da VECCHIO » ven giu 16, 2017 14:27 pm
1-Una storia di mio alpinismo e di uomini
Da tempo mi ritorna un ricordo un po' bello e un po' brutto, così tutto risulta “normale”, ma direi che ormai mi fa solo ridere.
Forse l'ho già raccontato tante volte, ma magari aggiungo qualcosa.
Una indagine nei ricordi del mio cervello, però fatta a mio modo.
Mio figlio dice che devo scrivere le mie storie per ricordarmi e per raccontare anche agli altri i pochi fatti che ho vissuto: se mi convinco, ne scriverò altre.
Provo a farvi leggere questa, se vedo che non protestate troppo e se ne avrò delle altre, allora ve le "sottoporrò". I se sono tanti, ma è inutile dirli tutti.
Avevo ventinove anni e ero già il più vecchio.
Una mattina eravamo in val Veny in ferie e provavamo dei sassi (per chi non lo sapesse ancora, i sassi non si mangiano, ma si salgono se si riesce).
Finalmente bel tempo! Ma non c'erano le previsioni come adesso: si guardava quasi solo se c'era il “pesce” sopra il Bianco, anche se il "Pesce" non c'era ancora.
I miei amici pensavano al diedro "Makk" e, guardando in su, proprio così per caso, ho proposto di andare a ripetere la 100, l'ultima della “bibbia”, perché sembrava essere poco bianca.
In quei luoghi ero andato per la prima volta a ventitrè anni e avevo salito con "Giampi" la 83, era stata una idea di "Carletto" il bresciano. Là avevo conosciuto il “Garda” e dormito da lui, mentre il giorno dopo, lungo la lunga discesa, avevo dormito nel grande zaino doppio che mi aveva venduto il “Gogna” e che ho ancora. Il freddo era proprio freddo.
Avevo ripetuto qualcosa di "straniero" e del Grande “Re dei Buffi”.
Di solito riuscivamo a salire qualcosa di interessante una volta su tre, perché partendo da casa avevamo di rado fortuna col "meteo" e le ferie erano sempre piovose, per loro definizione alpinistica, anche se le telefonate erano tante.
Non mi piaceva molto andare fin là: il tempo per “camminare” era quasi sempre molto più lungo di quello per scalare e di solito si spendevano più soldi che altrove, ma le ferie si facevano sempre là. Per alcuni anni sono anche stato ospite dalla mia morosa.
Marco e Norberto (i più forti) e Sergio ed io la mattina dopo, indossando solo le mutande per il caldo pazzesco, siam partiti con tanta lana, tante piume, giacche e soprapantaloni di cotonaccio, con enormi scarponi doppi caldissimi e pesantissimi, io di cuoio, loro di plastica, e cianfrusaglie a dir poco infinite, ma con un solo fornellino a meta e poca meta; che picche, che ramponi, che corde, che martelli, che chiodi, che moschettoni, che staffe....tutto pesava delle “tonnellate”, tranne il cibo che era quasi inesistente, ma tutto era calcolato fino al grammo, noi sapevamo poco della girata, potevamo solo ragionarci.
Adesso si può gioire più facilmente, se si è capaci, si può pensare quasi solo a scalare con leggerezza anche su questa Via in quota: si può dover soffrire la fatica molto di meno.
Per essere “leggeri” non avevamo documenti e avevamo solo le lire giuste per pagare il biglietto del mezzo di rientro..... meglio che non commenti questa scelta di logistica strategica.
Ora Lo si sale bene, ma non Lo si fa più come l'abbiamo salito noi e non è più La numero 100. È sempre impegnativo fare una ascensione così grandiosa, però qualcuno è molto più lento di noi e se la prende più comoda, forse perché è molto meno un “fissato” e sa come sarà il tempo meteo, o più semplicemente non Lo capisce.
“Garda”, quando siamo passati, mi ha fatto bere al suo rifugio un litro di the per farmi orinare bene e farmi scomparire il mal di montagna: mi ha fatto risorgere dalla prostrazione più profonda mai capitatami, ma non l'ho mai più rivisto e ringraziato.
Su in alto, alcune guide agguerrite, con clienti per l'Innominata, non ci hanno lasciato entrare nel bivacco, anche se non era tutto per loro, e abbiamo dormito sotto le stelle fra i sassi, io con “pestone e duvet” (1,85kg compresi i sacchetti per infilarli).
