Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatorio

Area di discussione a carattere generale sull'arrampicata.

Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda VECCHIO » lun gen 11, 2016 18:14 pm

gug ha scritto:[....................

Riprendo questo topic per una opinione su Mittersteiner.
Non so, io ho sempre avuto l'impressione che personaggi come Mittersteiner non fossero un esempio di evoluzione dell'alpinismo, ma piuttosto persone che per un periodo sono entrati in uno stato mentale tale da sentirsi quasi invulnerabili riuscendo in questo modo a prendere dei rischi eccessivi. In pratica mi sembra più il soldato impazzito de Il cacciatore che gioca alla roulette russa perché è ormai in uno stato mentale completamente alterato, che un alpinista forte che prende rischi che è in grado di gestire: secondo me la differenza è sottile, ma esiste e Mittersteiner, così come Preuss prima di lui, l'avevano oltrepassata.
E infatti alla fine entrambi questi alpinisti sono andati incontro alla fine (Mittersteiner, buon per lui, solo della carriera alpinistica) ed è emblematico che nel momento in cui è caduto, si sia completamente ritirato, probabilmente perché l'aura di invulnerabilità si è spezzata e si è reso conto che il rischio era troppo elevato.
Del resto il racconto che fa di come avanzava da un buco all'altro, sperando che ci fosse una possibilità di proteggersi, ma senza saperlo e sapendo invece che era ormai senza possibilità di ritorno, per me è emblematico.
Di fatto mi sembra che l'alpinismo si sia poi evoluto con personaggi e approcci diversi, meno spettacolari, ma secondo me più attenti a quel bilancio che io considero fondamentale fra l'ingaggio e il tentativo di suicidio.
Penso a Koeller, Hainz, Larcher o recentemente Tondini e Della Bordella per rimanere in ambito italiano: secondo me, in questi esempi c'è un maggior bilancio fra tecnica e rischio e infatti sono approcci che hanno avuto maggior seguito.


A me basta sapere di un suo socio "adamitico" e vedere cosa fa ancora oggi per confermarmi che ci sono alpinisti d'altissimo livello e altri che più di un tanto non riescono a fare, pur essendo bravissimi e capaci di fare cose difficilissime , se ben protetti...... e direi anche ben pubblicizzati.
Ma ci sono anche tanti suoi allievi che "vanno" molto forte e si sa ben poco, qualcosina qui da qualche mese.
Ovvio che più si abbassa il livello più il seguito è numeroso.
Difatti l'alpinismo italiano al top ha un livello di densità molto più basso di quello internazionale.
Mentre l'alpinismo medio italiano ha forse una densità fra le più alte al mondo.
Voglio dire che qui da noi ci sono pochi eccellenti e tanti mediocri, basta vedere e paragonare le realizzazioni sulle grandi montagne di questi ultimi anni.
Ma sempre tutti bravi e da stimare =D>

Noi non abbiamo più gente simile ai Fowler, agll Auer, ai Girigiri, fino a 20 anni fa c'erano, ora abbiamo solo bravissimi specialisti, ma non al top.
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda VECCHIO » lun gen 11, 2016 19:03 pm

Vigorone ha scritto:
gug ha scritto:Riprendo questo topic per una opinione su Mittersteiner.


Emblematico che l'ultimo anno in montagna sia stato quello dei 25 (se ho visto bene lui e' del 1967). Come mi spiegava il mio amico psicologo fino a 25 anni non si ha senso della paura (motivo per cui le assicurazioni fanno partire da quell'età le polizze "guida esperta").

Poi, appunto, si è dato "una calmata". E fortuna che si è solo rotto una caviglia...


Povero Bonatti al K2, lasciamolo tranquillo ora è nella tomba, ma anche altri fortissimi, ora ci mettiamo anche gli "pisicologi" per giustificare i brocchi.
La mia regola fin dai 21 anni è aver paura e controllarla.
Se non ho paura vuol dire che sto rischiando.
Tutti gli alpinisti che conosco seguono questa regola, anche quelli che son morti la seguivano, i brocchi son superiori e non la seguono.
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » lun gen 11, 2016 19:43 pm

Premesso che ognuno della propria vita fa quello che gli pare - almeno entro certi limiti (poi su dove tracciare questi limiti, è aperto il dibattito :wink: ): ci sono individui che si prendono dei rischi che nessun altro, o quasi, ha il coraggio di correre. Se va tutto bene sono eroi, se qualcosa va male...fa parte del gioco. Io, che sono pippon e coniglio per antonomasia, non posso che togliermi il cappello di fronte a capacità talmente lontane dalle mie da sembrarmi quasi extraterrestri: devo però dire che se certe cose le facesse mio figlio non sarei tanto contento (per fortuna i marmocchi sembrano aver preso da me quindi il rischio che ciò avvenga è estremamente remoto 8) ). In definitiva, comunque, stabilire dove passi la linea di demarcazione fra rischio consapevolmente affrontato, con adeguato grado di preparazione, e temerarietà incosciente, mi sembra un giudizio inevitabilmente soggettivo.
Dico. Credo. Almeno.

