Via vertigine Monte Brento

Arrampicata e alpinismo su roccia in montagna

Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda Danilo » gio giu 16, 2016 9:57 am

lamontagnadiluce ha scritto:

:smt026
mitico,ha messo su anche le scarpette ah ah ah
il forum è morto
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda crodaiolo » gio giu 16, 2016 10:14 am

Marco Furlani nel '95 (a tre anni dall'apertura) dava queste "istruzioni per l'uso" :

Immagine
inciampa piuttosto che tacere
e domanda piuttosto che aspettare
...
alla fine, è solamente un gioco
a cui a volte tendiamo a dare troppa importanza.
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda tu » gio giu 16, 2016 10:46 am

ok, ma a parte tutto, quello che mi interessa è: ma cipignao l'ha ripetuta alla fine?
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda Eionedvx » gio giu 16, 2016 11:09 am

Ma in libera, quale sarebbe il grado? #-o
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda VYGER » gio giu 16, 2016 12:29 pm

Credo non sia liberabile.

Almeno il tetto Filippi e il Becco dell'Aquila sono il primo un soffitto orizzontale di una decina di m. e il secondo un pannello a 135° di 7-8.

Chiodatura a fixini del 6.
Se voli, la probabilità di sbottonare le protezioni non è remota.
Quindi niente lavorato.

Roccia malconcia su diversi tratti della via.
Anche a me come avventura era piaciuta.
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda gigiDR » gio giu 16, 2016 12:45 pm

A me piacerebbe moltissimo farla,ma ormai credo che la chiodatura sia veramente scadente e non credo mi azzarderei più....
Anni fa ci eravamo organizzati in due cordate poi io ebbi un infortunio banale pochi giorni prima della partenza e andò solo una cordata....scesero già dalla placconata per continue scariche,pare infatti stessero disgaggiando gli strapiombi in preparazione di un tentativo di libera del grande incubo

Forse universo giallo è più facile
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda VYGER » gio giu 16, 2016 12:46 pm

Se avete tempo da perdere...

Recupero dal backup del mio sito e copio-e-incollo:

Vertigine
Viaggio tra arrampicata e filosofia attraverso la parete Est del monte Brento, “lo strapiombo più grande d’Europa” (M. Furlani)

Come spesso accade, tutto era cominciato per caso, la mattina di uno degli ultimi giorni del vacanziero aprile del 2003. Mentre, in spedizione "stile Himalaya" (tre cordate un dietro l’altra) si stava ripulendo e ripetendo Sudomagodo, nuova via a spit di Ivan Maghella e Danilo Bonaglia in Mandrea, Danilo, con fare da cospiratore, mi aveva chiesto se mi sarebbe piaciuto farmi un viaggetto su Vertigine, l’infinita serie di chiodi ad espansione piantati da Furlani, Andreotti e Filippi attraverso gli strapiombi del monte Brento.
L’idea mi aveva solleticato.
Non sono un granché come artificialista. D’altra parte, pensavo, sarebbe stato interessante sperimentare un nuovo stile di arrampicata in un ambiente che supponevo grandioso. Così, quasi senza riflettere, avevo sparato un “Sì, quando?” convinto e immediato.
Il “quando” si sarebbe fatto attendere per circa un mese, durante il quale Ralf e io ci dedicammo al nostro annuale giro in Qualido (che, come è noto, con le sue placche appoggiate costituisce l’ideale allenamento per l’arrampicata in artificiale su strapiombi) e a qualche altra vietta qua e là.
A fine maggio i tempi sembravano maturi. Ivan e Danilo erano convinti. E così io e Ralf. Il week end presentava una meteo favorevole: bel tempo con possibilità di temporali la sera di sabato (ma noi contavamo di essere alla cengia sotto gli strapiombi ancora alle 18.00). Siccome le relazioni di Furlani erano datate, ci dedicammo a raccogliere le ultime informazioni sulla via, riuscendo purtroppo a racimolare ben poco: il racconto di Salvaterra sulla sua ripetizione horror in solitaria, dalla quale venimmo a sapere che, sul tetto Filippi, c’era la possibilità che qualche golfaro si svitasse da solo sotto carico, e la testimonianza a voce di Rivadossi che ci aveva riferito della sua ripetizione (la quinta) in notturna tra fix mancanti e voli a strappo. Beppe Chiaf ci aveva ulteriormente intimoriti raccomandandoci di portare con noi almeno venti spit per sostituire quelli mancanti.
All’ultimo rendez vous non eravamo proprio al massimo dell’entusiasmo. Danilo e Ivan non sarebbero potuti venire per altri impegni. E le notizie che avevamo sulla via erano poco incoraggianti.
“Che cosa facciamo?”
“Andiamo lo stesso?”
Alla fine avevamo deciso per il “sì”, dopo esserci accordati di procurarci almeno un “super-furbo” ciascuno, un piantaspit e qualche spit per ogni evenienza.
Partimmo il sabato pomeriggio alle 11.00. Contavamo di arrivare sotto la parete alle 15.00 e di essere alla cengia mediana alle 18.00.
Il traffico ostacolò i nostri programmi. Tuttavia, non senza essere passati per il bar “Parete Zebrata” (dove il gestore ci incoraggiò ulteriormente, chiedendoci “Ma siete sicuri?”) e dopo una scarpinata sotto il sole, effettivamente alle 16.00 eravamo all’attacco.
Guardammo in alto: una super-spedizione in stile himalayano stava salendo la nostra via!
“Ma come è possibile? Non ci sale mai nessuno!”.
Tornare indietro? Non sia mai!
E così, sotto il tiro incrociato dei sassi smossi dalla haul bag che la mega cordata (12 persone) si trascinava dietro, partimmo. Raggiungemmo la coda del serpente in un paio d’ore. Scoprimmo che la spedizione era guidata da Diego Filippi in persona. Avevano in programma di trascorrere la notte nel “comodo” bivacco della cengia pasteggiando a porchetta e vino e di dividersi la mattina in due gruppi: tre cordate (sette persone in tutto) avrebbero ripetuto Vertigine, mentre le restanti cinque sarebbero scese.
Nella sfortuna fummo fortunati: non ci concessero di festeggiare con loro al bivacco (non ci saremmo stati), ma ci permisero di dormire in una comoda nicchia sotto un albero all’attacco della seconda parte della via e di partire per primi la mattina dopo (“Alle quattro!”, raccomandarono).