Troppo peso e da allora altre volte ho dormito solo con l'uno o con l'altro, mentre ora ho roba che, quasi, non pesa e mi sta in una tasca.
Attorno c'era molta neve e poca acqua: da allora ho ben chiaro nella mente che eravamo stati dei "geni" ad andare là quasi senza cibo, solo con un litro d'acqua a testa e nessun fornello decente.
Tornato a casa ho comperato un bluet e da poco tempo uso il jet! Ora per mangiare alla peggio porto roba knor svizzera liofilizzata, così bevo e mangio, ma un pezzo di grana e un salamino non mi mancano mai, e poi ho scoperto i taralli, ma qualcuno preferisce avere l'insalata di riso.
La mattina dopo, esclusa una piccola doppia, siamo andati all'attacco slegati per “strade” diverse su neve dura e abbiamo cominciato a scalare con un tempo proprio meraviglioso.
C'era “Uno” appeso nel vuoto, come nel film sul Torre, quasi sulla cima, ma poi è arrivato un enorme elicottero che l'ha portato via: una triste storia di morte con strascichi ancor più tristi.
La sera siamo arrivati alla fine delle rocce da salire, una doppietta e cammina cammina, con le frontali spente a causa di una enorme luna abbagliante (magari erano scariche, ma pesavano pure loro), siamo arrivati sulla cima bianca e tonda, che più su di lì, qui da noi, non si può.
Sulla via c'era stato un bel chiacchierare: siamo usciti in 6, ma fra una cosa e l'altra siamo arrivati in vetta in tempi diversi e ci siamo persi di vista, mentre altri 6 arrivati da sotto la “Bianca” hanno dormito alla "Locanda Bonatti”.
Sulla vetta c'era vento, Sergio e io eravamo soli e felici, anche se stanchi e proprio parecchio assetati, una bandierina spagnola sventolava come una forsennata e faceva un baccano incredibile.
La luna illuminava il mondo e noi potevamo osservare tutto!
Magari mi ricordo così perché di sicuro eravamo un po' più “fusi” del solito, non credo fosse per la quota, stavamo bene, penso sia stato per il viaggio troppo fantastico di quella giornata.
Poi siam scesi sonnecchiando, senza più nessuna fretta, il cielo era tutto sereno, seguivamo una bellissima, larga e comoda traccia luccicante: il tempo poteva fare tutto quello che voleva, anche fermarsi: noi vivevamo nel mondo della gioia.
Ci siamo infine slegati e sul fondo a una “capanna di lamiera” abbiamo dormito un po', fra mucchi di rifiuti. Una guida seduta vicina a noi semi sdraiati, mentre si metteva i ramponi, ci ha rimproverati dicendo che era l'ora in cui si cominciava a partire per andare in vetta e non era l'ora in cui si arrivava, né tantomeno quella per dormire, ed è uscita ramponando chi non si spostava.
Poi cammina e cammina, scendendo insieme ai nostri zainoni seguivamo le piacevoli tracce della via turistica francese, a metà mattina abbiamo incontrato gli svizzeri, gli ultimi due usciti il giorno prima sulla cima. Lungo la via li avevamo trovati bloccati, molto stanchi, incastrati nella strettoia in alto, Sergio li aveva scavalcati come un acrobata e io “stappati” dalla suddetta. Loro gentili, o forse pietosi, per ringraziarci ci hanno offerto da bere un litro di the al confortevole localino "Duomo del Gusto” (ora mi dicono puzzi parecchio, ma sia nuovo, bello capiente e tecnologico): seconda resurrezione, come dicevo non avevamo portato soldi per “poter scalare leggeri”.
Infine il pullman, dove un doganiere pieno d'ira ha multato il turista seduto davanti a noi perché era senza documenti e noi “pirlotti” felici pensavamo che ci avrebbe arrestato.
Ci eravamo nascosti dietro i nostri enormi zaini e quando lui ha visto noi, ma anche i biglietti, ha detto sorridendo in francese: “brutto tempo nevvero?” ed è passato oltre.
Altri tempi! Altra cultura!
Si guardava e si accettava anche senza conoscere bene, forse perché non si riusciva come oggi a camuffarsi sempre alla grande.
Ci siamo guardati in faccia ancor più felici e abbiamo capito che dovevamo lavarci bene, sbarbarci e rivestirci prima di tornare nel contesto civile.