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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda VECCHIO » lun gen 11, 2016 20:15 pm

tacchinosfavillantdgloria ha scritto:...................... In definitiva, comunque, stabilire dove passi la linea di demarcazione fra rischio consapevolmente affrontato, con adeguato grado di preparazione, e temerarietà incosciente, mi sembra un giudizio inevitabilmente soggettivo.
Dico. Credo. Almeno.

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Aggiungo: il rischio è quasi totalmente dipendente dalla intelligenza e dalla cultura dell'individuo e si può capire il livello di controllo che ogni persona ha di esso facendogli effettuare delle piccole prove.

Il rischio non è solo in alpinismo: Amundsen, Colombo, Polo, Attila, Paolo, Pizarro, Marat, Curie, Darwin, Wright e tanti altri che hanno fatto evolvere l'umanità in bene o in male.
Poi c'è la massa che non pensa di esporsi e un po' attende, un po' fa il parassita, un po' fa la carne da macello, ma forse non se ne rende conto.
Se si impedisce totalmente di assumere dei rischi di solito le società scompaiono e le democrazie maggioritarie rischiano questo.
Ormai le nostre società sono basate sul benessere e cerchiamo di congelarle, forse stiamo distruggendole, non siamo più capaci di fare nulla di nuovo, ormai parliamo tutti di cose di cui non abbiamo la minima esperienza e conoscenza, le congeliamo nel nulla dell'ignoranza.
Comunque finchè riuscirò a pensare credo che a me piacerà vivere.
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda gug » lun gen 11, 2016 21:25 pm

tacchinosfavillantdgloria ha scritto:Premesso che ognuno della propria vita fa quello che gli pare - almeno entro certi limiti (poi su dove tracciare questi limiti, è aperto il dibattito :wink: ): ci sono individui che si prendono dei rischi che nessun altro, o quasi, ha il coraggio di correre. Se va tutto bene sono eroi, se qualcosa va male...fa parte del gioco.


Sicuramente è vero, come ho infatti premesso, che la linea di confine fra l'esaltazione suicida e il rischio consapevole è davvero molto sottile: Rampik aveva anche coniato una bella battuta su questo. Però credo che questa linea esista e che Mittersteiner fosse molto al di la: il margine risicato che aveva fra il livello in arrampicata e il grado su cui apriva a vista e il racconto del viaggio da un buco all'altro me lo fa pensare.
Ancora di più me lo fa pensare il fatto che dopo quel volo si sia completamente ritirato, come se ad un tratto fosse tornato nella realtà e si fosse reso conto della situazione: altri alpinisti di fronte a incidenti o tragedie anche più gravi hanno invece continuato, pensiamo a Bonatti sul Freney. Secondo me lo hanno fatto perché erano consapevoli della loro forza e del fatto che quello che era accaduto non era detto che accadesse di nuovo e che comunque potevano prendere contromisure. Invece mi viene da pensare che Mittersteiner di sia reso conto che quello che gli era accaduto era sempre stato molto probabile, e solo uno stato di esaltazione precedente glielo aveva nascosto.
Per fare altri esempi eccellenti, penso invece che Manolo, o ancora di più Huber si siano tenuti al di qua di questa linea, pur accettando un alto livello di ingaggio.
Secondo me l'assoluto in alpinismo non esiste: è tutto un gioco di bilanciamento fra tante componenti e il bello è proprio questo.
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda scairanner » lun gen 11, 2016 22:12 pm

VECCHIO ha scritto:Aggiungo: il rischio è quasi totalmente dipendente dalla intelligenza e dalla cultura dell'individuo e si può capire il livello di controllo che ogni persona ha di esso facendogli effettuare delle piccole prove.



