l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Arrampicata e alpinismo su roccia in montagna

Messaggioda scheggia » lun gen 21, 2008 14:59 pm

danielegr ha scritto:Ammetto che in un primo momento non riuscivo a ricordare a cosa diavolo servissero, poi, finalmente il mio neurone ha ricominciato a funzionare.


fantastico sei anche spassoso!!!


:smt044



:wink:
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Messaggioda danielegr » gio gen 24, 2008 19:34 pm

Mi aveva incuriosito sentire parlare di "spit". Non li avevo mai visti e sono andare a cercare un'immagine su Google. Non sono poi molto diversi da quelli che chiamavamo "chiodi ad espansione" e dei quali favoleggiavamo nei miei anni verdi. Premetto che quello che scrivo è dovuto al ricordo di quello che vedevo e sentivo dire, perchè io personalmente non ho mai usato altro che i normali chiodi da fessura.
I tipi di chiodo dei quali parlavamo erano in sostanza tre:
- il primo era un chiodo di ferro dolce a sezione esagonale (o era ottagonale? non ricordo) che veniva inserito a forza di martello nel buco (rotondo e di diametro più o meno uguale alla sezione del chiodo). Il chiodo si deformava per adattarsi al buco e garantiva un'ottima tenuta.
- il secondo era simile al primo: però era rotondo e in cima aveva una specie di cuneo in acciaio più duro che, una volta che il chiodo era entrato nel foro avrebbe sforzato il chiodo (lo avrebbe fatto "espandere") garantendo anche qui una buona tenuta;
- il terzo tipo era un po' più strano (e anche più "artigianale"). Era formato da una piastrina, del tipo di quella degli spit, e da una volgarissima vite da metallo, di quelle che si usano nei bulloni del "tredici". La vite passava nella piastrina, veniva martellata dentro al foro e il suo filetto si schiacciava fornendo la pressione sufficiente a garantire una buona tenuta. Particolarità: dicevano che la vite si sarebbe potuta togliere girandola in senso antiorario e quindi si sarebbe potuto recuperare la piastrina.
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Messaggioda danielegr » sab gen 26, 2008 14:43 pm

Così, tanto per far qualcosa, mi è venuta voglia di raccontare una fra le mie ultime arrampicate: lo spigolo Nord del Badile (anno? direi 1961 probabilmente verso Luglio)
Un venerdì decidiamo di tentare: usciti in gran fretta dall'ufficio e indossati i panni da montagna nell'ufficio stesso, io e l'Angiolino, che era stato mio allievo alla Parravicini, partiamo con la moto dell'Angiolino. Tutto bene fin sul lago di Lecco, dove ci prende una gran pioggia. Che facciamo? beh, aspettiamo un po' vediamo il tempo che intenzioni ha. Hai visto? è durata solo un'oretta e possiamo ripartire:speriamo che domani non faccia scherzi. Vai Angelo, metti in moto che il Badile ci aspetta...
Però intanto un'ora se ne è già andata e la strada è ancora lunga: arriviamo a Bondo e da lì c'è ancora un pezzo di strada percorribile con la moto, poi però non è più possibile e intanto si è fatto buio. La capanna Sciora è lontana e per colpa dell'imprevista sosta causa pioggia non ce la faremmo ad arrivarci stasera. Non abbiamo portato pile, non conosciamo il percorso: andiamo avanti fin che si può fino ad un gruppo di ruderi, adibiti a ricovero bestiame e a fienili: ne troviamo uno che ha la porta che riusciamo ad aprire e ci mettiamo a dormire nel fieno.
Non avete idea di come si dorma bene nel fieno, ci si sta caldi, in mezzo ad una cosa morbida, profumata, naturale. Non era la prima volta che lo facevo, purtroppo però è stata l'ultima.
Al mattino, alle prime luci io incomincio a pensare nel dormiveglia: che ore saranno? forse sarebbe bene alzarsi e ripartire, però qui si sta così bene.. ancora un quarto d'ora di sonno.. Ma quel disgraziato dell'Angiolino è già lì in piedi, bardato di tutto punto, che scalpita per partire: in fondo ha ragione lui, forza Daniele, bando alla pigrizia e salta in piedi.
Con la luce non è difficile individuare il percorso fino alla Sciora: una breve sosta per mangiare qualcosa, tirare il fiato, poi si riparte.
Primo intoppo: attacchiamo lo spigolo troppo in basso, avremmo dovuto attraversare un nevaio e attaccarlo più facilmente più in alto, ma il nevaio era ghiacciato e non avevamo le piccozze, quindi facciamo di necessità virtù.
Secondo intoppo: il verglas, non tantissimo, però abbastanza da rompere le scatole...
Finalmente, quando il sole arriva a riscaldare la roccia i problemi svaniscono e andiamo su in perfetta allegria e tranquillità.
La salita non è particolarmente difficile, se la memoria non mi inganna direi intorno al terzo grado con diversi passaggi di quarto. E' chiaro che mi riferisco ai gradi dei miei tempi, non a quelli attuali che non conosco.
La sto facendo troppo lunga: il seguito domani o dopo. Saluti a tutti.
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Messaggioda danielegr » lun gen 28, 2008 15:05 pm

ed ecco il seguito del ricordo dello Spigolo Nord del Badile, sempre che interessi.

