l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Arrampicata e alpinismo su roccia in montagna

Messaggioda danielegr » mer set 14, 2011 19:29 pm

Pompeo ebbe due figli, come avevo già detto: Lucio e Lorenzo. Dal punto di vista prettamente alpinistico è più interessante Lorenzo (1932 -2002).
E' stato contagiato dall'Africa molto presto: fra il Dicembre 1956 e il Gennaio 1957, con Paolo Grunanger, Pietro Meciani, Lodovico Gaetani e Giorgio Gualco partecipò alla spedizione all'Hoggar (o Ahaggar). Ancora nel 1957 (oramai il mal d'Africa lo aveva contagiato) prese parte, con Romano Merendi e Giorgio Gualco alla spedizione al Ruwenzori, Kenia e Kilimangiaro. In quest'ultima fu girato un film-documentario, dal quale fu tratto un libro ?il trono di Ngai?. Ngai è un dio che nella religione di alcune popolazioni Keniote risiede sulla cima del monte Kenia. Questo però, è solo l'inizio: sono state esperienze che lo hanno aiutato a maturare come alpinista, al punto di essere chiamato da Guido Monzino nel 1959 per la spedizione al Kanjut Sar (la ventiseiesima cima della Terra alta 7760 msl). A questa spedizione parteciparono le guide di Cervinia Jean Bich, Marcello e Leonardo Carrel, Marcello Lombard, Piero Nava (fotografo), Camillo Pellissier, Pacifico e Pierino Pession, Lino Tamone e dal medico Paolo Cerretelli e, appunto, Lorenzo Marimonti, unico alpinista che non fosse una Guida della Valtournanche. Ho trovato una foto di Monzino e Lorenzo del 1959:

Immagine

ed una del Kanjut Sar.

Immagine

Da notare che la cordata che doveva conquistare la cima era formata da Jean Bich e Camillo Pellissier che il 19 Luglio partirono all'alba per l'assalto finale. A causa di un malore Bich dovette abbandonare e Pelissier continuò da solo, con mille difficoltà naturalmente, fino alla vetta.

Lorenzo fece parte anche di altre spedizioni con Monzino, ma di queste non ho trovato documentazione.
Le montagne non erano tutto nella vita di Lorenzo: c'era anche il Sahara, il suo primo amore, ma di quello parliamo un'altra volta.
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Messaggioda skwattrinated » mer set 14, 2011 20:38 pm

danielegr ha scritto:...popolazioni Keniote


Pensavo di essere rimasto solo io a dire "keniota" e non keniano. Ti prego, dimmi anche "paraguagio" e "uruguagio"... :wink:
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Messaggioda danielegr » ven set 23, 2011 15:04 pm

Ho avuto modo di contattare un vecchio amico: quel Lucio figlio di Pompeo e fratello di Lorenzo Marimonti dei quali ho già detto qualcosa. Mi ha inviato questa chicca e mi ha autorizzato a pubblicarla:

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E' sua madre: Rosalba Valsecchi, quella alla quale è stato dedicato il rifugio Rosalba in Grigna, rifugio donato al Cai da Davide Valsecchi.
Qui è ritratta sull'ormai perduto canalone della Vergine (Ghiacciaio del Ventina, sotto la punta Kennedy). Dall'abbigliamento direi che la foto è degli anni '30 (Rosalba era nata nel 1904), massimo primi degli anni '40.
Mi ha inviato anche un bellissimo racconto su una sua avventura del 1968, la posterò nei prossimi giorni.
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Messaggioda danielegr » ven set 23, 2011 15:16 pm

L'ho trovata solo adesso: questa è una foto del Canalone della Vergine come era nel 1938, quindi più o meno al tempo della foto della signora Rosalba.
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Messaggioda brookite » ven set 23, 2011 15:16 pm

Non siamo a quei livelli di fama e tempo ma... Bernina, 1952.
Scarponi chiodati, corda di canapa, piccozza in legno xxl !