Credo invece che sia indispensabile anche una buona dose di fortuna; non solo, ma anche la quantità di rischio (intesa come numero di volte in cui ti esponi ai massimi rischi) aumenta in modo esponenziale la possibilità che non tutto vada per il verso giusto; quando metti in gioco la vita sai bene che tutto deve essere perfetto, non sono sufficienti l'intelligenza e la cultura personali, ci sono una quantità di altri fattori che intervengono,. La storia purtroppo è zeppa di alpinisti intelligenti che non hanno raggiunto la vecchiaia.
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda PIEDENERO » lun gen 11, 2016 23:29 pm

scairanner ha scritto:
VECCHIO ha scritto:Aggiungo: il rischio è quasi totalmente dipendente dalla intelligenza e dalla cultura dell'individuo e si può capire il livello di controllo che ogni persona ha di esso facendogli effettuare delle piccole prove.



Credo invece che sia indispensabile anche una buona dose di fortuna; non solo, ma anche la quantità di rischio (intesa come numero di volte in cui ti esponi ai massimi rischi) aumenta in modo esponenziale la possibilità che non tutto vada per il verso giusto; quando metti in gioco la vita sai bene che tutto deve essere perfetto, non sono sufficienti l'intelligenza e la cultura personali, ci sono una quantità di altri fattori che intervengono,. La storia purtroppo è zeppa di alpinisti intelligenti che non hanno raggiunto la vecchiaia.

quoto totalmente.
anche se mi pare che pochi sono quelli che hanno perso la vita facendo cose estreme per le quali erano psicofisicamente preparati. erano intelligentemente consapevoli di ciò cui andavano incontro. eventuali incidenti anche mortali sono accaduti durante manovre o attività quasi banali.
discorso diverso però sull alpinismo estremo in quota nel quale i pericoli oggettivi sono oggettivamente troppi e poco controllabili.
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda VECCHIO » mar gen 12, 2016 10:43 am

Quoto l'ultima di GUG =D> =D> =D>

Per la fortuna direi: se un alpinista si basasse su di essa morirebbe molto presto.

Certo che non si può pensare di considerare tutte le variabili, ma bisogna fermamente credere di poterle affrontare.
La fortuna possono vederla a posteriori gli estranei, l'alpinista nella sua azione non la considera.
Quanto più un alpinista è fermamente convinto delle proprie capacità, tanto più riesce a funzionare ad alto livello.
Se non è convinto di se stesso resta un mediocre o un brocco.

Forse in alpinismo il segreto di lunga vita è non gasarsi mai, aver paura come regola e sottovalutarsi sempre un poco (andare max allo 80-90%).
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda Vigorone » mar gen 12, 2016 10:47 am

VECCHIO ha scritto:
Vigorone ha scritto:
gug ha scritto:Riprendo questo topic per una opinione su Mittersteiner.


Emblematico che l'ultimo anno in montagna sia stato quello dei 25 (se ho visto bene lui e' del 1967). Come mi spiegava il mio amico psicologo fino a 25 anni non si ha senso della paura (motivo per cui le assicurazioni fanno partire da quell'età le polizze "guida esperta").

Poi, appunto, si è dato "una calmata". E fortuna che si è solo rotto una caviglia...


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Nessuna giustificazione. Solo una nota di colore. Grazie dell'insegnamento.
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda funkazzista » mar gen 12, 2016 11:08 am

VECCHIO ha scritto:Per la fortuna direi: se un alpinista si basasse su di essa morirebbe molto presto.
[...] l'alpinista nella sua azione non la considera.

Su questo non ci piove, ci mancherebbe altro.
Però saper riconoscere a posteriori quando si ha avuto fortuna credo sia una lezione di umiltà per se stessi, e magari può servire ad allungare la vita, o l'attività (sempre, beninteso, che interessi allungarla).
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » mar gen 12, 2016 11:38 am

Sulle carte trevisane c'è scritto:"non val saper se hai fortuna contra".

Mio nonno buonanima amava dire: "se la fortuna tua l'avrà voluto, ti pioverà sul culo anche se sarai seduto".

La fortuna è una componente essenziale in tutte le cose della vita. Senza il fattore C non si vince un mondiale di calcio, non si scopre l'America, e neanche la penicillina.

Poi ovviamente uno non fa conto su quella, cerca di prepararsi e fare tutto quello che è in suo potere perché le cose vadano bene. Ma la consapevolezza che una componente imponderabile c'è, soprattutto in attività dove non mancano i cosiddetti "pericoli oggettivi", è un gadget che non può mancare nello zaino di ogni alpinista.