Seconda parte: l'arrampicata è bellissima, la roccia sana, d'altronde è granito, non ci sono chiodi ma non se ne sente la necessità. Arriviamo a una spalletta, circa a due terzi di salita o forse più. E' il caso di fermarsi un attimo a fare uno spuntino e a valutare che strada fare. Sopra di noi lo spigolo si alza verticale: cosa che in granito, di solito, indica difficoltà molto elevata. Scartiamo la salita diretta allora. Ma lì, verso sinistra c'è una cengia, sembra invitante e dovrebbe portare verso un canaletto che, a prima vista, sembrerebbe abbordabile. Tentiamo di lì allora: ma, porca l'oca... dopo mezzo tiro mi rendo conto che siamo ben lontani dal quarto grado che dovremmo trovare, qui le difficoltà sono parecchio superiori e lassù in alto quello che vedo non mi pare per niente invitante... Mi ricordo allora (ma non potevo pensarci prima?) quello che ci aveva detto un amico: ?non lasciatevi tentare dalla cengia sulla sinistra, vi porta sulla Nord-Est, tirate su diritto?. Scendo in libera il tratto che avevo già percorso e ritorno sulla spalletta e guardo un po' meglio lo spigolo verticale. Sì, c'è un paio di metri che sembrano duri, però un po' di appigli si vedono, poi sopra la pendenza si addolcisce... proviamo un po' a salire direttamente.
Beh... è tutto qui? Ma è facilissimo... pensa un po' in quali pasticci mi sarei andato a cacciare se avessi insistito a proseguire!!
Oramai è fatta, c'è ancora un po' da arrampicare (se non ricordo male la salita è di circa un migliaio di metri, tenendo conto del fatto che abbiamo dovuto attaccare più in basso del solito) ma lo spigolo Nord del Badile è sotto di noi: ecco la vetta!!
Breve sosta in vetta, poi la discesa. La normale del Badile non presenta problemi, si può scendere tranquillamente, in molti tratti procedendo di conserva. E poi la conosco, l'ho percorsa diverse volte. Le difficoltà sono intorno al secondo grado, con un paio di passaggini di terzo, niente di impressionante e il tempo tiene. L'unico problema è imboccare, verso la fine della discesa il percorso giusto: sembrerebbe logico proseguire diritti, invece bisogna girare a sinistra, però per fortuna hanno messo un ?ometto? e non si può sbagliare.
Quindi arriviamo alla Gianetti: un po' stanchi per la verità, un bel thè è proprio quello che ci vuole per tirarsi su, visto che domani dovremo tornare a Bondo per riprendere la moto. Ci faremo spiegare la strada dal Fiorelli, dovrebbe essere faticosa ma bella.
Sì, ma cosa succede? non riesco a tirare su la tazza del thè... Le mani sono ?sgarbellate? dalla lunga salita sul granito che le ha spellate, e il calore della tazza è insopportabile: l'unica è prendere la tazza con l'esterno delle mani, dalla parte del mignolo e facendo pressione con ambedue le mani portarla alla bocca, sperando di non farla cadere..
Al rifugio arrivano poco dopo due nostri amici: loro, certamente più bravi di noi, hanno fatto il Cengalo per il Ferro da Stiro, e anche loro hanno il problema di dover tornare a riprendere la macchina: faremo una comitiva unica. No! ma guarda che botta di c... ci sono anche altri amici che invece hanno lasciato la macchina a Bagni di Masino. Allora è semplice: ci facciamo portare a Morbegno, staremo un po' stretti in sei in macchina ma quello non è certo un problema; da lì la macchina con l'Angiolino e il proprietario dell'altra macchina proseguiranno per Bondo, recupereranno i mezzi e ci verranno a riprendere.
Qui mi dovreste permettere una parentesi triste. Al ritorno della macchina ci fu un battibecco fra un vigile e uno dei miei amici per una questione di parcheggio della macchina. Giuseppe de C., il mio amico, alzò un po' troppo la voce e al vigile girarono le scatole. Multa e minaccia di denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale.
La cosa non ebbe seguito, perchè la settimana dopo Giuseppe cadde nel gruppo del Bianco in seguito alla caduta di una cornice.

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Messaggioda kala » lun gen 28, 2008 16:27 pm

danielegr ha scritto:...