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Messaggioda Danilo » mer set 28, 2011 21:40 pm

danielegr ha scritto:Ho avuto modo di contattare un vecchio amico: quel Lucio figlio di Pompeo e fratello di Lorenzo Marimonti dei quali ho già detto qualcosa. Mi ha inviato questa chicca e mi ha autorizzato a pubblicarla:

Immagine
E' sua madre: Rosalba Valsecchi, quella alla quale è stato dedicato il rifugio Rosalba in Grigna, rifugio donato al Cai da Davide Valsecchi.
Qui è ritratta sull'ormai perduto canalone della Vergine (Ghiacciaio del Ventina, sotto la punta Kennedy). Dall'abbigliamento direi che la foto è degli anni '30 (Rosalba era nata nel 1904), massimo primi degli anni '40.
Mi ha inviato anche un bellissimo racconto su una sua avventura del 1968, la posterò nei prossimi giorni.



Mannaggia al fotografo :evil:
Avremmo potuto ammirare meglio il sistema di assicurazione adottato dalla donzella...spalla virtuale,mezzo barcaiolo,sticht,gri-gri od altro...?

Pare che a fine estate del 1905 il D.Valsecchi,in cordata col Bortolo Sertori,abbia salito e battezzato una cima rocciosa poco distante col nome di Punta Rosalba(mt 2803) come omaggio alla figlia scalatrice.
Ostia,ma quante ne so stasera...
:smt033
il forum è morto
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Messaggioda danielegr » gio set 29, 2011 9:42 am

Peccato che il fotografo (pace alla sua memoria...) non abbia ripreso uno spazio maggiore, ma da quello che vedo e che ricordo la signora Rosalba faceva sicurezza come usavamo farla noi, una ventina di anni dopo: non conoscevamo né barcaioli né gri-gri né altro. La sicurezza su ghiaccio, o meglio, su neve dura, si faceva mediante una piccozza piantata possibilmente fino quasi alla becca e attorno al manico della quale si faceva girare la corda.
Certamente in caso di volo del primo di cordata, considerato che la frenata avveniva principalmente mediante le mani, si potevano avere delle dolorosissime abrasioni.
Per Brookite: bellissima la foto del 1952. Unica osservazione: non credo che gli scarponi fossero "chiodati". In quegli anni già si usavano le suole Vibram, create da Vitale Bramani intorno al 1937, e mi pare proprio che gli scarponi della ragazza che si vede nella foto fossero già attrezzati con quel tipo di suola. Le piccozze potevano essere lunghe anche 150 centimetri e il manico in legno così lungo poteva spezzarsi sotto una sollecitazione come quella di una discesa "a raspa" (credo di averne già parlato in occasione della salita sull'Adamello dal Pian di Neve)
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Messaggioda brookite » gio set 29, 2011 10:10 am

danielegr ha scritto:...
Per Brookite: bellissima la foto del 1952. Unica osservazione: non credo che gli scarponi fossero "chiodati". In quegli anni già si usavano le suole Vibram, create da Vitale Bramani intorno al 1937, e mi pare proprio che gli scarponi della ragazza che si vede nella foto fossero già attrezzati con quel tipo di suola. Le piccozze potevano essere lunghe anche 150 centimetri e il manico in legno così lungo poteva spezzarsi sotto una sollecitazione come quella di una discesa "a raspa" (credo di averne già parlato in occasione della salita sull'Adamello dal Pian di Neve)


ciao Daniele, questo lo so. Ma ti posso garantire che avevano i chiodi. Li ricordo ancora quando ero un bimbetto, impolverati in cantina assieme a una corda ormai sbriciolosa. Purtroppo durante un'alluvione abbiamo perso tutto ciò, compresa una scatola di fotografie. Questa che vedi è una delle poche sopravissute. Tieni conto che gli scarponi erano usati, e credo che risalissero a prima della guerra. Era stato un regalo di Muzio (picco Muzio, Cervino) per l'esordio in quota.
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Messaggioda danielegr » gio set 29, 2011 11:31 am