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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda flow » mar gen 12, 2016 13:04 pm

gug ha scritto:Non so, io ho sempre avuto l'impressione che personaggi come Mittersteiner non fossero un esempio di evoluzione dell'alpinismo, ma piuttosto persone che per un periodo sono entrati in uno stato mentale tale da sentirsi quasi invulnerabili riuscendo in questo modo a prendere dei rischi eccessivi. In pratica mi sembra più il soldato impazzito de Il cacciatore che gioca alla roulette russa perché è ormai in uno stato mentale completamente alterato, che un alpinista forte che prende rischi che è in grado di gestire: secondo me la differenza è sottile, ma esiste e Mittersteiner, così come Preuss prima di lui, l'avevano oltrepassata.
E infatti alla fine entrambi questi alpinisti sono andati incontro alla fine (Mittersteiner, buon per lui, solo della carriera alpinistica) ed è emblematico che nel momento in cui è caduto, si sia completamente ritirato, probabilmente perché l'aura di invulnerabilità si è spezzata e si è reso conto che il rischio era troppo elevato.
Del resto il racconto che fa di come avanzava da un buco all'altro, sperando che ci fosse una possibilità di proteggersi, ma senza saperlo e sapendo invece che era ormai senza possibilità di ritorno, per me è emblematico.
Di fatto mi sembra che l'alpinismo si sia poi evoluto con personaggi e approcci diversi, meno spettacolari, ma secondo me più attenti a quel bilancio che io considero fondamentale fra l'ingaggio e il tentativo di suicidio.
Penso a Koeller, Hainz, Larcher o recentemente Tondini e Della Bordella per rimanere in ambito italiano: secondo me, in questi esempi c'è un maggior bilancio fra tecnica e rischio e infatti sono approcci che hanno avuto maggior seguito.

Un'ipotesi originale che non condivido. Trovo difficile e rischioso attribuire ad un alpinista del calibro di Mittersteiner il ruolo di colui che non è stato un esempio di evoluzione dell'alpinismo. Per le sue realizzazioni è stato definito "talento d’eccezione altoatesino", "uno fra i più talentuosi (e spericolati)" liberisti (cit. Oviglia e Svab), "coraggioso arrampicatore che spinse i limiti in Marmolada (...) forse l'ultimo vero rappresentante di una filosofia minimalistica" (cit. Mariacher), "Un gruppo ristretto di alpinisti porta poi anche sulle grandi pareti delle Alpi le massime difficoltà superate sulle falesie chiodate. Tra questi (...) Roland Mittersteiner, (...) in particolare sulla 'regina' delle Dolomiti, la Sud della Marmolada. Grazie all'allenamento in falesia, la preparazione tecnica di questi alpinisti cresce al punto di modificare la filosofia stessa della scalata sulle grandi pareti: le vie sono salite in libera, solo con l'aiuto di protezioni veloci" (cit. Filippini e Gogna).
Mittersteiner come un soldato impazzito che gioca alla roulette russa in preda ad uno stato mentale del tutto alterato? Non credo sia giusto dare un'interpretazione della storia alpinistica facendo leva sul profilo psicologico del protagonista e traendone le conseguenze. Mi sembra riduttivo. E' stato un arrampicatore fortissimo, ha scelto un'etica rigorosa (negli anni della gioventù), ha rischiato molto e ne ha pagato le conseguenze. Ma da lì al definirlo una specie di squilibrato che non ha contribuito a far evolvere l'alpinismo mi sembra sia ingiusto e non rispettoso della storia. A proposito del rischio e della sua capacità di gestione, è illusorio - e la storia ce lo insegna - pensare che il rischio possa essere sempre tenuto sotto controllo e gestito. Quando si affronta un rischio, c'è sempre un margine di incertezza. A Manolo e a Huber, che tu citi in altro post, è andata bene e di rischi se ne sono presi eccome. Era consapevole di correre dei rischi? Li teneva sotto controllo? Si credeva immune dal rischio di cadere? Chi può dirlo? E, soprattutto, ci serve a qualcosa saperlo?
Tra le realizzazioni di cui è stato protagonista, in ordine sparso: prima ripetizione di Supermatita, tra le prime salite in libera a vista della via Attraverso il pesce, libera della Via del Sassofono sulla sud-est del Piz da Lec de Boè, prima ripetizione e prima libera di Capitan Sky-hook sulla nord-ovest del Civetta, apertura di absolut potent sulle Meisules, libera di Specchio di Sara (Marmolada), libera e a vista di Andromeda (Marmolada), libera di Fram (Marmolada).
Tra l'altro, se leggi una delle sue interviste sul tentativo di apertura della via a fianco dello Specchio di Sara, scopri che ha saputo anche rinunciare calandosi su un chiodo. In ogni caso, non ha smesso completamente di arrampicare dopo l'incidente. Basti ricordare la prima libera di 40 anni Rifugio Falier nel 2010 con annessa polemica dopo l'aggiunta di uno spit sopra una sosta.
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda VECCHIO » mar gen 12, 2016 15:49 pm

tacchinosfavillantdgloria ha scritto:Sulle carte trevisane c'è scritto:"non val saper se hai fortuna contra".