Avvincente!

Ma qualcosina di più Dolomitico? (sai, faccio fatica a seguirti su cime tanto lontane... :oops: )

:mrgreen:

Se stringi il pugno la tua mano è vuota: solo con la mano aperta puoi possedere tutto.
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Messaggioda danielegr » mer gen 30, 2008 12:42 pm

Visto che me l'avete chiesto, cercherò di dire qualcosa sulle mie salite in Dolomiti, anche lì c'è solo l'imbarazzo della scelta: mi ricordo di più la salita dello Spigolo del Velo, nel gruppo del Sass Maor (Pale di San Martino).
Eravamo io e Roberto, quello stesso della salita tra tuoni fulmini e saette al Pizzo Porcellizzo, era il mio compagno di cordata classico. Avevamo fatto base ad un rifugio appena al di la del Passo di Ball, il Rifugio Pradidali. Eravamo partiti con la Vespa da Milano e arrivati a San Martino di Castrozza, per evitare la salita con zaini ultra-pesanti (avevamo portato dietro le provviste per i previsti quindici giorni di ferie) prendemmo una seggiovia che ci portò al rifugio Rosetta in un vasto pianoro (non ricordo il nome), attraversato il quale ci si affacciava ad un passo e da lì ci si scendeva nella valle (credo si chiami la Val Cismon) a metà della quale c'era il Rifugio Pradidali.

Immagine

Per alcuni giorni non ci spostammo dalla zona, da arrampicare ce n'era fin che se ne voleva: le Pale di San Martino, il Pilastro, il Campanile Pradidali. Chissà perchè abbiamo snobbato la Cima Canali, abbiamo preferito altre mete. Una volta abbiamo incontrato al Rifugio la guida Quinto Scalet, che era in rapporti di amicizia con Roberto e che ci accompagnò sul Campanile.
[Mode lamentela ON]: siccome quelle salite le avevo fatte più o meno mezzo secolo fa è stato necessario rinfrescarsi la memoria, soprattutto per i nomi, utilizzando Google e simili. Ho quindi visto fotografie, letto relazioni di salite eccetera. Ma veramente è ridotta così adesso quella zona? percorsa da ferrate? Chiodata fino all'eccesso? E' meglio che non commenti... [Mode lamentela OFF]
[mode stupidaggine ON]
Ho parlato del passo di Ball: trae il nome dall'alpinista, botanico e naturalista irlandese John Ball (Dublino 1818;Londra 1889). Secondo una leggenda esplorava le nostre montagne insieme a Francis Fox Tuckett, alpinista (Frenchay, 1834 - 1913) : formavano la famosa cordata antiiettatoria... Tuckett i Ball... scusate la battuta scema...
[mode stupidaggine OFF]
Nella testa però avevamo soprattutto una salita che ci era stata raccomandata: lo Spigolo del Velo, che era classificata come un quarto grado continuo con alcuni tratti di quinto. Decidiamo di provarci, anche se non eravamo certissimi di farcela perché avevamo appena finito il corso di roccia alla Parravicini. Non c'erano, allora, rifugi nella zona della Cima della Madonna (ho visto su Google che in seguito venne costruito un bivacco, poi sostituito da un vero rifugio) e farla dal Pradidali era lunghetta...
Quindi attraversiamo il passo di Ball, scendiamo a San Martino e vediamo se c'è qualche malga o qualcosa di simile per abbreviare un po' l'approccio che, se non ricordo male, da San Martino è sull'ordine delle quattro ore di marcia.
Troviamo, dopo circa un'oretta, una malga e il malgaro ci permette di dormire nel fienile (a pagamento, beninteso, non sia mai che si faccia qualcosa gratis... però ci offre anche del latte appena munto che era una bontà). E' stata la prima volta che ho dormito nel fieno. Al mattino, partenza per lo spigolo: la marcia è lunga ma non particolarmente faticosa e finalmente si attacca.
Ultima modifica di danielegr il sab feb 02, 2008 16:12 pm, modificato 1 volta in totale.
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Messaggioda danielegr » ven feb 01, 2008 12:27 pm