Peccato che siano andati persi quegli scarponi e la scatola delle foto. Sarebbero ricordi carissimi oggi e anche un modo di fare storia.
Nel post precedente avevo dimenticato di dire che quanto si infilava la picca nella neve dura per fare sicura era facile che la picca stessa entrasse solo per poco. Allora... via di martello!! La picca diventava come un chiodo e veniva conficcata fin quasi alla becca con qualche bella martellata data con vigore.
Avevo promesso che avrei parlato del Lorenzo Marimonti sahariano: non l'ho ancora fatto perché aspetto che mi pervenga un libro che ho ordinato da qualche giorno (LUCI E OMBRE DEL DESERTO dello stesso Lorenzo: è pressoché introvabile, ma mi hanno garantito che entro la prima metà di Ottobre mi arriverà)
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Messaggioda danielegr » ven set 30, 2011 13:57 pm

Ed ecco il racconto che mi ha inviato Lucio: è stato in quell'occasione che ha incontrato per la prima volta Gogna.

L?ULTIMO DELL? ANNO.


Ricordo ancora i grossi fiocchi di neve e i rumori ovattati della città in quella notte di oltre 25 anni fa.
Fino a Natale era stato molto bello e caldo, poi una perturbazione e il piacere di veder nevicare; bello per quella gioia infantile che ci prende quando nevica, ma brutto per chi è in parete attaccato ad un chiodo.
Non era ancora una moda, ma ormai risolte le più impegnative vie delle Alpi, non restava che ripeterle con una difficoltà addizionale e cioè d?inverno. Non sapevo se ricerca sublime o masochistica deformazione dell?alpinismo estremo.
In tutti i casi nei miei pensieri, mentre rincasavo guidando lentamente e osservando i fiocchi di neve illuminati dai fari e ora anche spazzati via dal vento, c?era attaccato a quel chiodo il mio vero grande amico, Leo, al quale per di più avevo io stesso insegnato ad arrampicare e la passione per la montagna.
Assiduo giocatore di biliardo, o meglio di boccette, lo avevo una domenica trascinato da quel tavolo verde e da quel bar della vecchia Milano di via Solferino, sulle mie amate e famigliari guglie della Grigna.
Faceva subito tutto bene, con generosità ed innate capacità, con quella sua caratteristica sicurezza che mi ha fatto al ritorno, scendere anche se per la facile cresta Segantini, senza neppure pensare di legarci in cordata.
Ora dormire in un letto morbido di un sovra riscaldato appartamento di Milano è difficile, quando con i tuoi pensieri sei nella gelida notte stellata dell?alta montagna invernale.
Continuavo a pensare sempre le stesse cose; un giorno per arrivare al rifugio, un giorno di ricognizione e per iniziare ad attrezzare la via, due giorni per venire fuori dalla parete (la parte più impegnativa), un altro giorno per la cresta, molto più facile perché non più così verticale, ma ora con tutta quella neve un?incognita, e un altro giorno per ritornare; grosso modo una settimana per tirare fuori quella benedetta Via delle Guide!
Ma erano passati otto giorni senza alcuna notizia e le mie notti sempre più tese, con quella paura che ti penetra in continuazione quasi volesse polverizzare ogni tua capacità di decisione.
Le solite feste e i soliti bastardi programmi preconfezionati, nessuno che mi potesse accompagnare; quando nel mio inutile agitarmi decido: Domani, anche da solo sarei partito.
Prese le decisioni, poi tutto diventa più facile; al mattino convinco un mio allievo della Righini, scuola di sci alpinismo, ad accompagnarmi; non è alpinista ma è forte e sa di montagna quanto basta.
Non ho mai amato stare a lungo al telefono, ma ricordo ancora il vecchio telefono nero a parete, di casa mia, che ogni tanto si prende anche qualche pugno mentre espongo la situazione; il mio amico è innamorato, se viene con me chissà dove passerà l?ultimo dell?anno; non certo con la sua Bella stretta tra le braccia, e i brindisi, e la musica e i fuochi d?artificio; alla fine dice di sì e partiamo.
In auto si arriva ad una nota ed elegante località sciistica, Madonna di Campiglio, belle donne in pelliccia e odore di lusso, e da qui si prosegue a piedi.
Bruno De Tassis, capo delle guide, che aveva lui stesso con altre guide, aperto questa via, mi dà una ricetrasmittente e gli orari per i collegamenti.
Anche lui è preoccupato.
Nel frattempo si erano aggiunti altri due alpinisti, anche loro per tentare questa prima invernale, insomma stava diventando una corsa, come una corsa alla ricerca dell?oro.
Dopo la neve, il bel tempo; notti gelide e stellate e di giorno sole caldo e cielo blu.
