da pasasò » lun gen 26, 2009 11:29 am
quoto Roberto x i 2
squoto pigro cinetica
però ecco qui
Dai resoconti giornalistici del gennaio 1979.
I terroristi delle Brigate Rosse hanno cominciato ad uccidere anche i militanti comunisti. La prima vittima di questo nuovo fronte è un operaio di Genova, Guido Rossa, delegato sindacale della Fiom - Cgil all?Italsider, iscritto al PCI. Rossa 44 anni , sposato e padre di una ragazza, aggiustatore meccanico nella fabbrica genovese, è stato assassinato all?alba del 24 gennaio, a pochi passi da casa. Guido, ha pagato con la vita non soltanto la sua militanza politica,ma il suo impegno contro il terrorismo. Era stato lui a scoprire e denunciare un fiancheggiatore delle BR, Francesco Berardi, impiegato nella sua stessa fabbrica, l?Italsider. E i brigatisti, nella loro follia omicida, hanno voluto ?punirlo?, proprio per quel suo atto di coraggio civile: < Abbiamo sparato a Guido Rossa, spia dei padroni, dell?Italsider>, dice la telefonata che rivendica l?assassinio.
La tecnica dell?attentato è stata quella consueta di tanti altri agguati. Rossa esce da casa poco dopo le 6.30, in via Ischia , per recarsi al lavoro allo stabilimento di Cornigliano. A piedi svolta per via Fracchia e sale sulla sua ? 850 Fiat ? dalla parte destra,perché l?auto è parcheggiata di fianco al muro. La zona è quella di Oregina, sulle alture di Genova, scoscesa e piena di strade strette e tortuose. Mentre Guido entra nell?auto, sta spostandosi sul sedile di guida, i terroristi cominciano a sparare. I primi colpi di pistola lo raggiungono alle gambe, poi un proiettile gli spacca il cuore. Guido muore quasi subito. A sparare sono stati almeno in due ( per terra troveranno bossoli di due armi diverse, una calibro 9 lungo e una 7.65).
La notizia gia alle 8.30 si diffonde per l?intera città, l?emozione è enorme, gli operai escono dalle fabbriche, si sa che è stato ammazzato un sindacalista della Fiom, <un compagno del PCI >Ma non si sa ancora chi. Poi qualcuno ricorda la storia di Berardi, e la gente capisce: Guido Rossa ha cominciato a morire quando ha deciso di guidare il servizio di vigilanza contro il terrorismo nelle fabbriche in cui lavorava.
Rivediamo le sequenze iniziali di questo dramma. All?Italsider e all?Ansaldo, la presenza di qualcuno che < fiancheggia > le BR è palpabile. Quando sparano al dirigente Liberti, nel maggio scorso, e spiegano perché l?hanno fatto, i brigatisti dimostrano di sapere tutto sull?azienda. In ottobre, Rossa firma quasi certamente la sua condanna a morte. Da tempo sospetta di Francesco Berardi, un operaio degli altiforni poi promosso impiegato, ex militante di Lotta Continua.
Alla fine lo blocca mentre ha con sé alcuni opuscoli delle BR e, assieme al consiglio di fabbrica, avverte i carabinieri. Da una perquisizione, saltano fuori i numeri di targa di alcuni dirigenti Italsider, annotati su un foglietto in possesso di Berardi.
Al processo per direttissima, Rossa è l?unico che ha il coraggio di presentarsi a testimoniare, < conferma le dichiarazioni rese in istruttoria?> < Confermo > Il delegato sindacale rimane in aula neppure un minuto, ma, appena lo vede, Berardi si volge verso il pubblico e lo indica con gli occhi e un cenno del capo a qualcuno che è tra i presenti nell?aula. Berardi viene condannato a quattro anni di reclusione e viene rinchiuso nel super carcere di Novara.
