l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Arrampicata e alpinismo su roccia in montagna

Re: l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Messaggioda danielegr » gio nov 13, 2014 9:59 am

No, non l'ho mai fatta e, stranamente, non mi ha mai attirato, chissà perché. Forse perché quando si aspettava all'attacco della normale dell'Angelina si sentiva ogni tanto cadere un moschettone, appunto dalla via Mary, moschettone che fischiando in maniera piuttosto lugubre metteva paura a tutti. Certamente se ti fosse arrivato in testa te l'avrebbe sfracellata.
Sull'Angelina le nostre vie tipiche erano naturalmente la normale, e soprattutto la Polvara. Nel primo tiro della Polvara poteva capitare che ti arrivasse in testa qualcuno che scendeva in doppia, ma di solito si riusciva a evitarlo. Poi c'era quel bel traverso verso destra... Me lo ricordo ancora da tanto era bello e divertente. Mi pare che ci fosse un chiodo. Ho sentito dire però che è franato, peccato! Spesso la facevamo dopo essere scesi dalla Segantini.
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Re: l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Messaggioda Danilo » gio nov 13, 2014 18:18 pm

danielegr ha scritto:No, non l'ho mai fatta e, stranamente, non mi ha mai attirato, chissà perché. Forse perché quando si aspettava all'attacco della normale dell'Angelina si sentiva ogni tanto cadere un moschettone, appunto dalla via Mary, moschettone che fischiando in maniera piuttosto lugubre metteva paura a tutti. Certamente se ti fosse arrivato in testa te l'avrebbe sfracellata.
Sull'Angelina le nostre vie tipiche erano naturalmente la normale, e soprattutto la Polvara. Nel primo tiro della Polvara poteva capitare che ti arrivasse in testa qualcuno che scendeva in doppia, ma di solito si riusciva a evitarlo. Poi c'era quel bel traverso verso destra... Me lo ricordo ancora da tanto era bello e divertente. Mi pare che ci fosse un chiodo. Ho sentito dire però che è franato, peccato! Spesso la facevamo dopo essere scesi dalla Segantini.


già..la cima dell'angelina si è abbassata, è già qualche anno che sta perdendo I pezzi.
oramai credo che non ci vada più su molta gente...
.l'è un pecà :smt086
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Re: l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Messaggioda danielegr » gio giu 09, 2016 20:14 pm

Mi è giunta adesso notizia della morte di Lucio Marimonti. Avevo postato un suo racconto un po' di tempo fa e avevo letto un paio dei suoi libri. Ciao Lucio, non so come sia avvenuta la tua morte, ma credo che sia stata una cosa improvvisa: quando arriverai lassù salutami tutti gli amici che ci hanno preceduto, Lorenzo, tuo fratello, Valerio, Romano, Luciano, Genny, Roberto, Giuseppe e chissà quanti altri che adesso non mi vengono in mente. Non dimenticare tuo padre, Pompeo
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Re: l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Messaggioda danielegr » mar set 13, 2016 13:26 pm

