da Callaghan » mar giu 27, 2017 9:29 am
inserisco un commento non recente, ma che trovo per quel che mi riguarda estremamente condivisibile e molto efficace, nella sua semplicità.
Emilio Previtali, 17 maggio 2017
Oggi sulla Gazzetta c'è la rubrica di Reinhold Messner che devo dirlo, con quello che scrive mi offre sempre, nel bene o nel male, l'occasione riflettere su quello che è l'alpinismo oggi e sulla direzione che la sua narrazione sta prendendo. Leggere la sua rubrica e osservare i commenti o le reazioni (o meglio, i non-commenti e le non-reazioni degli alpinisti e degli addetti ai lavori) a me pare sempre un ottimo punto di osservazione sul mondo della montagna, che è uno dei miei universi di riferimento. Oggi nella rubrica di Messner, circa a metà, c'è scritto questo: "Ogni volta ho sottolineato il mio apprezzamento per Nives, perché la ritengo, proprio per lo stile, la più forte delle donne che hanno chiuso la corona delle 14 montagne più alte della Terra." Io questo non lo so, non so se Nives Meroi è la più forte o la meno forte tra le prime quattro alpiniste a salire su tutti i 14 ottomila della terra e francamente non sono interessato a stabilire una classifica. Per stabilire quale è il più forte atleta tra un parterre di concorrenti esistono casomai le gare e le competizioni e l'alpinismo, in questo senso, non è uno sport di competizione. Quindi non mi pare abbia senso tentare di mettere gli alpinisti in ordine di grandezza. E' anche quello che Messner aveva sempre sostenuto finora, mi pare. Comunque comprendo, sin qui, l'intenzione di Messner di esprimere apprezzamento per Nives Meroi che senz'altro per una lunga serie di altre ragioni, anche di forza tecnica, lo merita incondizionatamente. Nives Meroi, suo marito Romano e il loro alpinismo piacciono molto anche a me. Anzi: moltissimo. Poi l'articolo prosegue, sempre riferendosi a Nives e alla sua forza: "Più (forte) della coreana Oh-Eun-Sun, più della spagnola Edurne Pasaban e più dell'austriaca Gerlinde Kaltenbrunner." Faccio davvero fatica, in generale nella vita di tutti i giorni figuriamoci nell'alpinismo, a comprendere la necessità di esprimere apprezzamento per qualcuno per sottrazione. Che senso ha? Mi sembra un modo molto rudimentale per costruire dei valori di riferimento, ho il dubbio oltre che la speranza che Messner volesse dire un'altra cosa più complessa da spiegare. Ho l'impressione che certe volte (sarà per via della lingua italiana o del fatto che gli viene concesso troppo poco spazio, mi piacerebbe leggere delle sue considerazioni più articolate) alcune delle cose che dice, messe sulla carta, prendano un significato che non volevano avere. Secondo me quello di Nives Meroi è un traguardo bellissimo, non è questione di record, di collezione di cime o di forza fisica e quindi indirettamente di capacità alpinistica. E non è nemmeno per via di quella cosa bellissima che è la sua storia personale. E' perché stiamo entrando, dal punto di vista delle salite sui grandi giganti della terra, in una nuova era, il futuro è iniziato. Adesso. Mi sembra che il suo traguardo raggiunto insieme a Romano (sottolineo insieme) serva soprattutto a fare ordine e a mettere le cose in prospettiva: da una parte ci ritroviamo ora, consapevolmente, ad avere a che fare con le grandi performance sportive e con le sfide alla fisiologia e alla difficoltà tecnica, gli alpinisti hanno cominciato disinvoltamente a pensare all'alpinismo come a uno sport e ad allenarsi come si allenano gli atleti veri. Hanno cominciato a guardare alle grandi pareti e alle montagne con occhi nuovi, non dobbiamo avere paura di questa evoluzione. Certi alpinisti hanno cominciato ad applicare i metodi dell'allenamento sportivo alla esplorazione non tanto per andare più veloci, quanto per poter andare più lontano, più sicuri, su vie, versanti e pareti più difficili, Kilian Jornet ad esempio è già all'opera sul versante nord dell'Everest e ci aspettiamo di vederne delle belle; Ueli Steck si preparava a reinterpretare dei classici e a spingersi oltre in un nuovo modo, prima del suo incidente al Nuptse. E quello è un alpinismo diverso, che pensa al singolo e alle sue capacità di performance come elemento fondamentale e alla cordata come a una squadra sportiva. Dall'altra parte invece - e qui arrivo a Nives Meroi e a Romano Benet e a quello che fa in montagna la maggior parte di noi, umani - l'alpinismo può continuare a essere quello che era, con più chiarezza e consapevolezza, con più serenità, con più distacco. Un certo tipo di alpinismo può concedersi ora il lusso di rimanere quello che è sempre stato: tentativo e lotta; condivisione totale e incondizionata con il proprio compagno di cordata; accettazione dell'incognita, della precarietà e condivisione del rischio. Nives e Romano non sono soltanto la 14esima e 15esima persona della terra ad avere completato la collezione di ottomila senza ossigeno, sono molto di più: sono la prima cordata. Il fatto che siano una coppia anche nella vita è per noi che li osserviamo e stimiamo un elemento di distrazione. Nives e Romano sono un insieme non solo sentimentale, l'unità fondamentale dell'alpinismo è la cordata, per un po' probabilmente siamo andati in confusione e ce ne siamo dimenticati. Il rischio è quello che, confusi dall'idea che loro due sono una coppia anche nella vita e non soltanto in montagna, il messaggio più importate che ci offre il loro alpinismo finisca per diluirsi nella alla voglia di celebrare il traguardo raggiunto. Può succedere se confondiamo la coppia con la cordata e se ci preoccupiamo della forza del singolo (di Nives) più che della forza dei due messi insieme. E' iniziata una nuova era dell'alpinismo di qualità che da ora poi - almeno simbolicamente - viaggerà sempre su due binari separati e paralleli: quello dell'etica di salita, della ricerca e del fairplay spinta ai massimi livelli di difficoltà dai singoli e misurabile in base a parametri oggettivi, come si fa nello sport; e quello dell'alpinismo a cui siamo affezionati, più romantico e connesso con il vivere ogni istante del permanere in alta quota insieme, basando la propria unità sulla condivisione, sulla esperienza che si somma e sulla forza intrinseca della cordata, non sulla somma aritmetica della capacità dei singoli. Dire che Nives è più o meno forte delle altre sue colleghe che hanno salito tutti i 14 ottomila della Terra non significa soltanto fare un torto alle altre. Significa misurarla con un metro di misura sbagliato e in definitiva fare un torto anche a lei e alla sua idea di condividere con il suo compagno ogni eventualità: di riuscita, di fallimento, di successo o di abbandono dell'impresa. Capisco che a qualcuno sembrerà una questione di lana caprina ma per me questo è un aspetto molto interessante per comprendere la traiettoria dell'alpinismo moderno. Io la penso così. Secondo me anche Messner, solo che forse non aveva spazio sufficiente per spiegarsi bene. O forse invece la pensa proprio così come ha scritto, si è spiegato che meglio non poteva e allora in quel caso, io dico: e va beh. E brava Nives. E bravo Romano.
ogni uomo dovrebbe conoscere i propri limiti