Per Guido rossa cominciano le telefonate anonime: < Te la faremo pagare>. Convinto di aver fatto il suo dovere di cittadino e democratico nonché di militante comunista, Guido continua la sua attività come prima e rinnovata determinazione per combattere il terrorismo che ritiene il male mortale per la classe operaia.
Nel frattempo, le BR diffondono il ? Diario di lotta nelle fabbriche genovesi Ansaldo e Italsider? dove per la prima volta compare in modo esplicito, lo slogan < individuare e smascherare il ruolo controrivoluzionario dei berlingueriani>. Ancora una volta è un?anticipazione chiara di quanto accadrà di lì a poco.
Chi ha ucciso Guido Rossa si è servito quasi certamente di un furgone parcheggiato qualche metro dietro la sua 850 , con targhe rubate e il bollo di circolazione e il contrassegno dell?assicurazione contraffatti. Gli inquirenti che lo hanno esaminato sono certi che gli attentatori siano rimasti nascosti nel veicolo per tutta la notte. Le indagini appaiono subito molto complicate, nessuno ha visto nulla, qualcuno compresa la moglie di Guido ha sentito degli spari, ma li ha scambiati per altri rumori. In questo modo, dal momento dell?attentato alla scoperta del corpo di Guido Rossa riverso nell?auto, fatta eccezione di un netturbino , è trascorsa quasi un?ora.< Troppo- dicono gli inquirenti ? per poter avere qualche indicazione utile>.
Genova si è scossa dal torpore pigro di queste giornate grigie e piene di pioggia, ma non più di ammazzarono il giudice Coco, l?8 giugno del 1976 o Antonio Esposito, il 21 giugno scorso ( capo dell?antiterrorismo genovese, 36 anni e padre di tre figli). Solo nelle fabbriche , grandi e piccole la rabbia è grande, ma lo sdegnosi chi parla dell?assassinio si confonde con un rassegnato senso di impotenza nei confronti del terrorismo determinato anche dalla esiguità dei risultati raggiunti di chi indaga e sta indagando sui precedenti attentati.
C?è da chiedersi se quel giorno, in tribunale, Guido non fosse rimasto solo a testimoniare, se altri compagni del sindacato, tutti insieme avessero confermato le accuse di Guido, se??.
"Il mio Guido Rossa, nemico delle BR"
C'è anche Guido Rossa nel Centenario della Cgil. L'operaio genovese trucidato dalle Brigate Rosse ventisei anni fa tornerà a vivere in un film. "Guido che sfidò le Brigate Rosse": questo il titolo. Lo firma Giuseppe Ferrara (le riprese, a Genova, sono finite da pochi giorni), che ha diretto Massimo Ghini (nel ruolo di Rossa), Anna Galiena (la moglie dell'operaio), Gianmarco Tognazzi (il brigatista Riccardo Dura) ed Elvira Giannini (altra brigatista). Il film uscirà nella primavera del 2006.
Sul set genovese, nei luoghi che testimoniarono la vita di Rossa fino al suo assassinio, all'alba del 24 gennaio del 1979, per mano di quelle Br che non aveva esitato a denunciare, la lettura che Ferrara dà di quella vicenda. E una cosa è apparsa subito chiara: con questo regista, che ha alle spalle più di quarant'anni di cinema civile (dai documentari dei '60 e '70 sul lavoro nelle miniere e la sicurezza e salute fino alle pellicole più recenti sul caso Moro, Falcone e l'ultimo I banchieri di Dio), è impossibile separare la finzione dalla realtà, la visione politica da quella del cineasta.
"Quando faccio un film - ci spiega infatti Ferrara - credo di avere una specie di impegno didattico. Voglio far capire questo paese. Naturalmente l?intento è di migliorarlo. Mi rendo conto che è molto presuntuoso quello che sto dicendo, e non è detto che ci riesca. Però il cinema ha questi poteri, e credo che il tentativo si possa e si debba fare".
Perché ha scelto questa storia?