Seconda parte: c'è davanti a noi una cordata di tedeschi: almeno ci indica la strada, speriamo solo che non scarichino sassi...
Non so come mai su un tratto facile perdiamo terreno rispetto ai tedeschi, però oramai si capisce dove si deve passare: c'è una parete non troppo ripida che finisce, si vede abbastanza bene, in un canaletto. O forse è il camino del quale ci avevano parlato? ci avevano detto che era il punto chiave della salita, insieme ad un'altra parete più in alto.
E' il camino (del quale però non ho più trovato traccia nelle relazioni che in questi giorni ho letto, strano): a guardarlo non sembra poi così cattivo, anzi, l'inizio è abbastanza invitante. Il camino lo devo ?tirare? io, e allora vai Daniele...
Uno dei vecchi che mi avevano insegnato ad arrampicare, mi pare fosse il Pompeo Marimonti, quello che aveva tracciato diverse vie in Grigna e in Masino intorno agli anni '20 diceva: sasso toccato, sasso giudicato, per farci capire che non si poteva, da lontano, valutare bene la difficoltà di una salita. E come aveva ragione... sembrava facile ma non lo era neanche un po'. Stretto, con una parete pressochè verticale e l'altra strapiombante, entrambe lisce, l'unico modo per salire era la contrapposizione, ma anche quella teneva poco.
Alla fine però ce l'avevo fatta, vieni su Roberto. Sarò stato stronzo, ma vedere che anche lui malgrado salisse da secondo facesse una fatica boia e lo facesse capire con colorite espressioni, aveva molto aumentato la mia autostima...
Si proseguiva poi per lo spigolo, non particolarmente difficile, roccia ottima, buona esposizione: una gran bella arrampicata. E arriviamo al secondo passaggio chiave: me lo ricordo un po' meno perchè chi ?tirava? era Roberto.
Ricordo che da una spalletta si attaccava una parete verticale, abbastanza liscia. Roberto ci prova un paio di volte e finalmente (espressioni colorite ancora...) riesce a passare. Tocca a me, non mi pare impossibile (da secondo è tutto più facile, chissà perché...) e in breve raggiungo il mio compagno.
Non vediamo più la cordata dei tedeschi, o siamo lenti noi o hanno il turbo loro.
Sopra quel passaggio (mi ricordo benissimo la frase) la guida diceva:«la pendenza e con essa le difficoltà diminuiscono». Roberto (altre espressioni colorite, ma credo che non si scandalizzi nessuno) disse ? Un caz.o!! la pendenza diminuisce ma le difficoltà aumentano...? Non era vero, dopo poco la salita si fa nettamente più facile e si arriva alla cima.
Oh, finalmente, ce l'abbiamo fatta!! Dieci minuti di riposo e poi bisogna pensare alla discesa. Non me la ricordo molto, mi pare che ci fosse una doppia, e poi delle roccette facili che portavano ad un canalone pietroso, ma non complicato, che ci riporta sul sentiero per tornare indietro. Arriviamo alla malga del giorno prima: Roberto vorrebbe (con poca convinzione, però) tirare diritto fino al rifugio Pradidali. Io proprio non me la sento: incomincio a essere stanco, e l'idea di scarpinarmi ancora due ore e mezzo/tre in salita non mi attira proprio. Decidiamo quindi di passare un'altra notte nel fienile.
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Messaggioda piobis » ven feb 01, 2008 17:44 pm

Che bello il racconto! E che bell'avventura! Ma esistono ancora i fienili oggi? E soprattutto la possibilità di dormirci? :?
la vita è ciò che succede mentre tu stai facendo altri piani
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Messaggioda scheggia » sab feb 02, 2008 9:44 am

ma che bello lo spigolo del Badile!!!

la battuta antiiella è stupenda!
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Messaggioda danielegr » sab feb 02, 2008 10:35 am

Avevo dimenticato di mettere la foto dello Spigolo del Velo
eccola:

Immagine

Il Sass Maor è quello sullo sfondo, mentre lo spigolo del Velo è in primo piano.
Però a me non è mai piaciuto come sono nominate quelle cime, sarebbe stato più logico, a mio parere, chiamare Cima della Madonna quella sullo sfondo, che nella sua forma richiama una donna di spalle con un velo, appunto, che copre testa e spalle, e Sass Maor quello in primo piano, che più richiama l'immagine di una grosso macigno. Preciso che la foto rende l'idea decisamente meno bene del reale: visto dal vivo da San Martino il Sass Maor sembra proprio una donna seduta.
Avevo anche dimenticato di dire che, se la memoria non mi inganna, lungo la salita non abbiamo trovato chiodi
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Messaggioda danielegr » lun feb 04, 2008 12:34 pm