Mio nonno buonanima amava dire: "se la fortuna tua l'avrà voluto, ti pioverà sul culo anche se sarai seduto".

La fortuna è una componente essenziale in tutte le cose della vita. Senza il fattore C non si vince un mondiale di calcio, non si scopre l'America, e neanche la penicillina.

Poi ovviamente uno non fa conto su quella, cerca di prepararsi e fare tutto quello che è in suo potere perché le cose vadano bene. Ma la consapevolezza che una componente imponderabile c'è, soprattutto in attività dove non mancano i cosiddetti "pericoli oggettivi", è un gadget che non può mancare nello zaino di ogni alpinista.

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Io non credo in un dio o in tanti dei, non credo nella discesa della manna dal cielo, non credo in uno spirito santo che mi illumina, non credo nel destino o in esseri bendati, invece credo fermamente nelle mie capacità di conoscere e comprendere per superare continuamente i limiti intellettuali che raggiungo di volta in volta e spero che il mio cervello mi accompagni fino alla mia fine. Credo anche in coloro con i quali mi lego......... però in molti solo per un po', perché dopo un po' capisco chi sono e come pensano: di solito quando sono tirati per il collo e in grande difficoltà vanno fuori di testa e fanno cazzate enormi. #-o
Peccato che il mio fisico invecchi molto più velocemente del mio cervello e quindi io faccia sempre più fatica a realizzare i miei piccoli sogni.
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda sergio-ex63-ora36 » mar gen 12, 2016 15:57 pm

flow ha scritto:
gug ha scritto:Non so, io ho sempre avuto l'impressione che personaggi come Mittersteiner non fossero un esempio di evoluzione dell'alpinismo, ma piuttosto persone che per un periodo sono entrati in uno stato mentale tale da sentirsi quasi invulnerabili riuscendo in questo modo a prendere dei rischi eccessivi. In pratica mi sembra più il soldato impazzito de Il cacciatore che gioca alla roulette russa perché è ormai in uno stato mentale completamente alterato, che un alpinista forte che prende rischi che è in grado di gestire: secondo me la differenza è sottile, ma esiste e Mittersteiner, così come Preuss prima di lui, l'avevano oltrepassata.
E infatti alla fine entrambi questi alpinisti sono andati incontro alla fine (Mittersteiner, buon per lui, solo della carriera alpinistica) ed è emblematico che nel momento in cui è caduto, si sia completamente ritirato, probabilmente perché l'aura di invulnerabilità si è spezzata e si è reso conto che il rischio era troppo elevato.
Del resto il racconto che fa di come avanzava da un buco all'altro, sperando che ci fosse una possibilità di proteggersi, ma senza saperlo e sapendo invece che era ormai senza possibilità di ritorno, per me è emblematico.
Di fatto mi sembra che l'alpinismo si sia poi evoluto con personaggi e approcci diversi, meno spettacolari, ma secondo me più attenti a quel bilancio che io considero fondamentale fra l'ingaggio e il tentativo di suicidio.
Penso a Koeller, Hainz, Larcher o recentemente Tondini e Della Bordella per rimanere in ambito italiano: secondo me, in questi esempi c'è un maggior bilancio fra tecnica e rischio e infatti sono approcci che hanno avuto maggior seguito.

Un'ipotesi originale che non condivido. .......


sono d'accordo...

leggendo Gug anche Preuss non avrebbe contribuito all'evoluzione dell'alpinismo...mah...

che poi, Gug, anche Bonatti ha piantato li di colpo :wink: ...e lanci di dadi, tipo sui Dru, ne ha fatti qualcuno anche lui...anche per Bonatti niente contributo all'alpinismo...ri mah...
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda Pié » mar gen 12, 2016 16:26 pm

