) è diventata uno degli strumenti per il finanziamento della spesa pubblica in Italia. Il fenomeno ha provocato un continuo aumento dei costi privati nella sanità pubblica, con una forte eterogeneità tra regioni. Il risultato è una pervasiva disuguaglianza territoriale di accesso al sistema sanitario nazionale, dovuta alle differenze nei prezzi dei ticket.
La compartecipazione alla spesa sanitaria è uno strumento di razionalizzazione della domanda che si giustifica quando vi sono incentivi al sovra-consumo, come già aveva notato James Buchanan nel 1965. Tuttavia, se non è ben calibrato, può costituire un ostacolo per l’accesso ai servizi sanitari (si veda qui e qui).
In Italia, un quadro organico di compartecipazione alla spesa sanitaria fu introdotto nel 1993 dalla legge n. 537. I primi ticket furono previsti per le visite specialistiche e per l’assistenza farmaceutica. Dopo quasi un decennio, la legge finanziaria per il 2001 abolì la compartecipazione, determinando un repentino aumento della spesa sanitaria nazionale. Ciò spinse il governo a reintrodurre i ticket dal 2002, mediante la legge n. 405/2001, nella quale si afferma esplicitamente che eventuali deficit di gestione sono coperti dalle regioni con strumenti di condivisione dei costi, tra cui la compartecipazione.
Misura per finanziare la spesa pubblica
Il 2002 è stato un vero punto di svolta per il ticket in Italia poiché dal quel momento la compartecipazione perde la sua naturale funzione di razionalizzazione della domanda e assume il ruolo di strumento per il finanziamento della sanità pubblica nella forma di una tassa imposta al beneficiario del servizio come alternativa ai tributi.
Ad appesantire il carico, arriva poi la legge finanziaria del 2007 che introduce un’ulteriore compartecipazione per le visite specialistiche (il cosiddetto super-ticket che sommandosi a quelli già vigenti fa salire il costo di alcune prestazioni) e un nuovo ticket per i servizi di emergenza (codici bianchi).
Oggi, dunque, abbiamo tre tipi principali di compartecipazione: ticket per i servizi di emergenza; ticket per visite specialistiche; e ticket farmaceutici.
Nella determinazione dei prezzi per tali servizi, le regioni hanno agito con ampia autonomia. La tabella 1, dove mostriamo i prezzi minimi e massimi per ogni tipo di ticket, dà un’idea della loro forte eterogeneità.
Tabella 1 – Ticket sulla sanità pubblica in Italia
(dati aggiornati al 2015)
Fonti: Agenas, Federfarma
*una ricetta e un pacco di farmaci
Il più basso livello di compartecipazione per le emergenze è in Friuli Venezia Giulia (8 euro più un tariffario per le prestazioni specifiche), mentre il più alto è in Campania e nella provincia di Bolzano (50 euro). Per i servizi specialistici il livello più basso di compartecipazione è in Valle d’Aosta, Abruzzo, Basilicata e Bolzano (36,15 euro per visita). In Lombardia e in Piemonte il ticket per visite specialistiche è invece modulato in base al prezzo del servizio e può raggiungere i 66,15 euro. Per i ticket farmaceutici, Sardegna, Marche e Friuli non ne applicano alcuno, mentre in Puglia la somma di una ricetta più una confezione di farmaci prescritti può raggiungere gli 8 euro e 50.
Figura 1 – Mappa dei ticket e del reddito disponibile medio nelle regioni italiane
(dati aggiornati al 2015)
Fonti: Agenas, Fedefarma, Istat (2016)
Nota: nelle regioni in cui è modulato sul reddito (Emilia-Romagna, Toscana, Abruzzo, Veneto e Umbria) il ticket è associato al reddito medio; nelle regioni in cui è associato alla tipologia di servizio mostriamo la media dei ticket; nel Trentino Alto Adige mostriamo la media tra provincia autonoma di Bolzano e provincia autonoma di Trento.
La figura 1 riporta i ticket sanitari medi ed evidenzia con maggiore chiarezza la forte eterogeneità nel prezzo dello stesso servizio fornito in regioni diverse, sintomo di una latente diseguaglianza territoriale di accesso alla sanità pubblica. Inoltre dalle mappe emerge un totale scollegamento tra i prezzi dei ticket e il reddito disponibile medio nelle regioni (la correlazione tra reddito medio disponibile e compartecipazione per emergenze, visite specialistiche e assistenza farmaceutica è rispettivamente -0,35, -0,53, e 0,35). La diseguaglianza è paradossale poiché coinvolge i livelli essenziali di assistenza, che dovrebbero essere garantiti a tutti i cittadini, indipendentemente dal reddito e dal luogo di residenza (articoli 32 e 117 della Costituzione; legge 833 del 1978; decreto del presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001).
Il problema è che dal 2002 il gettito da ticket regionale serve a finanziare la spesa e non a caso le regioni soggette a piano di rientro hanno ticket più elevati (vedi Piemonte, Lazio, Campania e Calabria per le visite specialistiche). Per ristabilire un coerente schema di compartecipazione in Italia, il ticket dovrebbe tornare ad avere il ruolo originario di riduzione del sovra-consumo. È quindi necessario togliere alle regioni l’incentivo perverso a utilizzare i ticket come alternativa ai tributi: una soluzione potrebbe essere quella di scollegare il gettito da compartecipazione dal finanziamento della spesa.