No, fotografie non ne ho, chissà dove sono finite, sempre che siano state fatte. Questo per rispondere al mio quasi omonino (Danilo).
Già, perché “allora” la macchina fotografica era un aggeggio un po’ diverso da quelli in uso oggi. Ho provato a pesare la mia (una Retina I° A, comperata usata da un mio collega, dovrebbe risalire agli anni ‘40) e sono 850 grammi. Quindi è chiaro che progettando una salita, era la prima cosa che toglievi dallo zaino, già pesantissimo per corda, moschettoni e chiodi – in ferro, naturalmente. Noltre bisognava comperare la pellicola, poi farla sviluppare e stampare le varie foto. Oggi, con una macchinetta da quattro soldi puoi fare dieci foto di un qualsiasi soggetto e poi scegliere la migliore. Allora le dovevi pagare tutte e dieci, e costavano care.
Tutto questo pistolotto solo per giustificare la mancanza di fotografie.
Volevo però ricordare una bella salita (quando? Boh, sarà stato il 1960 o giù di lì) ai Pizzi dell’Oro, sopra il Rifugio Omio. Eravamo (udite udite!) addirittura una cordata di CINQUE! Ma di capicordata c’ero solo io, la macchina ce l’aveva uno solo del gruppo (non ero io, naturalmente) e altre soluzioni non ne avevamo trovate. Obiettivo lo spigolo del Pizzo dell’Oro meridionale. Dal rifugio Omio si sale un po’ (quanto? E chi se lo ricorda…) e poi si scende sul versante opposto, fino a raggiunge l’attacco dello spigolo. E quindi si attacca, la roccia è buona e malgrado la pesantezza della cordata si sale abbastanza velocemente; il percorso è spiegato da una guida che abbiamo e che dice che ... “a questo punto si affronta una fascia orizzontale quasi verticale... ”. Malgrado questa chiarissima spiegazione (!) arriviamo a una paretina verticale e come mio solito, penso che non sia di lì il passaggio, il verticale su granito di solito è indice di difficoltà elevata. Cerco quindi un canaletto sulla sinistra che mi pare abbordabile e lì con molta difficoltà riesco a passare. Naturalmente poi guardando meglio ci accorgiamo che la presunta difficoltà della paretina era alquanto inferiore a quella che abbiamo affrontato sulla deviazione, ma oramai…
Rimane il ricordo di una gran bella salita, fatta in una bella giornata, con una compagnia numerosa e simpatica. Ma poi in montagna si sta sempre bene, anzi benissimo.
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Re: l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Messaggioda crodaiolo » mar set 13, 2016 14:19 pm

Al solito : grazie Daniele! (tra l'altro mio omonimo...)

danielegr ha scritto:...Rimane il ricordo di una gran bella salita, fatta in una bella giornata, con una compagnia numerosa e simpatica.
Ma poi in montagna si sta sempre bene, anzi benissimo.

ecco, qui trovo ci sia tutto...
il succo del nostro errar per monti.

O quanto meno ciò che - al netto di date, nomi e numeri - più resiste al tempo.
inciampa piuttosto che tacere
e domanda piuttosto che aspettare
...
alla fine, è solamente un gioco
a cui a volte tendiamo a dare troppa importanza.
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Re: l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Messaggioda kala » mar set 13, 2016 17:20 pm

Grazie, Daniele: continuo sempre a leggerti... :D

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Re: l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Messaggioda Danilo » mar set 13, 2016 23:31 pm

danielegr ha scritto:.....



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Re: l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Messaggioda kala » mer set 14, 2016 9:53 am

Sembra un bel sentiero da camosci...

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Re: l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Messaggioda danielegr » sab nov 26, 2016 11:38 am

Non si tratta della storia di una delle mie remotissime scalate, ma di una cosa ancora più vecchia, ma molto più importante. L'anno era il 1909: facendo ricerche per altre cose mi sono imbattuto in queste foto:
Questo signore, tutto bello, tirato a lucido, in alta uniforme e con tutte le decorazioni del caso era nientepopodimeno che:
Luigi Amedeo Giuseppe Maria Ferdinando Francesco di Savoia (Madrid, 29 gennaio 1873 – Villaggio Duca degli Abruzzi, 18 marzo 1933)

Immagine

Ma forse lui in quegli abiti non si trovava benissimo, magari preferiva questi:

Immagine

e trovarsi con questi altri signori:

Immagine

Era la spedizione del Duca degli Abruzzi al K2, appunto nel 1909. In quella occasione venne stabilito un record di altezza (7524 mslm). Mi interessava però far notare l'abbigliamento sia del Duca che delle Guide. In montagna andavano così: giacca, panciotto e cravatta! ovviamente un cappello in testa, probabilmente quello oramai un po' rovinato ereditato dal padre o dal nonno che lo usavano alla domenica. E piccozze da un metro e mezzo. Così però aprirono la strada ai futuri conquistatori del K2, quasi mezzo secolo dopo.

I tempi cambiano...
Ultima modifica di danielegr il lun gen 09, 2017 13:52 pm, modificato 1 volta in totale.
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Re: l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Messaggioda kala » sab nov 26, 2016 12:03 pm

Almeno il cappello andrebbe reintrodotto.