Ferrara L'anno scorso, in occasione del 25mo anniversario della morte di Rossa, ho letto un bell?articolo di Cipriani, se non sbaglio, e ho pensato: questo è un film straordinario! Di una grande attualità politica in un paese ancora pieno delle ceneri e del calore di quegli anni di eversione.
Chi era, secondo lei, Guido Rossa?
Ferrara Un uomo di grande lungimiranza. Non a caso è stato così tenace e attaccato alla sua scelta di combattere con tanta determinazione le BR, fino a rimetterci la vita. Rossa capiva di avere ragione. Ed era un uomo normale, che voleva lavorare, che desiderava che la democrazia si affermasse e che la classe operaia andasse al potere per vie democratiche, "allendiane".
Rossa come Salvador Allende?
Ferrara In fondo avevano gli stessi principi. Il presidente del Cile pagò con la vita per aver voluto delle riforme che dessero potere agli umili e agli oppressi. Rossa subì la violenza delle BR a causa della sua scelta di campo democratica. Forse il cinema si accorge di lui tardivamente...
Il film racconta in parallelo le vicende di Rossa e del suo assassino, il brigatista Dura. Non corre il rischio di metterli sullo stesso piano?
Ferrara C'è un'obiezione che mi ha fatto Costa, un rapito delle Brigate Rosse, nipote del grande armatore. Costa mi ha detto: "Ferrara, lei farà un film in cui le BR avranno un'epica". Questo effettivamente è il rischio. Ma io non voglio fare nessuna epica. Nel film l'alternanza, addirittura pignola, tra le sequenze su Rossa e quelle su Dura, dovrebbe dare allo spettatore l'occasione di un continuo riflettere sul bene e il male, su quanti agiscono in modo corretto e su quelli che invece distruggono in modo perverso il vivere civile. Naturalmente senz'alcun moralismo.
Massimo Ghini: vi racconto io Guido Rossa
C?era una volta un operaio coraggioso che si chiamava Guido Rossa convinto che il terrorismo fosse nemico dichiarato del Movimento Operaio e che per questo dovesse essere combattuto. Le br lo sdraiarono un giorno, a Genova, in un lago di sangue, il suo, morto. A monito perenne per tutti quelli che invece accettavano di vivere nella paura; come avrebbe fatto la mafia. Allora si capì che forse anche i boss di Cosa Nostra erano "compagni che sbagliano". Rossa pagò con la vita per essersi rifiutato di cadere in quel trabocchetto, e continua a pagare in qualche angolo di coscienza. Genova gli ha dedicato una statua, i genovesi ne alimentano una memoria dolorosamente viva, proprio in questi giorni il regista Giuseppe Ferrara sta per iniziare le riprese di un film centrato sulla sua figura. Vestirà i suoi panni Massimo Ghini, uno dei migliori interpreti italiani e, prima ancora, un partigiano delle idee e del coraggio di Guido Rossa.
Ciònonstante, o forse proprio per questo, un ruolo difficile. Si tratta di disegnare un carattere sul quale troppi e con troppa fretta hanno messo una lapide. Non è così, Massimo?
Quel che è certo è che Guido Rossa, dopo la scelta di denunciare l?infiltrazione dei terroristi in fabbrica, è stato abbandonato. Politici e giornalisti: quasi un coro che tendeva a mescolare imbarazzo e voglia di relegare la sua figura in uno spazio distrattamente vicino alla meschineria. Mi son letto i giornali dell?epoca del processo contro i br che vide Rossa protagonista dell?accusa. Un gelo, nei suoi confronti, davvero molto interessante. Sono contento di quel che sto facendo: venire qui a Genova, contattare Sabina, la figlia, incrociare i vecchi compagni di fabbrica è una grande esperienza. Politica prima che professionale, umana prima che politica. Quel che ho scoperto su Guido Rossa, del quale avevo pure condiviso le scelte fin dall?inizio, vorrei diventasse patrimonio comune per tutti gli italiani. Questa storia è, credimi, una gran bella, anche se feroce, verità.