La nicchia non era poi così comoda.
Tuttavia, in due, ci si stava. Mangiammo qualcosa, ci sistemammo per la notte, mandammo alcuni messaggi col cellulare a Ivan (che ci fece gli auguri) e cercammo di dormire.
La notte passò scomoda e tranquilla. Una civetta ci teneva compagnia col suo triste canto (che però non sembrava di cattivo presagio), mentre tra un dormiveglia e l’altro osservavamo il paesaggio da presepio sotto di noi, attraversato con frequenza dalle luci delle auto dei nottambuli.
Verso le 2.00 il previsto temporale si abbatté sulla valle, sugli strapiombi sopra di noi e sulle placche sotto di noi, sui nostri amici trentini, ma non su di noi, che, rannicchiati, potemmo godere dello spettacolo in tutta scomodità.
Finalmente arrivarono le 4.00.
A fatica ci smuovemmo dal nostro giaciglio, mandammo giù due bocconi e ci preparammo a partire.
La spedizione Filippi si stava già avvicinando quando Ralf attaccò il primo tiro. Qualche passo in libera e poi subito su staffe, lui, liberista convinto, impacciato con quei movimenti insoliti. Io non fui da meno, al punto che Filippi era già dietro di me e pareva volermi mordere le chiappe. Sarebbe stato meglio che fossero passati davanti loro?
Il mio primo tiro, il secondo, fu un ulteriore tormento. Non riuscivo proprio a trovare la giusta sequenza di movimenti, al punto che percorsi in libera gli ultimi dieci metri. Ma ero troppo lento.
Terzo tiro, sempre su dritti per placca strapiombante: le cose sembrarono andare meglio. E i nostri compagni d’avventura erano rallentati dalla pesante haul bag che si stavano trascinando dietro.
Col quarto tiro iniziarono le feste: diedro strapiombante, prua molto strapiombante da attraversare da destra a sinistra e sosta impressionante sotto il primo tetto (foto). Mentre facevo sicura a Ralf, impegnato nel successivo traverso a sinistra, tre base jumper precipitarono dallo strapiombo con gran rumore, atterrendoci (non so per quale motivo nella mia mente si era insinuato il sottile timore che si scatenasse un improvviso terremoto e che tutti noi venissimo schiacciati dalle poderose masse rocciose in apparente bilico sopra le nostre teste).
Nel frattempo Ralf, concluso il tetto, stava trovando duro. “Qualche golfaro si muove”, aveva comunicato. Io, da secondo, me l’ero cavata più rapidamente.
Il tiro successivo, il sesto, prevede un altro traverso a sinistra: unica difficoltà, un fix lungo, da raggiungere pendolando.
E poi una lunga fessura, all’apparenza arrampicabile, ma dalla roccia dubbia, nel corso della quale ebbi modo di perfezionare il mio metodo di salita: col piede sull’ultimo gradino della staffa, piazzavo un rinvio nel golfaro successivo, mi agganciavo con un rinvio al rinvio appena messo, mi assicuravo, recuperavo la staffa, la collocavo a destra se il fix successivo era tendenzialmente a sinistra rispetto alla mia verticale o a sinistra nel caso contrario, piede nell’ultimo gradino della staffa e così via.
Vertigine stava attraversando posti davvero incredibili. Una vasta placca strapiombante si innalzava tra tetti a sinistra e rigonfiamenti giallastri a destra. Ralf vi si avventurò seguendo la fila di fix che andava alla ricerca dei punti deboli della parete. Anche il tiro successivo sembrava aggirare le difficoltà, deviando a sinistra sotto bombamenti paurosi (foto).
Ma non poteva andare così all’infinito. Eravamo arrivati sotto il fatidico tetto Filippi, un soffitto perfettamente orizzontale di dodici metri che sembrava dare nel nulla. La fila di “pressione” lo attraversava proprio nel mezzo. Non invidiai Ralf, cui toccava il mostro. Mentre il teutonico saliva, chiesi a Filippi, distanziato di un tiro, come mai avesse deciso di passare proprio per di là.
Filippi, laconico, rispose: “No son mia sta’ mi a farlo!”.
“Si sta divertendo il tuo amico?”, aggiunse.
“Beh, non proprio”, dissi guardando Ralf che stava lottando con le staffe per attraversare quel vuoto impressionate.
Però non doveva esserne stato travolto visto che, arrivato alla fine, si era fermato, aveva estratto la sua compatta e aveva scattato un paio di volte in direzione mia e di Filippi. “Mandene le foto quando che te le ga svilupà”, aveva gridato il buon Diego dalla sua sosta scomoda sotto gli strapiombi.