flow ha scritto:
gug ha scritto:Non so, io ho sempre avuto l'impressione che personaggi come Mittersteiner non fossero un esempio di evoluzione dell'alpinismo, ma piuttosto persone che per un periodo sono entrati in uno stato mentale tale da sentirsi quasi invulnerabili riuscendo in questo modo a prendere dei rischi eccessivi. In pratica mi sembra più il soldato impazzito de Il cacciatore che gioca alla roulette russa perché è ormai in uno stato mentale completamente alterato, che un alpinista forte che prende rischi che è in grado di gestire: secondo me la differenza è sottile, ma esiste e Mittersteiner, così come Preuss prima di lui, l'avevano oltrepassata.
E infatti alla fine entrambi questi alpinisti sono andati incontro alla fine (Mittersteiner, buon per lui, solo della carriera alpinistica) ed è emblematico che nel momento in cui è caduto, si sia completamente ritirato, probabilmente perché l'aura di invulnerabilità si è spezzata e si è reso conto che il rischio era troppo elevato.
Del resto il racconto che fa di come avanzava da un buco all'altro, sperando che ci fosse una possibilità di proteggersi, ma senza saperlo e sapendo invece che era ormai senza possibilità di ritorno, per me è emblematico.
Di fatto mi sembra che l'alpinismo si sia poi evoluto con personaggi e approcci diversi, meno spettacolari, ma secondo me più attenti a quel bilancio che io considero fondamentale fra l'ingaggio e il tentativo di suicidio.
Penso a Koeller, Hainz, Larcher o recentemente Tondini e Della Bordella per rimanere in ambito italiano: secondo me, in questi esempi c'è un maggior bilancio fra tecnica e rischio e infatti sono approcci che hanno avuto maggior seguito.

Un'ipotesi originale che non condivido. Trovo difficile e rischioso attribuire ad un alpinista del calibro di Mittersteiner il ruolo di colui che non è stato un esempio di evoluzione dell'alpinismo. Per le sue realizzazioni è stato definito "talento d’eccezione altoatesino", "uno fra i più talentuosi (e spericolati)" liberisti (cit. Oviglia e Svab), "coraggioso arrampicatore che spinse i limiti in Marmolada (...) forse l'ultimo vero rappresentante di una filosofia minimalistica" (cit. Mariacher), "Un gruppo ristretto di alpinisti porta poi anche sulle grandi pareti delle Alpi le massime difficoltà superate sulle falesie chiodate. Tra questi (...) Roland Mittersteiner, (...) in particolare sulla 'regina' delle Dolomiti, la Sud della Marmolada. Grazie all'allenamento in falesia, la preparazione tecnica di questi alpinisti cresce al punto di modificare la filosofia stessa della scalata sulle grandi pareti: le vie sono salite in libera, solo con l'aiuto di protezioni veloci" (cit. Filippini e Gogna).
Mittersteiner come un soldato impazzito che gioca alla roulette russa in preda ad uno stato mentale del tutto alterato? Non credo sia giusto dare un'interpretazione della storia alpinistica facendo leva sul profilo psicologico del protagonista e traendone le conseguenze. Mi sembra riduttivo. E' stato un arrampicatore fortissimo, ha scelto un'etica rigorosa (negli anni della gioventù), ha rischiato molto e ne ha pagato le conseguenze. Ma da lì al definirlo una specie di squilibrato che non ha contribuito a far evolvere l'alpinismo mi sembra sia ingiusto e non rispettoso della storia. A proposito del rischio e della sua capacità di gestione, è illusorio - e la storia ce lo insegna - pensare che il rischio possa essere sempre tenuto sotto controllo e gestito. Quando si affronta un rischio, c'è sempre un margine di incertezza. A Manolo e a Huber, che tu citi in altro post, è andata bene e di rischi se ne sono presi eccome. Era consapevole di correre dei rischi? Li teneva sotto controllo? Si credeva immune dal rischio di cadere? Chi può dirlo? E, soprattutto, ci serve a qualcosa saperlo?
Tra le realizzazioni di cui è stato protagonista, in ordine sparso: prima ripetizione di Supermatita, tra le prime salite in libera a vista della via Attraverso il pesce, libera della Via del Sassofono sulla sud-est del Piz da Lec de Boè, prima ripetizione e prima libera di Capitan Sky-hook sulla nord-ovest del Civetta, apertura di absolut potent sulle Meisules, libera di Specchio di Sara (Marmolada), libera e a vista di Andromeda (Marmolada), libera di Fram (Marmolada).
Tra l'altro, se leggi una delle sue interviste sul tentativo di apertura della via a fianco dello Specchio di Sara, scopri che ha saputo anche rinunciare calandosi su un chiodo. In ogni caso, non ha smesso completamente di arrampicare dopo l'incidente. Basti ricordare la prima libera di 40 anni Rifugio Falier nel 2010 con annessa polemica dopo l'aggiunta di uno spit sopra una sosta.


concordo. come sono d'accordo con la battuta del Rampik, se Gug intendiamo la stessa. fondalmente a volte la linea di demarcazione può essere sottile ma quanto è sottile lo sa solo chi è lì. Io non sono veramente nessuno per giudicare: a volte può esser difficile per chi è coinvolto direttamente, figurarsi per un esterno che non è lì. figurarsi per un esterno che non è lì e brocco come me..

tacchinosfavillantdgloria ha scritto:.
Poi ovviamente uno non fa conto su quella, cerca di prepararsi e fare tutto quello che è in suo potere perché le cose vadano bene. Ma la consapevolezza che una componente imponderabile c'è, soprattutto in attività dove non mancano i cosiddetti "pericoli oggettivi", è un gadget che non può mancare nello zaino di ogni alpinista.