Saliamo con fatica, i sacchi sono pesanti e con gli sci bisogna aprire la pista. Il cambio è regolare, procediamo in silenzio con i nostri pensieri, vogliamo arrivare prima che faccia buio.
Ad un tratto, improvvisamente, in quel silenzio e solitudine che è la montagna d?inverno appena fuori dalla massa degli sciatori di pista, appare un ragazzo; i pantaloni stracciati, gli occhi stralunati, senza giacca a vento e bianco di neve per le continue cadute.
Scende con fatica, anche perché ai piedi ha le racchette da neve che nella mia immaginazione pensavo le usassero solamente i cacciatori polari in cerca degli orsi bianchi.
E? un boy-scout, e appena si calma ci racconta che i suoi compagni sono al Rifugio con gravi congelamenti e che non sono più in grado di muoversi.
Arrivati stanchi e bagnati, non erano riusciti ad accendere il fuoco e il termometro quella notte era sceso ad oltre - 20C. Solo lui, al mattino, con uno sforzo di volontà aveva iniziato a scendere a valle.
Ora proseguire al paese dove stanno le belle donne in pelliccia non ci sono pericoli, che continuasse pure la discesa per chiedere soccorso alle guide, da parte nostra avremmo continuato a salire per poi chiedere soccorso via radio all?ora piena del collegamento.
Ci facciamo spiegare, infatti, non viene da quel rifugio dove noi stiamo andando, il Brentei, ma da un altro rifugio che si raggiunge stando in quota dall?arrivo della seggiovia e su un?altra testata della valle.
Ci separiamo, il boy-scout scende a valle e lo seguiamo a lungo con lo sguardo, i due alpinisti incontrati occasionalmente continuano per quella che era la nostra primitiva meta; con il mio amico, che pensa sempre alla sua Bella, procediamo il più velocemente possibile, verso il rifugio dove sono i boys-scout per capire che cosa era successo.
Arriviamo con il sole non più tanto alto, entriamo; sacchi per terra ancora chiusi e completo silenzio. Di sopra nella camerata, al buio, forse qualcuno.
Saliamo e aperte le finestre, entra la luce e tenui raggi di sole illuminano tre ragazzi stesi sulle brande che ci guardano apatici e senza parole; quasi contemporaneamente un rumore d?elicottero che sale ronzando dalla valle e che in pochi minuti è sopra di noi.
E? un bell?elicottero rosso con la scritta ? Trentino- Alto Adige?.
Benedette regioni!
Si ferma 50-100 metri sotto il Rifugio dove c?è uno spiazzo, ma deve stare attaccato al rotore perché la neve è troppo alta e soffice perché possa posarsi completamente.
Il primo carico brucia più di un?ora e all?elicottero tanto carburante perché deve sempre rimanere appeso alle pale.
Trascinare questi ragazzi nelle coperte che fanno da slitta, mentre affondi nella neve, ci vuole tempo; ora manca solamente l?ultimo, il più pesante che mi aveva subito colpito per le sue cosce fredde e dure come il marmo.
Siamo ansanti e sudati, ma con quest?ultimo carico solo a metà strada: il sole è tramontato e nell?aria c?è sentore della notte in arrivo.
Il pilota con gesti chiama il suo aiutante, che poi ci riferisce. Ancora pochi minuti d?autonomia poi dovrà partire e potrà tornare solo il giorno dopo.
Il momento è critico, risalire è impossibile. Il mio amico è forte come un guerriero antico e con tutta la forza della disperazione si fa caricare in spalla questo ragazzotto ricco di grasso congelato. Ora avanza oscillando, mentre affonda nella neve, ma riesce a procedere, io non posso fare altro che incitarlo e aiutarlo a tenere l?equilibrio per non cadere.
Ultimo carico, si chiude il portello e mentre il sudore ci gela addosso seguiamo l?elicottero che scompare nella valle.
Il fuoco di un camino risveglia sentimenti di pace e di sicurezza anche al cittadino più incallito, forse perchè l?inconscio ha una memoria più profonda di quanto la superficialità della nostra vita ci porti a far credere. E? un ritorno all?infanzia della storia dell?uomo, e in un rifugio d?alta quota, in pieno inverno, con temperature polari, il calore e lo scoppiettio rassicurante del fuoco appena acceso, è vivere la nostra infanzia primordiale.
Questi ragazzi che per non aver saputo accendere un fuoco (con tanto di fiammiferi!) avevano corso il rischio di morire, avevano però portato una quantità abnorme di cibo: Vini pregiati, panettoni, salmone, lenticchie e altro ancora.
A questo punto si decide; sarà una vera cena da ultimo dell?anno, con tovaglia, candele, bicchieri per i diversi vini, e un ottimo risotto propiziatorio di buoni propositi per l?anno che ci viene incontro.