La sera eravamo "belli" (si fa così per dire), abbronzati (meglio dire bruciati, solo l'anno scorso ho capito un'origine dei melanomi e delle cheratosi che i medici mi han trovato e tolto, spero), profumati e “eleganti”, siamo andati in piazzetta per mangiare una pizza in compagnia e festeggiare con una media, come sempre dopo una salita.
Adesso inizia il brutto del ricordo, così non ci si monta la testa e come dicevo tutto torna nella norma. Pensavo di non scriverlo, ma è un periodo che voglio smitizzare e “sfarloccare” tutto e tutti. Magari si può scoprire qualcosa, io ci rido da anni.
C'era il "principe" con tutti i suoi "feudatari", dicevano di essere i maestri della scuola di "Un Grande Emigrante", ma da quelle parti mi dicono che lo siano ancora oggi.
Lui mi conosceva e mi ha salutato per cognome, forse perché avevo ricevuto da due anni la tessera dell'acca, a quei tempi gratis e verde, mentre io proprio non lo conoscevo.
Forse non lo conoscevo perché per “avere” la “prestigiosa” tessera (parole loro) non avevo presentato conoscenze o simili, come già si faceva allora e come oggi ad est e ovest è quasi d'obbligo, ma semplicemente portai attività buona, nel senso di non taroccata o farlocca come sono le loro specialità feudatarie. Credo avessero deciso di darmela perché per cinque anni avevo scalato tanto, di solito da primo e un po' dovunque nelle Alpi, spesso su vie poco frequentate e con difficoltà a quei tempi elevate (per chi fosse interessato, in questi anni molti anzianotti sono stati tesserati, ormai siam tutti blu e paganti, senza aver scalato così tanto nemmeno in più di vent'anni e di solito lo hanno fatto sul facile, o bucando a mitraglia dappertutto), anche se avevo fatto poca roba speciale.
Dopo per qualche anno sono stato un po' meno brocco.
Il "principe" ci ha chiesto cosa ci facessimo da quelle parti, noi bergamaschi che eravamo abituati a montagne basse, piccole e senza neve, e subito aveva aggiunto con grande orgoglio le loro salite di quei giorni: "crestine diavoline" e "ronde a nord", con camminate eroiche e bivacchi estremi improvvisati: a noi sembrava di aver visto bel tempo dappertutto.
Tutti ci guardavano altezzosi, ma parlava solo il "principe", gli altri annuivano sorridendo, talvolta enfatizzando e ammiccando, ma sempre "ugolando con maniera".
Noi eravamo dei giovinastri ignoranti di come andasse il mondo dei famosi, eravamo un po' imbarazzati difronte a persone che parlavano così sicure di se stesse. Pensavamo dovessero essere famose sui loro libri e sulle loro riviste, dico loro perché noi leggevamo tanto e conoscevamo molte robe straniere (ancora oggi la roba su di loro è scritta sempre e rigorosamente solo da loro) e, dopo la gioia che ancora ci riempiva la testa, eravamo talmente giocondi che non capivamo, sentivamo solo che qualcosa non andava.
Non ne ho più parlato con Sergio, solo quella sera.
Lui sì che ha continuato a salire tante altre pareti bellissime e difficilissime, finché un giorno dopo tanti anni se ne è andato.
Ma hanno insistito talmente tanto, sembravano burlarsi di noi, che Sergio ha confessato, forse con una mosca sul naso: "ieri con Marco e Norberto abbiamo salito La 100".
E' calato un assurdo silenzio, tutti hanno smesso di ridere, i loro sguardi ci fuggivano e se ne sono andati come l'acqua sui sassi, senza dirci più nulla, forse perché nessuno di loro La conosceva, non lo so.
Ho rivisto il principe sempre con i suoi feudatari solo una volta, ma dopo tanti anni non credo abbia mai salito La 100: lui questa volta però non mi ha salutato.
Ormai il tempo è passato, ma ancora oggi di continuo vengono pubblicate le loro innumerevoli grandi imprese, di solito corte e in fondovalle.
E' un'esperienza che forse non ho mai compreso bene, però ora almeno preparo contento degli zaini leggerissimi, solo tecnologici e con tutto: porto sempre il fornelletto, ma con l'accendino e il gas: so che altrimenti la neve non si scioglie!
A proposito, secondo voi devo mettere questo racconto anche su "gulliver"?Non
....ALPINISTA......NO GUIDA....... questa mi scombussola
Scalare con gli esperti del cai... son sempre dei grossi guai...... questa mi piace