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Re: l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Messaggioda crodaiolo » sab nov 26, 2016 12:16 pm

é il caso di dirlo: giù il cappello!
inciampa piuttosto che tacere
e domanda piuttosto che aspettare
...
alla fine, è solamente un gioco
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Re: l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Messaggioda danielegr » lun gen 09, 2017 13:53 pm

Avevo già parlato anni fa dei “nostro” rifugetto, il Tartaglione Crispo, la nostra casa, ora di proprietà privata. Ho ritrovato nella mia biblioteca il libro di Lorenzo Revojera “Studenti in Cordata” nel quale di narrano le storie delle varie SUCAI (Sottosezioni o Stazioni Universitarie del CAI), ma soprattutto la storia di quel rifugio, le sue vicissitudini fin dal 1937, e qui ne riporto alcuni brani. Forse sarà un po’ lungo, ma pazienza:


Storia di un rifugio
Fu un'avventura lunga sette anni, segnata da eventi
gioiosi e tristi, vissuta coralmente da tutto il gruppo, che
determinò una serie di amicizie incancellabili; nacque
da un sogno, quello di avere un rifugio tutto per noi,
una casa nostra per ritrovarci, cantare, discutere, pro-
gettare ascensioni e compierle.
Fin dall'aprile 1937 la Parravicini disponeva presso
Chiareggio di una baita in pietra, riattata e ampliata,
donata al CAI Milano dalla famiglia Lenatti di Chiesa
Valmalenco, e denominata in seguito "Rifugio Giovanni
Pigorini”, in memoria di uno studente milanese caduto
nel 1938 alla Cima Bureloni (Pale di San Martino); ma
l'abbandono causato dal periodo bellico l'aveva resa
inservibile. A seguito di formale richiesta del reggente
Sironi, il 29 settembre 1947 venne firmata una conven-
zione fra CAI Milano (presidente Mario Bello) e SUCAI
per affidare a quest'ultima la gestione del Pigorini. Il
sogno si concretizzava: la casa era stata trovata.
Non si dubitò mai che questa casa potesse esistere
altrove che a Chiareggio, luogo che faceva parte della
tradizione della Scuola Parravicini, nata e cresciuta li
dal 1936 in poi. I sucaini rimisero rapidamente in fun-
zione il rifugio; procurarono arredamento, batteria di
cucina, cuccette e brandine per diciotto ospiti, posateria,
tovaglie eccetera, trascorrendo al rifugio vacanze di la-
voro alternato ad arrampicate sui monti vicini. L'acqua
si prendeva dal vicino (ahimè, troppo vicino...) torrente
Sissone, sfociante tumultuoso dal ghiacciaio del Monte
Disgrazia, che con la sua parete nord domina imperio-
samente la zona sfolgorante di bellezza selvaggia. L'i-
naugurazione avvenne nell'ottobre 1948.
Il sogno durò poco: due anni. Nel settembre 1950
un'alluvione di colossale portata cancellò il rifugio,
provvidenzialmente in quel momento disabitato. Nes-
suna vittima. Le bombole di liquigas ricomparvero nel
fiume due chilometri a valle.
Le vittime purtroppo c'erano già state, ma altrove:
un mese prima due sucaini erano precipitati dalla via
Fehrmann al Campanile Basso: Luciano Tartaglione e
Luciano Crispo, studenti di ingegneria. Anno triste il 1950,
per la SUCAI di Milano.
In quest'occasione si toccò con mano quanto nei cuori
di noi ragazzi fosse profonda la convinzione di come
l'amicizia nata in montagna potesse portare lontano.
Decidemmo tutti insieme di costruire un rifugio nuo-
vo, sempre vicino a Chiareggio, da dedicare ai due ami-
ci scomparsi. Una nuova casa per i corsi della Parravici-
ni, per noi e per tutti quelli che condividevano il nostro
modo di intendere l'alpinismo, il nostro stile. I brandel-
li del sogno tornavano a ricomporsi.
Fu un'impresa dai contorni quasi irreali: un gruppo
di studenti, affiancati da qualche giovane laureato, che
si mette in testa di costruire un rifugio... qualche anzia-
no della sezione ci guardava con incredulità. Nella no-
stra placida incoscienza, eravamo sicuri di riuscirci, e la
certezza ci rendeva disinvolti, quasi sfrontati, al mo-
mento di chiedere soldi ai parenti, alle banche, agli stes-
si anziani che ci compativano...
Si operò una divisione del lavoro spontanea ma non
per questo meno efficace. Un sucaino ingegnere trovò
un collega che ci regalò il progetto; la famiglia Lenatti,
come aveva ceduto a suo tempo la baita, cedette il terre-
no, cento metri più in alto del distrutto Pigorini; un
futuro architetto si occupò di produrre alcune impor-
tanti parti in ferro in un suo laboratorio; le ragazze non
vollero una lira per confezionare tovaglie, tovaglioli,
tendine, asciugamani; cucina a legna, piatti, posate, pen-
tole vennero da diverse famiglie. I materassi in gomma-
piuma li donò la società Pirelli, le coperte erano targate
"Club Alpino Italiano”.
Ma essenziali erano i fondi per pagare l'impresa lo-
cale che, iniziati i lavori di muratura nell'estate 1952, li
completo nel 1953. La Provvidenza fece giungere un
cospicuo lascito testamentario a favore dei rifugi alpini;
la benevolenza del CAI Milano per i suoi studenti fece
il resto, destinando il fondo al nascente rifugio Tarta-
glione-Crispo.
Restava da posare tutto il rivestimento interno in
legno; inoltre si doveva trasportare l'intero arredamen-
to da Chiareggio - dove era immagazzinato - al rifugio.