Stanchi delle fatiche della giornata, mangiato con piacere, brindiamo davanti al camino e godiamo attimi di profonda felicità.
Dico al mio amico che il racconto che farà alla sua Bella li ripagherà in larga misura del non essere stati insieme quest?ultimo dell?anno, giorno al quale vogliamo sempre dare tanta importanza.
Dal canto mio, sempre solitario, aspetterò l?età dei ricordi per rivivere questi momenti felici, raccontandoli.
Verrò poi a sapere che i boys-scout dopo un periodo d?ospedale sono tornati a casa loro mentre i miei amici, Leo e Alessandro, dopo vari tentativi, per il freddo troppo intenso avevano rinunciato all?impresa.

Note
La Via delle Guide sarebbe stata aperta l?anno dopo (marzo 1969) dai fratelli Rusconi, con Daniele Chiappa e Gianluigi Lanfranchi, mentre i miei amici, protagonisti di questa storia, Leo Cerruti e Alessandro Gogna, erano impegnati nell?aprire la Via dei Ragni al Gran Capucin.


Lucio sa certamente scrivere meglio di me, e del resto lo ha dimostrato con diverse pubblicazioni, ma inoltre ha saputo ben sottolineare come in montagna il cameratismo, la necessità di portare aiuto a chi si trova in difficoltà sia fortemente prioritario rispetto anche a una via che si è sognata a lungo.
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Messaggioda danielegr » mar ott 04, 2011 10:20 am

Casualmente trovata sul Web, nel sito di Modisca ( http://www.simpleinformatica.it/dati_mirko/modisca/index.php) questa foto:

Immagine

E' passato più di un secolo, il rifugio SEM, che ho molto frequentato, era cambiato. Era una bella struttura in muratura, gestita dall'Accademico Romano Merendi e dalla moglie Fortunata Dell'Acqua. Mi dicono che adesso il rifugio è chiuso: peccato.
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Messaggioda danielegr » mar ott 04, 2011 10:45 am

Sempre sullo stesso sito di MODISCA ho trovato quest'altra foto interessante:

Immagine
Ritrae Ercole Esposito (Ruchin) e Emilio Galli. In particolare vorrei far notare che Galli ha un cinturone in cuoio, antesignano delle moderne imbragature, confezionatogli appositamente dal suocero, di mestiere sellaio.
La foto non ha una datazione precisa: viene individuato un periodo fra il 1940 e 1945 (Ruchin è morto nel 1945).
Anche noi alla fine degli anni '50 pensavamo di farci dei cinturoni simili, ma la cosa rimase solo allo stadio di progetto. Io avevo contattato il nostro "enfant prodige" Giorgio Bianchi, morto poi nel gruppo del Bianco, che aveva un parente cuoiaio, per farmene fare uno, ma poi non ne feci nulla.
Ultima modifica di danielegr il lun ott 10, 2011 19:50 pm, modificato 1 volta in totale.
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Messaggioda KIKKA-MO » lun ott 10, 2011 19:37 pm

ho letto tutto! sono bellissime le tue storie Daniele! :D :D
racconta ancora! :D :D
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Messaggioda danielegr » mar ott 11, 2011 18:37 pm