Affondi le mani in un angolo grigio del nostro passato. Una parte, anche se molto minoritaria, della sinistra non condivise le scelte dure di Rossa. Permisero che su di lui scivolasse l?ombra velenosa della delazione. I colpi di pistola fecero il resto...
Certo, ed è tutta gente che ora è in carriera, è gente potente, veri rivoluzionari da operetta. Invece, hanno ucciso un grand?uomo per pura viltà e a questo grande uomo dobbiamo l?onore delle armi per quella sua denuncia, per quel gesto di coraggio. Sai chi era Guido Rossa? Era un meraviglioso essere umano, amato dai compagni di fabbrica. E cos?era allora la fabbrica, cos?era la cultura della fabbrica, quel sentirsi stretti da una solidarietà fraterna, quella capacità di farsi carico dei problemi umani, oltre che sindacali di ciascuno. Mi accusano di avere un feeling da libro Cuore, ma cosa vuoi che ti dica, sono innamorato di quella cultura. Il film è anche un modo per riportare a galla un patrimonio di dignità morale che la sinistra rischia di dimenticare nel cassetto. E invece ne abbiamo tutti bisogno, la politica ne ha bisogno perché attiene all?identità della sinistra.
Torna a Rossa. Racconta di lui...
Era uno scalatore, adorava la montagna. Ma un giorno disse "La montagna è bellissima, ma la realtà è a valle". Così scese a valle, nelle fabbriche. Ma continuò a frequentare la roccia per aiutare chi era in difficoltà. Era specializzato nelle operazioni di soccorso in alta quota. Sabina Rossa mi ha dato un quaderno di appunti in cui il padre racconta di come, per esempio, un giorno scese in corda doppia da una parete portandosi un ferito sulle spalle. Te ne racconto un?altra. In fabbrica, c?era un ragazzo che aveva problemi di droga, un border line niente abile a difendere i suoi interessi. Tanto è vero che un giorno si trovò in mano un pacchetto di cambiali firmate da lui per un acquisto che più fasullo non poteva essere. Una truffa. La direzione della fabbrica voleva liberarsene, Guido Rossa e i compagni lo presero in carico: lui, Rossa, andò di persona dai ricattatori e intimò loro di consegnargli le ricevute altrimenti la cosa sarebbe finita in tribunale. Stava parlando non a degli agnellini, era gente cattiva. Vinse lui, quel magnifico testardo e salvò quel ragazzo.
Nostalgia di Movimento Operaio, del libro Cuore del Movimento Operaio, Massimo...
Altro che nostalgia, di? pure "voglia", passione. Sai cosa fecero i compagni della fabbrica dopo quel fatto? A due alla volta, accompagnarono il ragazzo fino a casa per un bel po? di tempo per evitare che finisse nelle mani di qualche spacciatore. Ed era gente che lavorava per ore attaccata a una macchina e che alla fine della giornata moriva dalla voglia di tornare a casa sua e invece stavano lì a fare le baby sitter. Che gran lezione di vita, che gran lezione politica...
Ne parli come se la storia di Guido Rossa potesse trasformarsi in un breviario per questa politica, quella di oggi.
Sarebbe sciocca presunzione, non corro questo rischio. Però...se mi aggrappo ai desideri, ecco mi piacerebbe che la sinistra fosse più consapevole di ciò che vale la sua storia. Bada bene: quando parlo di storia non mi riferisco solo alle ideologie e ai grandi movimenti di lotta ma ai comportamenti individuali, all?etica che in qualche modo quei comportamenti hanno contribuito a fondare.
Ancora un esempio, ora o mai più, sei su una strada ricca di senso...