L'estate 1953 fu di passione; mobilitammo tutte le
forze, organizzando viaggi in pullman a Chiareggio per
portar su quanti più sucaini e amici possibile, purché
disposti a caricarsi sulle spalle tavoli, sgabelli, arma-
dietti, fasci di “perline” (tavole di legno d'abete utilizza-
te come rivestimento), materassi, coperte e via dicendo.
Dal piazzaletto davanti al rifugio era quasi commovente
veder salire fra gli abeti questi manovali improvvisati
ma pieni di buona volontà, alle prese con oggetti lunghi
quattro metri (i suddetti fasci di perline e i tubi del-
l'acqua) che inevitabilmente andavano a sbattere contro
i tronchi.
Ad alcuni sembrò del tutto naturale trasferirsi per
una settimana nel rifugio incompiuto - dormendo a
terra nei sacchi a piuma - per fissare il rivestimento di
legno ai muri; in fondo, si trattava di casa nostra. Nel
pomeriggio si inchiodavano perline, ma al mattino si
partiva alle cinque per andare ad arrampicare alla Cima
di Valbona, al Pizzo Rachele, alla Cima del Duca. Il
dramma si presentava quando in cucina la pila dei piat-
ti sporchi raggiungeva il culmine; ci sembrò un miraco-
lo quando, una sera, spuntarono al rifugio quattro o cin-
que ragazze (sia benedetta la curiosità femminile...) che,
impietosite, si incaricarono del lavaggio.
Si lavorava duro, ma era una gran bella vita. l villeg-
gianti si passavano la voce e salivano apposta da Chia-
reggio per «vedere quei matti di studenti». Ci facevano
i complimenti, mentre noi ci davamo un'aria di finta
modestia e offrivamo un bicchiere di vino, secondo lo
stile della SUCAI.
lnaugurammo il rifugio l'11 luglio 1954; venti giorni
prima della storica conquista del K2. C'era Riccardo
Cassin, nella tenuta da rocciatore allora in voga (calzoni
alla zuava e giubbetto di velluto a coste); c'era Adrio
Casati, presidente della sezione di Milano e pure della
Provincia. Ne scrissero persino i quotidiani, inclusa “La
Gazzetta dello Sport”, con tanto di foto; il “Corriere
lombardo” titolo: Costruito dagli studenti come muratori e
architetti.
Da quell'anno il nuovo rifugio ospitò regolarmente i
corsi estivi di roccia e ghiaccio della Scuola Parravicini.
Nell'estate 1956 cominciò una nuova era per l'attrezza-
tura alpinistica: la scuola fu orgogliosa di far notare nel
programma che gli allievi sarebbero stati «dotati di mo-
derne corde di nailon». Nel 1960 fra gli allievi si conta-
rono cinque alpinisti di Madrid e Barcellona, fra cui
César Pérez de Tudela, che sarebbe diventato uno dei
più forti scalatori spagnoli. Nel 1961, vista la grande af-
fluenza di giovani che il rifugio registrava, fu costruita
un'ala aggiuntiva con una saletta e una camera per la
custode-cuoca, l'indimenticabile Celesta Schenatti.
Nel 1966, in occasione del trentesimo di fondazione,
fu murata sulla parete esterna una lapide commemora-
tiva: "1936-1966: trent'anni di attività per insegnare ai
giovani il vero alpinismo”. Alla cerimonia fu presente
una folla di istruttori ed ex istruttori: centocinquanta in
tutto, dicono le cronache.
A metà degli anni settanta la tecnica di insegnamen-
to si adeguò ai nuovi tempi e i corsi estivi della Parravi-
cini dal 1975 in poi si tennero in altre località alpine.
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Re: l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Messaggioda kala » lun gen 09, 2017 15:00 pm

bello

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Re: l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Messaggioda danielegr » mer lug 12, 2017 11:50 am