Un'altra (breve però) storia dal Rifugio Pradidali. Volevamo salire il Pilastro della Pala di San Martino. Le difficoltà non erano eccessive, un quarto grado inframmezzato da un po' di terzo, quindi ampiamente alla nostra portata.
Arriviamo in breve all'attacco, tempo ottimo, la roccia sembra ottima e partiamo. Alè Roberto, comando alterno e via alla grande!! Superiamo abbastanza in fretta la prima parte: dalla foto non pare ma la parete assume presto una forma concava: sembra quasi un catinone verticale. Confermiamo che la roccia è buona e saliamo bene, però... però.. cosa diavolo sono quelle nubi nere che stanno arrivando a tutta velocità? Non mi piacciono per niente... strano: quando abbiamo attaccato c'era un cielo sereno che era uno spettacolo...
Comunque oramai siamo in ballo e dobbiamo ballare: oltre a tutto siamo a circa metà parete, forse un po' di più, e tornare indietro diventa più difficile che andare avanti. Quindi si continua a salire. Appena fatto qualche metro arriva (e te pareva...) una gran pioggia. La parete, concava, sembra fare apposta a convogliare su di noi tutta l'acqua che le arriva giù. Per un po' aspettiamo sperando che passi, però vediamo che non passa e che a stare fermi prendiamo lo stesso tutta l'acqua che prenderemmo in arrampicata, e quindi... avanti o miei prodi!!! tanto non smette. Meno male però che di fulmini ne arrivano pochi e non sembrano vicinissimi. Roberto parte per uno dei passaggi più difficili e io sto a fare sicura, incastrato in una specie di diedro che sembra diventato un fiume in piena. L'acqua mi entra dal collo e se alzo un braccio per manovrare la corda mi entra anche da lì, mi lava alla perfezione e alla fine esce dagli scarponi. Sono un po' preoccupato per la discesa che so essere facile ma di difficile orientamento. Con questo tempo sarà ancora più difficile capire da dove passare. Passo al comando io e supero uno spigolo... ma che succede... un vento così non l'avevo mai sentito, meno male che sta quasi smettendo di piovere: mancheranno un centinaio di metri o poco più alla vetta e non dovrebbero essere difficili. Roba da non crederci: per arrivare in vetta ci avremo messo poco più di mezz'ora, forse un'ora e ci arriviamo PERFETTAMENTE ASCIUTTI!!! Merito del vento che ora, arrivati in vetta, ci fa un altro favore: via tutte le nubi e un bel sole che ci restituisce il calore perso per via del vento!! Breve, brevissima sosta, non conosciamo la discesa ed è meglio non perdere tempo. Un po' con l'intuito, un po' con la descrizione della guida riusciamo a non sbagliare strada e chi vediamo? Il Quinto Scalet che si era preoccupato per noi visto il maltempo, ed era salito fino a metà circa della via di discesa per darci una mano se ne avessimo avuto bisogno, e per indicarci il percorso giusto. Dopo averci indirizzato sulla strada giusta e aver visto che riuscivamo a cavarcela, Quinto se ne torna al Rifugio. E anche noi, oramai asciutti e fuori dalle ?pettole? ce la pendiamo con più calma, facciamo un'altra breve sosta e rientriamo al rifugio.
Questa foto l'ho trovata su Internet, ma il tracciato non mi convince, mi pare che l'attacco fosse più in alto nel canaletto.
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Messaggioda danielegr » gio ago 13, 2009 11:59 am

Volevo riprendere un pochino questa vecchia discussione che avevo oramai abbandonato, perchè vedevo che la ?mia? Montagna era troppo diversa da
quella che viene vissuta oggi. Poi però mi è venuto il dubbio: è giusta la ?mia? Montagna, oppure quella di oggi, quella di Preuss, o quella di De Saussure? E sono giunto alla conclusione che sono tutte giuste: è lo scorrere del tempo che cambia l'angolo di visione, per cui a me piace un certo modo di concepire la montagna, ad altri piace un altro modo. Ma non posso ergermi a giudice e dire che è meglio questo o quello. Però dovete permettere ad un vecchio brontolone di pensare, e magari anche di dire, che quando vede una relazione sulla via Albertini ai Magnaghi in Grigna che parla di 6 rinvii, di fix cementati, di clessidre (cosa diavolo sono?) di friends, di dadi e simili, o di corde doppie per la discesa dal secondo Magnaghi gli viene il ?mal della pecòla? (i non milanesi chiedano ai locali cosa vuol dire).
Terminerei qui con la parte polemica, perchè, in effetti, l'intenzione era di parlare di quello che ai tempi di Matusalemme (cioè ai miei) era il nostro pranzo in montagna. L'ideale, e lo sapevamo bene, sarebbe stato mangiare con le gambe sotto a un tavolo in rifugio, ma c'erano alcuni problemi. Il primo era che all'ora di pranzo di solito si era ancora in parete, il secondo, altrettanto se non più importante era che in genere i custodi dei rifugi volevano essere pagati per il pranzo...
Quindi bisognava arrangiarsi, chiedere alla mammina di preparare qualcosa e portarsela dietro. Ognuno aveva le sue preferenze: bisognava cercare qualcosa che fosse stimolante per l'appetito, perchè in genere lo sforzo della salita può far passare la fame, che fosse di facile digestione, semplice da mangiare e via dicendo. Io andavo decisamente contro corrente: predicavo bene e razzolavo malissimo, dopo aver provato innumerevoli combinazioni, alla fine il mio menù fisso era diventato questo:
innanzitutto una bella porzione di savoiarda; proprio così: testina di vitello disossata, soppressata di testa, lingua, peperone rosso e giallo, cipolline e cetriolini sott'aceto, e, naturalmente, cipolla. Proprio un cibo leggero, di facile digestione e soprattutto comodo da portare e che non sporca (una volta mi si è aperta la scatolina della savoiarda e... non vi dico cosa era diventato il mio zaino);
Poi una cotoletta alla milanese in un panino. E da bere? Niente. Ci eravamo abituati a bere al mattino, prima di partire qualcosa di tiepido, un tè, per esempio, e non sentivamo la sete per tutta la giornata. Per favorire la salivazione durante la salita succhiavamo un nocciolo di prugna o qualcosa di simile. Poi alla sera, naturalmente, facevamo il pieno... Assolutamente bandito fino al rientro al piano qualsiasi tipo di alcol.
Credo che qualsiasi esperto di alimentazioni in montagna mi avrebbe pesantemente insultato a vedere cosa mi portavo dietro, però io così mi trovavo bene: il cibo era abbastanza stuzzicante da diventare appetibile anche in condizioni di fatica, a quell'età digerivo anche i sassi... insomma mi trovavo bene e non vedevo motivo di cambiare.
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Messaggioda danielegr » ven ago 14, 2009 12:14 pm