Io spero di riuscire a trasmettere questi contenuti nel film che iniziamo a girare. Tu vuoi un altro esempio e io te lo do. Raccontato dai compagni di Guido. Si diffonde in fabbrica la notizia che le br hanno sparso sangue, altro sangue. Qualcuno sibila: hanno fatto bene. La fabbrica non è solo, lo so, la culla del solidarismo, c?è dell?altro. Guido Rossa lo sente e gli dice: senti, finito il lavoro noi due dobbiamo parlare, lascia che ti spieghi perché secondo me stai sbagliando. Alla fine della giornata di lavoro, Rossa incontra quell?operaio e gli parla. Cosa ne sia uscito non lo so. Certo è difficile resistere alla sua tenacia, alla lucidità delle sue convinzioni, allo spirito di fratellanza che esprime mentre si confronta e spiega...
Coraggio, ti sei sdraiato su una bella spiaggia morale. Può provocare irritazione, non a te ma in chi ti legge. "Vorrei", dici anche quando non lo dici. Vai fino in fondo...
Ho sofferto e soffro per il modo in cui abbiamo sepolto il nostro passato come se fosse cosa di cui vergognarsi. Mi brucia ancor di più se osservo che tutta la nostra politica assieme ai nostri destini ruota in questi giorni attorno ai capricci di Cicciobello. Non posso crederci. Lo so che Fassino si danna e ci mette tutto se stesso per sbrogliare la situazione. Ma so che siamo stretti tra un presidente del Consiglio di cui mi vergogno e le bizze di un uomo politico che si permette di buttare dalla finestra la mia dignità, il mio impegno affinché l?Italia sia governata con decenza e serietà. Mi pare che la sinistra oggi paghi un pegno troppo alto ma conseguenza diretta di quello sforzo modernizzatore che ha trattato il passato come scoria da eliminare. Nota bene: non sono un nostalgico e guai a tornare indietro ma va recuperato ciò che di buono siamo stati: comunisti, se lo siamo stati, soggetti morali e lo siamo stati. Avevamo paura che il nostro passato appannasse la nostra agognata modernità, avevamo paura di fare brutta figura e per questo abbiamo rinunciato a una parte grande di noi stessi. Si può fare politica in queste condizioni dimezzate?
Hai pronunciato una parola impronunciabile: comunista. Cosa c?è dentro?
La mia era, è una famiglia comunista. Mai sentita una sola battuta che facesse appello alla violenza, alla prevaricazione. Mai avvertito che ci fosse un progetto micidiale di occupazione del potere. Mai sentito niente che avesse a che fare con la morale di questi tempi: fotti il tuo simile se ce la vuoi fare, fregatene di tutto e di tutti e vai avanti per la tua strada. Nessuno mi ha mai detto: devi fare denaro senza scrupoli. La mia famiglia mi ha insegnato che il bene più prezioso è l?amore, che è bello condividere, che la solidarietà è un bene irrinunciabile, che bisogna saper accettare le crisi, i dubbi ma non sui principi della nostra esistenza, sulla sua ossatura morale. Ecco, tutto questo è comunista, una volta che l?hai offerto a un lavoro corale per rendere il mondo migliore, più libero e più gioioso. Non so perché ma non me ne vergogno, tu cosa dici?
Intervista di Toni Jop ? L?Unita? ? 20/06/2005
Sabina Rossa
"Io, faccia a faccia coi killer di mio padre"
Esce il libro inchiesta della figlia di Guido Rossa che ha incontrato gli uomini del commando
Le Brigate Rosse hanno ammazzato suo padre, Guido Rossa, operaio del Pci e sindacalista, all'Italsider di Genova, il 24 gennaio 1979. Lei, Sabina, per più di venticinque anni ha taciuto, ha tenuto per sé rabbia e dolore. Poi ha scelto di andare a parlare con i terroristi, per capire, per dare una risposta alla storia di una morte che, per le Br, è stata "un incidente". La scelta di Sabina è diventata un libro "Guido Rossa, mio padre", scritto con il giornalista Giovanni Fasanella.