Ero sempre stato interessato alla storia del rifugio Tartaglione Crispo, il nostro rifugio, la sede della scuola e la nostra “casa di montagna”. Sapevo anche (forse ne ho già parlato) del precedente rifugio travolto dalle acque nel 1950 e che aveva privato la scuola Parravicini della sua sede per la scuola estiva. Avevo sentito raccontare delle fatiche dei miei predecessori per avere i permessi, trovare i fondi e i materiali per la costruzione di un nuovo rifugio.
La storia completa però non la conoscevo, l’ho trovata su un libro di Lorenzo Revojera (Studenti in Cordata: è la storia delle varie SUCAI italiane), e, se me lo permettete, ve la riassumo.
Dunque nel 1937 la famiglia Lenatti di Chiesa Valmalenco donò al CAI una baita in pietra (il vecchio Rifugio Santa, direi) che nel 1938 fu ribattezzata “Pigorini” in memoria di un alpinista caduto nelle Pale di San Martino. Il rifugio venne riadattato dopo l’abbandono in tempo di guerra e venne inaugurato nell’Ottobre 1948. Però nel Settembre 1950 l’alluvione lo distrusse, tanto che le pesanti bombole di gas liquido furono ritrovate due chilometri più a valle. La fortuna ha voluto che nel rifugio non ci fosse nessuno in quel momento, e quindi i danni furono limitati alle cose.
Credo di averlo già scritto da qualche parte, ma la leggenda popolare attribuì il disastro alla presenza del Gigiatt, incuriosito dalla presenza di quello strano arnese (era la piastra di un gabinetto alla turca: cosa mai vista in quegli anni nella vallata) portata al rifugio da quello che è stato subito soprannominato “el biund del cess”.

Dopo il disastro del 1950 la Parravicini non aveva più un rifugio, una sede per la scuola estiva, e, naturalmente, pochi, anzi pochissimi soldi in cassa.
Ci si rivolse ancora alla famiglia Lenatti che donò ancora un pezzo di terreno, adatto per edificare il nuovo rifugio.
Però il terreno non basta: ci vuole un progetto, il materiale di costruzione, eccetera. Anche il progetto fu preparato, gratuitamente, da un ingegnere amico di un Sucaino. I materassini in gommapiuma furono donati dalla Pirelli e così via. I soldi si trovarono, parenti, amici, le banche e via dicendo. Nel Luglio 1954 si poté inaugurare il nuovo Rifugio, alla presenza di Riccardo Cassin e di Adrio Casati, Presidente della sezione del CAI Milano. Era un rifugio tirato su con la volontà, con la fatica con l’abnegazione di un gruppo di studenti/alpinisti. Non cito nessun nome, tranne quello di Lorenzo Revojera dal libro del quale ho tratto preziose informazioni. Se ne citassi altri ne dimenticherei troppi e non sarebbe giusto.
Erano ragazzi, studenti, lavoratori che chiedevano una settimana di ferie e la passavano nel costruendo rifugio. Alla notte nei loro sacchi a pelo (le coperte arrivarono dopo) al mattino qualche arrampicatina ci scappava, ma al pomeriggio facevano i manovali per portare su da Chiareggio tutti i materiali e gli arredamenti. Mi domando ancora come facessero a portare su a spalla quei tavoli, che mi ricordo belli pesanti. Erano “Caiani”.
Oggi il Tartaglione Crispo, che era diventato patrimonio della sezione di Milano del CAI dopo lo scioglimento della SUCAI di Milano è stato venduto a nuovi gestori, questi:
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Messaggioda Danilo » mer lug 12, 2017 23:59 pm

danielegr ha scritto:....... Erano “Caiani”....



:lol: :lol:
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