(Un po') fatalisti saluti
TSdG


Mah Tacchino.. a volte va tutto bene contro ogni ragionevole certezza, a volte va tutto male contro ogni ragionevole certezza. vacci a capire..
Io sono convito che un po' di fortuna ci voglia in ogni cosa, ma visto che quel "po'" è difficilmente quantificabile, preferisco essere del partito di un amico che mi insegnava che i pericoli oggettivi sono meteoriti e terremoti, tutti gli altri sono soggettivi. ed ai soggettivi preferisco cercare di pensarci io provando ad anticiparli ed evitarli poi, quando la fortuna vuole aiutare, è molto bene accetta.
..e posso tranquillamente dire che in qualche occasione ne ho avuta parecchia e potendo esser qui a raccontarla cerco di trarre insegnamento dalle varie lezioni imparate nel corso degli anni.. e se ne avessi avuta meno sarebbe stata solo colpa delle cazzate che avevo fatto, non di una generica sfiga.
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda VECCHIO » mar gen 12, 2016 16:50 pm

gug ha scritto:...................... Larcher o recentemente Tondini e Della Bordella per rimanere in ambito italiano: secondo me, in questi esempi c'è un maggior bilancio fra tecnica e rischio e infatti sono approcci che hanno avuto maggior seguito.


Ho già commentato, ora vorrei fare un inciso, magari qualcuno lo leggerà come polemica, ma vuol essere solo una constatazione.
Se a tanti fortissimi famosi togliessimo spit e cliff, pulissimo un po' lo stile e alziassimo appena appena l'etica, penso che quasi nessuno si potrebbe avvicinare anche di poco al vecchio Verri e allo spatentato Pedeferri........altoatesini alcuni di sicuro.
Però ognuno ha il suo stile e va rispettato.

Mi è piaciuto questo articolo sul trad, ma è uno stile e un'etica per la maggioranza degli italiani quasi aliena, che mi sembra solo i due che ho detto e pochi altri qui da noi abbiano.
http://www.banff.it/cosa-e-il-trad/

Mi è venuto in mente Auer e se ragionassi come molti qui, mi sembra dovrebbe essere di un'altra galassia.
Da quando ha fatto la prima free solo del pesce non ha smesso di fare solitarie d'altissimo livello e si è evoluto anche, ha salito pareti di misto mai salite e di difficoltà elevatissime.....ultimamente la sud del Nilgiri sud (qui si può discutere sul suo essere guida)
Per me questo è un fortissimo alpinista, uno che sa sempre quello che fa.
Per me non è incosciente, del poi non so niente.
....ALPINISTA......NO GUIDA....... questa mi scombussola
Scalare con gli esperti del cai... son sempre dei grossi guai...... questa mi piace
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda PIEDENERO » mar gen 12, 2016 22:10 pm

interessanti le riflessioni di gug
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda gug » mar gen 12, 2016 23:48 pm

sergio-ex63-ora36 ha scritto:sono d'accordo...

leggendo Gug anche Preuss non avrebbe contribuito all'evoluzione dell'alpinismo...mah...

che poi, Gug, anche Bonatti ha piantato li di colpo :wink: ...e lanci di dadi, tipo sui Dru, ne ha fatti qualcuno anche lui...anche per Bonatti niente contributo all'alpinismo...ri mah...


Ma Bonatti ha lasciato dopo aver aperto la Nord del Cervino da solo d'inverno (una delle sua più grandi imprese) perché voleva dedicarsi ad altro e non in seguito a un incidente o a una tragedia.
Probabilmente su Mittersteiner mi sbaglio, ma ho avuto questa impressione leggendo i suoi racconti e il fatto che gente come Tondini ha detto che aveva raggiunto un livello di apertura a vista probabilmente mai raggiunto da nessun altro, ma anche molto vicino al suo livello massimo in arrampicata: è proprio questo piccolo margine che mi fa pensare, oltre al fatto di come poi si sia ritirato. Ma come ho detto, probabilmente mi sbaglio.
Su Preuss invece non sono io a pensarla così, ma la lettura storica: Preuss è stato un mito, un ideale, ma di fatto poi l'evoluzione dell'alpinismo ha seguito le idee di Dulfer: chi ha mai applicato le regole che Preuss diede al Convegno di Monaco?
E torniamo ai bilanci: l'ideale è sicuramente affascinante, Preuss e Mittersteiner rappresentano proprio questo, ma di fatto poi l'alpinismo è fatto di compromessi perché altrimenti diventa una strada per il suicidio.
Come ho detto, su Mittersteiner non sono certo perché le mie sono opinioni dettate da indizi, ma non ditemi che il modo in cui scalava Preuss e le regole di Monaco non conducano a questo....(apertura a vista e slegati al massimo delle difficoltà dell'epoca, rifiuto di ogni ausilio artificiale...etc.).
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda Pié » mar gen 12, 2016 23:50 pm