Ricordi di un tempo: il Rifugio Rosalba in Grigna. Girellando sul web mi sono imbattuto in questo. Era sul numero di Aprile del 2007 dello Scarpone, in occasione del centenario della Capanna Rosalba.

Dopo una delle prime ripetizioni della Cresta Segantini sulle Grigne mio
nonno Davide Valsecchi si stava confidando con la sua guida: ?Certo
che questo bel panorama sarebbe ancora più piacevole se osservato
standosene al caldo in un confortevole rifugio?. E subito si materializza
questa idea di un rifugio sul colle. Altri tempi. Oggi una casa prefabbricata
e trasportata con l?elicottero è uno standard. Agli inizi del secolo scorso ci
voleva per questi pensieri almeno una testa un poco strana. Così sul Corriere
della sera il nonno legge di queste case prefabbricate che vengono dalla
Norvegia. Subito ne ordina una che arriverà a Milano con il carro merci e sarà
montata in giardino per vedere che tutto vada bene. Poi, smontata, ancora sul
treno sino a Lecco, con il camion a Laorca, con i muli al Pian dei Resinelli e
con le spalle degli alpini al colle, meta finale.
Il Davide di idee strane ne ha sempre avute. Da ragazzino io ero sempre con
lui in interminabili gite per le nostre amate montagne per vivere quel sapore
e quell?allegria che solo nei rifugi si può trovare, per dormire nel fienile di un
alpeggio. E mai un pasto in un ristorante perché la giornata era troppo bella
per sciuparla seduti al chiuso.
Perché Capanna Rosalba? In genere i rifugi sono dedicati alla memoria di
cari amici, di solito morti in parete o sotto una valanga, cosa molto bella per
ricordarli, ma anche triste. E allora quale soluzione migliore, una vera spinta
verso la vita, che non dedicare il rifugio alla primogenita appena nata? Ed
ecco la Capanna Rosalba. E la piccola Rosalba sarà presente alla inaugurazione,
in una gerla naturalmente.
Erano tempi in cui non si andava di corsa, si aveva tempo per vivere, per
curare e gustare il sapore dei particolari: il rifugio, la località, il nome, le
coperte e un completo servizio di piatti di ceramica con tanto di scritta
?Capanna Rosalba?. Tutti sono andati persi o rotti, come è destino dei piatti
di ceramica. Tutti meno uno, ora appeso in cucina di casa mia insieme con
la chiave del vecchio rifugio.
Cento anni passano veloci, e anche il giorno del centenario arriva subito. Ed
ecco la bella domenica con la Rosalba piena di gente e di amici. Mi piace
sentire don Marco Brusca che dice messa con parole semplici, gli amici del
CAI di Dongo che si sono presi la briga di venire sin qui con tutto il loro coro,
con la bella presidentessa, la signora Lauretta Porta, e il maestro e direttore
Giacinto Stella che non è più un bambino e puntuale da il ?la?, mentre il capanatt
Mauro Cariboni controlla che tutto vada bene.
Lucio Marimonti.