Nel frattempo attorno a noi gli uccellini cinguettavano come in un bosco primaverile e i rondoni ci sfrecciavano vicini con evoluzioni e velocità da jet supersonici. La loro armonia era in totale contrasto con l’aspetto primordiale delle immani strutture rocciose nelle quali eravamo immersi. In quel paradossale accostamento di ordine e caos fui preso da un lieve mancamento, un giramento di testa che non mi parve di origine fisiologica, quanto piuttosto “metafisica”, forse per l’improvviso apparire, lì, del mistero del mondo.
“Vertigine”: non poteva esservi nome più appropriato per la via.

Ralf era arrivato in sosta lentamente. I problemi del tiro non si esaurivano con la passeggiata su staffe sotto il soffitto.
Toccava a me. Sostituii le scarpe da ginnastica alle scarpe di arrampicata, che pure mi erano servite fin lì a risparmiarmi qualche tratto in artificiale ma che ormai erano troppo dolorose da portare, e partii. Incontrai due sole difficoltà lungo il tiro: prima del soffitto, in corrispondenza di un inaffidabile chiodo normale da tirare, e verso la fine, dove, per un qualche strano gioco di forze, mi accadeva di non riuscire a stare in posizione sulle staffe perché queste, sotto il mio peso, ruotavano, impedendomi di raggiungere l’ancoraggio successivo. Comunque, per fortuna, a ruotare erano le staffe, non i golfari.
Oltre il tetto, uno strapiombo pronunciato a fix non proprio ravvicinati conduceva alla sosta. E, dopo, un infinito diedro strapiombante si addentrava nell’ultimo terzo di parete.
Il tiro che lo seguiva fu un vero e proprio viaggio. Quaranta fix, forse. O forse più.
Alla fine, quando ormai già vedevo la sosta e il verricello utilizzato dagli apritori per approvvigionarsi, la sorpresa: tra il penultimo e l’ultimo fix c’era un vuoto di tre metri.
Osservando con maggiore attenzione, notai nel mezzo un piccolo foro sporco di ruggine che stava a testimoniare di un fix saltato.
Era arrivato il momento del “superfurbo”.
Estrassi dallo zaino il mio vecchio “lancio” da pesca (circa 1 metro e 80) dotato di rinvio sul cimino e, non senza qualche equilibrismo, agganciai la protezione lontana.
Ero fuori.
Recuperai Ralf che partì poi per il tiro successivo, un lungo traverso sotto gli strapiombi terminali.
“Furlani e soci si sono stancati di strapiombi”, pensai.
Anche la lunghezza seguente proseguiva verso sinistra e aggirava uno spigolo, quasi alla ricerca dei punti deboli della parete. Rinfrancato e già notando che la parete verso sinistra sembrava cedere, percorsi la lunghezza a cuor leggero. Erano le 18,15. Saremmo usciti in serata. Chiamai Ivan per avvisarlo. Per le 19,00-19,30 al massimo saremmo stati fuori e per le 20,30 contavamo di essere a San Giovanni. Ivan, che ci aveva aspettati pazientemente dopo una rapida ripetizione di Viaggio nel passato al monte Casale in compagnia di Claudio Chiaudano, ci garantì che ci sarebbe stato.
Ralf, arrivato in sosta, proseguì per il tiro successivo che, inaspettatamente, andava a destra, e non a sinistra, come speravo, puntando ad uno spaventoso strapiombo oltre il quale la parete sembrava esaurirsi.
Raggiunsi Ralf.
Non osavo guardare in alto. L’inclinazione della parete era nauseante: come un pannello di allenamento a 60° oltre la verticale.
“Vai Sandro”, commentò Ralf quando arrivai in sosta.
“Eh, vai, c***o! È dura!”.
“Se è dura, è meglio!”.
“Sì, buonanotte…”.