In attesa che mi pervenga (e che abbia il tempo di leggerlo) il libro di Lorenzo Marimonti del quale parlavo prima, vorrei ricordare una cosetta, alquanto banale al giorno d'oggi, un po' meno banale se ci riferisce al periodo nel quale è stata fatta (1958 o giù di lì). Quale? La salita della normale dell'Angelina, in Grigna. E' una salita che tutti gli alpinisti lombardi hanno fatto, che non è difficile, se ricordo bene intorno al terzo grado. E' praticamente una salita obbligatoria per tutti gli alpinisti alle prime armi.
E allora, perché parlarne se è una cosa così banale? Innanzi tutto perché in montagna non c'è mai una salita ?banale?, qualsiasi percorso, anche un semplice e facile sentiero può essere fonte di incidenti anche gravi: basti pensare a quanti cercatori di funghi muoiono ogni anno.
Soprattutto però quella salita l'avevamo ?immortalata?. Eravamo due cordate (non ricordo chi c'era oltre a me, probabilmente Pino T. forse Alberto d C. e l'altro proprio non mi viene in mente). Avevamo (udite udite!) una cinepresa nel formato 8 millimetri, simile a questa, che però è un po' più recente:

Immagine)

A quel tempo le cineprese non avevano quel simpaticissimo accessorio che è lo zoom, quindi alcune montavano tre obiettivi a lunghezza focale diversa su una torretta girevole. Bisognava girare la torretta fino a sentire uno scatto, operazione semplice, ma poi nel filmato si aveva un salto abbastanza antipatico nel passaggio da una focale all'altra.
Una cordata saliva e l'altra la riprendeva, poi arrivati al punto di sosta si ricaricava la molla che dava circa cinque minuti di ripresa, se necessario si cambiava la pellicola, ci si scambiavano i ruoli e così via fino alla vetta. Ovviamente i tempi di salita si dilatavano moltissimo, ma non era un grosso problema per noi che eravamo tutti presi da quella cosa stranissima (ricordo che stiamo parlando di oltre mezzo secolo fa e che di cose ne sono cambiate tantissime, soprattutto nella tecnologia) che stavamo facendo. L'intenzione era di fare una specie di filmino didattico, qualcosa che avrebbe potuto illustrare le tecniche di arrampicata e di sicurezza. Non credo però che sia mai stato usato per questo scopo, anche perché i cosiddetti ?cineasti? erano veramente scarsi... e le riprese ballavano tantissimo.
Poi naturalmente una sera ci siamo riuniti per rivedere quel filmino e la ricordo come una serata nella quale l'allegria la faceva da padrone e il vino scorreva a fiumi. Chissà dove è finita quella pellicola, che logicamente era stata tenuta dal padrone della cinepresa (forse il Pinazza?)
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Messaggioda danielegr » mer nov 02, 2011 12:27 pm