C'è poco da aggiungere: Davide Valsecchi lo conobbi intorno al 1956/7: a sua moglie Cecilia venne dedicato il Sentiero Cecilia. Lo chiamavamo ?il vecchio Valsecchi?, avrà avuto fra gli 80 e i 90 anni però, sia pure con l'aiuto del bastone e di qualche parente, riusciva ancora ad arrivare alla Capanna Rosalba. Sua figlia, Rosalba, quella alla quale era stata dedicata la capanna sposò Pompeo Marimonti.
Questo era un tipo simpaticissimo, stravagante, un po' sbruffone (nel senso buono, però) e sempre pieno di battute. A volte si divertiva a storpiare il suo nome presentandosi come ?Pompamonti Marameo?. Negli anni tra il 1915 e il 1940 aveva aperto numerose vie sia in Grigna (lo spigolo Marimonti sul Torrione Cecilia) sia in Masino (la Cresta Marimonti sulla punta Sertori), sulla Torre di Brenta, nelle Pale di San Martino eccetera. Uno dei suoi figli è quel Lucio Marimonti che ha scritto l'articolo sopra riportato. Non so bene perchè lo chiamavamo ?Pallino?: al contrario era un bellissimo ragazzo longilineo, del quale erano innamorate tutte le ragazze del Corso Sci. Tra l'altro sciava come un padreterno, suscitando enorme invidia in noi comuni mortali (anche per via delle ragazze che gli cadevano ai piedi). L'altro figlio di Pompeo, di nome Lorenzo, ottimo sciatore anche lui, ma un gradino sotto al fratello, aveva partecipato alle diverse spedizioni di Guido Monzino, se ricordo bene in qualità di organizzatore. Nella seconda metà degli anni '50 partecipò, insieme a Romano Merendi e a Giorgio Gualco a una spedizione in Africa, al Kenia, Ruwenzori e Kilimangiaro: da quella spedizione venne tratto il libro e il film di Giorgio Gualco ?Il trono di Ngai? (non sono certo di averlo scritto giusto). Lì Lorenzo contrasse una malattia incurabile, il ?mal d'Africa? nella pericolosa variante del ?mal del Sahara?, che lo condussero a diventare probabilmente l'italiano più esperto del Sahara, nel quale svolgeva l'attività di guida professionista.
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Messaggioda danielegr » ven ago 14, 2009 12:58 pm

avevo dimenticato la fotografia della vecchia Capanna Rosalba:
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Messaggioda maurizio56 » ven ago 14, 2009 13:19 pm

Grazie Daniele, ora anch'io devo obbligatoramente congratularmi con Te perchè trovo i racconti oltre che interessanti, anche moltro pieni di sana storia dell' alpinismo, quella sana storia che non può far che bene non soltanto a noi alpinisti attempati ma anche alle nuove generazioni di rocciatori e amanti della montagna tutta, grazie ancora e continua così. :) :) :)
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Messaggioda danielegr » sab ago 15, 2009 15:00 pm

climbalone ha scritto:Racconto appassionante, me lo sto leggendo avidamente, vai avanti.
Posso solo obiettare sulle scarpe? Cito dal tuo racconto "Oggi sarebbe impensabile andare in montagna senza indossare degli scarponi con la suola VIBRAM." Io vado in montagna con le scarpe da ginnastica da sempre, anche quando, anni fa, mi costava severi rimproveri. E avevo ragione io, infatti le scarpette da trekking che fanno adesso sono praticamente la stessa cosa.[/img]

Vedi, io non conosco le scarpette da trekking, e nemmeno quelle da arrampicata (anzi mi ha fatto accapponare la pelle una discussione della quale si consigliava di comprarle almeno di due numeri più piccole del necessario: chissà che male ai piedi le prime volte! e che belle unghie incarnate...)
Debbo ammettere che nelle mie primissime uscite in montagna anche io usavo le scarpe da tennis (da non confondersi con quelle da ginnastica: avevano la suola più sottile, non proteggevano la caviglia e dopo un paio di gite le dovevi buttare via perchè puzzavano in maniera orrenda). Ricordo una memorabile discesa in un ghiaione dal passo delle Coronelle (avevo sedici anni ed ero seriamente convinto che non sarei arrivato vivo in fondo al ghiaione)
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Messaggioda kala » dom ago 16, 2009 10:24 am

danielegr ha scritto:Volevo riprendere un pochino questa vecchia discussione che avevo oramai abbandonato, perchè vedevo che la ?mia? Montagna era troppo diversa da quella che viene vissuta oggi.


Benritornato su queste pagine, Daniele, mi era dispiaciuto che questo topic si fosse perso... :D

danielegr ha scritto:Però dovete permettere ad un vecchio brontolone di pensare, e magari anche di dire, che quando vede una relazione sulla via Albertini ai Magnaghi in Grigna che parla di 6 rinvii, di fix cementati, di clessidre (cosa diavolo sono?) di friends, di dadi e simili [...]