“Un chiodo alla volta, Sandro. Un chiodo alla volta”, ripetevo dentro di me tenendo la testa bassa mentre Ralf mi passava il materiale.
Il mantra funzionò. Iniziai ad arrampicare. Infilavo un rinvio nel golfaro davanti a me, mi agganciavo al rinvio, collegavo la staffa al rinvio, infilavo il piede nel penultimo gradino della staffa, mi agganciavo più sopra, bloccaggio stile “pannello” per andare a moschettonare il golfaro successivo, piede nell’ultimo gradino della staffa, altro bloccaggio, mi agganciavo nel rinvio appena messo e così via… (foto).
Un passo alla volta arrivai fuori, in una nicchia dall’aspetto protettivo che celava ormai il vuoto incredibile che, come formiche, avevamo attraversato.
Un vento freddo sibilava tra i ciuffi d’erba e i rami delle piante attorno a me.
Ralf salì lentamente, con le forze ormai al lumicino. Lo aspettava l’ultima breve lunghezza, resa ostica dal fatto che una protezione, la terza, mancava di golfaro. Adesso un cordone che scende dalla protezione successiva ammorbidisce il passaggio.
Alle 19,40 eravamo fuori tutti e due.

Ripetizione realizzata il 31 maggio e il 1 giugno 2003 con Ralf Steinhilber


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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda Eionedvx » gio giu 16, 2016 13:08 pm

VYGER ha scritto:Credo non sia liberabile.

Almeno il tetto Filippi e il Becco dell'Aquila sono il primo un soffitto orizzontale di una decina di m. e il secondo un pannello a 135° di 7-8.

Chiodatura a fixini del 6.
Se voli, la probabilità di sbottonare le protezioni non è remota.
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda Kinobi » gio giu 16, 2016 13:27 pm

gigiDR ha scritto:A me piacerebbe moltissimo farla,ma ormai credo che la chiodatura sia veramente scadente e non credo mi azzarderei più....
Anni fa ci eravamo organizzati in due cordate poi io ebbi un infortunio banale pochi giorni prima della partenza e andò solo una cordata....scesero già dalla placconata per continue scariche,pare infatti stessero disgaggiando gli strapiombi in preparazione di un tentativo di libera del grande incubo

Forse universo giallo è più facile



Scolta... Mackita-ino o Bosch-ino piccolo, una scatola di tasselli da 10 mm corti (che vendo :mrgreen: :mrgreen: :mrgreen: :mrgreen: ), fai un'opera pia, nessuno ti dirà nulla, e la via la fai.
Ryobi o Bosch dove sta la differenza? :^o

Se hai fortuna, i tassellino si sfilano (martello da muratore con piede di porco) e riusi il foro con poco consumo di batteria.
Non pensare ti pesi tanto di più il trapano del perforatore e piantaspit.
Oppure trapano serio che potrebbe fare tranquillamente tra i 30 ed i 40 fori.