È un'indagine, durata un anno e mezzo, che apre nuovi, impensabili, scenari, umani e politici. Per provare a capirli, bisogna tornare all'inizio, a quella mattina di gennaio. Sabina Rossa ha 16 anni, esce di casa alle 7 del mattino per andare a scuola. Passa vicino all'auto del padre, ma non vede, chiuso lì dentro, il corpo senza vita di quell'uomo che lei adorava. "Sì, ci capivamo con un'occhiata, io e papà" ricorda adesso, mentre tiene fra le mani fogli di appunti e il libro con la copertina rossa.
Il titolo "Guido Rossa, mio padre", l'ha scelto lei, precisa, mentre ti guarda con gli occhi scuri ereditati da lui. A scuola, Sabina intuisce che è successo qualcosa, ma non vuole capire. È sua madre a dirle "hanno ammazzato papà". Sabina si chiude in se stessa, domanda una cosa, una sola: "Chi è stato?" "Le Brigate Rosse".
Sabina, ai funerali, si ritrova davanti una folla di 250.000 persone che grida "Guido è vivo e lotta insieme a noi", e pensa: allora perché lo hanno lasciato solo? È la stessa domanda che la spingerà a cercare i terroristi. "Per Eleonora, la mia bambina di quattro anni. Adesso vede il nonno in fotografia, sa solo che gli hanno sparato", spiega e poi delinea il ritratto di un padre giovane - Guido Rossa aveva 44 anni quando lo ammazzarono - che adorava i bambini, un padre che è un educatore severo, di rigorosi principi.
A 8 anni Sabina conosce il significato della parola "consumismo", sa già che i giocattoli possono essere pochi. Sono princìpi che restano, commenta "e così io sono un po' seriosa, non un'estroversa, non una burlona, sto attenta prima di parlare".
Suo padre le manca ancora, moltissimo, ma, dice: "In fondo, fino a 16 anni l'ho avuto vicino, è in quell'età che si forma una persona". Lo afferma serena, Sabina Rossa, diventata senatrice dei Ds, dopo dodici anni da insegnante precaria e poi di ruolo. Un'altra decisione maturata a lungo. La rabbia in cui si era isolata, finisce con la scelta di andare a parlare con i brigatisti. "Anche papà, se l'avessero solo ferito, credo si sarebbe confrontato con loro, sarebbe uscito dal ruolo di vittima. Io sono andata al suo posto".
Dopo la sua indagine, Sabina Rossa è convinta di un fatto: "C'erano due livelli nelle Br", e il più alto e segreto, con molti collegamenti di diverso tipo, ha come persona di riferimento proprio Moretti. Che avrebbe ordinato a Dura di uccidere, all'insaputa degli altri. "Ma papà - dice Sabina - non era in guerra con nessuno, quella mattina è uscito di casa con il sacchetto della spazzatura in mano, era solo un operaio". La sua colpa era l'aver segnalato, tre mesi prima, Francesco Berardi, il postino Br dell'Italsider. Lo ha fatto solo "perché serviva una denuncia firmata", le hanno spiegato magistrati e carabinieri, e molti esitavano.
Nel faccia a faccia con i brigatisti, garantisce Sabina Rossa, non ha provato odio, agli incontri è sempre andata da sola, "è stata una prova importante, l'ho superata, ora sono molto più serena, più forte". Significa perdono? Sabina è laica, "ma se è vero che, quando una persona non odia più e riesce a avere una sorta di dialogo, questo equivale a un perdono, allora sì". Suo padre, faceva parte del nucleo del Pci che doveva sorvegliare che cosa accadeva in fabbrica: "Forse sapeva molte più cose di quanto immaginiamo, così l'hanno ammazzato". Lui, operaio, sindacalista, appassionato di montagna. Lui, Guido Rossa, suo padre.
di Wanda Valli
Le previsioni davano brutto tempo, ma noi siamo Guzzisti e per noi l'acqua non è un problema, purché non ci tocchi di berla...by G.C Mandello