Vorrei tornare a parlare un po' di Lorenzo Marimonti, figlio di Pompeo e fratello di Lucio. Ho già accennato alla sua carriera alpinistica, culminata direi con la spedizione al Kanjut Sar, nella spedizione Monzino. Come avevo già accennato il ?Mal del Sahara? l'aveva contratto in occasione della prima spedizione che aveva fatto nell'Hoggar nel 1956, a ventiquattro anni. Era una spedizione organizzata dalla SUCAI (Sottosezione Universitaria del CAI). Due parole sulla sigla SUCAI che denota delle associazioni sorte nei primi anni del secolo scorso. Lo sviluppo della sigla dovrebbe essere ?Stazione? e non Sottosezione, in quanto gli studenti avrebbero dovuto ?stazionare? nelle SUCAI solo per il periodo degli studi, cosa che non sempre accadeva. Le varie SUCAI poi, intorno al 1930 vennero assorbite dai GUF (Gruppi Universitari Fascisti) mentre il CAI entrava a far parte del CONI. Dopo la guerra sia la SUCAI che il CAI ripresero la loro identità.
Tornando alla spedizione del 1956, alla quale parteciparono insieme a Lorenzo Marimonti anche Paolo Grunanger, Pietro Meciani, Lodovico Gaetani e Giorgio Gualco ho detto che è stato probabilmente lì che il Sahara si è inserito nella mente e nella vita di Lorenzo. La Domenica del Corriere nell'edizione del 3/2/1957 ha dedicato una copertina disegnata da Walter Molino all'evento.
Eccola:

Immagine

Lo stesso Lorenzo, però, nel suo libro ?Luci e Ombre del Deserto? fa risalire la sua ?malattia? a un periodo ancora precedente, addirittura al concepimento.
Infatti il padre, Pompeo, e la madre Rosalba Valsecchi si sposarono nel 1931 e fecero la luna di miele in Libia, facendo anche alcune escursioni nel Sahara, Lorenzo nacque nel 1932 e si fa presto a fare i conti. Un classico caso del ?partiti per il viaggio di nozze in due e tornati in tre?.
Dopo la spedizione nell'Hoggar Lorenzo partecipò anche alla spedizione al Ruwenzori, Kenia e Kilimangiaro, ancora insieme a Gualco e a Romano Merendi. Da quest'ultima venne tratto un libro e un film da parte di Giorgio Gualco. Giorgio oltre che alpinista e sciatore era un validissimo fotografo e cineasta nonché giornalista. Ha lasciato alla sua morte avvenuta nel 1997 il suo imponente archivio fotografico al CAI. Giorgio era una sciatore pressoché insuperabile su neve fresca. Di lui ricordo alcune gite scialpinistiche e, in particolare, quando tentò (inutilmente) di insegnarmi il telemark. L'intenzione era di fare una scialpinistica da qualche parte, ma il tempo non era favorevole e allora deviammo su una pressoché sconosciuta stazione sciistica della quale non ricordo il nome (forse Marno?). Lì Giorgio tentò inutilmente di insegnare il telemark a me, e utilmente al Pinazza.

Non so quando Lorenzo decise di cambiare vita e di incominciare la carriera di guida Sahariana, così a occhio direi verso la fine degli anni '60. Morì nel 2002, per una malattia che l'ha ucciso nel giro di un paio di mesi.
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Messaggioda danielegr » ven dic 02, 2011 10:16 am