Cosa sono le clessidre? 8O Perché, sai cosa sono nuts, friends e amenità varie ma non le clessidre? :lol:

danielegr ha scritto:E da bere? Niente. Ci eravamo abituati a bere al mattino, prima di partire qualcosa di tiepido, un tè, per esempio, e non sentivamo la sete per tutta la giornata. Per favorire la salivazione durante la salita succhiavamo un nocciolo di prugna o qualcosa di simile. Poi alla sera, naturalmente, facevamo il pieno... Assolutamente bandito fino al rientro al piano qualsiasi tipo di alcol.
Credo che qualsiasi esperto di alimentazioni in montagna mi avrebbe pesantemente insultato a vedere cosa mi portavo dietro [...]


Penso che qualsiasi esperto di alimentazione in montagna ti avrebbe pesantemente insultato per quello che non ti portavi dietro: come si fa a stare tutto il giorno senza bere? 8O Piuttosto senza mangiare ma senza bere mai! :D

Adesso si può andar per monti con un minimo assortimento di barrette eco-bio-iper-macro-bla-bla-energetiche, una bottiglia di reintegratori e al più uno o due frutti o un pezzo di cioccolata: ma alla fine vedo che portandomi dietro i classici due paninozzi con tanto di sopressa all'aglio e formaggio (se non addirittura il salame intero con tanto di tagliere) di sicuro non ho un calo prestazionale degno di nota. :mrgreen:

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Messaggioda kala » dom ago 16, 2009 10:33 am

climbalone ha scritto:Racconto appassionante, me lo sto leggendo avidamente, vai avanti.
Posso solo obiettare sulle scarpe? Cito dal tuo racconto "Oggi sarebbe impensabile andare in montagna senza indossare degli scarponi con la suola VIBRAM." Io vado in montagna con le scarpe da ginnastica da sempre, anche quando, anni fa, mi costava severi rimproveri. E avevo ragione io, infatti le scarpette da trekking che fanno adesso sono praticamente la stessa cosa.


Il fatto che adesso si usi andar via in scarpette da ginnastica (ipertecniche) non è sufficiente a darti ragione. :D

Non entro nel merito di quello che si deve o non si deve fare: diciamo che con me uno in scarpe da ginnastica non verrebbe mai via. :twisted:

:mrgreen:

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Messaggioda danielegr » mer ago 19, 2009 19:38 pm

Capita a volte che persone che pure hanno una passione feroce per la montagna, proprio non abbiano la minima predisposizione per poterci andare con un minimo di sicurezza. Uno di questi era Lorenzo B., un ragazzo d'oro, bravo, generoso, intelligente (studiava Ingegneria al Politecnico e mi pare che si fosse laureato con il massimo dei voti) ma in montagna era proprio una frana. Una frana proprio nel senso 'fisico' della parola: era normale per lui finire addosso ai compagni e, siccome pesava ottanta chili, buttarli per terra. La cosa era particolarmente evidente al corso sci: si scendeva uno e alla volta e ci si fermava, più o meno bene in fila, il primo più in basso e man mano che scendevano gli altri si mettevano un metro a monte degli altri. Lorenzo di solito scendeva per ultimo, o meglio, 'arrivava' per ultimo perché naturalmente aveva combinato qualche casino in alto. Quando arrivava lui, centrava in pieno la fila dei compagni e li buttava giù tutti, facendo 'filotto' come al biliardo. Proprio per quel motivo avevo imparato a far fermare i ragazzi solo in piano...
Era una gran bravo ragazzo, implorava che lo portassimo ad arrampicare, ma come si faceva, sarebbe stato un intoppo per tutta la cordata, e quello sarebbe stato il minore dei mali, ma anche un serio pericolo. Dispiaceva dirgli di no, ma non si poteva fare diversamente.

Un altro episodio (questo me l'hanno solo raccontato, ma è certamente autentico, perché me l'aveva confermato la diretta interessata quando era mia allieva al corso Sci). Era una ragazza, anche lei molto appassionata di montagna ma scoordinata nei movimenti e dotata di pochissimo equilibrio. Fino ad un certo livello di difficoltà suppliva con una forza fisica non comune in una ragazza, ma appena appena la salita diventava più tecnica, andava completamente nel pallone. Si chiamava M.L. e (scusate la volgarità) era ormai invalso il detto ?la M.L. che quand la rampega la par che la caga? (faceva rima con il cognome, che non mi sembra corretto rendere pubblico).
Qualche istruttore sconsiderato l'aveva portata mi pare sul Sigaro o sull'Albertini e la dolce fanciulla ad un certo punto era rimasta incastrata con la mano in una fessura. Proprio non riusciva a tirarla fuori e urlava come un'aquila. L'istruttore allora era sceso e, fra risa, pernacchioni e canzonacce oscene a martellate aveva un po' aperto la fessura a sufficienza per farle togliere la mano.
Naturalmente la cosa era diventata il divertimento preferito del nostro gruppo, e ogni tanto ce la raccontavamo di nuovo, facendoci delle matte risate... (i giovani sanno essere crudeli in certi casi: anche i vecchi però)
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