Ciao,
E
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda Mork » gio giu 16, 2016 13:28 pm

ma del soccorritore fatto pendolare dal verricello "fuori tutto" con aggiunti altri 150 (mi pare) metri di corda, vogliamo parlare? 8O 8O

Perché anche in questo caso, mi pare sia necessario portarsi nello zaino un bel po' di coraggio :wink:
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda Kinobi » gio giu 16, 2016 14:04 pm

Mork ha scritto:ma del soccorritore fatto pendolare dal verricello "fuori tutto" con aggiunti altri 150 (mi pare) metri di corda, vogliamo parlare? 8O 8O

Perché anche in questo caso, mi pare sia necessario portarsi nello zaino un bel po' di coraggio :wink:


Se vuoi ti posto un video di un soccorso che ho visto in Spagna. Quello era coraggio!
Ha tirato un pendolo di 100 metri....
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda pablo75 » gio giu 16, 2016 16:47 pm

VYGER ha scritto:Se avete tempo da perdere...

---------

Torno al lavoro.


come a lavorare? prima hai detto che se voli sbottoni tutte le protezioni?! :mrgreen:
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda wolf jak » gio giu 16, 2016 16:50 pm

VYGER ha scritto:Se avete tempo da perdere...


Grazie :D altro che tempo perso, è stata una lettura interessante mentre pranzavo, scrivi bene
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda rocciaforever » gio giu 16, 2016 16:57 pm

wolf jak ha scritto:
VYGER ha scritto:Se avete tempo da perdere...


Grazie :D altro che tempo perso, è stata una lettura interessante mentre pranzavo, scrivi bene


Vyger aveva un super sito da cui ho "preso a piene mani" un sacco di informazioni.....

per fortuna che ho fatto il backup anch'io..... :smt080

davvero un peccato che non ci sia più.... :roll:

grazie Vyger! :D
"Il segreto del successo è la perseveranza verso lo scopo" B.D.


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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda PIEDENERO » gio giu 16, 2016 17:03 pm

rocciaforever ha scritto:
wolf jak ha scritto:
VYGER ha scritto:Se avete tempo da perdere...


Grazie :D altro che tempo perso, è stata una lettura interessante mentre pranzavo, scrivi bene


Vyger aveva un super sito da cui ho "preso a piene mani" un sacco di informazioni.....

per fortuna che ho fatto il backup anch'io..... :smt080

davvero un peccato che non ci sia più.... :roll:

grazie Vyger! :D

è un po' anche colpa sua se i climbers si mettono nei guai. per risparmiare qualche euro ha tolto importanti informazioni dalla rete.

:lol: :mrgreen:
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda Andrea Orlini » gio giu 16, 2016 17:09 pm

Mork ha scritto:ma del soccorritore fatto pendolare dal verricello "fuori tutto" con aggiunti altri 150 (mi pare) metri di corda, vogliamo parlare? 8O 8O

Perché anche in questo caso, mi pare sia necessario portarsi nello zaino un bel po' di coraggio :wink:

Mah... sai... una volta che sei appeso sotto la pancia del calabrone diventi in pratica un sacco di patate (anche se devi saper fare bene quello che si deve...).
La mia ammirazione rimane sempre per i piloti e i tecnici di bordo =D> senza di loro il tecnico cnsas non potrebbe nulla...
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda Eionedvx » gio giu 16, 2016 17:14 pm

VYGER, bel racconto =D>

Non capisco se fa o non fa venire voglia di ripeterla :mrgreen: :lol:
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » gio giu 16, 2016 17:31 pm

Eionedvx ha scritto:VYGER, bel racconto =D>

Non capisco se fa o non fa venire voglia di ripeterla :mrgreen: :lol:


Vai, vai (cit.) :mrgreen:

Incoraggianti saluti
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda Eionedvx » gio giu 16, 2016 20:53 pm

tacchinosfavillantdgloria ha scritto:
Eionedvx ha scritto:VYGER, bel racconto =D>

Non capisco se fa o non fa venire voglia di ripeterla :mrgreen: :lol:


Vai, vai (cit.) :mrgreen:


Io vado, vado, però voglio tacchì come secondo :lol: :lol:


M'è appena venuta in mente una cosa: ma nei buchi non ci si possono mettere gli "spit rimovibili"? (tipo quelli della ClimbTech)
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Re: Via vertigine Monte Brento

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » gio giu 16, 2016 21:43 pm

Eionedvx ha scritto:
voglio tacchì come secondo :lol: :lol:



Arrosto o ripieno!? :mrgreen:

(L'unico modo in cui potrei interpretare il ruolo di "secondo" in una via del genere :wink: )

Gastronomici saluti
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