L'altro ieri, 30 Novembre, abbiamo tenuto a Milano un incontro fra i vecchi istruttori, allievi e amici della Parravicini, in occasione del settantacinquesimo della sua fondazione. C'erano tanti vecchi amici, tanti che non conoscevo, sia più vecchi che più giovani di me, ed è stata una simpatica rimpatriata. Alcuni purtroppo non sono potuti venire per impegni di vario tipo ed è un peccato perché mi sarebbe piaciuto tanto poterli riabbracciare.
Il Pino T. per esempio, al quale avevo telefonato per invitarlo alla riunione, ha avuto un impegno improrogabile e quindi non è potuto venire. Però mi ha fatto una ENORME sorpresa! Avevo parlato pochi post fa di un filmino che avevamo fatto sull'Angelina e del quale non avevo più traccia. Pino l'aveva tenuto e non solo, ma era anche riuscito a riversarlo su un DVD e me ne ha fatto pervenire una copia tramite un altro ?parraviciniano?. Ho lavorato un po' per ridurne le dimensioni, togliendo per esempio l'audio (peccato, erano delle belle canzoni di montagna, ma se le avessi tenute la dimensione sarebbe stata superiore ai 500 MB, così sono riuscito a scendere a circa 80 MB). Ho dovuto anche trasformarlo da VBO a AVI, utilizzando un programma in prova, che ha lasciato delle tracce, ma non mi sembrano troppo invasive.
Cosa dire su questo filmatino: è stato girato nel 1959 sull'Angelina. Se qualcuno fosse interessato a vederlo può scaricarlo a questo link:
http://www.megaupload.com/?d=MC5K3FMO
Il filmino dura circa 11 minuti
Io sono quello senza cappello e con quei calzettoni con la riga e i cui piedoni appaiono all'inizio. Pino T. il ?produttore? del filmino è invece quello con un berretto bianco. Compaiono anche un paio di ragazze, tra l'altro piuttosto carine, che assolutamente non ricordavo: non ho la minima idea di chi fossero. L'altro maschietto della troupe, che se non ricordo male era quello che aveva girato la maggior parte delle riprese, era Franco F.
Evidentemente si trattava di una giornata bella e calda, visto che arrampicavamo col solo maglione .A un certo punto, intorno al minuto 7 e 19 sembra che io porti un distintivo, un po' in basso per la verità. Non è vero: non era un distintivo, ma proprio un buco nel maglione...
Sia io che Pino avevamo appesi alla corda in vita diversi chiodi e moschettoni: oggi non sembrerebbero giustificati su una salita piuttosto facile come la normale dell'Angelina in Grigna, ma allora era consuetudine portarsi dietro una dotazione di una mezza dozzina di chiodi e altrettanti moschettoni in ogni occasione, per eventuali imprevisti o situazioni di difficoltà. Non ho idea di come sia adesso, ma allora sulla normale dell'Angelina c'era un solo chiodo, nel primo tiro, e poteva darsi che qualcuno avesse dei problemi.
Il finale è una discesa a corda doppia, lungo la via Polvara.
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Messaggioda kala » ven dic 02, 2011 10:38 am

Stasera me lo guardo, ora non posso, son proprio curioso.
Grazie Daniele :D

Se stringi il pugno la tua mano è vuota: solo con la mano aperta puoi possedere tutto.
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Messaggioda danielegr » mar dic 06, 2011 14:58 pm

Se qualcuno preferisse vedersi il filmino senza doverlo scaricare, può provare qui

Ehm... il link esatto è questo
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Messaggioda Danilo » ven dic 23, 2011 1:38 am

danielegr ha scritto:Se qualcuno preferisse vedersi il filmino senza doverlo scaricare, può provare qui

Ehm... il link esatto è questo


=D> =D> =D>
Finalmente riesco a vederlo anche col mio pc
...certo che non è da tutti fare un filmino a quei tempi... eravate dei bei ganzi,soprattutto la tipa con gli occhiali...

Le primissime inquadrature del filmino riprendono il caminetto Pagani...dico giusto?
Con l'ombra non si capisce bene se anche nel primo tratto più verticale c'erano infissi dei corrimano o si doveva salirlo in "libera"....bello,bello

:smt026
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Messaggioda giudirel » ven dic 23, 2011 9:49 am

danielegr ha scritto:Non so quando Lorenzo decise di cambiare vita e di incominciare la carriera di guida Sahariana, così a occhio direi verso la fine degli anni '60. Morì nel 2002, per una malattia che l'ha ucciso nel giro di un paio di mesi.


Ho conosciuto Lorenzo. Era amico di una mia amica, o meglio di una mia mamma facente funzione, un po' più anziana di me e a quel tempo moglie di un famoso alpinista.
Ora anche lei è morta...
Di lui ricordo lo sguardo azzurro e la figura allampanata... e di come la corteggiasse scherzosamente... per pura cavalleria.
Ero un bocia e non capivo nulla ma mi sembrava una bella persona.

E che tristezza a pensare com'è diventato una merda il mondo in cui viviamo... a furia di esportare democrazia non si può andare più da nessuna parte... Libia, Algeria, Egitto, forse tra un po' il Marocco... finita la storia.
Ai loro tempi due ragazzotte come questa mia amica partivano con il pulmino da Milano e raggiungevano l'India attraversando anche l'Afghanistan... :roll: :roll: :roll: :roll:
Ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi è un dono e per questo si chiama presente.
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