PIEDENERO ha scritto:interessanti le riflessioni di gug


si sono interessanti spunti di riflessione, però non le condivido.
come fai a sapere quanto rischia uno, quanto e se è andato oltre al limite, qual è poi questo limite?
quando ha salito kein rest con Holznecht in otto ore, quanto han rischiato? io non lo so. non ho né il livello per fare kein rest e quindi capire che voglia dire fare il 6c obbligatorio con dentro nulla sulla nord ovest né il livello di Mittersteiner e Holznecht per capire quanto fossero sopra le difficoltà. Di sicuro parecchio se ci han messo 8 ore.
E così via..
Diversa invece era la battuta del Rampik che ricordava che il limite tra il "che bravo ha salito quella traballante" e il "che pirla si è attaccato a quella caldela instabile" può essere molto sottile. ed è una cosa che ho fatta mia e cerco di tenere ben presente quando vado in giro.
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Re: Ma in quanti scalano veramente sul VII+/VIII obbligatori

Messaggioda gug » mer gen 13, 2016 10:36 am

Pié ha scritto:
PIEDENERO ha scritto:interessanti le riflessioni di gug


si sono interessanti spunti di riflessione, però non le condivido.
come fai a sapere quanto rischia uno, quanto e se è andato oltre al limite, qual è poi questo limite?
quando ha salito kein rest con Holznecht in otto ore, quanto han rischiato? io non lo so. non ho né il livello per fare kein rest e quindi capire che voglia dire fare il 6c obbligatorio con dentro nulla sulla nord ovest né il livello di Mittersteiner e Holznecht per capire quanto fossero sopra le difficoltà. Di sicuro parecchio se ci han messo 8 ore.
E così via..
Diversa invece era la battuta del Rampik che ricordava che il limite tra il "che bravo ha salito quella traballante" e il "che pirla si è attaccato a quella caldela instabile" può essere molto sottile. ed è una cosa che ho fatta mia e cerco di tenere ben presente quando vado in giro.


Beh, ma questo vale per qualsiasi attività: allora non si dovrebbe discutere di nulla se non si ha il livello dei top.
Invece credo che se di una disciplina si capisce qualcosa, perché la si pratica, e se ci si informa e si segue il dibattito qualche spunto di discussione lo si può proporre.
Ti dico, non so se su Mittersteiner mi sbaglio, però quando racconta del suo scalare da un buco all'altro, alzandosi sempre di più e sperando che fosse buono per proteggersi, ho ben chiara la situazione, come ce la può avere chiunque abbia scalato in montagna. Ovvio che lui magari si trovava su tre gradi oltre quelli in cui ci potremmo trovare noi, chiaramente aveva una mente abituata al rischio, perché magari uno di noi (io sicuro) non sarei partito neanche per il primo buco. Probabilmente molti scalatori forti hanno preso simili ingaggi, ma puntando a qualcosa di ragionevolmente sicuro e se poi non si rivelava così magari tornando indietro, o mettendo un chiodino a lama, o uno spit o salcazzo vario.
Invece di fatto andare in quel modo alla ricerca di una via, tagliandosi sempre più le possibilità di ritirata e senza avere alternative mi fa pensare che fosse ben al di là della sottile linea, soprattutto perché sono sicuro che era su un terreno dove il suo margine era molto più risicato di quello su cui aprivano della maggior parte dei top.
Per questo sostengo che non abbia costituito un evoluzione in alpinismo, non perché non fosse forte, probabilmente era uno dei migliori, ma perché poi nessuno lo ha seguito. Mi viene da pensare che ci si fosse resi conto che quella su cui era fosse una strada senza uscita, e da come ha smesso probabilmente lo ha capito anche lui.
Questi naturalmente sono spunti di discussione, sono dubbi che pongo, e su cui mi interesserebbe davvero sentire opinioni tecniche.
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